rime sacre (credo), Dante Alighieri

Contenuto

In appendice si trascrivono alcune rime sacre di Dante Alighieri, estratte dalle sue opere minori, rime inerenti il suo "Credo" e pensiero religioso, e che meglio fanno comprendere la spiritualità del tempo in cui si sviluppò la filosofia scolastica medievale.


Premessa (dell’Editore)

Notizia letteraria del motivo che indusse Dante a comporre    IL CREDO  , estratta dal Cod. 1011 della Riccardiana di Firenze.

Poi che l’Autore, cioè Dante, ebbe compiuto questo suo libro (La Divina Commedia), e pubblicato, e studiato per molti solenni uomeni, e maestri in Tolosia, e in fra gli altri di Frati Minori trovarono in uno capitolo del Paradiso, dove Dante fa figura che truova S. Francesco, e che detto s. Franceseco lo domanda di questo mondo, e sì come si portano i suoi Frati di suo Ordine, de’ quali gli dice che istà molto meravigliato, però che ha tanto tempo ch’è in Paradiso, e mai non ve n'è venuto niuno, e non ne seppe novella.
Di che Dante gli risponde sì come in detto capitolo si contiene. Di che tutto il convento di detti Frati l’ebbono molto a male, e feciono grandissimo consiglio, e fu commesso ne’ più solenni maestri, che studiassero nel suo libro se vi trovasseno cosa da farlo ardere, e simile lui per eretico.
Di che li feciono gran processo contro, ed accusaronlo allo ‘nquisitore per eretico che non credea in Dio, né osservava gli articoli delle fè . E’ fu dinanzi al detto inquisitore, ed essendo passato vespero, di che Dante rispose, e disse: datemi termine fino a domattina, ed io vi darò per iscritto com’io credo Iddio: e s’io erro datemi la punizione ch’io merito. Di che lo ‘nquisitore gliel diè per fino la mattina a terza.
Di che Dante vegghiò tutta la notte, e rispose in quella medesima rima ch’è il libro, e sì come si seguita appresso, dove dichiara tutta la nostra fè, e tutti gli articoli, che è una bellissima cosa, e perfetta a uomeni non litterati, e di bonissimi assempri, e utili, e preghiere a Dio e alla Vergine benedetta Maria, sì come vedrà chi lo leggerà, che non fa bisogno avere, né cercare altri libri per sapere tutti i detti articoli, né i sette peccati mortali, che tutto dichiara a bene e sì chiaramente, che si tosto come lo ‘nquisitore gli ebbe letti, con suo consiglio in presenzia di XII maestri in Tolosia, li quali non seppono che si dire né allegare contro a lui: di che lo ‘nquisitore licenziò Dante, e si fè beffe di detti Frati, i quali tutti si maravigliarono come in sì piccolo tempo avesse potuto fare una sì notabile cosa in rima ec.

Io scrissi già d’amor piu volte rime,
Quanto piu seppi, dolci, belle e vaghe
E in pulirle oprai tutte mie lime.

Di ciò son fatte le mie voglie smaghe,
Perch’io conosco avere speso invano
Le mie fatiche, ed aspetto mal paghe.

Di questo falso amore omai la mano
Di scriver più di lui voglio ritrare,
E ragionar di Dio come cristiano.

[ IL CREDO ]

Io credo in uno Padre, che può fare
Ciò ch’a lui piace, e da cui tutti i beni
Procedon di ben dire e d’operare.

Della cui grazia terra, e ciel son pieni,
E che da lui son fatti di niente,
Perfetti, buoni, lucidi e sereni.

E tutto quel che s’ode, vede, o sente,
Fece l’eterna sua virtu ‘nfinita,
E ciò che si comprende con la mente.

E credo ch’e’ l’umana carne, e vita
Mortal prendesse en la Vergine santa
Maria, che co’ suo’ prieghi pur ci aita:

E la divina Essenza tutta quanta
In Cristo fosse nostro, santo e pio,
Si come santa Chiesa aperto canta.

Il qual fu veramente Uomo, e Dio,
Unico di Dio figliuol; di Dio nato,
Eternalmente Iddio di Dio uscìo:

Non fatto manual, ma ‘ngenerato
Simile al Padre, e ‘1 Padre ed Esso è uno,
In Ispirito santo è incarnato.

Costui volendo salvar ciascheduno
Fu sulla santa Croce crocifisso,
Di grazia pieno, e di colpa digiuno.

Poi giù discese al profondo d’abisso
D’Inferno tenebroso per cavarne
Gli antichi Padri, ch’ebbono il cor fisso

Ad aspettar che Dio prendesse carne
Umana, e lor traesse di prigione,
E per sua passion tutti salvarne.

Io dico che con ferma oppenione,
E giustamente con perfetta fede,
Credo salvarsi con sua passione.

E chi altrimenti vacillando crede,
Eretico, e nimico è di se stesso;
L’anima perde che non se n’avvede.

Tolto di croce, e nel sepolcro messo
Con l’anima, e col corpo il terzo dì
Da morte suscitò, credo e confesso.

E con tutto la carne, ch'ebbe quì
Della sua Madre Vergin benedetta,
Poi alto in cielo vivo se ne gì;

E con Dio Padre siede, e dritto aspetta
Tornar con grazia a suscitar li morti,
E di loro, e de’ vivi far vendetta.

Però di ben far ciascun si conforti,
E Paradiso per ben fare aspetti,
E di divina grazia esser consorti:

E chi co’ vizj vive, e co’ difetti,
Aspetti Inferno, e sempre pene e guai,
E star con gli dimonj maladetti.

Alle pene infernal rimedio mai
Non vi si trova, che son sanza fine,
E pianti, e strida lì e sempremai.

Dalle qua’ pene noi anime tapine
Ci aiuti e guardi to spirital manto,
Qual è terza Persona in le divine.

E quant’è il Padre è lo Spirito santo,
E quanto è il Figlio, e l’uno e l’altro è tale,
E una cosa è sol di Santi un Santo,

E vera Trinitate egli è cotale
Qual Padre, e Figlio sono un solo Iddio
Collo Spirito santo ognuno iguale.

Da questo amore, e da quel buon disio
Procede questo, che da Padre e Figlio
Non generato, o fatto, al parer mio,

Ma sol di quello eterno, e buon consiglio
Dal Padre e Figlio procede e regna,
Non prima l’un che l’altro fosse piglio.

Qual più sottil di dichiarar s’ingegna,
Che cosa sia la divina Essenzia
Manca la possa a dir cosa si degna.

Bastici pur d’aver ferma credenzia
In quel che ci ammaestra santa Chiesa,
La qual ci dà di ciò vera sentenzia.

[ I SACRAMENTI ]

Io credo che ‘l Battesmo ciascun fresa
Della grazia di Dio, e mondal tutto
D'ogni peccato, e poi di grazia il presa,

Il quale è d’acqua e di parole frutto;
E non si dà a nessun più d’una volta,
Quando sia di peccati alcun più brutto.

Sanza lo quale ogni possanza è tolta
A ciaschedun d’andare in vita eterna,
Benché ‘n se avesse ogni virtù raccolta.

Lume è talvolta da quella lucerna
Che dallo Spirto santo a noi risplende
Di diritto disio, e ci governa;

Che del Battesmo aver sì forte accende
Amore in noi, che per la voglia giusta
Non men che averlo l’uom giusto s' intende.

Poi per purgar la nostra Voglia ingiusta,
Il peccar nostro che da Dio ci parte,
La Penitenza abbiam per nostra frusta.

Né per nostra possanza, e per nostr’arte
Tornar potremo alla divina grazia,
Sanza Confession dalla sua parte.

Prim’è Contrizion quella che strazia
Il maladetto, e poi con propria bocca
Confessa il mal, che tanto in noi si spazia:

E il satisfar che dietro all’altra scocca,
Tornar ci fa con le preditte insieme
Aver perdon, che drittamente tocca.

Ma poi per lo nimico che pur preme
Le fragil voglie nostre a farci danno,
Che sa ch’Iddio per noi poco si teme,

Acciò che noi fuggiamo ‘l falso inganno
Che sempre ci apparecchia quel nimico
Da cui principio i mal tutti quant’hanno,

Nostro Signore Iddio Padre, e amico,
Il santo Corpo, e Sangue suo benigno
Veder ci fa all’altar, di ciò ver dico;

Quel proprio Corpo, che nel santo ligno
Di carne fu chiavato, e ‘l Sangue sparto,
Per noi levar da spirito maligno:

E, se il falso dal vero io ben disparto,
In forma d’Ostia noi vediamo Cristo
Qual, ch’il produsse il santo vergin Parto.

Vero Iddio, uomo tutto, insieme misto,
In ispezie di pan puro e divino,
Per cui del Ciel facciamo il grande acquisto.

Tanto santo, mirabile, e divino
Ed è questo misterio, e Sagramento;
Ch’a dirlo saria poco il mio latino

Questo ci dà fortezza, et ardimento
Contra le nostre male tentazioni
Sì che per lui da noi ‘l nemico è vento.

Perch’egli intende bene l’orazioni
Ch’a lui si fanno ben giuste, e divote,
Quando son fatte con divozioni.

La possa di ciò fare, e l’altre note
Debbon cantare, e dare altrui il Battesmo:
Solo è de’ Preti il volger cotai rote.

E per fermezza ancor del cristianesmo
Dassi la Cresma, e l’Olio santo ancora
A rifermar questo creder medesmo.

La nostra carne pronta al mat tuttora
È stimolata da lussuria molto,
Perché l’un l’altro qui spesso s’accora.

A ripararci Iddio ci volse il volto,
Ordinando tra noi il Matrimonio,
Acciò che tal peccar da noi sia tolto.

Tratti ci ha delle mani del dimonio
Co’ soppraddetti santi Sacramenti,
Con limosine e orare e con digionio.

[ I DIECI COMANDAMENTI ]

Dieci da Dio abbiam comandamenti:
Lo primo è che solo lui adoriamo,
Né in idoli di Dei siam più credenti.

E ‘l santo nome di Dio non pigliamo
In van giurare, e in altre simil cose,
Se non che sempre lui benediciamo.

Il terzo vuol che ciascun si ripose
D’ogni fatica un dì della semana,
Si come santa Chiesa a mandar pose.

Sopra ogni cosa qui fra noi mondana
Che al padre e madre noi facciamo onore,
Perché di loro abbiam la carne umana.

Che nessun furi, o ver sia rubatore,
E viva casto di lussuria a tondo,
Né di ciò cerchi altrui far disonore.

Né già per cosa ch’egli aspetti al mondo,
Falsa testimonanza a nessun faccia,
Sì che dal falso il ver sia messo al fondo.

Né mai distenda a ira le sue braccia
Ad uccidere altrui in nessun modo,
Che spegnerìa di Dia in noi la faccia.

Né sciolga alcuno di prudenza il nodo,
Che del prossimo suo brami la moglie,
Perché saria di caritate vodo.

L’ultimo a tutti è che nostre voglie
Noi raffreniam di desiar l’altrui,
Che spesso il cor da Dio ci parte e toglie.

[ I SETTE VIZI CAPITALI ]

E perché ben attenti tutti nui
Siamo ad ubbidir quel che si dice,
Fuggiamo il vizio che ci to’ da lui.

Prima è superbia d’ogni mal radice,
Perché l’uom si riputa valer meglio
De’ suoi vicini, e d’esser più felice.

L’invidia è poi che fa l’uomo vermiglio,
Che per istizza vedendo altrui bene,
Al nimico di Dio lo rassomiglio.

Ira all’irato ed altrui dà gran pene
Perche ‘l consuma, uccide, incende ed arde,
Fassi con pianto, e ‘n povertà si viene.

Accidia d’ogni ben nemica guarde,
Che sempre al mal pensar si volge e gira:
Al disperare è pronta, al ben far tarde.

Poi avarizia, per cui si martira
Il mondo tutto, e rompe fede e patti,
Le par licito a sé quel che più tira.

La gola, che converte i savj in matti,
Con ebrezza, e suo mangiar soverchio,
Morte apparecchia, ed a lussuria gli atti.

E la lussuria, ch’è settimo cerchio
Che amistà rompe, e parentado spezza,
Fa a ragion ed a virtù soverchio.

Contra questi peccati abbiam fortezza,
Che son qui scritti in questo poco inchiostro,
Per andar poi, dov’e somma allegrezza.

[ IL PADRE NOSTRO ]

I’ dico, per istare dentro a un chiostro,
Che noi facciarno a Dio preghiere assai,
E la prima oration sia il paternostro.

Dicendo: Padre che ne’ Cieli stai
Santificato sia il tuo santo nome,
E grazia e lode di ciò che ci fai.

Avvegna nel tuo regno, come pone
Questa orazion, tua volontà si faccia,
Com’ella è in cielo, sia in terra unione.

Signor, dacci oggi pane, che ti piaccia
Di perdonarci li peccati nostri,
Né cosa non facciam che ti dispiaccia.

Come noi perdoniam tu sì ci mostri
Assempro in noi mondan di tua virtute,
Acciò che dal nemico ognun si schiostri.

Pietoso Padre, pien d’ogni salute,
Guardaci, e salva dalla tentazione,
Dallo eternal nimico, e sue ferute.

E che possiamo a te fare orazione,
Che ci guardi di male, e ‘1 regno vostro
A posseder vegnam con divozione.

Preghiamti, o Re di gloria, e Signor nostro,
Che tu ci guardi dal dolore afflitto
La nostra mente, e sia a te il cor prostro.

[ AVE MARIA ]

La Vergin benedetta omai è dritto
Laudare e benedire, anzi che fine
Aggiunga a quel, che è di sopra scritto.

E lei pregar che alle glorie divine
Sì ci conduca co’ suoi santi preghi,
E scampi noi dall’infernai ruine:

E tutti que’ che son di peccar cieghi
Allumi, e svegli la for tenebrìa,
E da’ lacci infernai sì gli disleghi.

Salve regina, vergine Maria
Piena di grazia, Iddio sia sempre teco
Piu ch’altra donna benedetta e pia.

Il frutto del tuo ventre, il quale io preco
Che ci guardi dal mal, Cristo Gesù,
Sia benedetto, e noi tiri con seco.

O Vergin benedetta, sempre tu
Ora per noi che Cristo ci perdoni,
E diaci grazia a viver sì quaggiù

Che Paradiso al nostro fin ci doni.

SONETTO        [ SALVE REGINA ]

O Madre di virtute, luce eterna,
Che partoriste quel frutto benegno,
Che l’aspra morte sostenne sul legno,
Per scampar noi dall’oscura caverna;

Tu, del Ciel Donna e del mondo superna,
Deh prega dunque il tuo figliuol ben degno
Che mi conduca al suo celeste regno,
Per quel valor che sempre ci governa.

Tu sai che ‘n te fu sempre la mia spene,
Tu sai che ‘n te fu sempre il mio diporto:
Or mi soccorri, o infinito bene.

Or mi soccorri, ch’io son giunto al porto,
Il qual passar per forza mi conviene;
Deh non mi abbandonar, sommo conforto.

Che se mai feci al mondo alcun delito,
L’alma ne piange, e ‘1 cor ne vien contrito.

[tratto da “ Rime profane e sacre di Dante Alighieri precedute dalla sua biografia ...” Editori della Minerva, tip. Leonardo Ciardetti, Firenze, 1830, vol. V delle “Opere minori di Dante ec.”, pp. 675-685, 704].