Chiesa della Madonna dei Miracoli

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi"

Capitolo VII

di Michele Agresti (1852-1916)

La Chiesa della Madonna dei Miracoli d’Andria

Chiesa Madonna dei Miracoli - interno 1930

Di questa impareggiabile Chiesa abbiamo già fatto cenno nel I. volume di questa opera, quando parlammo della istituzione in Andria dei Benedettini Cassinesi, dovuta al Duca Fabrizio II Carafa ed al Vescovo di quel tempo Mons. Luca Fieschi, nel 1579. Prima, però, di descrivere questa Chiesa, la migliore di Andria, ci piace qui dare un piccolo cenno storico del ritrovamento della prodigiosa Immagine della Vergine, che dette poi origine alla costruzione di questa Chiesa e della Badia adiacente.
Era l’anno 1576, ed un andriese, di nome Tucchio, asseriva d’aver, nel sonno, ricevuta una visione della Vergine, che lo esortava recarsi nella valle di S. Margherita in lamis (messa a circa due chilometri dalla città), dove avrebbe riscontrato una immagine, dipinta sul muro, in fondo ad uno speco; esortandolo ancora ad accendere una lampada in onore di quella immagine, che rappresentava la stessa Vergine col divin Pargoletto. Sulle prime il Tucchio non dette ascolto a quel sogno, tanto più che quella valle metteva spavento, per i fatti accaduti precedentemente, quando alcuni cittadini, memori della predizione del Duca Francesco II del Balzo (da noi narrata nel I. volume a pag. 172), eransi recati per rintracciare il profetizzato tesoro (2) e vi trovarono, invece, delle busse!... tanto che quel sito prese il nome di valle indemoniata … Ma quel sogno si replicò più volte; ed il Tucchio, fattone parola ad un suo amico, certo Annibale Palombino, il quale asseriva d’aver pure avuto il medesimo sogno, si decise recarsi in quella valle col suo amico Palombino, unitamente al servo di costui, un tal Giulio da Torrito. Era il 10 Marzo 1576, ed i tre personaggi si avviarono a quella valle, dove giunti, ed addentratisi nella prima grotta, vi scorsero, in un angolo, un altare, su cui era effigiata S. Margherita, ed a piè di quell’altare si leggevano queste parole: memento famuli tui Ioannis et uxoris ejus Gemmæ. Varii altri affreschi, irriconoscibili per la umidità, vi scorsero pure in quella oscura grotta. Di là i tre esploratori passarono alla seconda grotta, dove il Palombino, pel primo, vi scorse, al lume di una candela, una immagine della Vergine col Divin Pargoletto in grembo, in tutto simile a quella apparsagli nel sogno… Commossi a quella vista, i tre fortunati esploratori devotamente si prostrarono a piè di quella Immagine, lasciandovi, nel dipartirsi, accesa una lampada, col fermo proposito di ritornarvi in ogni Sabato della settimana, e di riaccendere quella lampada in onore della Vergine, dipinta in quella grotta.
Non potendo, il Tucchio, nei Sabati successivi, ritornare in quello speco a riaccendere la lampada, perché male in salute, a causa della sua avanzata età, vi tornarono il Palombino ed il suo servo Giulio. Sennonché, nel successivo Sabato 26 Maggio di quel medesimo anno, trovandosi con un male alla gamba il cavallo del Palombino, quella gita non ebbe luogo. Ma il Sabato successivo [2 Giugno], ad insistenza del Tucchio, il quale amaramente dolevasi coll’amico di quella mancata gita, il Palombino, unitamente al vecchio Tucchio, s’indusse di recarsi in quella grotta, menando seco anche il suo malato cavallo. Ivi giunti, con loro grande sorpresa trovarono quello speco illuminato da vivida luce, proveniente dalla lampada (che si manteneva ancor colma di olio!) accesa quindici giorni innanzi! .. Sorpresi da tale prodigio, commossi si prostrarono al suolo a venerare quella portentosa Immagine di Maria; ed il Palombino, fidente nella potenza della Vergine, unse di quell’olio la gamba malata del suo caro cavallo, il quale al tocco di quell’olio, emettendo forti nitriti, si dà a galoppare brioso e sano per tutta la valle! …
A quel nuovo portento i due pii devoti, pieni di gioia, corrono in Andria a dar notizia dell’accaduto. Fu allora un continuo accorrere di persone d’ogni condizione a quello speco portentoso. Il Vescovo, Mons. Luca Fieschi, unitamente al Capitolo Cattedrale ed a tutto il Clero della città, accorse ancor Lui, disponendo che, sull’altare dove erasi rinvenuta la lampada prodigiosamente accesa, si celebrassero delle messe.
Intanto i prodigi succedevano ai prodigi, a la devozione a quella Immagine, divenne straordinaria. Quanti infermi erano nella città e nelle città circonvicine, tutti accorrevano a quella grotta, per ungersi di quell’olio portentoso, riportandone la guarigione. Infiniti tesori furono accumulati, per poter innalzare un tempio in onore della Vergine, dipinta in quello speco.
Informato d’ogni cosa il Papa, allora Gregorio XIII, non solamente approvò il culto a quella Immagine, ma, con Bolla del 13 Gennaio 1580, (Cathedram Præminentiæ), volle che quella Immagine prendesse il titolo di Santa Maria dei miracoli di Andria, approvando, nel contempo, la istallazione della Congregazione Cassinese, cui dette il titolo di Badia di S. Maria dei miracoli.
Con altra Bolla (Nuper Ecclesiam) del dì 30 marzo 1581, delegava il Vescovo Mons. Fieschi a dare il possesso ai PP. Benedettini Cassinesi della Badia e della Chiesa, che già andavasi costruendo sotto la direzione del celebre architetto Cosmo di Napoli.
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Ed ora veniamo alla descrizione di questa Chiesa.
Essa sporge su d’una vasta piazza, messa fra le amene campagne andriesi, alla distanza di circa due chilometri dalla città. Il suo prospetto principale, messo a levante, guarda la detta piazza, mentre la facciata posteriore, che guarda il ponente, è messa sul ciglione della valle di Santa Margherita in lamys, protendendosi sin giù a detta valle.
Il prospetto principale, tutto costruito in pietra nostrale, è diviso in due ordini. Il primo è formato da uno spazioso porticato sporgente a sei arcate (una delle quali guarda il settentrione), sorrette da sei grandiosi pilastri con cornici e capitelli sagomati. Una balaustra con colonnine in pietra (fregiata da stemmi dell’ordine benedettino) e relativo cornicione, chiude il primo ordine, che mette capo ad uno spazioso loggiato. Il secondo ordine si eleva, dal fondo di detto loggiato, e si erge, il proporzionata altezza, sino alla cima del prospetto, tutto in pietra. Questo prospetto superiore è fregiato da colonne a muro e quinte, coronato da cornice toscana. Nel centro di esso si vede scolpito, anche in pietra, il simulacro della Madonna dei miracoli.
Tre grandiose porte mettono capo alle tre navi della Chiesa. La porta principale, artisticamente lavorata, porta scolpita nel mezzo, a basso rilievo, l’Immagine della Madonna dei miracoli. Simmetriche, ed accuratamente elaborate sono le due porte laterali.
Un mediocre Campanile, con 4 pregevoli campane, è sito nel lato posteriore del tempio. Esso è opera dell’architetto Fanelli di Andria, eseguito in epoca posteriore.
Il cav. Cosmo, avendo completato la Chiesa ed il primo braccio della Badia, non poté veder completato il Campanile, rimasto perciò dimezzato.
La Chiesa interna, degna di gareggiare con le migliori di Roma, abbraccia tre Chiese in una; la superiore, la media, il soccorpo; in modo che i tre rispettivi altari maggiori trovansi in linea perpendicolare, l’uno sovrapposto all’altro.
La Chiesa superiore, a tre navi, viene illuminata da tredici grandiosi finestroni, che la rendono assai gaia e ridente. La soffitta della nave maggiore, costruita posteriormente, nel 1633, è un vero gioiello d’arte. Essa è formata da cassettoni esagonali [n.d.r.: ottagonali e non esagonali] in legno bel lavorato, con rosoni ed ornati di finissima doratura, su fondo celeste. Nel centro di questa soffitta si ammira un grande dipinto, rappresentante la Immagine della Madonna dei Miracoli; nei due estremi si ammirano due altri grandiosi dipinti, l’uno rappresentante il Patriarca S. Benedetto, l’altro sua sorella S. Scolastica, del medesimo ordine benedettino.
Le due navi laterali, di minore dimensione, comunicano con la nave principale per mezzo di dodeci archi a tutto sesto (sei per ciascuna), sorretti da 14 pilastri a colonna, con capitelli corintii. Esse hanno le volte in tufo nostrale, ad arco.
Nel centro delle due navi laterali, nello sfondo del muro, maestosi s’ergono due spaziosi Cappelloni, l’uno di fronte all’altro, avendo ciascuno un altare di marmo bianco finissimo.
Molte pregevoli tele si ammirano in questa Chiesa. Nel Cappellone della nave a destra di chi entra in Chiesa, a ridosso dell’altare, si ammira un grandioso dipinto chiuso in ricca cornice, rappresentante San Benedetto, circondato da frati e suore del suo ordine, che porge la sua regola al Re, per averne l’approvazione. Nel Cappellone della nave sinistra, si vede dipinto il Calvario.
Quattro altari minori di finissimo marmo sono simmetricamente disposti nelle navi laterali, due per ciascuna. Sugli altari della nave destra di chi entra in Chiesa si ammirano due pregevoli dipinti, San Michele Arcangelo, e S. Nicola di Bari. Sugli altari a sinistra S. Mauro e S. Placido.
Sulla porta principale di questa Chiesa, nella parte interna, si scorge una tela di grandi dimensioni, rappresentante S. Agostino, il quale, con la penna in mano, fulmina gli eretici. Questo grandioso quadro fu fatto dipingere dagli Agostiniani, quando successero ai Benedettini Cassinesi, nell’amministrazione di quella Badia, ai tempi del Vescovo Cosenza. Questo dipinto è opera del bravo pittore Affaitati di Foggia. L’antico quadro, dopo la soppressione dei Cassinesi, passò alla Chiesa di S. Nicola, come abbiamo detto innanzi.
Uno spazioso e pregevole presbiterio di marmo bianco, chiuso da artistica balaustra, di eguale marmo, adornata di colonnine, circoscrive l’abside, situata fra detto presbiterio e l’ampio vano del Coro.
Questa Balaustra fu costruita nel 1757.
L’altare maggiore è tutto costrutto in marmo bianco finissimo. A ridosso di questo altare maggiore un grande vano è destinato pel Coro, ora privo degli stalli. Ed erano assai pregevoli quelli stalli di noce massiccia, finamente intarsiati. Discacciati i Benedettini Cassinesi da quella Badia, gli stalli del Coro vennero da Giuseppe Bonaparte donati al Capitolo Cattedrale di Bisceglie, il quale, non sappiamo come ha potuto, in buona coscienza, ritenerlo, dopo che fu abusivamente tolto al legittimo padrone! … In cima al Coro, a ridosso del muro di fondo, si ammira una stupenda e grandiosa Cantoria, che sostiene un organo di grandi proporzioni e di non spregiabile struttura. Esso fu costruito nel 1614. Non si conosce l’autore ma sembra che appartenga alla scuola di Sessa.
Fra le pareti laterali del Coro si ammirano altri pregevoli dipinti di ottimo pennello, come la nascita del Messia, e quella della Vergine. Fra i vani a man destra del coro, sulle pareti laterali si ammirano otto pregevolissimi dipinti su tela, rappresentanti scene campestri scritturali della vita del Nazareno. Questi dipinti si attribuiscono alla scuola di Salvator Rosa. In fondo a questo vano vedesi una porta, che mette nella Sacrestia, dove non mancano altri dipinti, però di nessun valore. Alle estremità delle due mura laterali della Chiesa superiore si aprono ampie e lunghe scalinate (composte di cinquanta gradini ognuna), che menano nella Chiesa media ed al soccorpo.
La Chiesa media, detta del Crocefisso, è formata pure di tre navi, adorne di mediocri affreschi del secolo XVII, rappresentanti i Profeti, e le Sibille (che vaticinarono la Passione del Divin Salvatore) ed alcuni Angeli, che portano gli ordigni della Passione. In fondo avvi un unico altare a stucco, che corrisponde, perpendicolarmente all’altare maggiore della Chiesa superiore e del soccorpo. Questo tempietto è quasi privo di luce naturale, trovandosi nel centro delle due Chiese, la superiore ed il soccorpo. Un filo appena di luce naturale gli viene dai due ingressi laterali, chiusi da cancelli, che mettono sui pianerottoli delle dette scalinate, e da due piccole aperture, che mettono sull’Organo piccolo, prospiciente il soccorpo.
Pregevolissimo è poi questo soccorpo, che forma l’ammirazione di tutti, specialmente per l’abbondanza di luce, che gli viene direttamente dalla dietroposta valle.
Questo soccorpo, tanto luminoso ed arieggiato, ha una volta altissima ad arco. Due grandiosi finestroni, e due porte spaziose, mettono nella valle adiacente, convertita in un amenissimo giardino. Un grandioso ed artistico cancello di ferro, con fregi di ottone, divide il vano di questo soccorpo dalla spaziosa grotta, incavata nel masso tufaceo, sorretta da dodeci pilastri a colonne, in fondo alla quale si vede lo Speco dove trovasi dipinta a fresco sul muro la prodigiosa Immagine della Madonna dei miracoli. Questa Immagine, di greco pennello, par che appartenga all’epoca dei Basiliani (secolo VIII), come lo stile bizantino ci apprende. Sino al 1886 un altare di pietra viva (cui si accedeva per cinque gradini), era sito a ridosso del muro che porta effigiata la portentosa Immagine della Madonna, chiuso da pareti di cristalli variopinti di mirabile effetto, che formavano una specie di tempietto.
In quell’anno, abbattuto questo antico tempietto, venne sostituito il nuovo, diretto dal valoroso Architetto Francesco Gavaudan della Real Casa d’Austria, ed eseguito dal bravo Sig. Luigi Magliulo Di Napoli. Esso è tutto ornato di finissimi marmi, avendo in fondo, sottoposti allo speco che chiude l’Immagine della Vergine, un pregevolissimo altare di marmo statuario, adornato, fra le cornici, di marmo giallo, di broccatello di Spagna, di brulé di Francia, di verde antico e di breccia di Sicilia. Il palliotto porta inciso il Nome di Maria in rame dorato. Due pilastri laterali chiudono il fondo di questo tempietto. Nel fronte s’innalzano due colonne di marmo ravaccione, poggiante su due piedistalli, decorati con cornici, riquadrate nelle facce con fascie di brulé di Francia e bugne di Portasanta, con basi e cimase scorniciate. Sui piedistalli poggiano le basi antiche e le colonne superiori, sbaccellate ed impiallacciate di marmo broccatello di Spagna. La zoccolatura dei tre lati di questo tempietto è di marmo bardiglio fiorito. Nei lati delle colonne e dei pilastri in fondo s’innalzano altri quattro robusti pilastri, che sostengono il suffitto della grotta di tufo macigno. Il succielo del tempietto è tutto di argento puro, di figura rettangolare, rabescato di stelle dorate in oro zecchino, avendo nel centro una Colomba, figura dello Spirito Santo, circondato da una raggiera. Una cornice, anche di argento, circonda il succielo, dandogli una conveniente riquadratura.
Questo pregevole tempietto devesi al magnanimo Re Francesco II di Borbone, il quale, nel suo esilio, non dimenticò il voto fatto dell’ottimo suo Genitore Ferdinando II, quando, trovandosi in Andria, nel 1859, visitò la Chiesa della Madonna dei Miracoli. A ricordare l’adempimento di quel voto, il magnanimo Re fece incidere nella fascia della zoccolatura dell’altare maggiore queste semplicissime parole:
FERDINANDUS II UTRIUSQUE SICILIÆ REX DONAVIT
A.D. MDCCCLIX
Due altri altari laterali, a piano terra della Grotta, si vedono in questo soccorpo, l’uno intitolato a S. Margherita, Vergine e Martire (da cui prese il nome la vallata), l’altro all’Annunziata, dalla quale si ammira il pregevole dipinto su tavola, ed il ritratto del Duca Antonio Carafa, genuflesso ai piedi della Vergine.
Una spaziosa Cappella, profondata nel muro che prospetta la valle, e di fronte alla Grotta, è dedicata a S. Giuseppe. Questa Cappella, con altare e pavimento di marmo, fu fatto costruire dal Sig. Riccardo Iannuzzi per depositarvi le ceneri dell’illustre suo fratello, Mons. D. Giuseppe Iannuzzi, che fu Canonico della nostra Cattedrale, e poi Vescovo di Lucera. (In seguito riporteremo la epigrafe, che si vede scolpita sulla tomba del Vescovo Iannuzzi, del quale faremo una breve biografia).
Altri monumenti marmorei si riscontrano sui laterali dei muri di questo soccorpo. A man destra di chi guarda lo speco si vede il mausoleo del Vescovo Saggese di Montepeloso (del quale si legge una lunga epigrafe, che qui, per brevità, omettiamo), e del Vescovo Galdi, del quale riportammo la epigrafe nel I. volume di quest’opera. A man sinistra si scorge il mausoleo del Vescovo Longobardi, del quale riportammo anche la epigrafe, e del nostro amatissimo zio D. Nicola Agresti, Prevosto-Parroco della Collegiata insigne di S. Nicola, del quale riproduciamo qui la epigrafe, dettata dall’insigne P. Mauro Ricci, allora Preposito Generale delle Scuole Pie di Roma.
NICOLA AGRESTI
Di San Nicola Preposto Parroco
Chiaro per Esemplari Costumi
Per Forte Ingegno
Vivrà Benedetto Dagli Indigenti
Perpetuamente Rimpianto
Da Questo Clero
A Cui Fino All’Ultimo Giorno Della Vita
IV Aprile MDCCCLXXXVII
Anno Suo Sessantesimo Quinto
Accrebbe Decoro E Fiducia
Difendendone Impavido Le Sacre Ragioni
Un’altra tomba con epigrafe si vede a sinistra della Grotta, che ricorda la giovanetta Marietta Francesca Tozzi di Cerignola.
Molte lampade di argento pendono in questa meravigliosa Grotta, che attestano la pietà e la devozione alla Madonna dei miracoli.
Nel 1903 il pio Sacerdote D. Riccardo Avantario, Canonico della nostra Cattedrale, a tutte sue spese fece pavimentare di marmo tutto il soccorpo e le due lunghissime scalinate, senza che si conoscesse da chicchesia, fin che visse, il generoso benefattore. In cima delle due scalinate fece incidere queste semplici parole: Pregate per un povero peccatore: Anno 1903. Mirabile esempio di virtù cristiana! (3)
Il benemerito Padre Cosimo Lojodice, Priore degli Agostiniani, che zelano il culto in questo Santuario, si fece promotore di una colletta per pavimentare in marmo tutta la Chiesa superiore (era prima pavimentata in lastre di pietra viva) e già, da qualche anno, la nave maggiore è pavimentata in marmo, e sarebbero pure pavimentate in marmo la due navi laterali, se la morte non ci avesse rapito quell’ottimo e zelante Priore. Ci auguriamo che il nuovo Priore completi l’opera.
Uscendo dalla Chiesa, si vede, a man destra, la grandiosa Badia, costruita su disegno e direzione del medesimo Cavaliere Cosmo. In quella Badia presero stanza i benemeriti PP. Benedettini Cassinesi, che, per ben 226 anni avevano custodito questo Santuario.
Nel 1806 Giuseppe Napoleone, assisosi sul trono del Borbone di Napoli, primo suo pensiero fu quello di discacciare i Frati dai loro Conventi. La sera del 16 Febbraio 1807, mentre i benemeriti PP. Cassinesi erano raccolti nella preghiera presso il trono della Madonna dei miracoli, si video circondati da gente armata, che a viva forza li cacciava da quella Badia e da quel Santuario, dai medesimi edificati! I loro beni furono confiscati e poscia venduti … il Santuario spogliato degli arredi, delle ricche suppellettili, dei numerosi voti di argento ed oro, dei preziosi metalli … e perfin l’Immagine della Vergine venne spogliata dei ricchi gioielli, che l’adornavano! … Usciti i Cassinesi, questo Santuario restò chiuso al culto sino a che non tornò sul trono di Napoli Re Ferdinando I (1815), il quale, ristabiliti gli ordini religiosi, affidò poscia la Badia agli Agostiniani scalzi, e da questi censita al Dottor Gaetano Virgilio. Nel 1836 il Vescovo Cosenza affidava poi la Badia ed il Santuario ai PP. Agostiniani calzi, i quali, a dì 6 Ottobre di tal anno ne presero il possesso, e vi durarono sino al 1866, nel qual anno vennero ancor essi discacciati dal Governo Italiano, e la Chiesa passò al Comune di Andria, il quale vi nomina il Rettore, dietro approvazione del Vescovo diocesano pro tempore. (4) La Badia passò alla Provincia, la quale, dopo averla quasi rifatta ed ingrandita, l’adibì a Colonia Agricola, disgregandola dall’Istituto degli orfani e dei projetti di Giovinazzo.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
(1) Chi volesse conoscere minutamente la storia della invenzione de quella portentosa Immagine, consulti l’opera del Rev. D. Giovanni di Franco di Catania, intitolata: Libri tre di S. Maria dei Miracoli di Andria, Napoli 1606.
(2) Il pio Duca del Balzo alludeva al tesoro di quella Immagine, dai cittadini interpretato per tesoro materiale!
(3) Il Canonico Avantario, morto ottantenne, tutti i giorni immancabilmente, su d’un mansueto cavallino, recavasi a questo Santuario, dove passava le lunghe ore ai piedi della Vergine. Che Dio l’abbia in Cielo, e preghi per noi.
(4) Alcuni frati Agostiniani furono accolti in case private, e continuarono a mantenere il culto a quel Santuario, in accordo col Rettore, nominato dal Municipio. (Per molti anni fu zelante Rettore il Canonico della Cattedrale D. Stefano Porro, poscia il Vescovo titolare di Cesaropoli). In seguito i benemeriti PP. Agostiniani, a spese di generosi privati devoti, vi costruirono, nelle adiacenze, una Palazzina, dove fanno residenza, coadiuvandosi, con ammirabile zelo, a mantenere il culto alla Madonna dei Miracoli in questo Santuario.

 [testo tratto da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" di Michele Agresti, tipi Rossignoli, Andria, 1912, Vol II, pagg 116-124]