Uomini illustri del Capitolo Cattedrale

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi"

Capitolo XII.

di Michele Agresti (1852-1916)

Uomini illustri del Capitolo e della città di Andria,
che si sono distinti nella carriera diplomatica ecclesiastica,
nelle scienze, nelle lettere, nella bontà e santità della loro vita.

   

Sommario:
- Uomini illustri, che si distinsero nella carriera diplomatica ecclesiastica.
- Mons. Sebastiano Spagnoletti - Zeuli.
- Mons. Giuseppe Magno.
- P. Andrea Leonetti.
- altri non meno illustri concittadini.


Non sarà certamente discaro al lettore, se toccheremo in questo Capo anche degli altri personaggi illustri, ecclesiastici e borghesi, che si sono distinti nella carriera diplomatica ed in ogni ramo di scienze e lettere, quando si consideri che la nostra Istoria non si limita al solo Capitolo della Cattedrale, ma anche ai suoi tempi, che abbracciano uomini e cose, la città ed anche il Regno.

Tanto più poi nella considerazione, che gli ordinamenti civili e religiosi dei tempi a noi precedenti erano talmente collegati insieme, che non si può parlare degli uni senza che avessero rapporto agli altri. Ed è perciò che ricorderemo anche parecchie famiglie patrizie e nobili della città, che vanno sino a parecchi secoli di distanza.

Uomini illustri, che si distinsero nella carriera diplomatica ecclesiastica

―――――――――

I. Mons. Sebastiano Spagnoletti - Zeuli.
Uomo veramente illustre per le sue qualità morali, intellettuali, ed anche fisiche. Personaggio dall’aspetto simpatico, dai modi gentili, sembrava proprio nato per la carriera diplomatica, che, se la morte non lo avesse rapito nel fiore degli anni, avrebbe certamente raggiunto i più eminenti gradi della gerarchia ecclesiastica.

Mons. Spagnoletti sorti suoi natali in Andria il dì 14 Ottobre [843 dal gentiluomo Pasquale Spagnoletti - Zeuli e Donna Francesca Lamonica di Corato, ambedue per nobilità di sangue, per dovizioso censo e per virtù preclarissimi. Nel 1852, a nove anni appena, vesti l’abito talare, e fu alunno nel Seminario di Andria, dove, per la sua modestia e santità vita, veniva da tutti appellato un secondo S. Luigi Gonzaga. La sua umiltà giungeva al punto da rendersi servo di tutti! … Fatto prefetto della camerata dei piccolini, lo Spagnoletti, dimenticando la nobiltà del suo casato, giungeva perfino a pettinare i piccoli seminaristi, da lui amati come figli [1]. Ordinato Suddiacono, nel 1864, poscia Diacono nel 1865, per consiglio del Vescovo Longobardi si recò a Roma, a perfezionare i suoi studii. Entrò prima convittore nel nobile Collegio Ghislieri, frequentando le lezioni di esegesi biblica, di teologia dommatica e morale, e di gius canonico nel Collegio Romano, sotto la guida dei celebri professori Patrizi, Ballerini, Tarquini e Franzlin; completando poi il corso comparato delle leggi civili ed ecclesiastiche nella Università di Roma.

Nel 1867, in Roma, fu ordinato sacerdote dal Cardinal Patrizi, allora Vicario di Sua Santità Papa Pio IX. Nello stesso anno, avendo il Vescovo Longobardi indetto in Andria il concorso ai mansionariati della Cattedrale, e delle altre due Collegiate, lo Spagnoletti venne ancor egli a concorrere tra gli altri sacerdoti della città, ed ottenne un Mansionariato della Cattedrale, continuando ad attendere in Roma ai suoi studii. Nelle vacanze soleva recarsi in Andria sua patria, e non mancava di intervenire assiduamente al Coro, e di prestarsi volentieri al servizio della Chiesa. Nel 1871, da Papa Pio IX, ottenne la Bolla di un Canonicato della Chiesa Cattedrale di Andria; ma lo Spagnoletti generosamente volle che la sua prebenda andasse divisa fra i più assidui mansionarii, che si fossero resi diligenti nel servizio della Chiesa, contentandosi egli di vestire, per umiltà, le insegne mansionariali, anziché le canonicali, quando, nelle vacanze autunnali, trovavasi in Andria.

Intanto, compiti i suoi studii in Roma, ed addottrinatosi nelle varie discipline ecclesiastiche, si dette poi tuttuomo allo studio delle lingue, quali furono l’ebraica, la francese, la spagnuola, la tedesca, la portoghese. Fornito di questo corredo di scienza e di lingue, varii illustri personaggi di Roma (fra i quali principalmente il celebre filosofo P. Liberatore della Compagnia di Gesù) lo esortarono ad intraprendere la carriera diplomatica, tenuto anche conto della nobiltà del casato, e dei suoi modi veramente aristocratici. A quelle esortazioni lo Spagnoletti assentì, entrando nell’Accademia dei nobili ecclesiastici di Roma. Dopo pochi anni Papa Pio IX volle che lo Spagnoletti fosse ammesso nello studio della S. Congregazione del Concilio, indi fra gli apprendisti della S. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarii. Nel Marzo 1877 lo nominava suo cameriere segreto soprannumerario, destinandolo come Ablegato Apostolico nella Spagna, per portare la berretta cardinalizia a Mons. Garcia Gil, Arcivescovo di Saragozza. In quella circostanza il Re di Spagna, Alfonso XII, che compì in Madrid la cerimonia dell’imposizione della berretta al neo Cardinale Gil, motu proprio, decorò lo Spagnoletti della Commenda con placca dell’insigne ordine di Carlo III.

Tornato in Roma lo Spagnoletti, nel Luglio del medesimo anno 1877, fu da Pio IX nominato Uditore della Nunziatura Apostolica di Baviera, tenuta allora da Mons. Gaetano Aloisi - Masella, con residenza a Monaco.

Nell’anno consecutivo, ricorrendo le nozze d’argento dei regnanti di Sassonia, lo Spagnoletti fu incaricato dalla S. Sede di accompagnare il Nunzio Aloisi - Masella, nel presentare agli augusti monarchi le felicitazioni di Papa Leone XIII, in quell’anno salito alla Cattedra di S. Pietro, per l’avvenuta morte di Pio IX. E lo Spagnoletti ritornò da quella Missione decorato della Commenda dell’ordine di Alberto il valoroso.

Nel generale movimento diplomatico, operato da Leone XIII col prendere in mano le chiavi di Pietro, lo Spagnoletti venne designato, qual Delegalo Apostolico ed Inviato Straordinario a Costa Ricca. Ma Mons. Aloisi - Masella, che venne, nel contempo, promosso alla Nunziatura di Lisbona nel Portogallo, supplicò il Papa di non togliergli dal fianco l’Uditore Spagnoletti, e che accettava quella promozione alla sola condizione che avesse compagno lo Spagnoletti, nella qualità di Uditore. Il Papa Leone XIII, che ben conosceva la importanza di quella richiesta, annuì, e lo Spagnoletti, da Monaco, passò Uditore in Lisbona, in compagnia del Nunzio Aloisi - Masella, che gli era, più che amico, fratello e padre.

Ma il Portogallo fu a lui fatale! … Nel Novembre del 1882, mentre era tutto intento nel trattare affari d’alta importanza in quel regno, tanto agitato dai partiti estremi, lo Spagnoletti ebbe un telegramma, da Andria, che gli annunziava la prossima fine della sua adorata madre! … Combattuto il povero Uditore Spagnoletti fra due doveri sacrosanti, quello cioè di baciare l’ultima volta la mano alla genitrice, e l’altro di non abbandonare, in quel momento, un affare assai vitale per gl’interessi della Nunziatura Apostolica, prevalse il secondo; e, con atto veramente eroico, rispose al telegramma con queste parole: Se non è possibile baciare la mano alla madre qui in terra, la bacerò nell’eternità. Il 29 Novembre di quell’anno la Madre di Lui, Donna Francesca Lamonica, munita dei conforti della Religione, passava agli eterni riposi, senza aver potuto vedere al suo fianco l’amato figlio Sebastiano! …

Lo Spagnoletti se ne addolorò tanto, che la sua salute ne risentì potentemente il funesto effetto, accresciuto anche dalla morte del fratello maggiore Vito Antonio, avvenuta pochi mesi dopo la morte della madre, cioè il dì 12 marzo 1883. Nel maggio di questo medesimo anno una paralisi gli si appalesò nel lato destro, ribelle a tutte le cure apprestategli dai più rinomati medici della capitale portoghese! … Il 9 giugno, munito di tutti i conforti della Chiesa, somministratigli dal Nunzio Alojsi-Masella, e confortato dalla benedizione apostolica, inviatagli telegraficamente da Papa Leone XIII, Mons. Spagnoletti, a quarant’anni appena, chiudeva i suoi giorni in Lisbona, dove la sua salma tuttora riposa in pace.

Solenni funebri gli furon resi in quella capitale cattolica, ed il nostro Capitolo, piangendo la perdita di tanto uomo, che fu pur Canonico di questa Chiesa, e che era prossimo al Cardinalato, volle celebrare anche nel Duomo solenni esequie, cui prese parte tutta la cittadinanza, con a capo l’amministrazione Comunale, la quale, per onorare il cittadino illustre, fece poi attaccare sulle mura della gran sala comunale un ritratto ad olio dell’estinto ed illustre Prelato andriese.

Anche il Capitolo della Cattedrale fece affiggere nella sua grande Sacrestia un ritratto del personaggio così illustre, gloria e vanto del Capitolo cui appartenne, della città, che gli dette i natali, e della nobile famiglia Spagnoletti-Zeuli.

*
*      *

2. Mons. Giuseppe Magno.
Anche Costui intraprese la carriera diplomatica ecclesiastica, ed avrebbe raggiunto i più alti gradi di questa gerarchia, per la vivacità del suo ingegno, se avesse avuto maggiore costanza e fermezza di propositi. Il Magno fu pure alunno del nostro Seminario diocesano, dove si distinse per le sue buone qualità morali ed intellettuali. Ordinato Sacerdote, si recò in Roma a perfezionare i suoi studii, dove si addottorò in legge canonica e civile, in Teologia e Filosofia. Studiò le principali lingue, quali la francese, la spagnuola, l’inglese, e la tedesca. Da Pio IX venne nominato Prelato Domestico di Sua Santità. Per parecchi anni visse in Roma, dove esercitavasi anche nella predicazione e nella confessione, senza tralasciare le pratiche per la carriera diplomatica. Nel 1874, forse annoiato di quella carriera e della dimora in Roma, fece ritorno in Andria, e fu nominato dal Vescovo Galdi Canonico della Cattedrale. Molto si distinse per zelo nel ministero ecclesiastico con la confessione e la predicazione, nella quale riusciva applauditissimo [2]. Nel 1877, forse annoiato pure della vita capitolare, abbandonò Andria, e fece ritorno a Roma, dove, protetto dal Cardinal Monaco La Valletta, allora Vicario Generale di Sua Santità Papa Pio IX, e dai Gesuiti, cui era devotissimo, potette riprendere la carriera diplomatica ecclesiastica, pur continuando ad essere ascritto quale canonico del nostro Capitolo Cattedrale. Mancando però alla residenza dovuta, senza dispensa apostolica, il Capitolo, nel 1878, sospese al Magno la sua porzione canonicale. Ma questi, nel Gennaio del 1879, otteneva dal Papa Leone XIII un Rescritto, col quale veniva dispensato dalla residenza e dall’obbligo d’intervenire al Coro, trovandosi occupato al servizio della S. Sede, con diritto di percepire i frutti del suo canonicato. Il Capitolo obbedì al comando del Pontefice e continuò a considerare il Magno qual suo Canonico, ad onta che vivesse in Roma.

Nel 1880 Mons. Magno veniva da Papa Leone XIII promosso ad Uditore di prima classe della Nunziatura Apostolica di Vienna, tenuta allora da Mons. Angelo Iacobini. Un anno vi durò il Magno in quella Nunziatura, facendo poi ritorno in Roma, dandosi a vita privata, tutto intento al Confessionale ed alla predicazione. Egli frequentava la Chiesa di S. Ignazio e del Gesù, dove ascoltava quotidianamente le sacre confessioni, e, nelle ore notturne soleva recarsi ad ascoltare le confessioni degli uomini nella Chiesa dell’Anima e del Caravita, dove molti Signori romani, nel silenzio della sera, e per non essere segnalati a dito, vanno a deporre ai piedi dei Sacerdoti le loro colpe. In queste ultime due Chiese il Magno, una volta nella Settimana, faceva, nelle ore di sera, la sua istruzione, che era ascoltata con molta deferenza.

Nel 1882 Papa Leone XIII, tenuto conto delle benemerenze del Magno, lo nominava suo Legato Apostolico a Costa Rica (posto poi offerto all’altro nostro concittadino Mons. Spagnoletti). Il Magno accettò con entusiasmo questa promozione, che gli riapriva la carriera diplomatica, da qualche anno interrotta, ed era già sul punto di partire per la nuova importante destinazione, quando, accampando ragioni di salute, fece tenere al Papa alcuni certificati medici, che lo dichiaravano inabile a quel lungo viaggio ed a quella dura dimora. Il Papa esonerò il Magno da quella delegazione, ma lo tenne però a Roma in lunga aspettativa. …

In questo frattempo, vacando il Gran Priorato della Chiesa Palatina di S. Nicola in Bari, fu proposta a Mons. Magno quella onorifica e lucrosa dignità. Ma il Magno la rifiutò, sperando di poter riprendere la carriera diplomatica ecclesiastica. Se non che, divenuto il Cardinal Monaco (suo protettore) Arciprete della Basilica di S. Giovanni in Laterano, Mons. Magno fu nominato Canonico di quella Basilica. Fu allora che rinunziò al Canonicato di Andria e, decisamente si stabilì in Roma, dove occupò varii posti onorifici, fra i quali quello di Consultore del S. Concilio. Fece parte ancora di varie Accademie Romane, come la Tiberina, l’Arcadia e, per la sua intelligenza e cultura, Leone XIII lo promosse a Segretario degli studii; indi lo volle in Segreteria di Stato in Vaticano, col titolo di sottosegretario, posto che mena direttamente al Cardinalato. Ma il Magno parve scontento dell’appartamento che in Vaticano gli si assegnava, e questo bastò a fargli perdere quell’eminente posto, che fu concesso invece a Mons. Tripepi, suo amicissimo, il quale, dopo pochi anni dall’averlo occupato, fu nominato Cardinale di Santa Chiesa. Il Magno, invece, fu nominato Uditore della Sacra Ruota, posto che occupò fino alla sua morte, avvenuta in Roma nel 1907.

Mons. Magno, di forte ingegno, e di non comune coltura, avrebbe fatto carriera splendidissima, sino a raggiungere la Sacra Porpora, se l’incostanza di suo carattere non gli avesse tarpato le ali! …

*
*      *

3. P. Andrea Leonetti delle Scuole Pie —
Un altro illustre personaggio andriese fu il P. Leonetti, il quale, se non diplomatico per carriera, fu diplomatico per l’aristocrazia dell’ingegno e per i suoi modi veramente diplomatici, che lo avrebbero condotto sino alla Porpora, se la morte non fosse venuta a coglierlo nel fiore degli anni.

Il Padre Andrea Leonetti nacque in Andria il 12 Agosto 1838 da Giuseppe ed Angela Leonetti. Undicenne appena, vestì l’abito talare, e fu ascritto dal Vescovo Cosenza fra i giovani chierici esterni del Seminario, detti allora Episcopisti, perché addetti al servizio del Vescovo nelle sacre funzioni. Venuto in Andria il Vescovo Longobardi, nell’anno 1852, mal vedendo questa distinzione fra episcopisti e seminaristi, ordinò che tutti i chierici, indistintamente, convivessero nel Seminario, o smettessero l’abito talare, non soggettandosi a tale ingiunzione. Ragioni di famiglia e di salute non permisero al Leonetti di prendere stanza nel Seminario. Ed il Vescovo irrevocabilmente ordinò che smettesse l’abito talare, ad onta delle suppliche insistenti dell’ottimo giovanetto, e di altri distinti personaggi, che vedevano nel Leonetti il chierico intelligente e di esemplare condotta.

Qual dolore avesse provato il giovanetto Leonetti a quel duro comando, è facile indovinarlo, tenuto conto della sua dolce indole, e della sua tenace inclinazione allo stato ecclesiastico. Visto dunque che ogni preghiera, ogni insistenza riusciva inefficace a rimuovere il Vescovo dal suo proposito, riconoscendo in quel comando la voce di Dio, pensò ascriversi a qualche ordine religioso, ripugnandogli il solo pensiero di smettere l’abito talare, e darsi in braccia al secolo, come fecero tutti gli altri episcopisti, suoi colleghi, fra i quali vi erano pure degli ingegni eletti.

Dietro consiglio dei suoi zii [3] e di altre spiccate persone, fra cui lo Scolopio andriese P. Luigi De Leo [4], che si trovava già in Roma, ascritto all’ordine del Calasanzio. Il Leonetti, diciasettenne, abbandona la famiglia, lascia la città natale, e si reca a Roma, nel 1855, dove fu ascritto al benemerito ordine delle scuole pie, quell’ordine, che, al dire del Tommaseo, abbraccia la fede e la carità, l’intelletto e il cuore, la parola e l’opera, la compassione e l’amore, gli uomini e Dio.

Qual fosse stata la condotta del giovane Leonetti in quell’istituto, ce lo dice un suo confratello e discepolo, il P. Luigi Pietrobono, che ne fece la necrologia dopo la morte: «Io lo veggo con la mente lieto di andar vestito colle divise del Calasanzio, nel santuario di S. Pantaleo [5], presso le ceneri del suo gran Padre, raccolto a ritemprare lo spirito nella preghiera; o dentro la sua cameretta tutto inteso allo studio delle lettere. Primo, o dei primi sempre tra i condiscepoli, e fin d’allora l’ingegno non gli serviva a vana pompa; anzi, unito a gentilezza di modi colla stima gli guadagnava l’affezione di tutti, e in ispecie del suo illustre maestro P. Pietro Taggiasco, al quale doveva poi succedere nella cattedra, detta allora di rettorica. Mente ben disposta alla scienza sacra, apprese l’alte dottrine dell’Aquinate dai sapienti eredi di quella, i Domenicani».

Il P. Leonetti si ordinava Sacerdote in Roma il dì 19 Aprile del 1863, giorno di Sabato Santo, fra la letizia dei suoi confratelli, che tanto lo amavano e lo stimavano; fra la pienezza di sua soddisfazione, che vedeva appagati i suoi voti, mentre dal Vescovo Longobardi aveva ottenuto la ripulsa di ascendere allo stato sacerdotale.

Ordinato Sacerdote, ricco di scienza, pieno di virtù, benché giovanissimo, fu destinato a dirigere il rinomato Collegio degli Scolopii in Alatri. Ma la città di Frascati, che ebbe il vanto di aver visto e venerato di persona il pio Istitutore S. Giuseppe Calasanzio, volle avere a sé il Leonetti; e questi, obbediente alla voce del superiore, che volle appagare il desiderio di quella cittadinanza, destinò il Leonetti a passare da Alatri al Collegio di Frascati.

Dietro le ottime prove, date in quei due Collegi, e volando la fama del Rettore Leonetti, ancor giovanissimo, venne chiamato a Roma a dirigere il nobile Collegio Nazzareno, istituito dal medesimo Calasanzio, e che va fra i principali collegi di Roma e dell’Italia [6].

E qui comincia la serie dei trionfi, che riportò il Leonetti nella direzione di quel nobile Collegio, che accoglie tutto il fior fiore della gioventù aristocratica e borghese romana e forestiera, senza distinzione di partiti e di opinioni. E tutti lo riverivano, perché ravvisavano in lui il lampo dell’ingegno, la costanza dell’operosità di maestro e di scrittore.

Questa stima cresceva smisuratamente in Roma, quando più il Leonetti si faceva conoscere con i suoi scritti, con le varie biografie e necrologie, con le sue dotte conferenze nelle varie accademie romane [7], con i suoi versi geniali, con le sue monografie, e più di tutto con la storia di Alessandro VI, opera che gli fece acquistare tale nomea, da esser collocato nella serie degli scrittori più illustri del suo tempo. Per quest’opera il Leonetti consultò tutte le principali Biblioteche dell’Europa, in cerca di documenti, che potessero scagionare quel Papa da tante fantastiche accuse, e rivendicare la memoria del più calunniato dei Pontefici [8].

Quest’opera insigne procurò al Leonetti grandi consolazioni da parte dei buoni, e più di tutti del grande Pontefice Leone XIII, e grandi amarezze da parte dei tristi, specialmente dei nemici del Papato. Una colluvie di accuse e di vituperi mosse prima dalla Francia, che poscia dilagò per l’Italia. Il Leonetti coi documenti alla mano seppe sbugiardare i calunniatori nostrali e forestieri [9], e ne uscì vincitore, applaudito delle più dotte effemeridi d’Italia, prima fra esse la Civiltà Cattolica. Un’altra opera, in proporzioni più modeste, ma egualmente accurata nello stile e nella forma, pubblicò il Leonetti, narrando l’origine, lo svolgimento e i progressi del Collegio Nazareno, che dirigeva, richiamando anche alla memoria quei giovanetti convittori, che poi divennero illustri per dottrina o per pietà in ogni maniera di scienza, o di dignità, sia civile sia ecclesiastica [10].

Pur essendo Rettore del Collegio Nazareno, il Leonetti accentrava in sé tutti gli uffici più importanti dell’ordine. Perché non sembrasse che noi volessimo alterare le tinte del quadro, riportiamo un brano della su riferita necrologia del P. Pietrobono, dalla quale risulta quanta importanza avesse avuta il Leonetti nell’Ordine delle Scuole Piè:

«Egli Procuratore in Roma per gli affari di tutto l’Istituto presso la nostra suprema Autorità, ricevere incarichi gelosissimi dai confratelli dell’Austria, dell’Ungheria, della Boemia, della Polonia, della Spagna, di alcune Repubbliche Americane, per tacer dell’Italia; e occuparsi di tutti, render ragione a tutti con meravigliosa destrezza. Egli pronto nella sua qualità di Assistente Generalazio ad ogni cenno del Superiore Generale, porre a comune utilità l’esperienza e il senno con quei criterii, che non si apprendono se non in Roma. Egli curare gli studi dei giovani Religiosi, accenderli di entusiasmo, perché non marcissero nella morta gora della monotonia».

E tutto ciò in una età giovanissima, essendo stato colto dalla morte non ancor compiuti i 49 anni! …

Ed il Leonetti, se fosse sopravvissuto, lo avremmo visto ascendere ai più alti gradi della dignità ecclesiastica. Già, sin dai primi anni del Governo di Papa Leone XIII, si parlava in Roma di promozione del Leonetti all’Arcivescovado; e molti giornali cattolici e liberali della Capitale parlavano con entusiasmo di tale promozione, apprezzando le qualità del Leonetti e le doti della niente e del cuore, per l’esperienza dei loro figli, affidati al Leonetti in quel Collegio, di cui n’era il Rettore. Ciò, forse, fece arrestare quella promozione, tanto desiderata dai liberali, non perché il Leonetti dividesse le loro idee, ma per quella tale prudenza, che tanto distingue il Vaticano [11].

Il Leonetti morì in Roma il dì 4 Luglio del 1887, dopo parecchi mesi di strazianti dolori, cagionatigli da un maligno cancro nella gola, non avendo compiuti ancora i 49 anni di sua vita! …

Gli furon resi solenni funebri in Roma, nella Chiesa di S. Pantaleo, ed in quella del nobile Collegio Nazareno. L’Accademia Tiberina di Roma tenne anche una solenne tornata, per commemorare il suo più volte illustre Presidente e Consigliere; ed il famoso letterato Mons. D. Agostino Bartolini ne lesse il discorso commemorativo, levando al cielo le opere del Leonetti e la sua profonda coltura letteraria. Varii poeti e poetesse romane dissero versi in lode del Leonetti, che fu uno dei più benemeriti socii di quella famosa accademia romana.

Il celebre letterato P. Mauro Ricci, Generale degli Scolopi, dettò pei funerali del Leonetti le seguenti classiche iscrizioni.

(Sulla Porta)

Al Cattolico Educatore
Andrea Leonetti
Nei modi soavi negli alti intendimenti
Emulo del suo Gran Padre Calasanzio
A Lui coi sapienti volumi
Magnanimo vindice dell’Apostolica Dignità
Calunniosamente oltraggiata nei Romani Pontefici
Maestro in tempi paganeggianti
Intento a ravvivare nelle patrizia Gioventù
Le sante tradizioni degli avi
Al sacerdote d’incorrotto esempio
Gli antichi alunni del Collegio Nazareno
Dolorosi riconoscenti
Pregano da Dio nei Cieli
Le sempiterne allegrezze

(Al tumulo)

1.
Cresciuto al sapere
Fra le religiose grandezze di Roma
A grandi cose aspirò
In bene dei Giovani a Lui si cari
2.
Su la Cattedra di Maestro
Non sedette ipocrita fariseo
Le virtù agli alunni predicate
Le autenticò coll’esempi
3.
Fu eccitamento la sua parola
All’anime angosciate dal dubbio
Fu lampo di luce ai traviati
Dalle menzogne del secolo corruttore
4.
Gesù Dio Redentore
Accogli teco il fedele redento
Spirato affermando
I miracoli del tuo sangue [12].

Il Leonetti oltre ad essere stato un grande letterato ed istitutore di primissimo ordine, fu pure un pio e zelante Sacerdote. Noi, che, in Roma, gli fummo sempre da vicino, legati da vincolo fraterno, ne ammiravamo la sua pietà.

A dare una pruova della bontà di questo impareggiabile uomo di Dio, e della sua devozione verso la Vergine, riportiamo qui, a chiusura delta sua stereopatica biografia, alcune parole, scritte su d’ un plico di carte, che si rinvenne dopo la sua morte:

«Chiunque tu sii che apri questo plico di lettere, ti prego a non frangere i sigilli, per non vedere le mie miserie. Esse sono alla V. SS.ma Maria Immacolata, mia unica speranza in vita e mio gaudio in morte; e contengono alcuni fioretti da me indegnamente raccolti ogni anno nel mese di maggio, per presentarli prima della mia morte. Poiché Iddio non mi ha concesso che io lo facessi da per me, tu benevolo, ardendo queste carte, offrili da mia parte alla Madre comune, e prega riposo all’anima mia peccatrice».

Quel plico sigillato si conserva qual sacra reliquia dai Padri Scolopii, i quali venerano tuttodì il Leonetti, il nostro amato ed illustre cittadino, quale un Santo [13].

Ecco chi fu il P. Andrea Leonetti, gloria dell’Ordine di S. Giuseppe Calasanzio, gloria della nostra città!

Eppure chi conosce, in Andria, il P. Leonetti? Pochissimi … Non una lapide che lo ricordi! … non una strada intitolata a Lui! … Non un cenno qualsiasi, che lo additi alla gioventù studiosa qual letterato esimio, qual precettore incomparabile, qual Sacerdote integerrimo, qual cittadino di grande rinomanza!

Ma, non poteva venir meno la parola del Nazareno: Nemo propheta acceptus est in patria sua! …

Ecco tutto.


Se ci siamo alquanto dilungati nel parlare di questi tre illustri concittadini (Spagnoletti, Magno e Leonetti), che passarono la maggior parte di loro vita nella Città Eterna, e che vissero in tempo a noi vicino, parleremo ora, a volo d’uccello, di altri non meno illustri concittadini, che si riferiscono a tempi da noi lontani.

4. L’Arcidiacono Domenico di Montepeloso, nativo di Andria, fiorì nel decimo quinto secolo. Fu dottore in legge, letterato esimio, dì santa vita e di costumi esemplari, come si legge nella collazione del suo Arcidiaconato, ottenuto da Papa Nicolò V nell’aprile del 1454, Con Bolla in forma gratiosa [14].

5. L’Arciprete Antonio Conoscitore, appartenne a nobile famiglia andriese. Egli fu Arciprete della Cattedrale dal 1617 al 1641. Fu uomo dottissimo, laureato in utroque Iure. Lasciò varii legati al Capitolo, al quale rese molti servigi. Fu due volte eletto Vicario Capitolare, alla morte, cioè, del Vescovo Strozzi, ed alla morte del Vescovo Franceschini. Pubblicò varie opere, delle quali ora non si ha più notizia.

6. Paolo Maria Quarti appartenne pure ad illustre ed antica famiglia patrizia andriese. Egli nacque in Andria nel 1615 e fu ascritto al Clero della città; poscia si ascrisse all’Ordine dei Chierici Regolari nella casa di S. Paulo in Napoli. Fu uomo eruditissimo nelle scienze liturgiche. Nel 1655 pubblicò in Roma un volume, contenente alcuni commenti del Messale Romano, opera molto stimata dagli eruditi di cose liturgiche. Nel 1665 pubblicò un secondo volumetto in Venezia, intorno ai Riti Ecclesiastici, dal titolo Biga Æterea. Ebbe egli gran rinomanza in Napoli, dove morì santamente nel 1667.

7. Fra Pietro Della Croce, nacque in Andria, sulla prima metà del secolo XVIII, da Giacomo De Feo e da Mariella, ambi cittadini Andriesi. Fra Pietro appartenne all’Ordine Carmelitano dell’Osservanza di S. Maria della Rita di Napoli. Nella peste del 1656 Fra Pietro fu addetto al Lazzaretto di Napoli, dove molto si distinse nella cura degli appestati, ivi raccolti. Colpito dal pestifero contagio, vi lasciò la vita. Fra Pietro morì in concetto di santità. Il Padre Maestro F. Andrea Mastelloni, del medesimo Ordine, e Provinciale di Scozia, ne scrisse la vita, riportando alcuni miracoli, operati dal nostro concittadino Fra Pietro De Feo. Questa vita fu data alle stampe a Napoli nel 1698 dal Gramignani.

8. Padre Fra Giuseppe Accetta, ancor egli appartenne ad antica ed illustre famiglia patrizia Andriese, tuttora vivente. Fra Giuseppe fu aggregato al Clero di Andria, e poscia si ascrisse all’ordine dei Minori osservanti della medesima città. Fu egli letterato insigne e poeta gentile, che fiorì nel secolo decimo settimo. Nel 1673 pubblicò in versi latini eroici la vita di S. Francesco d’Assisi, in diedi volumi, come si rileva da una memoria di quell’ordine [15], dove è detto: Pater Iosephus Accetto Andriensis scripsit vitam, et miracula S. P. Francisci. Opus in decem libros distinctum, carmine heroico latino. Floruit ann. 1673.

9. Domenico Nicola Pincerna fu Priore della Cattedrale di Andria dal 1710 sino al 1722; poscia passò ad Arciprete, succedendo ad un altro illustre personaggio, qual fu D. Sebastiano Renza. Il Pincerna fu pure Vicario Generale del Vescovo Torti. Fu uomo d’una profonda coltura e d’ingegno elettissimo, Pubblicò varie opere ascetiche, raccolte in due volumi, dal titolo: Appendice agli ammonimenti Cristiani.

10. Padre Fra Tommaso Musci, appartenne al Clero di Andria, indi passò fra i Minori Conventuali, dei quali fu Padre Maestro. Fu celebre Oratore Sacro. Predicò in tutte le principali città d’Italia, dove ebbe grande rinomanza. Pubblicò a Venezia un’opera in due volumi, dal titolo «Il Cristiano occupato per lo spazio di dieci giorni», oltre a varie altre raccolte predicabili. Morì in Melfi nel 1750.

11. D. Francesco Saverio Vallera fiorì nella seconda metà del secolo decimo ottavo. Fu semplice Canonico della nostra Cattedrale. Uomo eruditissimo nelle belle lettere e nelle lingue. Insegnò, con grande plauso, in Napoli, lingua latina, greca ed ebraica, oltre alle belle lettere. Fu pure versatissimo nelle discipline archeologiche e nella numismatica. Il Vallera fu alunno del celebre scienziato Mazzocchi e del dottissimo Giacomo Brunetti, ambedue (questi ultimi) Canonici della Collegiata di S. Nicola di Andria [16]. Il Vallera fu uno dei canonici massacrati dai francesi nel 1799.

12. Cantore D. Riccardo Durso. La famiglia Durso ha dato alla Chiesa Cattedrale di Andria tre Canonici, elevati alla medesima Dignità di Cantore. Essi sono Nicola, Riccardo e Filippo. Tutti tre degni di essere annoverati fra gli uomini illustri del nostro Capitolo. Il primo D. Nicola fu valente Oratore, e di lui si ha notizia di una selva predicabile. Gli altri due, Riccardo e Filippo, vanno distinti per le varie opere date a stampa. Del Canonico Cantore D. Filippo parleremo in seguito. Del Cantore D. Riccardo possiamo dire che il suo nome non andrà mai dimenticato dalla nostra città, per la sua opera «Storia della città di Andria» che fu pubblicata nel 1842 coi tipi della tipografia Varana di Napoli. Il Cantore D. Riccardo Durso fu il primo a scuotere dal letargico sonno, dalla ignominiosa obblivione la nostra città, rendendo di ragione pubblica tante patrie memorie. È vero che, prima di lui, ciò avesse fatto il benemerito Prevosto Pastore di S. Nicola; ma la sua opera restò inedita e, senza del Durso, Andria sarebbe ancora al buio [17]. La sua storia di Andria gli procurò la benemerenza di tutta la cittadinanza, e più di tutto la benevolenza del Vescovo d’allora Mons. Cosenza, che, nel 1846 lo promosse al Cantorato della Cattedrale. Il Durso fu pure Valente Oratore sacro, e professore di teologia dommatica nel Seminario diocesano di Andria. Fu pure esaminatore sinodale e prefetto dei casi di coscienza, ufficio che ora si tiene dal Penitenziere della Cattedrale. Il Cantore D. Riccardo Durso morì nel 1850.

13. Penitenziere Mariano Cocco. Appartenne ad aristocratica famiglia Andriese, che aveva la tomba gentilizia nel Duomo (verso l’Oratorio). Giovanetto si ascrisse all’ordine Agostiniano, dando saggio di straordinario ingegno e di non comune pietà. Discacciati i frati dai loro Conventi, sotto il dominio francese di Gioacchino Murat nel 1808, il P. Mariano Cocco fece domanda al Vescovo del tempo Mons. Lombardi di essere aggregato al Capitolo Cattedrale. Il Vescovo, ad onta dell’opposizione del Capitolo (attaccato agli antichi statuti, che richiedevano il servizio statutario di 12 anni, prima di essere aggregati alla sua Chiesa), aggregò sette di quei frati andriesi, appartenuti ai diversi ordini religiosi, tra i quali l’agostiniano P. Mariano Cocco [18]. E, siccome trovavasi allora a far parte del Capitolo suo fratello maggiore D. Michele, il P. Mariano, in via eccezionale (giacché secondo le antiche consuetudini non potevano appartenere al medesimo Capitolo due fratelli) venne accolto, tenuto conto dei suoi straordinarii meriti intellettuali e morali. Anzi il medesimo Capitolo lo commendò al Re pel regio assenso; e, dopo uno splendido esame, il P. Cocco ottenne la Bolla del Canonicato della Cattedrale, smettendo la cocolla, vestendo l’abito talare.

Il Cocco era già laureato in Teologia Dommatica e morale. Uomo di forte ingegno, di profonda coltura, fu vero lustro del nostro Capitolo, del quale occupò poi l’ufficio di Penitenziere. Insegnò teologia dommatica nel Seminario diocesano, e dalla sua scuola uscirono non pochi eminenti teologi, fra i quali si distinse il Vescovo Frascolla, che a lui poi successe nella Cattedra di teologia. Il Penitenziere Cocco fu pure valente oratore sacro e dotto epigrafista. I suoi casi morali erano tenuti in grande considerazione dai più illustri moralisti del tempo. Nulla pubblicò per le stampe, ed i suoi scritti, che sono veri capolavori, sono andati dispersi (formando la fortuna di non pochi!) mentre sarebbero valsi a formare la gloria immortale di un tant’ uomo.

Si racconta del Penitenziere Cocco che, appassionatissimo qual era della caccia, un dì si fosse incontrato in una volpe; e questa, colpita più volte dal Cocco, anziché restar ferita, o darsela a gambe, si fosse rizzata altezzosa di fronte al Cacciatore! … Questa singolare anomalia fece pensare al Cocco che, in quell’animale, si nascondesse un avviso del cielo, per farlo spassionare dalla caccia, che molte volte lo induceva a trascurare il suo ministero …

Da quel giorno il Cocco abbandonò il fucile, e si dette tutt’uomo al servizio di Dio e della Chiesa. Fu d’una condotta esemplare, ed i nostri vecchi capitolari lo ricordavano compresi d’ammirazione, raccontando come egli mai lasciava di tenere fra le mani il rosario di Maria, sia che si trovasse in Chiesa, sia che passeggiasse per le strade, sia pure che cavalcasse il suo asinello. …

14. Arciprete D. Giacomo Memeo. Fu uomo di non comune talento, di costumi illibati e di una singolare umiltà. Egli, finché visse, fu il prediletto di tutti i Vescovi del suo tempo, cioè dei Monsignori Cosenza, Longobardi e Galdi. Il Memeo nacque in Andria il dì 11 febbraio del 1822. Fu alunno del nostro Seminario Diocesano, dove si distinse per dottrina e pietà.

Il Vescovo Cosenza, a premiare i meriti del giovane Memeo, l’ordinava Sacerdote a 23 anni, con dispensa di età e di concorso; e l’ebbe sempre a sé vicino, qual intimo suo segretario. Venuto il Vescovo Longobardi, il Memeo continuò a godere la medesima fiducia e stima del Vescovo predecessore; ed il Longobardi, a premiare il suo zelo, lo promosse subito a Mansionario della Collegiata di S. Nicola; e, dopo breve tempo, facendo eccezione a statuti e consuetudini, a Canonico Penitenziere della Cattedrale, nella giovanissima età di 32 anni appena. Il Memeo esercitò con grande zelo l’ufficio di Penitenziere, ed i suoi casi morali erano improntati a quella profonda conoscenza della disciplina teologica, che lasciava sicura la via alla perfetta soluzione dei casi morali proposti.

La sua parola, facile e dotta ad un tempo, era ascoltata con venerazione. Vacando l’ufficio teologale, il Vescovo Longobardi condusse seco a Roma il Memeo, per sedere, qual teologo, nel Concilio Ecumenico I Vaticano. Ed il Memeo fu sempre il fido consigliere del Vescovo Longobardi. Venuto Vescovo in Andria Mons. Galdi, il Memeo continuò a godere la medesima stima e fiducia dei due predecessori Vescovi; anzi queste maggiormente si accrebbero, quando il Memeo, per la morte del Pastina, fu promosso alla Dignità di Arciprete-Parroco della Cattedrale, ottenendo anche la dispensa dal voluto concorso. In questa nuova carica il Memeo si addimostró veramente l’uomo di Dio, pascolando il suo gregge con la continua predicazione, con l’aministrazione dei Sacramenti, e con l’esempio di sue singolari virtù, fra le quali emergevano la mansuetudine e l’umiltà. Il Vescovo Galdi più volte lo aveva commendato a Roma per una promozione al Vescovato, e l’avrebbe conseguito, se la invidia di alcuni suoi emuli non avesse frapposto ostacolo, o se la morte non fosse venuta a spezzare la sua esistenza, nel rigoglio della vita. Colpito da crudele polmonite, Egli moriva in Andria il 22 gennaio 1884, nella età di poco più che 61 anni.

Il Memeo pubblicò varie necrologie di personaggi illustri della nostra città, fra le quali quella del compianto Monsignor Spagnoletti, che riscosse le lodi più lusinghiere del Nunzio Apostolico Monsignor Aloisi Masella, cui fu dedicata.

Il Memeo fu per molti anni Rettore della Confraternita del Santissimo della Cattedrale, e Fondatore della Pia Unione delle Signore di Andria, sotto il titolo della Immacolata.

15. Arcidiacono D. Alessandro Parlati. Fu egli pure una stella fulgida del nostro Capitolo, cui appartenne, prima quale semplice Canonico, poi quale Canonico Teologo, finalmente quale degnissimo Arci diacono.

Il Parlati nacque in Andria il 17 ottobre del 1819 da Antonio ed Aurora Camaggio. Fu alunno nel nostro Seminario Diocesano, dove tanto si distinse pel suo forte ingegno e per l’amore alle belle lettere.

Sin da Diacono, Egli fu dal Vescovo Cosenza destinato ad insegnare grammatica e poscia letteratura inferiore nel medesimo Seminario, essendo Rettore il nostro illustre Primicerio O. Giuseppe Troja, altra illustrazione del nostro Capitolo.

Venuti i Padri Gesuiti a reggere il Seminario [19], il Parlati fu tosto promosso alla Cattedra di Rettorica, dove si rivelò letterato valoroso e poeta insigne, promovendo nei suoi discepoli lo studio dell’Alighieri, ed innamorandoli alla scuola del Petrarca, dell’Ariosto, del Tasso, del Manzoni, non trascurando pure i sommi prosatori e poeti latini.

Ordinato Sacerdote, fu dal Vescovo Cosenza, a soli 29 anni, nel 1848, promosso a Canonico della Cattedrale. Venuto il Vescovo Longobardi, il Parlati fu chiamato a provvedere anche alla coltura spirituale di quei giovani laici, che, sotto la guida di maestri privati, si addestravano per gli esami delle differenti professioni.

Ed il Parlati istituì, nella Chiesa di Mater Gratiæ, una Congregazione di studenti, che in tutti i giovedì dell’anno (quando vacava la scuola del Seminario) si raccoglievano per ascoltare la sua parola dotta, fusa all’insegnamento della fede e della morale cattolica.

Il Parlati fu pure oratore di gran vaglia sotto le molteplici forme d’istruzione catechistica, di prediche morali, di conferenze, di panegirici, di orazioni funebri.

Vacando da molti anni l’ufficio teologale (cioè dal 1866, quando il teologo Frascolla fo promosso a Vescovo di Foggia), il Parlati, nel 1871, dal Vicario Capitolare Mons. Arcidiacono Vito Antonio Brudagiio, venne promosso, con plauso di tutti, a tale ufficio, che disimpegnò da par suo, dando spesso spesso, dal pergamo, dotte lezioni, che si aggiravano sul libro delle Genesi. Nel 1879, essendo vacato l’Arcidiaconato (prima dignità capitolare), con la morte di Mons. Brudaglio [20], il Parlati venne dal Vescovo Galdi promosso a tale dignità, che disimpegnò con straordinario zelo, specialmente nel procurare di risarcire i tanti danni materiali, cagionati al Capitolo con le leggi eversive dell’asse ecclesiastico.

Egli morì il 16 dicembre del 1884, compianto dal Clero e dalla intera cittadinanza, che s’era abituata ad ascoltare la sua dotta e forbita parola.

16. Primicerio Giuseppe Marziani. Emulo dell’Arciprete Memeo e dell’Arcidiacono Parlati fu il Primicerio D. Giuseppe Marziani, uomo di forte ingegno e di profonda coltura. Nacque in Andria il 1828 dal nobiluomo Michele e Donna Margherita Durso, genitori piissimi di antico stampo e di nobile casato. Educato nel Seminario diocesano, completò poscia i suoi studii nella bella Partenope, dove si addottrinò nel giurecanonico, conseguendone la laurea, nel 1855, con plauso dei suoi esaminatori. Fu anche laureato in Filosofia e belle lettere con Diploma del 20 Dicembre 1854. Tornato in Andria, già sacerdote, tutto si dedicò ai suoi prediletti studii, e fu dal Vescovo Longobardi chiamato ad insegnare diritto canonico nel Seminario di Andria. Partiti da Andria i Padri Gesuiti, il Marziani, dal medesimo Vescovo Longobardi, nel 1860 venne prescelto alla direzione del Seminario, allora tanto in auge. A compagno di quella direzione, il Marziani volle avere al suo fianco, in qualità di Vice - Rettore, il giovane Sacerdote D. Nicola M.ª Troja (oggi nostro benemerito Arcidiacono e Protonotario Apostolico). Il Marziani ancor giovane fu Esaminatore sinodale Segretario della Congregazione Diocesana, e quindi Canonico e poscia Primicerio della Cattedrale.

Al Marziani devesi l’iniziativa della nuova Chiesa della Madonna d’Altomare, della quale era devotissimo.

Colla venuta del Vescovo Galdi, il Marziani abbandonò il Seminario, tutto dedicandosi agli affari capitolari, specialmente nel sostenere impavido i suoi diritti di fronte al Demanio dello Stato. Il Primicerio Marziani era fra i designati al Vescovado; e lo avrebbe, senza dubbio, conseguito, se la invidia e la malignità umana non avessero creato degli ostacoli! …

Il Primicerio Marziani morì nel Luglio del 1878, lasciando di sé ottima ricordanza nel Clero, in gran parte da lui educato alle discipline ecclesiastiche.

17. Cantore Filippo Durso. Nacque in Andria il 23 aprile 1840 dal gentiluomo, Vincenzo e Donna Luisa Fasoli, pii e doviziosi genitori. Dotato Filippo di forte intelligenza e di un amore ingenito al sapere, diventò suo pane quotidiano lo studio, specialmente delle scienze speculative e teologiche, non trascurando anche quello delle lettere e della storia. Fu educato nel Seminario diocesano di Andria. Ordinato Sacerdote, giovanissimo ancora, fu messo ad insegnar Filosofia, e poscia Teologia Dommatica nel medesimo Seminario, insegnamento che tenne con molta lode sino al sopraggiungere dell’ultima penosa infermità, che gli troncò la vita.

Il Durso fu autore di pregevoli opere scientifiche e letterarie, ed anche ascetiche. Fra le prime molto apprezzata è La ragione umana secondo S. Tommaso, che riscosse l’approvazione dei più insigni filosofi contemporanei, quali un Liberatore, un Cornoldi ed altri.

Pubblicò una raccolta di Panegirici, ed alcuni scritti ascetici e morali, polemici ed apologetici, lavori tutti che meritarono le lodi dei più rinomati periodici, e di personaggi illustri, quali un Tommaseo, un Cantù, un Alimonda, un Vallauro ecc.

Fu il Durso socio di varie accademie nostrane e forestiere, dalle quali ebbe onorificenze civili ed ecclesiastiche. Negli ultimi anni di sua vita aveva impreso a continuare la Storia di Andria del suo illustre zio D. Riccardo Durso, ma la falce della morte venne a reciderlo nella verde età di anni 57, dopo lunga e straziante infermità.

Il Durso fu prima semplice Canonico, poscia, dietro splendido concorso, eletto Teologo, e finalmente, dal Vescovo Galdi, promosso a Cantore, (terza Dignità del Capitolo Cattedrale di Andria). Il Durso morì il 19 Giugno 1898 fra il compianto del Capitolo e dei suoi innumerevoli discepoli, che tanto l’amarono e stimarono.

Potremmo annoverare molti altri personaggi illustri del nostro Capitolo, quali i due Arcidiaconi Giovan Maria e Michele Marchio, il Priore D. Domenico Antonio Giorgio [21], il Canonico De Risis [22], l’Arciprete Marziani [23], il Canonico Lo Sappio [24], il Teologo Fasoli [25], il Teologo Ieva [26], il Primicerio D. Giuseppe Troya, il Canonico Domenico Frascolla (Seniore), il Cantore Domenico Frascolla [27] ed altri; ma, per ragioni di brevità, abbiamo creduto fermarci su quelli che ebbero maggiore rinomanza.

NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)

[1] Andiamo ancor noi orgogliosi d’averlo avuto a Prefetto, e fummo testimoni di quanto sopra asseriamo.
[2] Ricordiamo con soddisfazione un eccellente panegirico sulla Immacolata, detto nella Cattedrale, che riscosse unanime plauso, e fu dato alle stampe.
[3] I suoi zii D. Raffaele e D. Francesco Leonetti furono ambedue Canonici della Cattedrale, tenendo per lunghi anni, l’uno l’Ufficio di Organista, l'altro di cerimoniere capitolare.
[4] Il P. De Leo fu pure una gloria della nostra città. Tenne la Cattedra di belle lettere nel famoso Collegio Nazareno di Roma: fu amato e stimato per le sue belle qualità morali e intellettuali: fu pianto dai suoi confratelli e discepoli, che gli resero onorati funebri nella sua morte, avvenuta in Roma nel Novembre 1879.
[5] La Chiesa di S. Pantaleo in Roma fa parte dell'antico monistero, eretto da S. Giuseppe Calasanzio.
[6] Sotto il Rettorato di P. Leonetti avemmo noi l’onore di dare lezioni di musica anche in quel nobile Collegio per circa un decennio, cioè dal 1878 al 1887 (epoca in cui disgraziatamente lasciammo Roma, per far ritorno in Andria), e fummo testimoni della fama e della gloria che circondavano il Leonetti nella città eterna, sia presso alti personaggi ecclesiastici, sia presso le Autorità civili, sia presso persone di ogni civile condizione, che facevano a gara per avvicinare il P. Leonetti.
[7] Era socio delle Accademie romane, dei Lincei, della Tiberina, dell'Arcadia, dell’Immacolata e di molte altre Accademie nazionali ed internazionali.
[8] Opera in tre voluti, pubblicata nel 1880 dalla tipografia Mareggiani di Bologna.
Con quest’opera il Leonetti purgò la memoria di Alessandro VI da molte calunnie, e fece rilevare che tra i difetti dell’uomo, sfolgoreggiavano nel Papa Borgia l’ingegno, la dignità, la grandezza di Papa.
[9] Prima di tutti l’Univers di Parigi, si fece pioniero degli accusatori del Leonetti, poscia l’archivio Storico, accogliendo articoli del Mariconet (Paris 1883), dell’Abate Iutes Merel: (Paris 1882) e di altri. La Revue du monde Catolique (fascicolo 60 e 61 del 1881) La Revue des Questions Historique (aprile e ottobre 1881) concorsero anche alle accuse contro l’opera pel Leonetti, il quale seppe tener fronte a tutti.
[10] Questo Collegio, oltre a tanti uomini illustri nelle scienze, dette alla Chiesa molti Vescovi e Cardinali, i di cui ritratti si vedono nel gran salone del Collegio Nazareno in Roma.
[11] Fra le regole dell’Istituto del Calasanzio v’è quella che ordina ai frati di non ingerirsi affatto nella politica. È perciò che, presso taluni, gli Scolopi passano per liberali, sol perché pensano alla istruzione della gioventù, e non s’interessano d’altro.
[12] Ecco, in brevi parole, la biografia del Leonetti, quale leggesi scritta dietro una immagine che rappresenta la sua simpatica figura, pubblicata dopo sua morte.
«Andrea Leonetti, chiaro per dottrina e per ingegno, scrittore valoroso in ogni maniera di letteratura, valorosissimo in difesa della Chiesa e del Papato, resse per un novennio il Collegio Nazareno con amore e sapienza, giovò all’Ordine nell’Ufficio di Procuratore e Assistente Generalizio, scolopio di esemplari costumi, di accesa pietà, morto piamente il 4 Luglio 1887 nei 49 anni».
[13] Ecco l’uomo, rifiutato, provvidenzialmente, dal Vescovo Longobardi!
[14] Archivio capitolare: Libro delle cause 1763.
[16] Il Canonico Mazzocchi fu grande filosofo e scienziato; il Brunetti celebre latinista. Ambidue insegnarono in Napoli, formando una schiera di eletti alunni, fra i quali il nostro Vallera.
[17] Che se il Durso, per eccessivo amor di patria, cadde in qualche inesattezza, ciò nulla toglie al suo valore. E qual opera va esente dalle mende? … Humanum est errare.
[18] Altri 13 ex frati andriesi furono aggregati alle Collegiate.
[19] Fu Rettore il celebre Gesuita Padre Giuseppe Picconi, nome che va ancora in benedizione nel Clero di Andria.
[20] L’Arcidiacono D. Nicola Antonio Brudaglio fu uomo assai benemerito della nostra Chiesa Cattedrale. Egli nacque nel 1792. Fu dottore in giurisprudenza, e prelato domestico di Sua Santità, nominato da Pio IX, quando, unitamente al Vescovo Longobardi, recossi a visitarlo esule in Gaeta, Il Brudaglio fu prima Canonico Cantore, poscia Arcidiacono di questa Cattedrale. Fu Vicario Capitolare alla morte del Vescovo Longobardi, del quale era già Vicario Generale. Egli morì nel 1878, nella tarda età di anni 86.
[21] Pubblicò per le stampe un volume di sacre canzoni.
[22] Pubblicò un Dramma sulla Passione di Cristo.
[23] Pubblicò un Poema epico sulla morte di Cristo.
[24] Celebre quaresimalista: predicò più volte a Roma.
[25] Pubblicò un volume di meditazioni scritturali.
[26] Pubblicò varie composizioni.
[27] Pubblicò varie opere, fra le quali Gli esercizi al Clero.

 [testo tratto da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" di Michele Agresti, tipi Rossignoli, Andria, 1912, Vol II, pag. 190-208]