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Castel del Monte ai primi del Novecento

Castel del Monte

presso Andria

di mons. Emanuele Merra


XII
Corrado conte di Caserta carcerato in Castel del Monte

Castel del Monte non servì di dura prigione solamente agli sventurati figli di re Manfredi; ma anche a Corrado conte di Caserta, loro cugino e loro compagno di catene. Era egli nato da Violanta, figlia dell’imperatore Federico II, e da quel Riccardo, il quale, secondo il Malaspina, non tradì il suo re Manfredi al passo di Cepperano, perché quel passo non fu in alcun modo fortificato; anzi, secondo il Capecelatro, gli fu fedelissimo tanto che dall’Angioino vincitore gli venne tolto lo Stato, e fatto prigioniero da Andrea Jacopo di Napoli, mentre di notte fuggiva, morì nel carcere del Castello di Santa Mana del Monte (1). Ma il Capecelatro confuse Riccardo conte di Caserta con Riccardo de Rebursa barone di Aversa, il quale, essendo stato uno dei principali fautori di Corradino, fu da Carlo d’Angiò dichiarato traditore; gli furono confiscati i beni e preso da Andrea Jantulo, mentre di notte tentava di uscire dal regno, fu consegnato agl’inquisitori, che lo fecero morire in Napoli sulle forche (2). Carlo in premio, nel 24 ottobre 1269, creò il Jantulo patrizio napoletano (3). Altri storici però ritengono che il conte di Caserta ed il conte di Acerra, entrambi cognati di Manfredi, sieno stati tra i primi baroni regnicoli, che durante la battaglia di Benevento, ribellatisi a Manfredi, si diedero a Carlo d’Angiò (4).

Morto intanto Riccardo nel 1267, suo figlio Corrado, minore di età, successe nel contado di Caserta sotto l’amministrazione della sua nonna paterna, Siffridina, o Manfredina. Questa donna non appena ebbe udito, che Corradino di Svevia, con un agguerrito esercito, dalla Germania scendeva in Italia alla conquista del regno di Napoli; con forti parole animò il suo nipote Corrado a prenderne le parti. Il giovane conte non fu sordo alle pressanti esortazioni della nonna, e corse subito ad arrolarsi sotto la bandiera di Corradino; si proclamò capitano generale di Terra di Lavoro, ed in favore dello Svevo fece ribellare parecchie città di quella provincia.

Ma vinto infelicemente Corradino a Tagliacozzo, il 23 agosto 1268, e decapitato inumanamente in Napoli; Carlo d’Angiò, il 10 ottobre del 1268, ordinò da Capua a Guglielmo Stendardo, maresciallo di Provenza, di ricevere a suo nome l’omaggio di fedeltà. dagli abitanti di Caserta, e di condurre liberi alla sua presenza Siffridina e Corrado. Li interrogò se volessero darsi assolutamente in suo potere, promettendo di far loro restituire i beni ed i castelli, secondo le condizioni fissate tra essi e Pietro di Belmonte, capitano e vicario generale del regno; o essere giudicati dai baroni, secondo le leggi dello Stato (5). E poiché la contessa si rifiutò di obbedire a quei comandi; l’Angioino dichiarò traditori lei e suo nipote, e s’impadronì della contea di Caserta, che nel 19 dicembre delÌ’istesso anno, donò a Guglielmo de Beaumont, grande ammiraglio del regno di Sicilia. Privò il conte di tutte le altre baronie, feudi e terre (6): fece incarcerare Siffridina, che chiama perfida, nel Castello di Trani, ove perché non volle svelare i suoi complici, dopo dieci anni, morì crudelmente di stenti e di fame, poco innanzi al 18 marzo 1279 (7), e condannò Corrado, il nipote di re Federico II, al carcere perpetuo nel Castello dei Santi Quaranta in Canosa. Qui per nove anni fu tenuto strettamente guardato ed in catene, essendo stato affidato al castellano Giovanni de Cinno sotto pena di vita. Gli furono assegnati sei tari al giorno, oltre i vestimenti (8).

Nel marzo del 1277, scortato da cinquanta soldati, Corrado insieme con Don Arrigo di Castiglia, dalle prigioni del castello di Canosa, fu tramutato in quelle del Castello del Monte, e consegnato al castellano Golardo Saumeri, a cui Carlo aveva diretto una sua lettera, ingiungendogli di tenerlo ben custodito e guardato di giorno e di notte. Da Carlo II, con decreto del dì 8 maggio 1294, datato da Napoli, gli vennero assegnati quattro tarì di oro al giorno, per le spese sue e della sua famiglia (9), e con cui pare dovesse alimentare anche l’infelice sua moglie Caterina di Gebenna, la quale spogliata di tutto, viveva nel più grande squallore e miseria! Per trentaquattro anni Corrado soffrì le catene ed i maggiori disagi. dopo circa trent’anni, da che era in prigione, gli furono, per grazia, commutate le grosse catene nei piccoli ferri (10). Lo sventurato conte, trovandosi nella miseria più desolante che mai, supplicò Carlo II, ed ottenne con decreto del 13 giugno 1294, datato da Barletta, di mandare un servo del medesimo Castello Vincenzo Picardo, addatto al suo servizio, o qualche altro fedele al re, a cercare l’elemosina presso i baroni ed i nobili del regno, suoi vecchi amici! (11): Nel 1303 il medesimo re diresse una lettera ai segretari di Puglia, colla quale loro ingiungeva di pagare a Corrado, prigioniero in Santa Maria del Monte, dodici oncie d’oro del peso generale per il corrente anno, onde sostentare la vita (12).

Finalmente dopo 36 anni di dura prigionia, l’infelice Corrado, l’ultimo rampollo della nobilissima famiglia degli antichi conti di Caserta, nel 1304, usciva in libertà dal Castello del Monte! (13). Ma era tale la miseria, che opprimeva lui e la sua moglie Caterina de Gebenna, che Carlo, con un suo decreto del 9 luglio 1304, compassionando lo stato dello infelicissimo Corrado e della sventurata consorte, la quale chiama sua diletta consaguinea e fedele, accordava loro un assegno di 50 oncie d’oro all’anno sopra i diritti di bajulazione di Sorrento (14). E poiché questi non potevano esigersi senza difficoltà; Carlo, il 24 agosto del medesimo anno, ordinò che si pagassero sulle rendite della bagliva della città di Capua (15).

Caterina moriva nel 1305, e Corrado nel 1307 era pur passato di vita.

[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 69-73.]


NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)

(1) Storia del Regno di Napoli, lib. VII, pag. 305.

(2) «Karolus etc. Quin Andreas Jantulus de Neapoli Maiestati nostre exposuit supplicaando. quod cun ipse semper fìdeliter se gesserit erga maestatem nostram nec unquam a fide nostri culminis deviavit immo cepisset Riccardum de Rebursa proditorem nostrum in vicitate Neapoli noctis tempore cum fugiebat etc.». Reg. Ang. 1269 D, n. 6, fol. 105. — Conf. Minieri-Riccio, I notamenti ecc., pag. 243.

(3) Minieri-Riccio, l notamenti di M. Spinelli difesi ecc., pag. 238, nota I.

(4) «Comes de Caserta et Thomas Comes de Cera cum suis aciebus relicto Manfredo, et compositum erat, licet sororum Manfredi viri essent, a bella aufugiunt». Ricobaldo Ferrare, Murat., ss. IX, 136. — «Comes Casertæ et Comes Acerrarum dicuntur fuisse proditores Regis Manfredi relinquentes ipsum in campo». Annali Piacentini.

(5) Reg. Ang. del Grande Archivio di Napoli, 1269 B, n. 4, fol. 171.

(6) De Lellis, Not. reg. div. Regum., p. 128-129.

(7) «Provideat sibi si vult, quia de nostro nonnisi panem et aquam volumus ministrare donec confitetur ipsa illos, qui fuerint consiliarii malefacti». Dipl. 13 mag. 1269. Reg. n. 4, 1269.

(8) In un conto reso da Guglielmo de Sectays, giustiziere di Terra di Bari per la gestione da lui tenuta dal 28 giugno 1268 sino ai 28 ottobre 1269, tra le altre cose si legge: «Cuidam mercatori pro pannis emptis ab eo et assignatis Johanni de Stilo tunc Castellano Castri Canusii pro indumentis domini Henrici et Comitis Casertani captivorum in Castro ipso uncias septem et tarenos duodecim, et eidem Castellano pro expensis ipsorum uncias viginti». Reg. 1268, on. 2, fol. 38. — Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, pag. 264.

(9) Vedi Documento XXIX.

(10) «Corrado de Caserta carcerato in Castro S. Marie de Monte provisio, quod ei auferantur landones ferreos, sed teneatur cum ferris parvis». De Lellis, Fasc. Ang. n. 60, fol. 193 t. - Minieri-Riccio, Studi stor. sui fascicoli ang., pag. 46.

(11) Vedi Documento XXX.

(12) «Corrado filio quondam Comitis Casertani captivo in Castro Sancte Marie de Monte uncias auri duodecim ponderis generalis pro presenti anno prime Indictionis pro vita et sustentatione ipsius (1303)». Reg. n. 129, 1302-1303 B, 172, fol. 154. – Del Giudice, Cod. dipl., vol. II, app. II, pag. 303, nota (b).

(13) Del Giudice, D. Arrigo di Castiglia, pag. 84, nota 2.

(14) «Karolus etc. Ad nobilem mulierem Caterinam de Gehenna uxorem viri Nobilis Corradi olim Comitis Casertani dilectam consanguineam et fìdelem nostram de statu pristino felicitatis et etiam lete sortis ad extreme fere infelicitatis exiguum miserabilis deduxit eventus spiritu pie miserationis inducti ei pro vita et substentatione sua de annuis uncis auri quinquaginta ponderis generalis percipiendis in Camera nostra … de speciali gratia providemus». Reg. n. 131, Caroli II, 1303 D, fol. 23. – Del Giudice, Cod. dipl., vol. II, app. Il, pag. 304.

(15) «Karolus etc. Attendentes quod Nobilis vir Corradus olim Comes Casette … squalore carceris et tediosa dentione lassatus, amissionem sui patrimonii, quod habebat incurrerit, et insuper … quod nobilis mulier Catherina de Gehenna uxor eius eiusdem profecto illi fortune consor et particeps … cum illo concurrit inopia et infelicitate successus, ab olim unicuique jpsorum pro substentationis opportune presidio de annuis uncis auri quinquaginta ponderis generalis exhibendis per tres cuiuslibet anni terminos, dicto quidem Corrado in Camera nostra de fructibus redditibus bajulationis civitatis Surrenti … pie providemus et de speciali gratia concedendum ut tam ipse Conradus quam Catherina prefata ipsas uncias quinquaginta suas … de juribus redditibus et proventibus bajulationis civitatis nostre Capue … percipiant». Reg. n. 135, 1304 C, fol. 56. – Del Giudice, Cod. dipl., vol. II, app. II, pag. 304.