La Sacra Spina nel Duomo di Andria

Contenuto

Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol I, pagg. 99-204
(monografia ripubblicata nel 1910, dopo il miracolo del 25 marzo, per Tip. E. Dotoli, Sansevero, pp.1-136)
cappella della Sacra Spina

III
Una delle maggiori Spine
della Corona di Nostro Signore
nel Duomo di Andria.


sommario

  1. I. - La coronazione di spine di Nostro Signore.
  2. II. - Di che legno fosse la Corona di Spine.
  3. III. - Trasferimento della S. Corona da Gerusalemme a Costantinopoli.
  4. IV. -Insigni Reliquie di Santi e la Corona di Spine in Costantinopoli.
  5. V. - San Luigi IX re di Francia e la Corona di Spine.
  6. VI. - Re Carlo V, la S. Corona e sue vicende.
  7. VII. - Re Carlo II d’Angiò e la Santa Spina di Andria.
  8. VIII. - Varii Reliquiarii della S. Spina di Andria.
  9. IX. - I Miracoli della S. Spina di Andria.
  10. X. - La perdita ed il ricuperamento della Santa Spina.
  11. XI. - Il nuovo Reliquiario della Santa Spina.
  12. XII. - Un Voto ardente.
  13.       Documenti.



stemma D'Angiò-De lBalzo presso la cappella della Sacra Spina

I - La coronazione di spine di Nostro Signore.

Dopo il supplizio spietatissimo della flagellazione, a cui Pilato ingiustamente aveva sottomesso Gesù di Nazaret; questi venne fatto segno agli scherni, alle ignominie, alle derisioni, ed agli strazi della soldatesca, giudaica o romana che fosse. Essa finse da burla, come si usava presso i popoli orientali, una incoronazione di re, e la compì, tormentando di nuovi ed atrocissimi dolori l’uomo dei dolori. «I soldati del preside, scrive San Matteo, avendo tratto Gesù dentro l’atrio del pretorio, raunarono attorno a lui tutta la coorte. Spogliatolo, gli posero sulle spalle una clamide di scarlatto. Ed intrecciata una corona di spine, gliela misero in capo; ed una canna nella mano destra; ed inginocchiatisigli davanti lo beffavano dicendo: Dio ti salvi, o re dei Giudei» [1]. Indi per far intendere qual fosse il vero significato di quei saluti beffardi, e di quelle adorazioni per dileggio; «gli sputarono addosso, presero la canna, e gli percossero il capo. E dopo che l’ebbero schernito, uscì fuori Gesù portando la corona di spine, e la veste di porpora» [2]. In tal modo inumanamente coro-nato di spine, lacero ed insanguinato dai flagelli, fu dal vile preside romano mostrato al popolo! «Era desso sì sfigurato e malconcio da commuovere a pietà e compassione persino i cuori più duri, tanto che il preside - dice Friedlieb - non poté articolare sopra di lui, che queste due misteriose parole: Ecce Homo! Ecco l’uomo!» [3].

Questa corona di spine, dice San Vincenzo Ferreri, era a guisa di celata, cingendogli da ogni parte orribilmente il capo [4]. Santa Brigida osserva che questa corona di spine fu cosi fortemente conficcata su quella sacratissima testa, da scendergli sino alla metà della fronte [5]. La Emmerich nelle sue Rivelazioni la descrive così: «Gli posero in capo la corona di spine, alta un paio di mani, intrecciata con molto artificio, e avente al disopra un margine che sporgeva dal resto. Gliene cinsero come d’una fascia la fronte e l’annodarono forte da tergo; sicché riusciva a formare un cappello a corona. Era intessuta di tre rami spinosi, grossi un dito l’uno, e le spine a bella posta erano state per la maggior parte rivolte al di dentro. Tre specie diverse ve ne avevano, come fra noi, la spina di croce, la spina di susino, e la spina di berbero. Al disopra eravi intrecciata con margine sporgente di spine, come di more, pel quale potevasi pigliare la corona» [6].

Fr. Maria Giuseppe Olivier, dei Predicatori scrive: «Un cerchio di giunco, tolto allo strame dei loro cavalli, rappresenta il diadema propriamente detto, quella benda di lana ricamata che circonda la fronte dei principi sopra la tiara. Indi in quel cerchio intrecciarono dei rami di spine, tolte dalla fascina destinata al fuoco del loro bivacco. Ottennero in tal modo un fascetto donde emergevano lunghe punte, figuranti i raggi della mitra caldaica. Ahimè! non era solamente al di fuori che uscivano le spine acute e taglienti, sorgevano da ogni lato, all’interno del pari che all’esterno, solcando la fronte ed il cranio di Gesù Cristo! Per cruda ironia, era quella la stagione in cui esse ingemmavano di fiori, alcuni dei quali, di bianco colore, sul loro stelo simulavano le perle, alle quali si unirono ben tosto i rubini fatti di goccie di sangue aggrumati alle punte» [7].

Finalmente l’Abate Martin in tal modo descrive la santa Corona: «Lo strumento di tortura si componeva di due parti: il circolo conservato a Nostra Signora, e le spine. Il circolo ha l’aspetto d’un anello, formato di piccoli giunchi finissimi, concavi, portanti coste longitudinali, riuniti in fasci e legati a quindici o sedici, attaccati con giunchi simili. L’anello ha 15 millimetri di spessore circa, e 210 millimetri di diametro nell’interno della circonferenza. Esso è dunque troppo grande per tenersi solo sopra la testa. Cosi nel pensiero dei soldati non era che il sostegno destinato a mantenere e a impedire che i rami di spine, di cui volevano incoronare il Salvatore si allontanassero. Presero dunque dei rami del Rhamnus spina Christi di Linneo, o Ziziphus spina Christi, li intrecciarono in forma di berretto in modo da coprirgli la testa, e li assoggettarono in mezzo del cerchio di giunco che li teneva riuniti» [8].

Benché negli Evangelisti non si legga che Gesù fosse stato crocifisso con l’orribile corona di spine sul capo; pure è una pia e ben fondata tradizione. Origene [9], e Tertulliano [10] fin dal terzo secolo della Chiesa dicono che Cristo in croce aveva sul capo la corona di spine. Ed in vero avendo Pilato fatto mettere sulla croce il titolo: Gesù Nazareno Re dei Giudei; nulla vieta di credere che i soldati abbiano lasciato in testa al Redentore la corona di spine, questo segnale, e questo distintivo della regal dignità da loro stessi per dileggio e per crudeltà inventato. È vero che a Gesù, prima d’inchiodarlo sulla croce, venne tolta la veste inconsutile, e però gli dovettero a tal uopo levare dal capo la corona di spine; ma da ciò non segue che, posto in croce, non gliel’abbiano rimessa. Laonde il Mellonio, spiegando Origene il quale disse che giammai fu levata dal capo di Cristo la corona di spine, dopo che gli fu imposta, soggiunge essere ciò vero, potendosi dire che non gli fu levata mai una cosa, che toltagli, gli fu subito riposta sul capo, e con maggior dolore [11]. Inoltre il Gretzer conferma una tale opinione scrivendo: «Non sembra improbabile che i crocifissori abbiano lasciata sul capo sacrosanto di Cristo la corona, insegna d’un finto regno, abbenché fosse stato necessario toglierla, quando lo spogliarono della veste inconsutile; imperciocché sul capo del Signore, già spogliato delle vesti, facilmente poté riporsi» [12].

Laonde le antiche pitture e sculture rappresentano Cristo, coronato di spine sulla croce. Il Sagittario finalmente riferisce vari esempi di rei d’affettata maestà, che vivi o morti furono esposti con una corona di ferro sul capo [13]. Gesù Nazareno adunque, Re dei Giudei, ritenne sulla croce, nelle tre ore della sua dolorosissima, straziantissima, ma serena agonia, fino a che non esalò il supremo sospiro, l’orribile corona di spine.

Dopo la deposizione dalla croce, una mano pietosa, probabilmente quella dell’Addolorata, gliela dovette togliere dal capo. La Emmerich dice: «Nel togliere dal capo di Gesù, la corona di spine, essa (la B. Vergine) l’apri per di dietro con la maggior cautela, e coll’aiuto degli altri, onde le spine penetrate nella testa non avessero in quel movimento ad allargar le ferite; alcune delle spine dovettero persino essere recise dalla Corona. Fu questa deposta vicino ai chiodi, e allora Maria con una tanaglia rotonda, costrutta di penne di color giallo, si pose a cavare dalle piaghe quelle punte di spine, e quelle schegge che eransi ficcate entro il capo del Signore, mostrandole tutta mesta a coloro che le stavano compassionevoli d’intorno. Porzione di quelle spine furono riattaccate alla corona, ma altre mi pare venissero poste in serbo per memoria» [14].

NOTE
[1] MATTH., cap. XXVII, v. 27.
[2] IOAN., cap. XIX, v 5.
[3] Archeologia del Passio, cap. XV, parag. IV, pag. 173.
[4] Spinea Domini Corona erat ad modem pilei, ita ut undique caput tegeret et tangeret. Serm. de Parasc.
[5] Corona spinea capiti eius arctissime posita fuit, quæ ad medium frontis descendebat. Rev., lib. IV, cap. LXX.
[6] La dolorosa Passione di nostro Signore Gesù Cristo.
[7] La Passione, Saggio Storico, Roma, 1892.
[8] Étude Historique et Archeologique sur les Reliques de la Passion, Paris, 1898.
[9] Corona spinea semel imposita, et nunquam detracta.
[10] Inhoerens Crucis cornibus et Corona spinea in capite eius circumdata. Contra Iudeos.
[11] Elucidazione delle Stimmate della S. Sindone, cap. XII, n. 18.
[12] De Cruce, cap. XXII.
[13] Armonia della Storia della Passione di Cristo, p. II, pag. 667.
[14] La dolorosa Passione di N. S. Gesù Cristo.

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II - Di che legno fosse la Corona di Spine.

Dagli espositori evangelici si cerca sapere di quale pianta, nella famiglia degli spini, fosse propriamente quella dai cui rami fu intrecciata la Corona di Gesù Cristo; imperciocché gli evangelisti usano una voce del tutto generica, quando dicono che fu coronato di spine.

Gli antichi credettero che quel legno spinoso fosse il giunco di mare, il di cui fusto ha lunghe ed acutissime spine. Di tale opinione furono S. Agostino, S. Ambrogio, il Toleto, il Taulero ed altri; ed il Durando scrive di aver veduto nel Tesoro dei Re di Francia la Santa Corona, e dice di essere di giunchi marini, le di cui punte sono non meno dure ed acute delle spine [15]. Senonché il Cardinale Baronio rigetta una tale opinione, primamente perché il giunco marino non ha spine di sorta alcuna nel fusto e nei rami, ma solo nella sommità finisce in spina acutissima, lunga e molto penetrante: secondariamente perché essendo Gerusalemme molto distante dal mare, i soldati non avrebbero potuto avere pronto il giunco marino per intesserne l’orribile corona. Conchiude dunque che essa fosse intessuta di spine di ranno, la quale pianta suol nascere nella Palestina, e massime nelle circostanti campagne di Gerusalemme [16]. Natale Alessandro [17], il P. Giovanni Lorenzo Berti [18] ed il Grutzer [19] sono pure di parere che fosse il ranno, il quale, secondo Hasselquist, è una pianta simile all’ellera, d’un verde oscuro e di poche spine. Ma Sieber sostiene che questa pianta, essendo molto rigida nei suoi rami, non avrebbe potuto farsene una corona. Laonde si decide pel Lycium spinosum, le di cui bacchette spinose sono molto flessibili e facili ad essere intrecciate [20]. Searcer poi vorrebbe che fosse la brancorsina, ossia l’acanto.

Finalmente Hasselquist dice: «È assai verosimile che i soldati per incoronare Gesù abbiano scelta una pianta che più d’appresso s’assomigliasse a quella onde essi erano soliti incoronare i loro capitani ed imperatori, a fine di meglio esprimere per tal modo lo scherno ironico della pretesa dignità regia di Gesù». Laonde si risolve pel pruno spinoso di Linneo, e con lui s’accorda anche Russel nella sua Palestina [21]. Il certo si è che quelle spine che tuttora gelosamente si conservano, dice il Moroni, sono di vero spino [22].

NOTE
[15] Rat. Div. 0fficiorum, lib. VI, cap. LXXVII, par. 17.
[16] Ann. 34, n. 86-87.
[17] Super Matt., cap. XXVII, n. 12.
[18] De Theol. Discipl., lib. XXIX, cap. ult., n. 4.
[19] De Cruce, lib. I, 11.
[20] Viaggi, pag. 143, 145.
[21] Palestine, pag. 221, presso FRIEDLIEB, Arch. del Passio, cap. XV, par. 3, pag. 172.
[22] MORONI, Diz. Eccl., vol. LXVII.

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III - Trasferimento della S. Corona da Gerusalemme a Costantinopoli.

Dopo che Gesù risorse ad una vita novella, rifiorente d’una fresca giovinezza e tutto transumanato e fatto celeste; qualcuno degli apostoli, dei discepoli o delle pie donne avrà senza dubbio dovuto religiosamente impossessarsi della Corona di Spine, e con devota ed amorosa sollecitudine l’avrà custodita in Gerusalemme, insieme a quanto era servito all’orrenda e sanguinosa tragedia della passione del loro divinissimo Maestro. Come la croce, i chiodi, e la lancia; la Corona di spine fu sempre oggetto di tenera pietà ai devoti pellegrini, che si portavano a venerare i luoghi santi. San Gregorio di Tours, che visse nel VI secolo [23], ed il venerabile Beda nel VII [24], ci assicurano della grande venerazione, in cui in allora erano tenute le reliquie insigni di Nostro Signore.

I soldati cristiani, dice Tertulliano, aborrivano di mettersi in capo le corone di fiori, usate dai gentili, per riverenza della Corona di spine di Cristo. Guglielmo di Tiro, narra che il pio e valoroso Buglione, proclamato re di Gerusalemme, ricusasse di portare la corona reale di oro in quella città, ove il Salvatore era stato coronato con corona di spine. E si vuole che accettasse invece una corona di lucente paglia, o, come altri dicono, una corona di spine! [25]

Circa l’anno 326 dell’era cristiana, l’imperatrice Santa Elena, reduce dal suo famoso pellegrinaggio di Terrasanta, portò da Gerusalemme, come dice il cardinale Baronio, e collocò nella Basilica Eleniana, una parte del legno della Croce, il titolo, messo sulla medesima, un chiodo, ed altre reliquie [26]. Tra queste, si vuole, vi fossero pure due spine della Corona di Cristo, che la pia Regina donò alla Basilica di Santa Croce in Roma, e che il dottissimo Cornelio Alapide dice di aver egli veduto [27].

È certo però che il primo a parlare, sebbene per incidenza, della Corona di Spine, sia stato San Paolino vescovo di Nola, il quale nel 409, scrivendo ad un magistrato per nome Macario, e pregandolo a proteggere un vegliardo, che Dio aveva miracolosamente salvato dal naufragio, per condurlo al battesimo, dice : «Se noi onoriamo con ragione le reliquie del Salvatore, la Colonna, alla quale egli è stato legato, le Spine di cui è stato coronato, il legno al quale è stato sospeso, ecc., quale profondo rispetto non dobbiamo noi fare di questo venerabile vecchio, al quale Dio stesso si è degnato di fare intendere la sua parola?» [28].

Un secolo più tardi Cassiadoro, nel Commentario del salmo 86, parlando di Gerusalemme, dicea: «Là si vede la Corona di Spine, che fu messa al Salvatore per spezzare le lancie riunite del mondo intero» [29]. Bernardo il Monaco scriveva che ai suoi tempi, cioè nell’ 870, la Santa Corona stava nella Basilica di Sion [30]. Dopo questo tempo pare che non si faccia più parola di sacre Spine, prese e recate altrove da Gerusalemme, ma da Costantinopoli; e ciò anche prima del secolo VIII, quando il serto si dice essere ancora nella città santa. Probabilmente la sacra reliquia ha dovuto essere divisa tra il Santo Sepolcro e la Cappella degli imperatori; oppure bisogna dire che un numero di Spine fosse stato donato a Costantino, il quale, a quella guisa che nella nuova metropoli da lui edificata aveva raccolto il più bello ed il più sublime che vi fosse nell’arte pagana; cosi aveva raccolto ancora quanto vi era di più sacro e venerabile nella religione cristiana.

Aimone nella storia delle imprese dei Franchi, parla di un viaggio fatto da San Germano, vescovo di Parigi, in Terrasanta nel 561. Egli dopo di avere venerati quei luoghi santificati dalla presenza e dal sangue dell’Uomo Dio; dopo di avere raccolte molte reliquie; si portò in Costantinopoli ad ossequiare l’imperatore Giustiniano. Questi avendo accolto il santo Vescovo con grandi dimostrazioni di onore e di venerazione, volle arricchirlo di doni; ma l’uomo che era pieno di Dio, ricusò gli splendidi doni di oro e di argento, e pregò invece l’imperatore a donargli soltanto reliquie di martiri. Il principe, lieto per la divozione di questo Vescovo, gli donò alcune Spine della Corona di Nostro Signore, che San Germano, tornato a Parigi, collocò nel famoso tempio di San Vincenzo, edificato dal Re Childeberto [31].

Nel primo volume della Cronaca del Monastero di Abingdon, a pagina 88, vi è un capitolo intitolato: «Dei doni, che Ugo Capeto, re di Francia, mandò ad Atelstano, re d’Inghilterra». In questo capitolo si narra come, verso il 987, Adelstano, re degli Inglesi, avendo in tempo di Pasqua tenuto un generale parlamento presso Abbendonia con i suoi Conti e Baroni, fu visitato da alcuni ambasciatori del re di Francia, Ugo soprannominato Capeto, i quali gli offrirono varii doni di oro e di argento, non che altri doni, più pregevoli dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose, val quanto dire alcune Reliquie insigni, degne di ogni venerazione e di ogni rispetto, cioè una porzione della Corona di Spine, un pezzo del Chiodo del Signore, il vessillo del gloriosissimo martire e duce della Legione Tebea, San Maurizio, ed il prezioso dito del martire San Dionigi [32].

Finalmente nel 1205, Filippo Augusto, re di Francia, premessi digiuni ed orazioni, donava con riverenziale timore alla Chiesa di San Dionigi una Spina della Sacra Corona, che egli aveva ricevuto dal suo cognato Baldovino I, imperatore d’Oriente, il quale nella sua imperiale Cappella del Palagio di Buccoleone in Costantinopoli, conservava in allora tutta intera la Corona di Spine di Nostro Signore [33]. Senonché quando, ed in quale circostanza propriamente sia passata in Costantinopoli; non si è potuto ancora sapere con certezza.

NOTE
[23] De Gloria Martyrum, lib. I.
[24] De Locis Sanctis, cap. XX.
[25] Moroni, Dizionario Eccl., vol. LXVII.
[26] Advenîens in Urbem in Basilica dicta Heleniana partem Crucis, et alias Reliquias, et Titulum crucis, unum ex clavis collocavit. BAR0NIUS, an. 326.
[27] Vidi duas spineæ huius Christi Coronæ Spinas Romæ, quas S. Helena ex Ierusalem Romam in Basilicam S. Crucis trastulit. In MATT., cap. XXVII, v. 29.
[28] Epist. ad Macarium, XLIX, 14.
[29] CASSIADOR. Op.
[30] TOBLER, Itinera Hierosolymitana, I, 2, 315.
[31] Aimoin. De gest. Franc., lib. III, cap. IX.
[32] Ingulphus, Historia Monasterii Croylandensis. Apud PERTZ, Script., t. X, p. 460.
[33] Rigordius, De gest. Philippi Aug. apud REYNALD, an. 1205.

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IV - Insigni Reliquie di Santi e la Corona di Spine in Costantinopoli.

Dopo un lungo ed ostinato assedio, finalmente nell’aprile del 1204, Costantinopoli cadeva in potere dei Crociati vittoriosi, i quali più che d’ogni altro prezioso bottino, facevano stima grandissima delle reliquie dei Santi. Fra le molte reliquie fu trovata una testa, cinta d’un cerchio d’argento, su cui in greco stava scritto: «San Mamas». Il Vescovo di Troyes la prese per sé, si compiacque donarla alla Diocesi di Langres. Il Cardinal Legato, Pietro di Capua, s’impossessò del corpo dell’Apostolo Sant’Andrea, che al suo ritorno in Italia donò ad Amalfi, sua patria. Martino, abbate di Pairis, nella diocesi di Basilea, venuto in Costantinopoli, coi crociati tedeschi, entrando in una Chiesa, obbligò un prete greco a consegnargli le più preziose reliquie, che avesse; quegli avendogli aperto dinanzi un cofano di ferro, l’Abate vi cacciò dentro ambo le mani, riempì di quanto credette più prezioso la sua veste, all’uopo rimboccata; lo stesso fece il suo cappellano. Fra queste vi erano moltissime reliquie del sangue prodigioso di Nostro Signore, del legno della vera Croce, delle ossa di San Giovanni Battista, del braccio di San Giacomo, e di altri Santi.

Un Canonico di San Martino di Piquingui, che con gli altri ecclesiastici francesi s’era crociato, s’impossessò del Capo di San Cristoforo e del braccio di San Eleuterio; ma suo malgrado dovette consegnarli a Guamiero Vescovo di Troyes, incaricato di conservare le reliquie trovate. Però nella vigilia della Natività di Maria, essendo entrato in una chiesa, annessa ad un palazzo mezzo in rovina, fortunatamente rinvenne due vasi, uno dei quali conteneva un dito, e l’altro un braccio di San Giorgio. Alla dimane, tornato a frugare, ritrovò ancora due bacili d’argento coi loro astucci, che portò via, e dalle iscrizioni conobbe, che in uno v’era stato il capo di San Giorgio, e nell’altro una porzione del capo di San Giovanni Battista.

Delle preziose reliquie, trovate in Costantinopoli, il Doge di Venezia ebbe una porzione della vera Croce, incassata in oro, proprio quella che Costantino portava in guerra: un’ampolla del sangue miracoloso di Cristo: un braccio di San Giorgio: una parte del capo di San Giovanni Battista, il corpo di S. Lucia ed il corpo di Sant’Agata, che donò ad alcuni pellegrini Siciliani.

Due Veneziani portarono nella loro patria il corpo del profeta San Simeone; Enrico di Fiandra, fratello di Baldovino, mandò al terzo fratello Filippo di Namur un gran numero di reliquie, tolte alla Cappella di Buccaleone. Nevolone, Vescovo di Soisson, molte ne donò alla sua Chiesa Cattedrale, ed all’Abazia di Nostra Signora; mentre la Chiesa di Troys aveva il capo di Sant’Elena, ed una porzione di quello dell’apostolo San Filippo.

Finalmente Baldovino di Fiandra, che da Costantinopoli aveva mandato al Re Filippo Augusto di Francia una Spina della Corona di Nostro Signore, un pezzo della vera croce, lungo un piede, dei capelli di Gesù bambino, dei panni, onde fu ravvolto nel presepio, della veste di porpora, una costa ed un dente dell’Apostolo San Filippo; ritenne per sé la più preziosa e più cara di tutte le reliquie trovate in Costantinopoli, nel palazzo di Buccaleone, la Sacratissima Corona di Nostro Signore Gesù Cristo [34].

NOTE
[34] Rohorbacher, Stor. Univ. della Ch. Catt., tomo XVII, libro LXXI, p. 211-215.

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V - San Luigi IX re di Francia e la Corona di Spine.

Dal giorno, in cui Costantinopoli cadde in potere dei Crociati, i Saraceni ed i Greci giammai cessarono di fare sempre novelli sforzi per impadronirsene. Il greco imperatore Giovanni Vataccio, profittando dell’assenza del giovane Baldovino di Courtenay, fece stringere d’assedio la piazza, ed incendiare quanto vi era d’intorno, per costringere i Francesi o a rendere la città, o a morire di fame. Frattanto Baldovino levava in Francia uomini e danari, per venire in soccorso dei suoi, impegnando a tal uopo a San Luigi IX perfin la sua Contea di Vanicer. E siccome questo pio monarca si era assaissimo cooperato per la liberazione della sacra terra di Palestina dalle mani dei Maomettani, ed aveva soccorso Baldovino; questi, nel 1239, in testimonio di gratitudine non peritura, gli offrì in dono la Sacrosanta Corona di Spine di Nostro Signore.

Quanto ben volentieri San Luigi accettasse un tale preziosissimo dono, non è a dire. Subito spedì in Costantinopoli il Domenicano Fra Andrea di Longiumò, Nunzio Apostolico, reduce dalle missioni d’Oriente, con un altro Religioso, che aveva seco menato, il quale avendo per alcun tempo retto colà il Convento dei Frati Predicatori, conosceva bene la Santa Corona. Baldovino, unitamente a questi due frati, mandò un altro inviato con sue lettere patenti a quelli, che per lui comandavano in Costantinopoli, ingiungendo loro di consegnare senz’altro ai due Religiosi la Santa Corona.

Gl’inviati, ivi giunti, trovarono che i Baroni dell’impero, costretti da dura necessità, avevano già impegnata la Sacra Reliquia ai Veneziani, per una considerevole somma, a condizione però che, se quella non fosse stata riscattata pel giorno 19 giugno, resterebbe per sempre ai Veneziani; e che frattanto sarebbe a Venezia trasportata. I Baroni allora convennero coi Veneziani che, i due Religiosi, con gli ambasciatori dell’Impero, e con alcuni dei più ragguardevoli cittadini, accompagnassero la Sacra Reliquia in Venezia. Suggellata la cassa coi suggelli dei signori Francesi di Costantinopoli, verso le feste di Natale fecero vela per la città di San Marco. Arrivati nel porto di Venezia, la Sacratissima Corona fu depositata nel Tesoro della Cappella del S. Evangelista, rimanendovi a custodia il Longiumò, mentre il suo compagno pigliava la volta di Parigi, per informarne il Re e la Regina. San Luigi e la madre lietissimi per tale annunzio spedirono subito in Venezia il medesimo Religioso con nuovi ambasciatori, e col denaro necessario pel riscatto della Sacra Reliquia, cioè con 160,000 lire!

Eseguito il prezioso riscatto, si rimisero in viaggio, e giunti a Troyes, nella Sciampagna, ne avvisarono il santo Re, il quale con la regina madre, coi principi suoi fratelli, con Gualtiero Arcivescovo di Sens, con Bernardo Vescovo di Auxerre, e con molti Signori della Corte, a cinque leghe da Sens, andò incontro a quelli, che portavano la preziosissima Reliquia, che Andrea di Longiumò ebbe l’onore di presentargli. Aperta la cassa di legno, furono riconosciuti i suggelli dei Signori Francesi e del Doge di Venezia, posti sopra la cassa di argento entro cui, in un vaso d’oro, era rinchiusa la Corona di Spine.

Il 10 agosto 1238, in mezzo alla commozione la più grande che mai, fu fatta vedere a tutti gli astanti. Il giorno dopo, il Re con Roberto d’Artois, suo secondo fratello, a piedi nudi, in mezzo al clero portò processionalmente sulle spalle, alla Chiesa di S. Stefano, Metropolitana di Sens, la Santa Reliquia. Ai 12 parti per Parigi, ove cominciò subito i preparativi pel ricevimento della Corona di Spine, che fu splendidissimo.

Da principio la collocò nella Cappella di San Nicola; ma nel 1241, avendo ricevuto da Costantinopoli una parte della vera croce ed altre Reliquie; fece all’uopo edificare nel suo palazzo una celebre Cappella, sotto il titolo della Sacratissima Corona di Spine, conosciuta poscia sotto il nome di Santa Cappella, meraviglia d’architettura gotica, terminata nel 1248; e vi fondò un Capitolo di Canonici, perché quotidianamente, con la recita del divino Ufficio, onorassero gl’istrumenti della nostra redenzione [35].

Da questa Corona il Santo Re staccò devotamente alcune Spine, e ne fece pietoso dono alla Chiesa dei Francescani di Seez, all’Abazia di S. Eligio presso Arras, ed alla Chiesa di Toledo [36], ai di cui Canonici scrisse una sua lettera [37]. Si dice pure che abbia donato a Venezia due altre Spine con un bellissimo Reliquario in velluto ed argento dorato, con venti gigli sul coperchio e dieci all’intorno. Vuolsi ancora che un’altra Spina l’abbia regalata alla famiglia reale di Scozia, e che Maria Stuarda, nel 1587, salendo il patibolo, l’abbia consegnata al Conte di Northumberland, che la diede alla figlia Elisabetta, e questa ai Gesuiti [38].

Verso la fine di novembre 1244, il Santo Monarca, essendo stato assalito da una gagliardissima febbre, da essere un giorno pianto per morto; la pia sua madre fece recare le reliquie della Croce, della Santa Lancia e della Corona di Spine del Salvatore, ed accostandole al figliuol suo inanimato: «O Signore Gesù – esclamò - rendete gloria a noi non già, ma al vostro nome. Salvate oggi il regno di Francia e la corona, che avete finora sostenuta per vostra grazia. Mostrate la virtù di queste insegne, che avete lasciate dopo di voi sulla terra, per comparire nel gran giudizio. In esse noi poniamo la nostra fiducia e la nostra gloria». Ed oh mirabile a dire! improvvisamente il re, che si credeva morto, rinvenne, pronunziando queste parole: «L’Oriente è venuto dall’alto a visitarmi per la grazia di Dio, e mi ha richiamato da morte». E subito fatto venire il Vescovo di Parigi, Guglielmo d’Auvergne, si fece porre da costui sulle spalle la croce di pellegrino pel viaggio ai luoghi santi [39].

Ai 25 marzo 1267 il Santo Re, avendo deciso di portarsi per la seconda volta in soccorso di Terrasanta; convocati in Parigi i grandi del Regno, comparve innanzi all’assemblea, in piedi sul trono, con la Corona di Spine nella destra, e con parole di fuoco esortò tutti a dimenticare i passati infortunii, e correre alla liberazione del Santo Sepolcro di Cristo di mano agli infedeli. Alla vista della Sacra Corona, imporporata del sangue dell’Uomo Dio, agli accenti ispirati del Santo Re, si commossero tutti, ed uno fu il grido, che spontaneo eruppe da ogni petto: Dio lo vuole! Dio lo vuole! [40].

NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[35] TOURON, Istor. degli uomini illustri dell’Ord. di S. Domenico, tomo I, Roma, 1745.
[36] MORONI, Dizionario d’Erud. Stor. Eccl., vol. XVII, Venezia, 1842.
[37] RAYNALDI, vol. XIII, pag. 689.
[38] F MARTIN, Étude histor. et Archeol. sur les Reliques de la Passion.
[39] ROHRBACHER, Stor. Univ. della Chiesa Cattolica, tomo XVIII, libro LXXVIII, Milano, 1856.
[40] MORONI, Dizionario d’Erud. Stor. Eccl., vol. XVIII, Venezia, 1842.

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VI - Re Carlo V, la S. Corona e sue vicende.

Questa devozione di San Luigi per la Corona di Spine si trasfuse magicamente nel petto dei Re Franchi, ed a tacere degli altri, Carlo V giacendo sul letto di sua agonia, domandò ansiosamente la Santa Corona di Spine, che gli fu portata dal Vescovo di Parigi. In vederla dette in uno scoppio di pianto, e con grande devozione, e con profonda riverenza facendosela porre a sé dinanzi, le rivolse questa tenera preghiera: «O Corona preziosa, diadema della nostra salute! Oh come è dolce e delizioso il contento che dài pel mistero che in te fu compiuto per la nostra redenzione! Si degni colui, che ti bagnò del suo sangue, essermi altrettanto propizio, quanta è la gioia, che il mio spirito sente alla tua degna presenza». Dopo questa cara preghiera, il 16 settembre 1380 placidamente spirò l’ anima sua benedetta [41].

La Corona di Nostro Signore subì varie vicende.
In tempo della rivoluzione francese, cioè nel 1791, Luigi XVI, per salvarla, la mandò a San Dionigi; nel 1793 fu riportata a Parigi, nel palazzo delle Monnaies; nel 1794 fu collocata nella Biblioteca Nazionale; nel 1804 venne restituita all’Arcivescovo di Parigi; nel 1806 fu traslatata a Nostra Signora; e finalmente nel 1896 venne rinchiusa in un nuovo Reliquiario [42].

«Di questa Corona di Spine - scrive Monsignor Sarnelli, Vescovo di Bisceglie, - è la Santa Spina che V. S. ha veduto nel Duomo di Andria» [43].

NOTE
[41] ROHORBACHER, Stor. Univ. della Ch. Catt., t. XXI, lib. LXXI, lib. LXXXI. Milano, 1856.
[42] MARTIN, Étude, ecc. sur les Reliques de la Passion.
[43] SARNELLI, Lett. Eccl. Lett., XL, tom. V. Napoli, 1858.

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VII - Re Carlo II d’Angiò e la Santa Spina di Andria.

Con la morte di Re Federico II di Svevia, le ostilità contro il Papato non cessarono; ma scia-guratamente continuarono con Manfredi, e con Corradino! Invano Urbano IV adoperò con essi preghiere, minacce, scomuniche; gli Svevi tennero duro. Laonde Clemente IV si vide costretto a chiamare di Francia Carlo I d’Angiò, fratello di San Luigi IX, e ad incoronarlo in Roma re di Sicilia e di Puglia. Dopo varii combattimenti e varie vittorie; dopo di avere presso Benevento sconfitto l’esercito di Manfredi, che vi cadde ucciso; dopo di avere disfatta l’armata di Corradino a Tagliacozzo, e di averlo fatto senza pietà decollare sul mercato di Napoli, per cui venne aspramente ripreso dal Papa e dai Cardinali; Carlo I s’insignorì del Reame. Fratello di San Luigi, che presso di sé aveva la Corona di Spine, dovette, nel partire per la conquista del Reame, tra le altre insigni reliquie, avere in dono alquante sacratissime Spine che portò seco in Napoli, mettendosi sotto il valido patrocinio di quelle. Epperò è costante tradizione che avesse egli donato alla Cattedrale di Napoli una di queste Spine, che per molto tempo fu venerata nella Cappella del Crocefisso, patronato della Casa Caracciolo.

Per quello poi che riguarda la provenienza di una delle maggiori Spine, che religiosamente si conserva nel Duomo di Andria; si deve con asseveranza ritenere che, non da Carlo I d’Angiò ci venne donata, ma da Carlo II, suo figliuolo. Ed invero la Sacra Spina di Andria anticamente si conservava entro un ricco Ostensorio, attorniato da una maestosa Corona di Spine d’argento, nel di cui primo giro, a lettere maiuscole, stavano incisi sedici versi esametri [44]. Ora in due di questi versi si leggea che Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, fu quegli che recò a noi Andriesi da Parigi, capitale della Francia, la Sacratissima Spina della Corona di Nostro Signore: «Ad nos Trinachiæ Carolus Rex ille secundus transtulit ex Paridis, quæ Urbs Regia Galliæ habetur». Veramente non si potrebbe con certezza precisare l’epoca di questo documento; ma senza dubbio dev’essere molto anteriore al secolo XVI, perché negli atti autentici del miracolo di questa Spina, avvenuto nell’anno 1633, e rogati dal Notaio D. Giovanni Alfonso Gurgo di Andria, si accenna a questa iscrizione che circondava l’Ostensorio, ed è detta antica: «Ut modo apparet in Tabernacolo argenteo per iscriptionem circum circa olim factam, etc.» [45]. Quindi prestando fede a questo documento, possiamo senza dubbio ritenere, che Carlo II sia stato colui che dalla Francia ci portò una delle maggiori Spine del Serto di Gesù Cristo, che in allora si conservava nella Santa Cappella di Parigi.

Inoltre un fatto troppo rimarchevole della vita di Re Carlo II ci persuade ancora a ciò credere. Questo monarca, prigioniero del Loria, in sentirsi in giorno di Venerdì Santo intimare la crudele sentenza di morte dalla Regina Costanza, si narra che abbia detto: «Accetto di buon grado la morte, perché in questo giorno Gesù Cristo fu condannato, fu crocifisso, e morì»; e che Costanza alla sua volta abbia risposto: «Ed io per riguardo dell'istesso giorno gli dono la vita». Per questo fatto non poteva Carlo II non essere devotissimo della Passione di Nostro Signore, e massime della Corona di Spine, che veneravasi nella Santa Cappella; non poteva non averne religiosamente svelte alquante, e portate seco nella sua Reggia di Napoli, e donato di poi una ad Andria, feudo di sua famiglia.

Negli Atti della Santa Visita di Monsignor D. Ascanio Cassiani, Vescovo di Andria, fatta nel 1656, parlandosi di questa Spina Sacratissima, si legge infatti che essa fu donata a questa Chiesa da Carlo II d’Angiò: «Nomen Caroli secundi in Tabernaculo argenteo, ubi in aurea theca, gemmis et margaritis ornata, asserratur una ex Spinis majoribus D. N I. C[46]. E sebbene né la storia, né la tradizione ci dicano che Re Carlo II sia venuto giammai in Andria; pure chi ci vieta di credere che questa Sacra Spina non l’abbia egli munificamente donata a questa città per mezzo di uno dei suoi figliuoli, che ne furono illustri Conti, cioè Raimondo Berlinghieri, Pietro e Beatrice? I nostri storici patrii propendono per quest’ultima, cioè per Beatrice, che fu moglie di Azzo VIII d’Este, prima, e poi in seconde nozze, di Bertrando del Balzo, cavaliere provenzale, avendo ad entrambi portata in dote la Contea d’Andria. Infatti l’Arciprete Pincerna dice: «Non contenta essa Beatrice di avere pingue entrate assegnate alla mia Cattedrale, fecele anche dono d’una Spina maggiore della Corona, che le sacre tempia di Gesù Cristo, nella spietata coronazione di spine tormentò» [47].

Del pari il Prevosto Pastore nelle sue memorie manoscritte intorno alla città di Andria, scrive: «Quando questa signora venne sposa in Andria, seco le portò due sacri pegni, i quali ancor oggi in detta città si conservano, e che in ogni anno si espongono alla pubblica adorazione del popolo fedele [48]. Il primo ed il più eccellente fu una delle Sacratissime Spine, che composero la Corona, imposta sul capo del nostro umanato Redentore dai soldati di Pilato, nella sua acerbissima passione. Di queste Sacratissime Spine esso Carlo I, mentrecchè in Napoli venne a regnare da Sorrano, una ne diede in dono a quell’Arcivescovil Chiesa, e l’altra la ritenne seco in propria casa, che poi venne in mano di Carlo II, suo figlio, e padre di essa Beatrice, dal quale a questa fu donata, e da questa alla nostra Chiesa Andriese. L’urna in cui si conserva presso di noi espressamente ce lo attesta, attorno al quale si leggono i seguenti esametri: "En Cuspis de tot majoribus una Coronæ, etc." » [49]. Dell’istesso parere fu l’Abate Medrano, che nel secolo passato in una sua erudita relazione sulla Santa Spina, scrisse: «Carlo II l’altra (Spina) diede in prezioso monumento a Beatrice di lui figliuola, la quale venuta in Andria, la donò a questo Duomo» [50].

Finalmente il D’Urso, nella sua storia di Andria, attribuisce pure a Beatrice il dono di questa Sacra Spina agli Andriesi: «Beatrice in contrassegno della sua riconoscenza agli Andriesi, donò a questo Duomo la sopraddetta Santa Spina» [51]. Dunque Re Carlo II d'Angiò avendo per mezzo della sua figliuola, la Contessa Beatrice, fatto dono ad Andria della Sacratissima Spina della Corona di Nostro Signore, ne fu egli il diretto donatore, perché, secondo il comune adagio, chi agisce per mezzo di altri, agisce per se stesso. Un simile dono, dice il Beatillo, Re Carlo II fece pure alla città di Bari, cioè: «Un vaso di bellissimo cristallo col piede e coperchio d’argento ed oro, ricco di molte gemme e perle, e di un vaghissimo crocifissetto degli stessi metalli nella sommità, per conservarsi dentro una delle Spine della Sacratissima Corona di Cristo» [52].

Andria pertanto deve sapere sommamente grado per questo preziosissimo dono a Re Carlo II d'Angiò, ed alla pia Contessa Beatrice figliuola di lui.

NOTE
[44] Monsignor SARNELLI, Vescovo di Bisceglie, Lett. Eccl., Lett. XXXVIII. «Circum circa in superficie conversa et in facie hi versus». Act. Sanct. Visitationis Episc. CASSIANI, 9 martii 1656 (Curia Vescovile).
[45] Confr. Medrano: Relazione del prodigio operato nel Venerdì Santo del corrente anno MDCCLXXXV, da N. S. Gesù Cristo nella Sacra Spina, una delle maggiori, le quali coronarono il suo sacratissimo Capo, che si conserva nel Duomo di Andria, scritta dall’Abate Domenico Medrano, Vicario dell’Ill. e Rev. Mons. D. Saverio Palica, Vesc. di quella Chiesa, e dedicata agli Ecc.mi signori D. Ricc. Carafa e D. Marg. Pignatelli, Duca e Duchessa della suddetta città di Andria.
[46] Curia Vescovile.
[47] Ammonimenti morali, appendice. Lucca, 1742.
[48] La testa di S. Colomba vergine e martire di Sens.
[49] Memorie istoriche di Andria, parte II, cap. II, pag. 112, mss. LEONETTI Troya.
[50] Relazione del Prodigio, etc., pag. 25.
[51] Storia d’Andria, lib. VIII, cap. IV, pag. 184.
[52] Stor. di S. Niccolò, lib. XI, cap. XVIII, pag. 937.

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VIII - Varii Reliquiarii della S. Spina di Andria.

Se la Sacratissima Spina di Andria fu un dono di Re Carlo II d’Angiò, il primo Reliquiario, entro cui questa venne religiosamente conservata, dovette senza dubbio essere anche dono del-l’istesso Monarca; questo esigeva la preziosità del dono, questo voleva la munificenza del donatore. Ed in vero nel Direttorio della Santa Visita, pubblicato in Roma nel 1593 da Mons. D. Luca Antonio Resta, Vescovo di Andria, al capitolo XLVIII, in cui parla della visita che il Vescovo deve fare delle Reliquie dei Santi, e del come descriverle, gli presenta per modello la descrizione della teca della Sacratissima Spina, che si venera nella Cattedrale di Andria: «Una Spina della Corona con la quale fu coronato Nostro Signore Gesù Cristo, la qual si conserva in un Tabernacolo di rame ben lavorato, indorato, et essa sta affissa in mezo amovibile, che si può mostrare, coperta d’una vainella d’argento indorata con trenta perle, et quattro rubini, con una crocetta piccola di cristallo rossa in cima, et da piedi un pometto indorato, con quattro gemme preziose, et un diamante» [53]. Se intorno a questo Reliquario stessero incisi i versi, che si leggevano nella teca posteriore, non si dice.

Dopo sessantatrè anni, troviamo un altro Reliquiario per la medesima Santa Spina.

Dalla descrizione, che si legge nella Santa Visita del Vescovo di Andria, Mons. D. Ascanio Cassiani, fatta nell’ 8 marzo 1656, pare che esso doveva essere molto bello. Nel visitare egli le Reliquie innumerevoli, che si conservavano, e tuttavia si conservano nella Cappella del gloriosissimo Protettore San Riccardo, dice essergli stata presentata una Pisside, in cui eravi una delle maggiori Spine della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo, ornata di gemme e di margherite. Componevasi di due sfere di cristallo, intorno alle quali girava una corona di spine d’argento. Il vaso era similmente di figura rotonda e di argento, e dentro, sulla base della medesima teca d’oro, vi erano quinci e quindi genuflessi due angioletti d’argento. Il piede che era di rame dorato, in cima aveva una crocetta d’argento anche dorato. Nel primo giro della sfera di prospetto stavano incisi i primi versi dei sedici seguenti, e gli altri dovevano stare scolpiti al di dietro [54].

En Cuspis de tot majoribus una Coronæ
Qua diræ pupugere manus pia tempora Iesu.
Quando Parasceve et Martis vigesima quinta
Concurrunt (veluti Majores ore probarunt),
Tune hæc (oh quam mirum!) tota cruenta videtur,
Quæ solet esse alias guttis aspersa quibusdam
Ad nos Trinacriæ Carolus Rex ille secundus
Transtulit ex Paridis, quæ urbs regia Galliæ habetur.
Pectore devoto, venerandaque poplite flexo est
Spina Redemptoris roseo suffusa cruore,
Cum sentes, ut acus, totidem tolleraverit ultor
Humani sceleris. Gratissima metra canamus:
Gloria Victori, et monumenta perennia palmæ;
Cornua enim Satanæ spinosa fronte repressit;
Detque illi Dominus pro tanto huc pignore vecto,
Cuncti exoremus, felicia regna Polorum.

Questi versi in italiano suonano così:
«Ecco una delle tante maggiori Spine della Corona, con cui le mani crudeli dei Giudei trafissero le tempia sacrate di Gesù. Quando concorrono la Parasceve ed il venticinque di marzo, come è antica tradizione, allora questa, oh meraviglia!, si vede tutta insanguinata, imperciocchè suol essere aspersa di alcune gocce di sangue. A noi Carlo II Re di Sicilia, la portò da Parigi, città capitale della Francia. Con cuore devoto, e con ginocchio piegato deve venerarsi questa Spina del Redentore, che di roseo sangue bagnossi, quando, vendicatore dell’umana scelleratezza, tollerò le spine, come altrettanti aghi. Cantiamo gratissimi cantici: Gloria al vincitore, e perenni monumenti di vittoria, imperciocchè con la fronte irta di spine fiaccò la potenza di Satana. Preghiamo tutti, affinché il Signore, per tanto pegno qui portato, gli conceda il felice regno del cielo».

Dai quali ultimi due versi si vede chiaramente che essi furono composti non nel tempo, in cui Re Carlo II donò ad Andria la Santa Spina; ma dopo la morte di lui, mentre Andria in ricambio di tanto dono, gli augura da Dio il regno del cielo: Detque illi Dominus pro tanto huc pignore vecto, cuncti exorerus, felicia regna polorum. Epperò questi esametri sebbene non sieno stati incisi sulla prima teca, ciò non ostante non cessano di essere un antichissimo documento in favore della provenienza di detta Reliquia.

Monsignor D. Pompeo Sarnelli, Vescovo di Bisceglie, che nella Cattedrale di Andria avea veduto questo secondo Reliquiario, lo chiama: «Un ostensorio grande di cristallo, attorniato da corona di spine d’argento, dove sono scolpiti più versi» [55].

Nel dì 26 marzo 1785, avvenuto il miracolo della Sacratissima Spina, questa il Sabato Santo, dalla cappella del glorioso Patrono di Andria, San Riccardo, fu processionalmente portata sul Palazzo Vescovile. Ivi alla presenza delle autorità ecclesiastiche e civili, che erano state spettatrici del prodigio, Monsignor D. Saverio Palica, Vescovo di Andria, dissigillò religiosamente l’antico Reliquiario della Santa Spina, e questa ripose in un altro Reliquiario nuovo di argento, che il Medrano dice: pur troppo magnifico e ricco, dono del Duca e della Duchessa di Andria, D. Riccardo Carafa e D. Margarita Pignatelli. Nel piede di questa nuova teca, dalla parte posteriore furono incisi gli stessi versi che si leggevano nell’antica. Di poi suggellata col sigillo del Vescovo, fu portata a conservare nel medesimo Tesoro di San Riccardo [56].

È questa la terza teca, fatta in onore della Sacratissima Spina di Nostro Signore.

NOTE
[53] Directorium visitatorum ac visitandorum, etc. Auctore R. P. D. Luca Antonio Resta Messapiense Episcopo Andrien. Inventario delle Reliquie dei Santi, et argenterie, che si conservano in questa Sacristia della Cathedral Chiesa d’Andria, ecc., cap. XLVIII, parte I, pag. 57.
[54] «Pixis in qua est una ex Spinis maioribus Coronæ D. N. I. C. gemmis et margaritis ornata, duæ rutundæ, et circum circa superficiem ad modum Coronæ spinarum argenteæ, et vas in orbem ductum est similiter argenteum, intus in basi eiusdem thecæ aureæ genuflexi sunt hinc inde duo Angeli argentei; pes ex auricalco deaurato, et crux in summitate argentea inaurata, circum circa in superficie conversa, et in facie hi versus, etc.». Acta S. Visitationis, EPISCOPI CASSIANI, 8 martii 1656 (Curia Vescovile di Andria).
[55] Lett. Eccl., t. III, lett. XXVIII, e t. V lett. XL.
[56] MEDRANO, Relazione del prodigio, ecc., pag 51.

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IX - I Miracoli della S. Spina di Andria.

La Sacra Spina di Andria è della lunghezza di circa quattro dita, e della grossezza di un grosso filo di spago nel suo basso finimento. Il suo colorito è cenerognolo, ad eccezione della punta semifranta, che va a finire ad ago, ed è di color suboscuro. In essa si veggono quattro macchie di color violaceo nella parte di dietro alla incurvatura, ed un’altra parte davanti, oltre ai molti punti a stento visibili. Quando coincide la feria sesta di Parasceve con la festività dell’Annunziazione di Maria, ai 25 marzo, allora queste macchie si ravvivano, e rosseggiano di fresco sangue; nel che ordinariamente consiste il miracolo.

Dall’anno 1308, quando Re Carlo II d’Angiò per mezzo della Contessa Beatrice donò ad Andria tale Spina, sino al 1633, in cui si trova registrato il primo miracolo; non sappiamo quante altre volte in poco più di tre secoli, i nostri antenati abbiano, con le lagrime sugli occhi, contemplato siffatto prodigio. Che se a noi non è pervenuta una tale notizia; deve senza dubbio a varie cause attribuirsi. Primamente deve attribuirsi agli incendii, i quali nel 1345 per opera degli Ungheri, nel 1437 per opera del Patriarca Alessandrino, Giovanni Vitelleschi, e nel 1528 per opera del capitano, Odetto de Fois, signore di Lautrec, bruciarono miseramente la città di Andria! [57]. Secondariamente deve at-tribuirsi alle terribili pestilenze, che nel 1505 e nel 1528 distrussero in gran parte gli abitanti di Andria! [58]. Finalmente, terminata la peste, a compimento della distruzione degli antichi documenti, vennero i così detti: Deputati delle scritture, i quali per disinfettare le carte sospette, le tuffavano nell’acqua marina o nell’aceto, e ve le restavano immerse fino a che, come allora dicevasi, non fossero purificate; ed infatti ne uscivano tanto purificate, da non potersi più leggere i caratteri, omai deleti dall’acqua! [59].

Per queste gravissime ragioni non troviamo documenti storici, relativi al miracolo della S. Spina, anteriori al 1633. È vero che la più antica memoria della esistenza della S. Spina in Andria rimonta al 1586, epoca in cui Mons. D. Antonio Resta, Vescovo di Andria, compilava l’elenco delle moltissime Reliquie, che si conservano nel grande Reliquario della Cattedrale; ma in quell’elenco niun accenno si fa, né di essere questa Spina miracolosa, né di avere nei secoli passati operato dei miracoli; si dice solo di essere una delle maggiori spine della Corona di Cristo, nella punta e nel mezzo, sparsa di macchie sanguigne [60].

1. IL MIRACOLO DEL 1633.

Il primo atto autentico, che fosse giunto a noi relativamente al miracolo della Santa Spina, avvenuto nel 25 marzo 1633, coincidendo il Venerdì Santo, e la festa dell’Annunziazione di Maria; fu rogato dal notaio Alfonso Gurgo di Andria. Verso l’ora nona di quel Venerdì Santo, tre secoli circa da noi lontano, alla presenza di Monsignor Fra Felice Franceschini, che in allora fungeva da Vescovo di questa città, alla presenza dell’Arcidiacono D. Riccardo del Monico, dell’Arciprete D. Antonio Conoscitore, dottore nell’uno e nell’altro dritto, del Cantore D. Giammaria Conoscitore, del Primicerio D. Francesco Paolo Rimedio, del Priore D. Giuseppe Tota, di D. Francesco Maggio, di D. Gian Felice Ciampa, di D. Riccardo Gurgo, di D. Agostino Palombella, di D. Riccardo di Mastrantonio, e di D. Riccardo Longo, dottore nell’uno e nell’altro dritto; con l’intervento di D. Emilia Carafa Duchessa di Laurenzana, di D. Antonio Carafa Conte di Ruvo, di D. Carlo e di D Ettore, figli di essa Duchessa, non che del clero e del popolo; la Santa Spina apparve evidentemente rosseggiante di fresco sangue e con frequente variazione del medesimo.

Nell’istrumento redatto dal Gurgo si assicurava per relazione dei maggiori, che quante volte era avvenuta una tale coincidenza, tante volte la Santa Spina era apparsa nell’istesso modo sanguigna [61].

2. IL MIRACOLO DEL 1644.

Reggeva questa Diocesi di Andria Monsignor D. Ascanio Cassiani, allorché nel 25 marzo 1644, essendo dopo undici anni avvenuta la felice coincidenza della Feria sesta della Parasceve con la solennità della Vergine dall’Angelo annunziata; circa l’ora di nona apparvero nella Sacra Spina molte e diverse gocce, e macchie di vivo sangue, le quali insensibilmente verso il tramonto del sole, si viddero scomparire. Questo prodigio venne evidentissimamente osservato non solo dal Vescovo, ma anche da quanti con lui furono presenti, dottori in sacra Teologia, e nell’uno e nell’altro dritto, magistrati, giureconsulti, medici, non che da tutto il clero regolare e secolare, da tutto il popolo, e dai forestieri accorsivi in gran numero.

Ed affinché la memoria d’un tale miracolo rimanesse profondamente e perennemente impressa nelle menti e nei cuori degli Andriesi; Monsignor Cassiani, dopo di aver rese infinite azioni di grazie a Dio per questo prodigio, comandò che se ne compilassero vari processi in forma pubblica, e che s’inserissero ancora negli Atti di Santa Visita, fatta in quell’anno [62].

Inoltre perché a tutti i presenti ed agli avvenire questo miracolo fosse palese, volle che venisse dipinto sulla parete del Coro, dalla parte dell’Evangelo [63]. In questo dipinto, in mezzo alla calca del popolo, si vedevano mescolati vari Religiosi di diversi Ordini, cittadini ed esteri, accorsi all’adorazione ed al bacio della Sacratissima Spina. A piè dell’altare, da cui si dava a baciare la S. Spina, chiusa in un’urna d’argento, si vedevano dipinti alcuni Notaj, che registravano il prodigio per atto pubblico [64].

Né basta. Monsignor Cassiani, pieno di santo entusiasmo per tanto miracolo, soggiungeva che sebbene gli avessero detto non esservi alcun documento, relativo ai miracoli operati da questa Sacratissima Spina nel passato; pure per lui era troppo sufficiente, come doveva essere per qualunque altro, quello che egli coi propri occhi aveva veduto. Epperò per ben tre volte ne parla negli Atti della Santa Visita da lui fatta nell’anno 1656 [65].

Della sopradetta pittura parla pure negli Atti della sua Santa Visita, Monsignor Triveri, nel 1694 [66].

3. IL MIRACOLO DEL 1701.

Nell’anno 1701, essendo Vescovo di Andria Mons. D. Andrea Ariani, nel concorso del Venerdì Santo con la festa della SS. Annunziata, fa, secondo il solito, solennemente esposta nella Cappella del glorioso Protettore San Riccardo la Sacra Spina della Corona di Nostro Signore. Intervennero alla sacra funzione il Vescovo ed il suo Vicario Generale, D. Domenico Antonio Manafra, il Duca di Andria, D. Antonio Carafa con Federico Conoscitore, luogotenente, il Dottor Giuseppe Alta, Giudice, Vincenzo d’Elia, Sindaco con tutti gli eletti, alquanti del Clero ed altri distinti personaggi, che pregavano. La Chiesa risuonava di pianti, di sospiri e di preghiere, massime alle parole, che dal pergamo dirigeva al popolo l’oratore D. Pietro Calcagno, Primicerio della Collegiata di S. Nicola. Finalmente verso l’ora di sesta si vide la Santa Spina, dalla sommità al basso, prodigiosamente ripiena di molte macchie di sangue, le quali dopo l’ora di nona incominciarono a scomparire. Il miracolo era avvenuto, e l’atto pubblico fu rogato dal Notaio Girolamo de Micco di Barletta, casato e domiciliato in Andria; mentre il processo ecclesiastico, per ordine del Vescovo, venne compilato dal Notaio del Sant’Uffizio, D. Nicola D’Urso [67].

In quella che mons. Vescovo dall’altare maggiore mostrava al popolo raccolto in Chiesa, il prodigio; ecco improvvisamente una donna ossessa, con urli e strida, spaventare la gente, e furibonda e smaniante correre verso della sacra Spina. Senonchè, mirabile a dire!, al comando del Vescovo, l’ossessione cessò, e la infelice cadde a terra, come corpo morto cade.

La nuova del miracolo operato dal Signore nella Sacratissima Spina della sua Corona, giunse alle monache Benedettine, le quali supplicarono ardentemente il Vescovo a farglielo vedere.
Monsignore fece buon viso alle pietose loro suppliche, e la sacra Spina dalla Chiesa Cattedrale, in mezzo alle torce accese, venne dal clero processionalmente portata nella Chiesa delle monache, le quali quanto restassero consolate alla vista del preziosissimo sangue, che tutta nelle sue macchie la imporporava, non è a dire [68].

Monsignor Sarnelli nelle sue lezioni scritturali [69], e nelle sue lettere ecclesiastiche [70], parla di questo miracolo del 1701, come da lui veduto.

4. IL MIRACOLO DEL 1712.

Era il 25 marzo dell’anno 1712, allorchè coincidendo la Parasceve con l’Annunziazione di Maria, la sacra Spina rinnovò il suo solito prodigio. Le macchie suboscure di sangue si videro colorirsi d’un bel vermiglio, alla presenza di mons. D. Nicola Adinolfi, vescovo di Andria, e di quanti nella Chiesa Cattedrale, con preci e con lagrime, devotamente prostrati innanzi a quella sacratissima reliquia, pregavano e supplicavano Nostro Signore Gesù Cristo a volersi compiacere di accordar loro l’aspettato prodigio [71]. Senonchè di questo miracolo, incredibile a dire, ma pur troppo vero, non si trova documento alcuno, nè nelle schede notarili, nè negli archivi della Curia e della Cattedrale!

Fortunatamente però negli atti della S. Visita Pastorale, fatta da monsignor Gian Paolo Torti, Vescovo di Andria, nel 1722, si legge che avendo questi visitata la Reliquia insigne della Santa Spina, vidde in quella alcune macchie di color violaceo, le quali, secondo asserivano e testificavano gli astanti di avere coi proprii occhi osservato, nella coincidenza della Parasceve col 25 marzo, si cambiavano in color sanguigno, come se il sangue fosse sparso di recente [72]. Il che dimostra la veracità del prodigio seguito nell’anno più vicino al 1722, cioè nel 1712, quando gli astanti convisitatori, che furono l’arcidiacono De Robertis, l’arciprete Palombella, il cantore Tesse, il primicerio Renza ed il priore Pincerna, erano già graduati [73].

Intanto la devozione verso della Santa Spina ogni giorno più cresceva nel petto degli Andriesi, avventurati custodi d’un tanto tesoro; ed il Vescovo di Andria, Fra Cherubino Nobilione, del-l’Ordine dei Predicatori, unitamente al capitolo Cattedrale ed al clero, esponeva alla S. Congregazione dei Riti, come venerandosi nel maggior tempio di questa città, col massimo concorso di popolo, una delle sacre Spine della Corona di N. S. Gesù Cristo; si fosse benignato concedere al clero secolare della medesima città la facoltà di recitare l’ufficio proprio della S. Corona, a quella guisa che altra volta l’aveva concesso alla metropolitana di Napoli. La S. Congregazione, in data 24 novembre 1736, benignamente permise e concesse che l’ufficio della S. Spina si recitasse in uno dei venerdì del mese di marzo [74].

5. IL MIRACOLO DEL 1785.

Sotto l’Episcopato di Monsignor D. Saverio Palica, Patrizio di Barletta, e Vescovo di Andria, il 25 marzo 1785, nella felicissima coincidenza del venerdì Santo e della Festa dell’Annunziata, si rinnovò misericordiosamente il medesimo miracolo della Santa Spina. Il giovedì Santo, circa le ore 21, nella Cappella di San Riccardo, si radunarono gli Eccellentissimi Signori D. Riccardo Carafa Duca, e D. Margarita Pignatelli Duchessa d’Andria, D. Gennaro Carafa dei medesimi Duchi, il Brigatiere D. Carlo Tschoudy Colonnello delle Guardie Svizzere, il Dottor D. Matteo Tamanzi Agente della Eccellentissima Casa, D. Giuseppe Antonio d’Ambrosio Governatore, D. Michele Buontempo Giudice, il Dottor D. Giovanni Iannuzzi Erario, D. Riccardo Colavecchia General Sindaco, D. Riccardo Friuli, D. Riccardo Spagnoletti, D. Vincenzo Borzella, D. Francesco Saverio Venitucci, D. Benedetto Ursi Eletti, D. Carlantonio Antolini, Cancelliere di questa città, ed altri.

Avendo questi scrupolosamente osservata la suddetta Sacra Spina, esistente dentro un Reliquiario, ossia teca, o Ostensorio con cristalli; trovarono avere il fondo color cinerino col finimento oscuro, e quasi violaceo. Era la detta Spina della lunghezza di quattro dita circa, della grossezza d’un filo di spago, o sia d’una Spina naturale, ed aveva un segno bianco nella cuspide, come una punta d’ago. Le macchie erano di colore suboscuro. La mattina del venerdì Santo, alle ore 12 conferitisi nuovamente tutti gli attestanti nella Cappella, ed osservata la Santa Spina, non viddero alcuna mutazione, sino alle ore 16. Frattanto il P. lettore Fra Angelo da Barletta Cappuccino, con la eloquente sua parola, esortava il popolo a pregare. Il Capitolo Cattedrale, le due Collegiate, e gli Ordini Regolari alternavano fervorosamente preci e cantici. Quando alle ore 16 e minuti 5 si osservò una sensibile mutazione nelle macchie della S. Spina, le quali alle ore 21 ½ apparvero sensibilmente più vivide e dilatate. Fu allora che tutti gridarono: miracolo! miracolo! E perché Monsignor Vescovo stava infermo, la Sacra Spina fu processionalmente portata sull’Episcopio. Dopo quell’ora le macchie cominciarono a poco a poco a far ritorno al loro stato primiero.

Il regio Notaro D. Vincenzo Tedesco, legittimamente richiesto dai Reverendi signori l’Arcidiacono D. Michele Marchio, l’Arciprete D. Giuseppe Ceci, il Canonico D. Domenico Noja, e il Sacerdote D. Michele Marziani, deputati per l’infrascritta causa dal Capitolo Cattedrale, ne rogò l’atto. Altri pubblici Istrumenti furono pure compilati da altri Notai Andriesi, D. Gaetano cioè, e D. Leonardo Frisardi, D. Vincenzo Tedesco, D. Giuseppe e D. Donato Sinisi, D. Pasquale Cannone, e D. Francesco Paolo Cristiani; non che dai Notai forestieri, D. Emanuele Lopane di Trani, D. Vincenzo Tedesco di Bisceglie, D. Domenico Nicola Frascolla e D. Vincenzo Tedesco di Corato [75].

In tale circostanza l’Abate D. Domenico Medrano, prete della Cattedrale di Trani, e Vicario Generale di Monsignor D. Saverio Palica, Vescovo di Andria, pubblicò per le stampe una dotta ed accurata relazione intorno alla Sacratissima Spina di nostro Signore, e che dedicò al Duca ed alla Duchessa di Andria, D. Riccardo Carafa e D. Margherita Pignatelli.

6. IL MIRACOLO DEL 1796.

La Diocesi di Andria era retta da Mons. D. Salvatore Maria Lombardi, allorché ai 25 marzo 1796 Gesù benedetto degnavasi, nella sua misericordia infinita, rinnovare il miracolo della sua Sacratissima Spina, essendosi avverata la coincidenza del Venerdì Santo con la festa dell’Annun-ziata. Il prodigio avvenne dalle ore 16 sino alle ore 21 ½. Giusta il processo rogato pel Notaio D. Francesco Paolo Cristiani di Andria, nella Sacra Spina, si osservarono varie mutazioni, massime con alcune striscie di sangue vivide e dilatate. Allora il Rev.mo Monsignor Lombardi, e Monsignor Arciprete D. Giuseppe Ceci, ProVicario Generale, fecero trasportare la Santa Reliquia nel supportico della porta piccola della Cattedrale, il quale mette nello spiazzo, appellato la Corte, e propriamente avanti il palazzo Ducale. Quivi essendosi preparato all'uopo un Tosello [tronetto con eventuale baldacchino], sopra di esso si espose alla pubblica osservazione e venerazione non solamente di tutto il popolo Andriese, ma di molti forestieri ancora.

L’apparizione durò sino alle ore 21 ½ [76]. Di poi le macchie sanguigne della Santa Spina ritornarono al primiero loro stato [77].

NOTE
[57] UGHELLI, Italia Sacra, t. VII. - D’Urso, Storia d’Andria, lib. VI, cap. I, pag. 106. Idem, cap. VIII, pag. 124.
[58] D’Urso, Storia d’Andria, lib. VI, cap. VII, pag. 122, cap. VIII, pag. 124.
[59] ARCANGELO PROLOGO, Le Carte che si conservano nell’Archivio Metropolitano di Trani.
[60] Reliquiæ quæ conservantur in Eccl. Cath. Andriensi. Offic. S. Richardi, Primi Episc. Andriensis et Patroni, etc. Trani, Typis Josephi Crudo, MDCCXVI. Una. ex Spinis majoribus Coronæ Christi in acie et medio sanguineis maculis perfusa.
[64] PASTORE, Istoria ms. di Andria, p. II, cap. II, pag. 113, ms. di Leonetti-Troya.
[67] D’Urso, Storia d’Andria, lib. VIII, cap. IV, p. 187.
[69] Lez. XCIII, cap. CLXVIII, pag. 123.
[70] Tom. III, lett. XXXVIII.
[71] D’Urso, Storia d’Andria, lib. VIII, cap. IV, p. 188.
[73] MEDRANO, Relazione, ecc., pag. 43
[74] Asserentibus Episcopo et Capitulo et Clero civitatis Andriæ in Ecclesia Cath. eiusdem civitatis maximo cum populi concursu unam ex Spinis Coronæ D. N. I. C. venerari, et humillime Sacr. Rit. Congr. supplicantibus, quatenus Clero Sæculari præfatæ civitatis facultatem recitandi officium Coronæ Domini, alias, prout assertum fuit, Capitulo Metrop. Civit. Neapolis recitari concessum, benigne impertiri dignaretur; Sacra eadem Congr. Rit. (citra tamen approbationem assertæ S. Spinæ) oratoribus gratiam petitam in una de Feriis sextis mensis martii benigne indulsit atque concessit. Die 24 mens. nov. 1736. A. F. Card. Zondadari Pro-Præf.
[76] D’Urso, Storia d’Andria, lib. VIII, cap. IV, p. 189.

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X - La perdita ed il ricuperamento della Santa Spina.

Il 23 marzo del 1799 fu per Andria l’infaustissimo dei giorni! È vero che gli Andriesi fecero prodigio di valore battendosi da prodi con i battaglioni dei Republicani Francesi, che molte morti tollerarono e più ferite di guerrieri chiari nell’esercito; è vero che ogni casa Andriese era fatta un castello, e l’esercito di Broussier fu da essi scemato di cinquecento e più prodi guerrieri; ma quando il nemico assalì le mura con le scale, e per lo scoppio d’un obice si apri la porta del Castello, ed il Generale con la scelta dei guerrieri penetrò in città, ove trovò guerra peggiore; 687 Andriesi caddero vittima dei Francesi!

Nel saccheggio Andria perdé la statua colossale di argento del glorioso suo patrono San Riccardo: un busto di argento entro cui conservavasi la testa del medesimo: un Reliquiario che ne conteneva il Cuore, ed il Pellicranio: un altro busto anche di argento con entro la testa della Vergine e Martire Santa Colomba: l’Ostensorio con tutta l’Ostia Santa: le Pissidi, gettate sacrilegamente per terra le sacre particole: il Palliotto di argento del maggiore altare, dono di Monsignor Palica: non che la teca preziosissima, in cui religiosamente si custodiva la Sacra Spina, proprio quella teca, che quattordici anni prima avevano fatto i genitori di Ettore Carafa, che con la sua legione unitamente alla truppa Francese venne all’eccidio di Andria! In mezzo al vasto piazzale, denominato la Catuma, e precisamente sotto il palazzo Mita, a colpi di accetta fu vandalicamente spezzata l’argentea statua di San Riccardo, e divisa tra quegli avari predoni; il resto del ricco bottino fu portato in Barletta, ed ivi prodigamente venduto. Due andriesi Alessandro Parlati di Positano, qui domiciliato, e Francesco Ruta trovandosi in quella città viddero andarsi pubblicamente vendendo il Reliquiario della Santa Spina; il Parlati che poteva, non volle comprarlo, per timore di passare per uno dei saccheggiatori di Andria.

Nel processo fatto dal Vescovo di Andria pel ritrovamento in Venosa, della Santa Spina, si dice che questa col suo ricco Ostensorio fosse stata comprata in Andria, nel giorno del saccheggio, da un tale D. Michele Miseo di Spinazzola, il quale erasi qui espressamente portato per fare acquisto di oggetti rubati dai Francesi alle nostre Chiese. Forse costui dovette comprare da quei sacrileghi ladroni la sola insigne Reliquia senza dell’Ostensorio; infatti quando la detta Spina si rinvenne, si trovò senza di quello. Nel 1807 il Miseo venuto a morte lasciò in retaggio la Sacra Spina alla sua moglie D. Angela Saccinno, e questa, trapassata nel 1815, al Cantore D. Vincenzo Maria Spada, il quale la donò alla sua volta a D. Raffaele Spada, suo nipote, e questi al Vescovo di Venosa, Monsignor D. Federico Guarini. Costui finalmente, morendo nel settembre del 1836, la lasciò al suo fido cameriere, D. Gaetano Montedoro. Per lo spazio di 38 anni, quanti ne corsero dal marzo 1799 all’ottobre 1837, solamente una voce vaga diceva trovarsi la Sacratissima Spina di Andria in Spinazzola, per cui quella città dal 1800 in poi veniva inesorabilmente flagellata da grandine sterminatrice! [78].

Senonché nell’ottobre del 1837, da un tale Giuseppe Luigi Casiero di Canosa, disposato ad una andriese, e dimorante in Venosa, si seppe fortunatamente della esistenza della S. Spina di Andria in quella città. Un giorno che questi per taluni suoi affari si portò in casa del Montedoro, una figlia di costui cortesemente gli fece vedere diverse Reliquie di Santi, che suo padre aveva avuto in dono da Monsignor Guarini, soggiungendogli d’avere ancora un’urna d’argento con altre preziosissime Reliquie; ma che suo padre non voleva si mostrassero a chicchessia. Il Casiero tanto seppe dire e tanto seppe fare che finalmente riuscì a vedere l’urna, in cui si conservavano due Spine della Corona ed un pezzo della Croce di Nostro Signore.

Al Casiero, che più e più volte aveva inteso dagli Andriesi la descrizione della loro Sacratissima Spina, sciaguratamente rubata nel 23 marzo 1799, parve di riconoscerla in una di quelle due, la più lunga; ma non ne fece motto alcuno. Venuto in Andria disse a taluni sapere egli con certezza il detentore della nostra S. Spina. Questa notizia essendo giunta alle orecchie del Canonico della Cattedrale di Andria, D. Antonio Lomuscio, costui fece premurosissime e ferventissime istanze presso il Casiero per saperne i particolari; ma il Casiero recisamente gli fe’ sapere che solo al Vescovo di Andria, in allora Monsignor D. Giuseppe Cosenza, avrebbe palesato il tutto. Pertanto il 18 ottobre il Casiero, accompagnato dal Canonico Lomuscio, denunciò il fatto al Cosenza, il quale il giorno dopo affidò il geloso e riservato incarico di ritrovare in Venosa la detta S. Spina al Lomuscio, nominandolo suo speciale Delegato.

Il Lomuscio, accompagnato da suo fratello Giuseppe e dal Casiero, si portò primieramente in Melfi dal Sotto-Intendente, D. Onofrio Bonghi, il quale, letta appena la lettera a lui diretta dall’Eccellentissimo Monsignor Cosenza, il giorno 22, con un suo particolare ufficio mandò subito a chiamare il Montedoro, senza palesargli la causa. E poiché questi si scusò di non potersi colà portare per motivi di salute; il Bonghi tornò a rescrivergli una più pressante lettera, alla quale il Montedoro replicò le medesime ragioni. Allora il Lomuscio, senza perdere più tempo, munitosi di regolare ufficio del Sotto-Intendente pel Giudice Regio di Venosa, e di un’altra lettera pel Montedoro, col fratello e col Casiero venne in Venosa.

Quivi giunti, avendogli il Casiero indicata la casa del Montedoro; il Lomuscio vi si recò col solo fratello. Il cameriere, affetto da oftalmia, fortunatamente dimorava nella stanza, posta in fondo alla galleria, ove appunto in uno stipo il Casiero aveva detto a Monsignor Cosenza di conservarsi la S. Spina. Il Canonico dopo di avere cortesemente salutato il Montedoro, dopo di avergli presentata la lettera del Bonghi, francamente gli svelò l’oggetto della sua venuta. In sulle prime il cameriere impallidì, poi recisamente negò di sapere cosa alcuna di tale Spina; ma il Lomuscio soggiungendogli con asseveranza che questa Spina a lui era stata donata da Monsignor Guarini, Vescovo di Venosa, di cui era stato fido ed antico cameriere, quegli si schermì dicendo che non a lui, sibbene ad un fratello del medesimo Vescovo, che allora rattrovavasi in Lecce, era stata donata. A tale bugiarda risposta il Lomuscio prendendo le sembianze d’un ispirato, con una parola enfaticamente franca accennò a rivelazioni misteriose e straordinarie, fatte al Vescovo di Andria, le quali lo avevano certamente assicurato, come proprio lui il Montedoro fosse il detentore della Sacra Spina, rubata ad Andria il 23 marzo 1799, dai repubblicani Francesi, e che proprio in quella stanza, proprio in quello stipo, e glielo accennò con la destra, trovavisi in quel momento la Sacra Reliquia!

A questi detti, a questi chiarissimi indizi, il cameriere si scosse fortemente, e chiamato un suo figliuolo, gli ordinò di accendere delle candele. In questo frattempo il Lomuscio per mezzo di suo fratello mandò riservatamente al giudice di Venosa la lettera del Sotto-Intendente, ordinandogli che al momento si presentasse in casa Montedoro. Intanto il Montedoro accese le candele, presentò al Lomuscio un’urna di argento in cui vi erano un pezzo del legno della croce di Nostro Signore, un pezzo della S. Spina, lunga circa due dita, ed un’altra Spina lunga quattro dita. Il Lomuscio, dopo di avere diligentemente osservata la Spina più lunga, dette in un grido indicibile di gioia, ed in uno scoppio di pianto, riconoscendola per la S. Spina, involata ad Andria il 23 marzo 1799; e prostratosi riverentemente l’adorò! In questo mentre arrivava il giudice regio, che istruito del reperto, fece subito chiamare il Pro-Vicario Generale, l’Arcidiacono D. Vincenzo Maria Calvini, presso del quale volle fosse depositata l’urna.

Il Pro-Vicario, con la data del 24 ottobre scrisse subito a Monsignor Cosenza, dandogli ragguaglio del felice ritrovamento della S. Spina di Andria, e proponendogli di attendere la venuta del novello Vescovo di Venosa, onde dissuggellare l’urna, e rimettere la S. Spina in Andria. Il Cosenza, che non vedeva il momento sospirato di possedere una tanta preziosa Reliquia, ricevuta appena la lettera, il giorno 26, in compagnia dei Canonici D. Giovanni Pàstina, Cancelliere, D. Riccardo Montaruli Iuniore, D. Riccardo Brudaglio, Cantore, e D. Giuseppe Camaggio, quegli stessi che nel verbale del 18 ottobre avevano attestato insieme col Priore D. Giuseppe Iannuzzi, e D. Riccardo Bisceglie la esistenza e la perdita della detta S. Spina; si portò subito in Venosa, ove col seguito fu splendidamente ospitato in casa del signor Canonico teologo D. Domenico Rapolla.

Il giorno dopo Monsignore accompagnato dal medesimo seguito, dal Canonico Lomuscio e dal Clero di Venosa venne in casa del Pro-Vicario Generale, il quale, esposta sull’altare del suo Oratorio privato, la detta urna, fece diligentemente esaminare dal Vescovo e dai Canonici, secondo la descrizione fattane nell’atto pubblico del 18 marzo 1785, quella Spina, e tutti unanimemente, e sotto la santità del giuramento, deposero esser proprio quella la Santa Spina di Andria. Dopo di ciò la teca fu trasferita in casa dei signori Rapolla, e nell’indimani, alla presenza dell’intero Clero di Venosa, recitate prima talune preci, il Cosenza, distaccato dall’urna di argento il suggello, che portava impresso su cera lacca color rosso lo stemma di Monsignor Guarini, ed apertala, levò religiosamente la S. Spina, che ad Andria si apparteneva, la chiuse in una cassettina d’argento, che suggellò, ed affettuosissimamente depose sul suo cuore, bollente di celeste amore. Indi suggellata l’urna di Venosa, e consegnatala al Pro-Vicario Calvini, dopo di avere cortesemente ringraziati e salutati tutti, col cuore riboccante di gioia inenarrabile, ripartì per Andria. La notte pernottò in Canosa, in casa dei signori Sassani, ove si compiacque mostrare il preziosissimo tesoro a molti del Clero e del popolo.

Frattanto Monsignore da Venosa spediva un corriere in Andria avvertendo il Capitolo Cattedrale come l’ultimo giorno di ottobre ritornando egli con la insigne Reliquia della S. Spina, tutto il clero regolare e secolare, e tutte le congregazioni laicali, nonché le Autorità civili e cittadine, alle ore 22, si fossero fatte trovare raccolte nella Chiesa della SS. Annunziata, fuori le mura. Giunta l’ora, Andria tutta si riversò festante nella Chiesa e lungo le strade, che menano a quella; mentre un gran numero di primarii cittadini a cavallo, e con le carrozze, e molti del popolo a piedi, quasi alla metà della strada tra Canosa ed Andria, corsero incontro al Vescovo.

Non appena di lontano comparve la carrozza episcopale, l’aria echeggiò fortemente di grida entusiastiche di gioia, e di ripetuti spari, per darne l’annunzio ad Andria. Ed oh! chi dirà la gioia sconfinata degli Andriesi, allorquando Monsignor Vescovo, entrato nella Chiesa dell’Annunziata, e vestitosi dei pontificali paramenti, alla presenza di tutti adattò la Sacra Spina nell’Ostensorio della Cattedrale, e dopo di averne fatta fare la ricognizione dal Priore Iannuzzi e poi dal Canonico Bisceglie, dopo di avere questi con giuramento deposto sulla identità di quella, la mostrò all'immensa moltitudine di popolo genuflesso. In quel momento chi dirà quante lagrime di tenerezza e di consolazione scendessero dagli occhi di tutti? Chi dirà in quali accenti di gioia e di tripudio prorompesse ogni labbro? Chi dirà quale profonda e commovente impressione facesse sopra tutti i cuori il rombo fragoroso di mille e mille spari, e lo squillo festivo di tutti i sacri bronzi della città? Era bello vedere le strade per le quali passava la solenne processione, tutte sfarzosamente e vagamente tappezzate! Era bello vedere dai balconi, dai terrazzi, e dalle finestre, piovere olezzanti nembi di fiori sul sacro corteo!

Finalmente giunta la processione alla Cattedrale, splendidamente illuminata, e stivata di gente, questa si strinse ansiosa intorno al venerando Pastore per rivedere dopo trentotto anni la Sacra Spina, rapita sacrilegamente ad Andria; ed a tal vista rivolgendo gli sguardi, lagrimosi al cielo diceva di poter allora morire contenta, perché gli occhi loro avevano finalmente riveduta quella Santissima Reliquia; e per celeste consolazione piangevano, e sospiravano! Intanto il Canonico Teologo della Cattedrale, in allora D. Antonio Regano, salito sul pergamo, diresse agli astanti un commovente discorso, rilevando il rarissimo pregio della S. Spina, mirabilmente ritrovata quasi alla vigilia del miracolo, che sarebbe avvenuto nel 1842. Finalmente la solenne benedizione impartita al popolo da Monsignor Vescovo, con la insigne Reliquia, coronò la festa di quel giorno, rimasto memorando per Andria, la quale ogni anno canta un solenne Tedeum di ringraziamento al Signore, che faceva ritornare tra le sue mura la Sacra Spina. In tale ricorrenza furono distribuite varie poesie scritte all’uopo, fra le quali una in ottava rima di molto pregio del signor D. Giuseppe Pavone di Bari [79].

In memoria perenne di questa invenzione, furono composti altri cinque esametri, che unita-mente ai sedici dell’antica teca, dovevano essere incisi sulla nuova; ma forse per mancanza di spazio non furono incisi né quelli, né questi. Essi sono i seguenti:

Quam cernis Spinam hinc peregrina in littora traxit
Dextera rapax, ferro quum sterneret omnia Gallus;
Iosephi intemerata manus, pietasque verenda
Antiquam in sedem Venusina ex urbe reduxit.
Inclytus ah vivat Praesul per saecula sospes! [80]

I quali versi italianamente suonano così:
La Spina, che tu vedi, di qui in lidi lontani la portò la destra rapace del soldato Francese, allorquando tutto con la spada distruggea. La intemerata mano, e la veneranda pietà di Monsignor Giuseppe Cosenza la ritornarono dalla città di Venosa all’antica sua sede. Ah! viva incolume per molti e molti anni l’inclito Pastore!

NOTE
[79] Processo sul reperto della S. Spina di Andria, tolta nel saccheggio del 1799 (Curia Vesc. di Andria).
[80] D’Urso, Storia d’Andria, libr. VIII, cap. IV, pag. 189.

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XI - Il nuovo Reliquiario della Santa Spina.

Mancava intanto un Reliquiario d’argento, ove decentemente collocare la Sacratissima Spina; ed ecco il pio cittadino don Vincenzo Morselli sobbarcarsi ben volentieri alla non lieve spesa di migliaia di ducati per fare lavorare in Napoli un bellissimo Ostensorio, che fosse degno d’una tanta Reliquia insigne.

Il nuovo Reliquiario è tutto di argento, alto centimetri 80 dal vertice della crocetta sino alla sua base, che è di figura quasi ovale, ornata vagamente di foglie d’acanto, di ovoli schiacciati e di modanature. Essa poggia sopra quattro piedi, somiglianti ad altrettante volute, le quali con varii ornamenti vanno a terminare in graziosissime testoline di serafini. Ai lati di questa base siedono due angioletti; quello di destra porta i chiodi, la croce, la lancia, e la canna con la spugna, e quello di sinistra la scala, il martello, e la tanaglia. Da questa base s’innalza un gambo artisticamente lavorato, adorno dello stemma di Andria, e di una immaginetta dell’Addolorata contornata di rubini. Sopra un gruppo di nuvolette, che poggia su questo gambo, si eleva uno svelto ed elegantissimo tempietto quadrilatero, formato da quattro colonnine scannellate, con capitelli corinti, e basi quadrate. Al di sopra di questi capitelli s’impostano quattro archi semicircolari ben incorniciati, i quali sostengono una svelta cupoletta, liscia nell’interno, ed intarsiata a scaglie nell’esterno. Una sfera, sulla quale s’innalza una crocetta, la sormonta. Agli angoli del tempietto stanno seduti quattro angioletti con le braccia aperte quasi ad esprimere il loro spavento alla vista di quell’orribile Spina, che trafisse il capo di Nostro Signore. Nell’intercolunnio si veggono altri due angioli, dei quali quello di destra stringe nelle mani il santo Sudario, e quello della sinistra la colonna ed i flagelli. Dentro il tempietto, sopra una base d’argento dorato, della lunghezza di circa tre centimetri, vi sono quattro teste di Serafini, con le ali formate da rosette di rubini, mentre ai due lati stanno inginocchiati in atteggiamento di profonda adorazione due angioletti. Nel mezzo evvi un piccolo cono, fregiato in basso da un serto di rubini e di perle, e sopra da un anello formato anche di rubini, dal cui centro escono quattro piccole foglie dorate, fra le quali sta infissa la Sacratissima Spina della Corona di Gesù Cristo, la quale da tanti secoli forma l’ornamento più bello e più prezioso della città di Andria. Finalmente una campanetta di limpidissimo cristallo, alta circa tredici centimetri, con l’orlo fasciato di argento, bellamente e religiosamente covre l’elegante gruppo.

È questo il nuovo Reliquiario della Santa Spina di Andria, ed è l’eloquente testimonio della splendida munificenza e della singolar pietà di Vincenzo Morselli, che pure a sue spese ornò d’una ricchissima cornice d’argento l’Immagine dell’Addolorata, che si venera nella Cappella del SS. Crocifisso, sotto l’organo della Cattedrale.

7. UN MIRACOLO STRAORDINARIO DELLA SANTA SPINA NEL 1837.

Monsignor don Giuseppe Cosenza, Vescovo di Andria, a richiesta del clero e del popolo, aveva ordinato che la Santa Spina, ritrovata in Venosa, fosse per lungo tempo solennemente esposta sull’altare maggiore della Cattedrale, affinché ognuno avesse potuto avere l’agio di vederla, di venerarla, e di effondere innanzi a quella il proprio cuore.

Il primo novembre pertanto essendo stata esposta dentro l’Ostensorio, nel quale fu riposta il giorno innanzi; ecco che, verso le ore 22, Monsignor Vescovo veniva avvertito dal Cancelliere della Curia, il Canonico don Giovanni Pastina, che la Santa Spina osservavasi alterata dallo stato naturale, in cui stava prima. Il Cosenza, a tale inaspettato annunzio, si portò subito in Chiesa, fissò attentamente l’occhio sulla Sacra Spina, e con sua massima sorpresa, e con un sacro terrore, vide che le macchie suboscure, esistenti lungo lo stelo di quella, si erano sensibilmente nel loro colorito ravvivate, anzi erano addivenute rosse! Dopo avere il Vescovo da solo osservata una tale novità, fece l’uno dopo l’altro venire i Canonici che l’avevano osservata in Venosa ed in Andria, e questi dopo di averla separatamente e diligentemente osservata; non potettero concordemente non riconoscere il ravvivamento del colore di esse macchie. In questo frattempo essendo entrato in Chiesa don Rocco Sassani di Canosa, il quale aveva osservata la detta Santa Spina, il giorno 30 del prossimo passato ottobre, quando nel passaggio fatto colà dal Vescovo e dal suo seguito, stettero tutti alloggiati in sua casa, distinse subito il cambiamento in quella avvenuto. A tale vista straordinaria unanime si levò un grido di gioia e di ammirazione da quanti stavano in Chiesa, vedendo quasi anticipato il miracolo, solito a fare nella coincidenza del venerdì santo con la festa della SS. Annunziata; vedendo con un miracolo autenticata l’identità della Santa Spina, involata ad Andria, il 23 marzo 1799, d’infaustissima memoria.

Né questo miracolo straordinario della Sacratissima Spina durò un solo giorno; ma un intero mese, come rilevasi dal seguente attestato rilasciato dal Santo Vescovo, Monsignor Cosenza, di poi Cardinale di Capua:

«L’anno 1837, il giorno 2 dicembre in Andria.
Noi Monsignore Giuseppe Cosenza, Vescovo di Andria, avendo osservato nel primo giorno del prossimo spirato novembre lo straordinario ravvivamento delle macchie della Sacrosanta Spina, ricuperata, la Dio mercè, da questa nostra Chiesa dopo la perdita fatta nel saccheggio del 1799, giusta il nostro verbale della data del dì primo novembre, siamo stati col nostro Clero e popolazione intenti ad osservare ogni giorno il suddetto sacro pegno della incoronazione di nostro Signore, per vedere la durata del detto miracolo, e sempre più magnificare la speciale grazia, che in tale occasione riceviamo da Dio. E facendo le anzidette osservazioni, abbiamo conosciuto che insino alla giornata di ieri, primo del corrente decembre, il descritto ravvivamento delle macchie siasi costantemente conservato, senza alcuna varietà lungo lo stelo di essa Santa Spina. Questa mattina poi, essendo al solito esposto l’Ostensorio in discorso, sull’altare maggiore di nostra Chiesa, abbiamo chiaramente ravvisato che la Santa Spina ha ripigliato il suo natural colorito, essendo le macchie ritornate ad avere il colore cinerino suboscuro di prima.
Locchè si è ben anche constatato da tutti gli astanti intervenuti in detta Chiesa» [81].

In tal modo Nostro Signore Gesù Cristo mostrò il suo divino compiacimento in vedere la Sacratissima Spina della sua Corona ritornata un’altra volta in mezzo al suo diletto popolo Andriese.

8. IL MIRACOLO DEL 1842.

Erano passati cinque anni, da che la Santa Spina della Corona di nostro Signore stava in mezzo all’amato suo popolo Andriese, ed era riverentemente adorata dal fortunatissimo Pastore, che avea avuto la consolazione di ritrovarla, dopo trentotto anni di lutto; ed ecco, come pel passato, suonare l’ora sospirata, in cui dovea avvenire il miracolo.

Nel 25 marzo 1842, coincidendo il Venerdì Santo, e l’Annunziazione di Maria; Monsignor D. Giuseppe Cosenza, Vescovo di Andria, Monsignor D. Giovanni Costantini, Vescovo di Molfetta, ed i più distinti personaggi del Clero, della cittadinanza, e delle autorità, civili e militari, stavano devotamente genuflessi innanzi alla Sacratissima Spina, esposta sul maggiore altare della Cappella di San Riccardo, pregando e supplicando tra lagrime e sospiri Gesù benedetto, affinché si fosse degnato rinnovare l’antico prodigio. Ma in tutto quel giorno, segno alcuno di miracolo non fu visto nella Santa Reliquia! Le molte e diverse macchie di color rosso oscuro, di color rosso dilavato, di color lividognolo, ed altre di color smorto rimasero nel loro stato primiero. Come pure rimase quasi nel suo stato naturale la macchia più rosacea, che si vede nella sua punta. Il miracolo tanto sospirato non era avvenuto! Se nonché verso le ore 23 della sera essendosi riportata la Santa Spina sull’Episcopio, con indicibile sorpresa, si osservò ravvivata in modo da sbucciare in delicatissimi fiorellini d’un colore argentino, come quelli delle spine. La loro grandezza era quanto la testa d’una spilla, ed il gambo di una sottigliezza estrema. Questo prodigio si osservò tutta la sera del Venerdì Santo. La mattina poi del Sabato Santo, fattasi maggiore diligenza; mediante il microscopio ed altre lenti d’ingrandimento, si potettero distinguere altri fiorellini più piccoli, anche di color argentino [82].

In tale ricorrenza D. Bernardino Maria Frascolla, Can.co Teologo della Cattedrale di Andria, di poi Vescovo di Foggia, pubblicò sul periodico Scienza e Fede, un bellissimo e dottissimo articolo intitolato: La Santa Spina ed i fiori [83]. Inoltre il Cosenza, per dare a Dio un pubblico attestato di riconoscenza e di ringraziamento per tale miracolo, ordinò un triduo solenne nella Cattedrale, con l’intervento di tutto il Clero secolare e regolare, nonché delle Autorità di Andria. Nella messa cantata dell’ultimo giorno vi fu un analogo discorso del Teologo Regano. Finalmente ordinò una devota processione da farsi il 5 maggio, giorno dell’Ascensione di Nostro Signore [84].

9. IL MIRACOLO DEL 1853.

Il Venerdì Santo del 1853, coincidendo con la festa dell’Annunziazione di Maria, il miracolo della Santa Spina si rinnovellava.

Secondo il processo rogato per mano del Regio Notaio D. Michele Cristiani del fu Francesco Paolo, Monsignor D. Giovanni Giuseppe Longobardi, Vescovo di Andria, il suo Pro-Vicario Generale, Monsignor D. Giovanni Arciprete Pàstina, Prelato Domestico di Sua Santità, nonché i Rev.mi Primicerio D. Giuseppe Troya, il Priore D. Vincenzo Latilla, ed altri ecclesiastici, come pure il Giudice Regio D. Ferdinando Pionati, il Sindaco D. Riccardo Iannuzzi, ed i Dottori fisici D. Tobia Bisceglie, D. Francesco De Giorgio, D. Vincenzo Ieva, D. Giuseppe Chicco, D. Vincenzo Camaggio, ed il Notaro D. Giovanni Latilla, ed altri, attestarono che nel Palazzo Vescovile, e propriamente nella stanza di abitazione del Vescovo, conservavasi in un Ostensorio d’argento la insigne e miracolosa Reliquia di una delle maggiori Spine, che trafissero la testa di Nostro Signore. Nove giorni prima il Vescovo aveva preparato il popolo al conseguimento del sospirato miracolo con atti speciali di preghiere, e col ricordarne l’adempimento mediante il suono delle campane alle ore due di sera.

Il giorno 23 dell’istesso mese la Sacra Reliquia, processionalmente rilevata dalla stanza del Vescovo, fu portata nella Cappella di San Riccardo, ove dai professori di medicina fu fatta la ricognizione dello stato in cui allora trovavasi.

Dopo tale esatta ricognizione rimase esposta sino al mattino del Venerdì Santo alla pubblica venerazione. Alle ore 16 di tal giorno i Rev.mi Monsignor Arcidiacono D. Nicolantonio Brudaglio, Monsignor Arciprete D. Giovanni Pàstina, il Primicerio D. Giuseppe Troya, il Predicatore Quaresimale D. Sozio Porretti, ed altri entrarono nella Cappella di San Riccardo, per pregare ed osservare il sospirato miracolo. Monsignor Vescovo salì sul pergamo, e dette principio alle preghiere, eccitando tutti con fervoroso discorso alla penitenza ed alla fiducia in Gesù ed in Maria Addolorata. Terminato questo discorso si cantò il Miserere, dopo del quale ebbe luogo un altro sermone, con cui si esortava il popolo devoto a ricorrere alla Madre dei sette dolori. Indi si recitò la Coroncina dell’Addolorata e si cantò lo Stabat.

In questo frattempo cominciossi a notare un certo cambiamento nella parte estrema della Sacra Spina, che comparisce intrisa del preziosissimo sangue. Proseguendosi le preghiere, ed avvicinandosi l’ora di sesta, il mutamento della macchia sanguigna della punta si fece sempre più sensibile. Finalmente la punta si vidde addivenuta del tutto vermiglia, e come intrisa di fresco sangue, marcandosi specialmente la lucidezza che l’accompagnava, ed un cerchio suboscuro, che principiava ove appunto terminava la macchia del preziosissimo sangue. Alle ore 19 tutti unanimemente gridarono al miracolo, e tutti alla vista del miracolo proruppero in pianti di tenerezza, di consolazione, e di compunzione. Allora Mons. Vescovo, colla solita sua santa unzione, eccitò il popolo a rendere grazie a Dio, alla Vergine Addolorata ed a San Riccardo per l’ottenuto miracolo. Indi sceso dal pergamo, si condusse nella detta Cappella, e dopo di essersi umilmente prostrato con la faccia per terra, dopo di avere con un proluvio di lagrime adorata la Spina Sacratissima; la diede a vedere ed a baciare a tutti [85].

Intanto la insigne Reliquia essendo rimasta esposta in essa Cappella per essere adorata, si osservò che la sua alterazione dallo stato normale perdurò sino al giorno di Pasqua, siccome concordemente attestarono il Predicatore Quaresimale, Fra Michele da Valenzano Definitore dei Minori Osservanti, D. Pasquale Fasoli, D. Pasquale Cafaro, D. Nicola Ceci, D. Riccardo Porro e D. Nicola Fasoli. Solo osservavasi questa differenza che, mentre nel Venerdì Santo il cambiamento era in tutta la circonferenza della punta; nel Sabato Santo poi e nel dì di Pasqua si notò nel lato destro della stessa. Nella settimana di Pasqua varie Confraternite vennero dalle città vicine ad adorare la Sacra Spina, e Monsignor Longobardi, quasi a corona delle feste celebrate per questo miracolo, volle fare una solennissima processione portando egli pontificalmente per la città la Sacratissima Spina. In quel frattempo, e propriamente nella strada di S. Chiara, le macchie ritornarono a farsi vivide più che nel dì stesso del miracolo; per cui il Santo Vescovo ed i due Ministri assistenti non potettero contenere le lagrime, che copiose scendevano loro dagli occhi!

10. IL MIRACOLO DEL 1864.

Se da una parte Monsignor Longobardi devesi, tra i Vescovi di Andria, appellare il più fortu-nato, mentre nel tempo del suo episcopale regime due volte Gesù benedetto si benignò operare il prodigio nella sua Sacratissima Spina; dall’altra parte è da dire sfortunato, mentre non gli fu permesso mirare il prodigio del 1864. Esule dalla sua Diocesi, per la nequizia dei tempi, traeva dolorosi i suoi giorni lontano dagli amati figli suoi, in Napoli, nel Chiostro della Maddalena degli Spagnoli, tra i Padri Agostiniani! Ma il giorno 25 marzo di quell’anno, sebbene lontano col corpo, certamente era egli in mezzo agli Andriesi coi suoi pensieri e coi suoi affetti; certamente era accanto alla tomba di San Riccardo, era innanzi alla Spina Sacratissima di Nostro Signore a pregare e scongiurare la divina misericordia affinché, come l’altre volte, si fosse degnata di operare il sospirato miracolo. E Dio lo esaudì, chè le lagrime d’un Pastore, tanto buono e zelante, non potevano cadere invano ai piedi del grande Pastore delle anime!

Alle ore 17 ½ del Venerdì Santo, Monsignor D. Giuseppe Iannuzzi, Vescovo di Lucera, il Pro-Vicario Generale D. Nicolantonio Brudaglio Arcidiacono e Prelato Domestico, il Sottoprefetto di Barletta, il Giudice Regio di Andria, i dottori fisici D. Giuseppe Chicco, D. Vincenzo Camaggio, D. Riccardo Sperone, D. Vincenzo Bisceglie, D. Giuseppe De Simone, e D. Francesco Senisi; i Chimici, D. Tommaso Porziotta e D. Riccardo Senisi; il Legale D. Domenico Antonio d’Ettole, ed altri distinti personaggi del Clero e della nobiltà erano già genuflessi innanzi alla Sacratissima Spina, esposta sul maggiore altare della Cappella di San Riccardo. Un popolo immenso, devoto, ansioso di vedere il miracolo riempiva le tre navate della Chiesa. Da tutti s’innalzavano fervide preghiere al cielo, da tutti si sospirava e si piangeva; mentre dal Quaresimalista, il P. Salvatore de Silvestris del SS. Redentore, di poi Vescovo di Conversano, si eccitava il popolo alla confidenza nella divina misericordia.

Ed ecco che, alle ore 20 e minuti 35, nella punta scheggiata della Santa Spina cominciò a manifestarsi una lieve tinta color rosso cupo. Alle ore 20 e ¾, questa tinta si fece più carica, ed intorno alla punta occupò uno spazio lungo due linee. Alle ore 21 compite, tutti scorsero la detta tinta, ma senza rigonfiamento, né lucido; nel resto della Spina non eravi cosa di straordinario a rimarcarsi, meno la parte concava della punta, ove la naturale sua macchia offriva una tinta di un pavonazzo più scuro ed alquanto più esteso. Fu allora che i periti sanitari, i chimici all’uopo assistenti, non che le autorità locali unanimemente proclamarono l’avvenimento straordinario ad un popolo, che stivato riempiva le navate del tempio, e che senza la assistenza di armati, ma dei soli Seminaristi, mai si mostrò sì devoto, sì docile, sì saggio e sì mansueto [86].

Per solennizzare un tale miracolo, avvenuto nel 25 marzo 1864, i giovani alunni del Venerabile Seminario Diocesano di Andria, fungendo da Rettore l’egregio Can.co Primicerio della Cattedrale, D. Giuseppe Maria Marziani, Dottore nell’uno e nell’altro dritto, e da Professore di belle lettere il Sacerdote D. Leopoldo Barbarossa, ora Arcidiacono di Minervino Murge, sotto l’alta direzione del Can.co Teologo, di poi Arcidiacono della Cattedrale D. Alessandro Parlati [87], che all’uopo scrisse varie e belle poesie; dopo un mese, tennero una bellissima ed applauditissima Accademia poetica, intitolata: «Andria e la Sacra Spina» stampata in Napoli, nel 1866, pei tipi del Cav. Nobile.

Fu questo l’ultimo miracolo, che nel secolo XIX fece la Sacratissima Spina di Andria; verrà il secolo XX, e nel 1910, nel 1921 e nel 1932, il miracolo sarà misericordiosamente rinnovato;

Però quando i nepoti di stupore
Innalzeranno il grido al gran portento,
Come animato da vitale ardore,
Il cener nostro esulterà pur spento,
E pregherà, che di miglior ventura
Parli il prodigio a quell’età futura [88].

NOTE
[81] Processo sul reperto della S. Spina di Andria, ecc.
[82] Vedi documento X.
[83] Di molte Spine della S. Corona si legge essersi prodigiosamente vestite di fiori. Costantino V Imperatore avendo donato a Carlo Magno alcune Spine della detta Corona, queste miracolosamente alla sua presenza fiorirono. BERN. DE BRITTO, Hist. Cister., lib. VI, cap. XXVI.
I Cavalieri di Malta sull’altare della cappella magistrale, in Rodi, avevano una Spina, che nel 1457 fiori prodigiosamente. DOULTREMON, lib. II, cap. XII.
Nel castello di Montone nell’Umbria, tra Perugia e Gubbio, vi è una Spina della Corona di Cristo, portata dal capitano Fortebracci, la quale fiorisce miracolosamente ogni anno, nel Venerdì Santo, dall’ora di sesta a quella di nona. ZILOTTI, Miniera del Calvario.
[87] Cominciò a scrivere una dotta monografia su questa S. Spina; ma la morte gli troncò a mezzo il lavoro, che la cortesia del fratello Canonico D. Riccardo mi facea leggere.
[88] D. AGOSTINO BORRELLI, Primic. di Minervino Murge. L’addio ed un voto, sestine. Andria e la S. Spina.

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XII - Un Voto ardente.

Le insigni reliquie delle Sacre Spine della Corona di Nostro Signore furono sempre tenute in grandissima venerazione presso dei popoli cristiani, che si stimarono fortunati quant’altri mai di possederne qualcuna. E testimoni di tanta loro stima e profonda venerazione furono senza dubbio alcuno i templi e gli altari innalzati per onorarle quanto più splendidamente da loro si potesse. Così San Luigi IX Re di Francia, per onorare la Sacratissima Corona di Spine, portata da Costantinopoli, costruì la Santa Cappella, meraviglia d' architettura gotica, e vi fondò un Capitolo di Canonici per celebrarne le glorie. Nella medesima epoca i Pisani, avendo fortunatamente ottenuta un’altra porzione della Santa Corona, innalzarono in onore di quella la celebre Chiesa di Santa Maria della Spina. Petilia Policastro, nella Provincia di Catanzaro, avendo avuto la buon fortuna di possedere una Spina della Corona di Nostro Signore, le dedicò, per onorare questa insigne Reliquia, un Convento di Frati minori, nella cui Chiesa si venera, chiamandolo il Convento della S. Spina.

Andria è vero che per questo Sacro pegno ha avuto sempre grande venerazione, e lo attestano eloquentemente i quattro splendidi Reliquari, fatti, in vari tempi, per onorarlo; ma -è pur vero che mai ha pensato a rizzargli, non dico un tempio, ma un altare almeno! Anzi per debito di storico imparziale, debbo aggiungere che la Spina, ad eccezione del primo Venerdì di Quaresima in cui la si festeggia modestamente, del Venerdì Santo, in cui si porta in processione dalla Confraternita di S. Sebastiano, dell’ultimo giorno di ottobre e del primo di novembre, in cui si commemora il suo ritorno da Venosa in Andria, e di qualche straordinaria circostanza; in tutto il resto dell’anno giace polverosa e negletta nel Tesoro di S. Riccardo, dove neppure una lampada le arde dinanzi! Pertanto fo voti ardenti, perché questa insigne e veneranda Reliquia, che non la si può mirare senza un profondo commovimento, e che a ragione formerebbe l’orgoglio d’ogni popolo cristiano, venga in avvenire con maggiore venerazione tenuta, e che una lampada le stia accesa dinanzi di giorno e di notte, e che le si dedichi almeno un altare. Così il popolo Andriese mostrerebbe una volta di più il suo rispetto, la sua venerazione, e la sua stima per una delle maggiori Spine della Corona di Nostro Signore, che provvidenzialmente la Contessa Beatrice d’Angiò donava ad Andria sua.

È questo il voto ardente dell’animo mio, che con un dolcissimo bacio depongo su quella Spina adorata, fidente che vorrà trovare un’eco armoniosissima nei cuori dei miei cari concittadini, e che Gesù vorrà accogliere dal cielo questo bacio e ricambiarmelo colle sue grazie e con le sue più elette benedizioni.

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DOCUMENTI

I. - [documento del 1633]

Actus publicus pro Reverendo Clero, et Capitulo Cathedralis Ecclesiæ Andrien.
Die vigesimo quinto mensis martii primæ Indict. 1633, in civitate Andriæ, habita licentia etc. ob Festum Sanctissimæ Annuntiationis Beatæ Virginis, coram Ioanne Petro Conte Iudice, Rev. D. Vincentio Meli, Carolo Antonio Quarto U. I. D. Richardo Guadagno, Iacobbo Greco, et Petro Paulo Conte de Andria etc.
Quo prædicto die. Accersitis nobis Iudice, Nothario, et Testibus ad Venerandam Ecclesiam Cathedralem Civitatis Andriæ. Ad præces nobis factas nomine, et pro parte infrascriptorum Reverendorum Dignitatum, et Sacerdotum eiusdem Ecclesiæ, et dum ibidem, et prope intus Sacristiam prædictæ Ecclesiæ invenimus eosdem Reverendos in unum congregatos intra Sacristiam prædictam pro infrascripto actu peragendo, v[idelicet] Reverendos D. Richardum del Monico Archidiaconum, D. Antonium Cognitorem U. I. D. Archipresbyterum, D. Ioannem Mariam Cognitorem Cantorem, D. Ioseph Tota Priorem, D. Franciscum Paulum Rimedium Primicerium, D. Franciscum Maggio, D. Ioannem Felicem Ciampa, D. Richardum Gurgum, D. Augustinum Palumbella, D. Richardum de Magistro Antonio, et D. Richardum Longo U. I. D.
Adstantibus ibidem Illustrissimo et Reverendissimo Domino Fratri Felice Francischino Dei et Apostolicæ Sedis gratia Episcopo Andrien, Illustrissimis et Excellentissimis Dominis D. Emilia Carafa Ducissa Laurentiani, D. Antonio Carafa Comite Ruborum, D. Carolo, et D. Ectore Carafa filiis dictæ Excellentissimæ Dominæ Ducissæ Carafa.
Ipsi quidem Reverendi Dignitates et Sacerdotes attente nos requisiverunt, ut in scriptis reduceremus id, quod evenit hodie mane in una ex Spinis Majoribus Coronæ Domini Nostri Jesu Christi, qua coronatus fuit in die sacratissimæ suæ Passionis, nam eadem Spina apparuit, prout ad præsens evidentissime apparet sanguinolenta, et cum frequenti variatione sanguinis prætiosissimi Capitis Domini Nostri Jesu Christi, et ex relatione eorum Majorum perceperunt, quod quotiescumque die Sancti Veneris inciderit in vigesima quinta die mensis Martii, prout est hodie, semper apparuit eodem modo, ut supra expressum, ut modo apparet in Tabernaculo argenteo per Inscriptionem circum circa olim factam huiusmodi etc.
Quibus omnibus, et singulis sic peractis fuimus attente requisiti, ut prædictum conficere debemus Actum publicum. Nos enim etc. Unde etc.

Præsens Copia extracta est a suo proprio Originali sistente in actis quondam Notarii Iohannis Alphonsi Gurgo, cuius scæda penes me etc. cum quo facta collatione, licet aliena manu, concordat, meliori semper salva etc.
Et in fidem Ego Notarius Vincentius Tedesco Andriæ Conservator dictorum Actorum requisitus signavi.
Andriæ die quinta mensis Martii 1785 __ Adest signum Notarii in forma.

[copia tratta direttamente dalla “Relazione del prodigio … ” del Medrano.]

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II. - [documento del 1644]

Ex S. Pastorali Visitatione Ascanii Cassiani Episcopi Andriæ 1644

Quinto loco fuit allatum, et ostensum Tabernaculum ubi fuit dictum asservari unam ex Spinis Coronæ, qua Dominus Noster IESUS CHRISTUS in sua acerbissima Passione coronatus fuit, intus Thecam, quæ est in præfato Tabernaculo, cuius forma, dispositio, et materia fuit adunguem descripta in Instrumento, et Instrumentis, nobis præsentibus et assistentibus, et aliis in Sacra Theologia, et U. J. insignitis, feria quarta, feria quinta, feria sexta, et Sabato Majoris hebdomadæ proximé elapsæ hujus præsentis anni 1644.
Cum dicta feria sexta, quæ incidit in Festum Sanctissimæ Annuntiationis Deiparæ Deus fecit mirabilia magna, etenim prædicta feria sexta in Spina apparuerunt multæ et diversæ guttæ, et maculæ Sanguinis circa horam nonam, et non solum a Nobis, et supradictis, qui Nobiscum semper adstiterunt, fuerunt evidentissimæ visæ, et conspectæ, sed etiam a toto Populo et tota Civitate, et etiam exteris per totam diem illam et circa Solis occasum insensibiliter deficiebant.
Ita et taliter, quod in Sabato Sancto pro mane Spina fuerit evidentissime visa, et conspecta a Nobis, et supradictis, ac aliis in suo priori statu, de quibus omnibus infinitas gratias egimus Deo, et mandavimus fieri Instrumentum, et Instrumenta ad futuram tantæ rei memoriam; quod quidem Instrumentum et Instrumenta in publica forma mandamus hic inferi, adprobantes in omnibus illud, et illa; et licet pariter dicant interrogati non adesse aliud documentum, et scripturas pro dicta Spina, sufficit Nobis, et satis esse debet cuicumque alio id quod propriis oculis nostris vidimus et conspeximus, et quod omnes viderunt et conspexerunt.

Extracta est præsens Copia ex actis Pastoralis Visitationis quondam Illustrissimi, et Reverendissimi Domini Ascanii Cassiani Episcopi Andriensis de anno 1644., qui per me asservantur in Archivio hujus Episcopalis Curiæ, cum quibus facta collatione concordat.
Et in fidem etc. Nicolaus Abbasciano Cancellarius et Archivarius.

[copia del brano della Visita Pastorale, tratta direttamente dalla “Relazione del prodigio … ” del Medrano.]

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III. - [documento del 1656]

Nomen Caroli Secundi in Tabernaculo argenteo, ubi in aurea Theca gemmis et margaritis ornata, asservatur una ex Spinis majoribus Coronæ D. N. I. C.
Et Deus ouinipotens tempore humillimi Præsulatus nostri fecit in ea mirabilia sua, et nos non modo documento et documentis publicis, præsentibus tunc pluribus in S. Theologia Doctoribus ac magistratis et Iureconsultibus, ac Medicis, totoque Clero et populo, probavimus, et ex instrumentis prædictis; sed etiam ut cunctis pateat, in Choro dipingi mandavimus.

Ex Act. S. Visit. Ascanii Cassiani E.pi Andrien, 1656 (Curia Vescovile)

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IV. - [documento del 1694]

A latere Evangelii depictum est miraculum S. Spinæ Coronæ D. N. I. C. in qua anno Domini 1644, die Veneris Sancti, in quo incidit festum Annuntiationis B. V. Mariæ, visæ fuerunt quædam guttæ, seu maculæ sanguinis non solum ab Ill.mo et Rev mo tunc temporis E.po et a pluribus piis et doctis viris, sed a tota pæne Civitate, et a multis etiam exteris, qui a rei novitate alletti Andriam convenerunt.
Circa vero solis occasum cæperunt dictæ guttulæ paulatim deficere, ita ut in mane Sabati Sancti in suo pristino et naturali statu ab iisdem conspecta fuerit.
Hoc totum habetur in Actis Visitationis anni 1656.

Ex Act. S. Visitationis E.pi Triveri 1694 (Curia Vescovile).

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V. - [documento del 1701]

Attestatio pro Spina Christi.
Die vigesimo quinto mensis Martii, Nonæ indictionis millesimo septincentesimo et uno, in Civitate Andriæ, coram Nothario Hyeronimo de Micco de Barulo Andriæ uxorato et commorante, Regio ad contractus Iudice etc. …
In nostri præsentia personaliter constituti
J. U. Doctores Richardus de Anelli, Paulus Colavecchia, Nicolaus Politi, Dominicus Aurosicchio,
Nobiles Dominicus Antonius Sagaria, Richardus Tesoriero, Anibalis Accetto, Joannes Laurentius Guadagno, Joseph Dominicus Curtopassi, Richardus Tupputi, Nicolaus Accetto, Dominicus Accetto, et Franciscus Fellecchia,
Civiles Nicolaus Angotta, Ascanius Paglia, Antonius Aurosicchio, Marcellus Facinio, Lutius Conte, Ioseph de mutiis, Franciscus Catasaregna, Petrus Angotta, Richardus Conte, Felix Angotta, Franciscus Conte, et Joannes Laurentius Angotta dictæ fidelissimæ Civitatis Andriæ.
PP. Magister Pepe Carmelitanus, Rev. D. Franciscus Micale, Rev. D. Joannes Antonius Micale, Rev. D. Antonius Palmerio, Rev D. Franciscus Lobello, Magnificus Angelus Antonius, Clericus Joseph Antonius, et Clericus Joseph Palmerio, Franciscus Antonius Fasana, U.J. Doctor Franciscus Paulus Patruno, Subdiaconus Felix Patruno, Joseph Nicolaus Balducci, Cajetanus Brisoli de Terra Corati, Nicolaus Pozzuoli d’Altamura, Stephanus Machi Sicilianus, R. P. Frater Joannes a Rubis Cappucinus, D. Didacus Rodrigues Hispanus, Dominicus Antonius Gallina de Sancto Stephano, Rev. D. Alexander Grosso de Pesco Asseroli, Natalis Rongaldi Romanus, Rev. D. Amicus Giglio de Ortona de Marsio, Michael Patruno de Corato, et nobilis Joannes Donatus Ciano de Rubis Agentes etc.
ad infrascripta omnia etc. pro se ipsis etc. qui sponte asseruerunt coram Nobis in vulgari sermone loquendo simul cum me Notario, et Judice Regio ad Contractus v[idelicet]:
«Come nella Venerabile Cappella del glorioso S. Riccardo, principal Padrone della fedelissima città di Andria, conservandosi una gran copia di Sacrosante Reliquie de’ S. Martiri, Confessori e Sante Vergini, che collo spargimento del proprio sangue, e colla perfezione de’ religiosi costumi hanno così illustrata la nostra Santa Fede, siccome hanno accertata la di loro eterna salvezza; fra quelle conservandosi in uno Spiracolo di cristallo, una delle Spine della Corona, che alle tempia del Nazareno Gesù formò di giunchi marini la Giudaica perfidia, donata a quella Chiesa, tra le altre sue Regie munificenze, dalla gloriosa memoria del Re Carlo II di Francia, siccome da questi versi in piedi del detto Spiracolo si scorge:

Ad nos Trinachiæ Carolus Rex ille secundus.
Transtulit ex Paridis, quæ urbs Regia Galliæ habetur.

Vi fu per antica tradizione, che congiungendosi la Festa della SS. Annunziazione della Beata Vergine (in cui si sollenizza la memoria dell’Incarnazione del Verbo) colla feria sesta in Parasceve, giorno consegrato alla memoria del cruento Sacrifizio, con cui il Nazareno Gesù per salvezza del Genere Umano in soddisfazione della Divina Giustizia, si offerse all’Eterno Padre, che la detta Spina si vedesse aspersa di molte goccie di Sangue, siccome da questi versi descritti nella circonferenza del piede dello stesso Spiracolo si legge:

Tune hæc (o quam mirum!) tota cruenta videtur,
Quæ solet esse alias guttis aspersa quibusdam.

Onde in quest’anno essendo sortita la feria sesta della Parasceve nel dì vigesimo quinto di Marzo si è con tutta divozione, ed impaziente brama atteso l’esito di un tal portento, che in detto giorno per antica tradizione doveva avvenire, per lo che il giorno antecedente si osservò la suddetta Spina dal Reverendissimo Sign. D. Domenico Antonio Manafra Vicario Generale di questa Corte Vescovile coll’assistenza di molti Ecclesiastici, ed altri soggetti cospicui della Città, e la viddero nel suo solito stato, cioè di color cinerizio; così dalla sua sommità fino all’estremo; appena poi la mattina del Venerdì si fe giorno, che subito si vidde tutta piena la Chiesa da un gran numero di Popolo non solo della Città, ma anche di altri Luoghi convicini, che al grido dello stupendo miracolo dovea sortire, era concorso;
ed affinché la Santa Spina fosse stata in maggior venerazione, non si espose al principio alla vista di tutti, ma tutta la cancellata della Cappella del glorioso S. Riccardo si coprì di drappi, e paramenti, con proibire a tutti l’ingresso, eccettuatone alcuni preti Capitolari, l’Eccellentissimo Signor D. Antonio Carafa, il Signor Federico Conoscitore Luogotenente, il Dottor Signor Giuseppe Ajta Giudice, il Signor Vincenzo d’Elia Sindaco, il Signor Giovanni Lorenzo Guadagno Eletto, il Signor Domenico Antonio Tupputi Eletto, il Signor Ascanio Paglia Eletto, il Signor Luzio Conte Eletto, il Signo Francesco Catasaregna Eletto, ed altri cospicui Personaggi, li quali dal far del giorno assieme con Monsignor Vescovo l’Illustrissimo D. Andrea Ariani, e detto suo Vicario Generale si trattenevano genuflessi con ogni maggior divozione dentro della suddetta Cappella, ed in questo mentre stando tutta piena la Chiesa di Popolo, e buona parte fuori delle Porte per non esservi maggior luogo di capacità, non si udivano dentro la Chiesa altro che pianto e grida di tutti, che di un sì prodigioso miracolo ne volevano vedere con ogni maggior brama l’esito sospirato;
onde perché il mormorio del Popolo era veramente grande, e con ciò si turbava la divozione di quelli, che con maggior pazienza attendevano l’esito di un tal miracolo; ed essendone nella medesima Chiesa giunti processionalmente tutti li RR. PP. di tutte le Religioni di questa Città, e li Preti d’ambedue le Collegiate di S. Niccolò, ed Annunziata, fra l’altri vi fu quella di S. Niccolò, Monsignor Vescovo ordinò, che il Re. Signor D. Pietro Calcagno Primicerio di detta Colleggiata Chiesa di S. Niccolò della stessa Città montasse su del Pulpito, e trattenesse il Popolo con qualche divoto sermone sulla materia del Miracolo, che si aspettava, ed essendo così immantinente eseguito, il detto Rev. Primicerio con molto zelo e carità cominciò ad esortare il Popolo, che aspettassero con ferma speranza la grazia di un tal Portento, ma così per la tenerezza, che cagionava il detto Primicerio, come per la grande impazienza, che tutti nudrivan di veder tosto l’esito di tutto ciò, che si bramava, maggiormente si accrebbero le grida, ed i pianti del Popolo,
ed essendone alquanto sedati verso l’ora di sesta uscì voce da dentro la Cappella, che di già la Divina Misericordia si fosse compiaciuto far avvenire quel prodigio, che con tanta impaziente divozione era da tutti sospirato.
Ciò inteso dal popolo tutti ripieni d’una amorosa impazienza cominciarono a correre verso la suddetta Cappella, e tanto era il folto concorso, che molti vi pericolarono, onde perché di già il miracolo per la grazia del Signore cominciava palpabilmente a vedersi, per comparire alla superficie della Spina alcune macchie di sangue;
vedendo Mons. Vescovo che dentro della Cappella non si poteva comodamente dare a tutto il popolo soddisfazione di far mirare coi propri occhi il sospirato miracolo, risolse uscir fuori di detto luogo, ed andare sulla Tribuna del Maggiore Altare, per ivi esporla alla vista di tutti i Fedeli, ed essendo uscito da dentro la detta Cappella con molti lumi accesi per il gran concorso del popolo con molta difficoltà poté giungere nel luogo destinato, ed essendo già arrivato all’Altare Maggiore, si vide la suddetta Spina ripiena di molte macchie di sangue dalla sommità sino al basso;
onde essendo già compitamente sortito il miracolo, mentre tutti correvano per essere spettatori colle proprie pupille, era così grande la confusione, e la mischia, che appena poteva taluno giungere a mirarla, per lo che si risolse quanto importava la lunghezza della Tribuna farsi l’argine con gli scanni, ch’erano in Chiesa, e lasciare una piccola apertura quanto ad uno ad uno si fosse potuto entrare, e così immantinente seguì, onde cominciarono uno avanti l’altro ad entrare, e dandosi luogo quanto ciascheduno commodamente l’avesse potuto mirare, e baciare, si dava a tutti la commodità di poter essere spettatori di quel portento che ogni più ostinato Infedele l’avrebbe facilmente fatto ridurre a vera fede,
nel mentre che in questa guisa da tutti si adorava la santa Spina, il nemico dell’Uomo, che sempre va in pesca di disturbare quelli atti, ne’ quali i Fedeli hanno occasione di meditare, non mancò in questa occasione far delle sue, farsi turbare quell’ordine, e quella divozione, che da tutti si praticava, nell’attenzione di un sì mirabile spettacolo; ma per permissione del Cielo quell’atto, con cui il commun nemico pensava distornare il bene, fu motivo di maggiormente accrescerlo e confirmare nella credenza del santo miracolo tutti quelli, che prima della vista ne avessero potuto avere qualche dubiezza, essendovi una Donna ossessa, ch’era stata condotta nella Chiesa, che … riposta dentro di un angolo dell’Oratorio in un luogo dove non poteva né vedere, né essere veduta da niuno, e che stava senza niuna notizia dell’occorso miracolo; dal luogo ove stava, cominciò a far urli, e strida tali, che spaventò tutta la Chiesa, ed essendone occorse più Genti per tenerla, non fu possibile, che furibonda, e smaniante correva verso dell’Altare maggiore, dove stava la santa Spina, ma quello, che veramente fu mirabile in vista si fu, che nel passaggio, che così furibonda, e smaniante fece la detta, si vide aperta nel mezzo del popolo per tutta la lunghezza della Chiesa una strada, quanto comodamente vi avessero potuto passare più Persone unite, quando prima per la gran moltitudine del Popolo, se vi si fosse posto un sottilissimo bastoncino, appena ci sarebbe capito, ed essendo giunta la Donna avanti del Vescovo, che nelle sue mani riteneva la Spina, postasi a gridare, e ad urlare, maggiormente restò attonito, ed atterrito il Popolo, onde fattosegli il precetto si quietò, e presa la Donna fu tolta dal detto luogo, e stiede per buono spazio di tempo quasi morta.
Terminato questo accidente seguitarono tutti a fare la veduta, e l’adorazione alla detta Spina, ed essendo giunta l’ora di Nona, cominciarono a gire sparendo le dette macchie di sangue, onde si vide avvenuto quanto per antica tradizione si raccontava, che la detta Spina nel suddetto giorno dall’ora Sesta fino a quella di Nona si fosse veduta aspersa di sangue, siccome nello stesso piede dello Spiracolo in questi versi si legge:

En Cuspis de tot majoribus una Coronæ
Qua diræ pupugere manus pia tempora IESU,
Quando Parasceve, et Martis vigesima quinta
Concurrunt (veluti Majores ore probarunt),
Pectore devoto, venerandaque poplite flexo est
Spina Redemptoris roseo suffusa cruore,
Cum sentes, ut acus, totidem tolleraverit ultor
Humani sceleris. Gratissima metra canamus.

Essendo trapelato da per tutto il grido di un sì stupendo, e prodigioso portento, ne giunse tosto anche il riscontro alle venerande Monache del Venerabile Monistero della Santissima trinità dell’Ordine di S. Benedetto Cassinese, e le medesime cominciarono da dentro il Monistero con impaziente brama a chiedere volerne essere spettatrici di tutto ciò, che era avvenuto;
onde Monsignor Vescovo con la sua solita carità dopo che si era data soddisfazione a tutto il Popolo, che era concorso nella Chiesa Matrice, però processionalmente con molte torcie accese avanti, ed a’ lati il sagrosanto Deposito in dentro il Venerabile Monistero, dove espostolo alla vista ed adorazione di quelle Venerande Monache, fu tanta la tenerezza delle medesime, che si sciolsero in profondissime lagrime, ed avendo quelle consolate con una visita sì mirabile si portò in Chiesa detto Vescovo colla santa Spina con quello stesso decoro, e venerazione, che si era prima condotto, e giunto in Chiesa, la riposero dentro dello stesso luogo, ed un portento tale, e prodigioso miracolo per grazia del Signore lo viddimo a confusione delle nostre colpe, che già di tal grazia ci rendevamo più che immeritevoli».
Et sic testificaverunt, et cum juramento affirmaverunt in forma etc. Postquam etc. Noc etc. Unde etc.
Præsentibus pro Testibus Dominico Antonio de Russi, Benedicto Morselli, Nicolao Morselli, et magnificis Vincentio, et Francisco de Andria etc.
Præsens copia cartarum scripturarum numero quatuor inclusa præsenti extracta est a suo proprio originali sistente in Actis quondam Notarii Michaëlis Angeli de Micco Andrien, cujus scæda penes me etc. cum quo facta collatione, licet aliena manu, concordat, meliori semper salva etc.
Et in fidem Ego Notarius Vincentius Tedesco ejusdem Civitatis Andriæ Conservator supra dictorum Actorum requisitus signavi.
Andriæ 5. Martii 1785 – Adest signum Notarii.

[copia tratta direttamente dalla “Relazione del prodigio … ” del Medrano.]

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VI. - [documento del 1722]

Decimoquarto fuit visitatum Vas, sive Tabernaculum, in quo asservatur una ex Spinis Coronæ Domini Nostri JESU CHRISTI, in cujus mucrone adsunt quædam maculæ violaceæ, quas asseruerunt et testificaverunt adstantes propriis oculis observasse in die Parasceves, quando incidit in dicto die Festum Sanctissimæ Annunciationis Beatissimæ Virginis 25 martii, dictum colorem violaceum mutari in sanguineum de recenti effusum, quod vas fuit clausum et sigillatum sigillo prædicto;
et in fidem etc. D. Joannes Maria Marchio Sanctæ Visitationis Visitator. … .
Extracta est præsens Copia ex Actis Pastoralis Visitationis quondam Illustrissimi et Reverendissimimi Joannis Paulli Torti. Episcopi Andriensis de anno 1722., qui per me asservantur in Archivio hujus Episcopalis Curiæ, cum quibus facta collatione concordat.
Et in fidem etc. Nicolaus Abbasciano Cancellarius et Archiviarius.

[copia tratta direttamente dalla “Relazione del prodigio … ” del Medrano.]

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VII. - [documento del 1785]

Die vigesimo sexto mensis Martii tertia Indictione anno Millesimo septingentesimo octuagesimo quinto, in Civitate Andriæ.
A richiesta legittimamente fattaci dalli RR. Signori Arcidiacono D. Michele Marchio, Arciprete D. Giuseppe Ceci, Canonico D. Domenico Noja, e Sacerdote D. Michele Marziani Capitolari, e Deputati per l’infrascritta causa del Reverendissimo Capitolo della Cattedrale, ed unica Parrocchial Chiesa di questa città d’Andria, personalmente ci siamo conferiti oggi soprascritto giorno
Noi Nicolò Conti Regio Giudice a’ contratti, pubblico Regio Notaro Vincenzo Tedesco, ed infrascritti Testimonj Canonico D. Filippo Antolini di questa predetta città, D. Giuseppe Pulli della città di Barletta, e D. Carlantonio Tomaselli della città di Trani nella suddetta Cattedrale Chiesa, in dove abbiamo ritrovati gl’infrascritti v[idelicet]:
Il Reverendissimo signor D. Domenico Medrano Vicario Generale di questa Vescovil Curia, li RR. Signori Cantore D. Riccardo Tommaso Mita, Primicerio D. Paolo Colavecchia, Canonico Teologo D. Giuseppe Riccardo Pàstina, Canonico Penitenziere D. Giuseppe Labborea Spagnoletti, Canonico D. Sebastiano Cocco, Canonico D. Carl’antonio Frascolla, Cantore D. Giovanni Pastore Avvocato Fiscale di questa Curia Vescovile, D. Felice Ceci Priore della Colleggiata della Santissima Annunziata di questa medesima Città,
il Reverendissimo P. D. Alferio Mirano Abate Benedettino Cassinese, il P. D. Vincenzo Rogadei Priore, il P. D. Mauro Cavalcanti Gellerario, il P. D. Camillo Capece Galeota Segretario, ed il P. D. Benedetto Galiani Lettore Genovese anche Benedettini Cassinesi; il P. D. Nicola Massa Chierico Regolare Somasco Genovese, il P. Maestro Fra Agostino Tripaldi ex Provinciale degli Agostiniani; il P. Maestro Fr. Celestino Ricatti anche ex Provinciale degli Agostiniani, il P. Maestro Fr. Giuseppe Licci Provinciale dei PP. Carmelitani, il P. Maestro Fr. Tommaso Lacinesta ex Provinciale de’ medesimi, il P. Lettore Giubilato Fr. Giovanni da Palo Minore Osservante, il P. Maestro Fr. Felice da Prato de’ Minori Conventuali, Predicatore Quaresimale in S. Nicola, il P. Lettore Fr. Anselmo da Barletta Cappuccino, ed il P. Fra Luigi da Noja Teologo di Monsignor Illustrissimo D. Saverio Palica, Predicatore Quaresimale nel Duomo, tutti in qualità di Teologi;
e li Dottori Fisici Signor D. Pasquale Onesti, e Signor D. Giuseppe Vincenzo Cannone in qualità di Filosofi,
li quali personalmente alla presenza nostra costituiti coll’infrascritto giuramento dichiarano, ed attestano, come essendo stati destinati essi attestanti dal riferito Illustrissimo Vescovo ad intervenire, ed essere Testimoni oculari su ciocchè di mirabile sarebbe seguito nella giornata di ieri Venerdì Santo in una delle Sante Spine della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo, che fra le altre Reliquie si conserva nel Tesoro di questa suddetta Chiesa Cattedrale;
perciò prontamente nel dì 24 del corrente mese di Marzo, ed anno 1785 giorno di Giovedì Santo si conferirono essi Attestanti dentro la Cappella di S. Riccardo primo Vescovo, e principal Protettore di questa suddetta Città situata nella medesima Chiesa Cattedrale circa l’ora 21,
nella quale intervennero li Eccellentissimi Signori D. Riccardo Carafa Duca D’Andria, D. Margarita Pignatelli Duchessa d’Andria, D. Gennaro Carafa de’ Duchi d’Andria, Signor Brigadiere D. Carlo Ischoudy Colonnello delle Guardie Svizzere, il Dottor Signor D. Matteo Tamangi Agente dell’Eccellentissima Casa, il Signor D. Giuseppe Antonio d’Ambrosio Governatore, il Signor D. Michele Buontempo Giudice, il Dottor Signor D. Giovanni Jannuzzi Erario, li Signori D. Riccardo Colavecchia General Sindaco, D. Carlo Friuli, D. Riccardo Spagnoletta, D. Vincenzo Borsella, D. Francesco Saverio Venitucci, D. Benedetto Ursi Eletti, e ‘l magnifico D. Carl’Antonio Antolini Cancelliere di questa suddetta Città;
ed avendo osservata la detta sacra Spina esistente dentro una Teca, o sia Ostensorio con cristalli, la quale da dentro il Tesoro situato dietro l’Altare di detta Cappella di S. Riccardo, ove si conserva, posta sopra detto Altare, si trovò avere il fondo color cinerino col finimento suboscuro, e quasi violaceo, della lunghezza di quattro dita circa, della grossezza di un filo di spago, o sia di una spina naturale, avere un segno bianco nella punta, come una punta di aco, sicché sembrava un po’ spuntata; indi nella stessa punta patentemente si osservò nell’altra parte, da dove la Spina s’incurva alla via d’innanzi, una macchia oscura, che si accosta al color suboscuro, qual macchia seguita dalla parte sinistra della Teca, cioè dalla punta macchiata fino al piede di detta Spina, dell’istesso colore suboscuro; nel mezzo di detta Spina dallo stesso lato chiaramente si osservarono alcune macchie piccole, delle quali quattro se ne distinguono evidentemente, ed altre si vedono in confuso, che non si possono numerare; dall’altra parte della Teca, ugualmente che si osservò nella prima, non si trovò nella punta alcun segno bianco, come era nella prima parte, ma si osservò, come sopra di color suboscuro, che continua fino alla metà di detta Spina, e fino al termnine comparisce tutta macchiata, ma non così carica come sopra.
Nella mattina del suddetto Venerdì Santo venticinque del suddetto corrente Mese; giorno della Santissima Nunziata, conferitisi nuovamente essi Attestanti in detta Venerabile Cappella, coll’intervento parimente di detti Eccellentissimi Signori, ed altri sopra nominati a circa le ore 12., ed espostasi nuovamente sopra il suddetto Altare la detta Santa Spina, tornarono quella ad osservare fino alle ore 16 interpolatamente per più e più volte senza essersi veduta mutazione alcuna, frattanto che il detto Padre Lettore Fr. Anselmo da Barletta Cappuccino colla maggior unzione ed eloquenza tratteneva il Popolo con dotta arringa, questo Reverendissimo Capitolo della Cattedrale frequentava i cantici, e le preci colla maggior divozione, e seguentemente i Capitoli delle due Collegiate, e tutti gli Ordini Regolari venuti processionalmente all’adorazione di detta sagra Spina, colla continuata assistenza in essa Cappella di detti Eccellentissimi Signori sempre inginocchioni ad orare, e rispondere a’ salmi, ed a’ cantici.
Ma finalmente dalle suddette ore sedici e minuti cinque si osservò di particolare nella predetta Sacra Spina una sensibile mutazione nelle macchie, le quali siccome per lo innanzi apparivano suboscure, e quasi violacee, così dalla stessa ora fino all’ora ventuna e mezza apparvero sensi-bilmente più vivide e dilatate. Qual portentoso successo accade ogni volta, che il Venerdì Santo avviene nel dì 25. di Marzo, come si ha fa diversi atti pubblici di antichi Notaj, da visite de’ Vescovi, e da altre memorie, oltre l’antica Tradizione, e descrizione ancora in versi latini, che sono incisi nella suddetta Teca.
E tosto che si vidde seguita la suddetta mutazione, dal sopradetto signor Arcidiacono Marchio processionalmente fu la suddetta Santa Spina trasportata nell’Altare Maggiore di detta Chiesa, esponendola alla pubblica osservazione e venerazione di tutto il Popolo di questa Città non meno, che de’ forestieri concorsivi in grandissimo numero da molti Paesi vicini e lontani, restando ognuno ammirato di un tal prodigio.
E fu anche la suddetta santa Spina portata sopra il Palazzo Vescovile a farsi osservare dal detto Illustrissimo Monsignor Vescovo, che si rattrovava infermo.
E dalla detta ora ventuna e mezza in poi cominciarono a poco a poco le dette macchie a ritornare nel primiero stato, siccome per l’ultima volta fu osservato nelle ore ventiquattro e minuti.
Portatisi quindi in questa mattina di Sabbato Santo essi medesimi Attestanti nuovamente nella suddetta Cappella ad osservare la predetta santa Spina, l’hanno costantemente osservata di esser ritornata nello stesso stato, in cui fu osservata nel detto giorno di Giovedì Santo, secondo che si è riferito di sopra; coll’intervento pur anche di detti Eccellentissimi Signori, ed altri.
Dopo di che si è detta santa Spina trasportata nel sopradetto Palazzo Vescovile coll’intervento delli medesimi Attestanti, di detti Eccellentissimi Signori, ed altri, in dove da detto Illustrissimo Monsignor Vescovo si è la suddetta santa Spina, precedente dissugellazione traslata dall’antica Teca ad un’altra nuova di argento pur troppo magnifica e ricca donata dalli suddetti Eccellentissimi Signori Duca e Duchessa, nella quale, e propriamente nel piede alla parte posteriore, si vedono pur anche incisi ad litteram quegli stessi versi, che vi sono nella detta Teca antica. E dopo d’essersi detta nuova suggellata col suggello di detto Illustrissimo Prelato nella maniera, che si conviene, si è finalmente in tal modo portata a rimettere, e conservare nel medesimo Tesoro.
Che per essere tutto ciò la verità essi Attestanti con giuramento tactis pectoribus, et scripturis respective, lo hanno testificato non meno avanti di Noi, che in presenza degli infrascritti altri Regj Notaj D. Emanuele Lopane della Città di Trani, D. Domenico Nicola Frascolla della Città di Corato, D. Vincenzo Tedesco della medesima, D. Vincenzo Tedesco della Città di Bisceglia, D. Gaetano Frisardi, D. Giuseppe Sinisi, D. Donato Sinisi, D. Giuseppe Santoro, D. Pasquale Cannone, D. Lonardo Frisardi, e D. Francesco Paolo Cristiano di questa suddetta Città, dalli quali rispettivamente se ne sono rogati consimili atti, affinché del tutto se ne avesse perpetua memoria.
De quibus omnibus sic peractis instati fuimus, ut publicum conficere deberemus actum.
Nos autem etc. … Unde etc. … Præsentibus opportunis etc. …
Extracta est præsens copia a suo proprio originali sistente in actis meis, cum quo facta collatione, licet etc. … concordat, meliori semper salva etc. …
Et in fidem Ego Notarius Vincentius Tedesco Andrien requisitus signavi etc. … Adest signum Notarii.

[copia tratta direttamente dalla “Relazione del prodigio … ” del Medrano.]

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VIII. - [documento del 1796]

Giusta il processo rogato dal notaio D. Francesco Paolo Cristiani il 25 marzo 1796, dalle ore 16 sino alle 21 ½, la S. Spina si osservò con varie mutazioni, specialmente con striscie vivide e dilatate; e dal prelodato Rev.mo Mons. Lombardi, e da Mons. Arciprete D. Giuseppe Ceci, Pro Vicario Generale, si fece trasportare la S. Spina nel Supportico della porta piccola di essa Cattedrale, che sporge nel largo chiamato la Corte, avanti il Palazzo ducale, ove si era accomodato un Tosello [tronetto con eventuale baldacchino], e si espose alla pubblica osservazione e venerazione di tutto il popolo con gran concorso di forastieri; nel Tosello durò l’apparizione suddetta sino alle ore 21 e mezza.

(Curia Vescovile).

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IX. - [documenti sul ritrovamento della S. Spina, 1837-1841]

[Lettera del curato Francesco Saverio Lombardi – Spinazzola 18 nov. 1837,
A S. E. Mons. D. Gius. Cosenza Vescovo di Andria.]

Eccellenza R.ma,
In conformità di quanto con altra mia umilissima ebbi l’onore di rassegnarle, con questa sono a cerziorarla che avendo destramente dimandato alcuni miei vecchi compaesani, che sono alla portata di potermi dare delle notizie veridiche: mi é riuscito sapere, che nel 1799 un certo galantuomo di qui, nominato Don Michele Miseo, unito ad altre persone, si portarono costì a far compra di oggetti saccheggiati, e fra i molti, che menarono seco, vi era l’Ostensorio, ove si conservava la S. Spina.
Non appena giunse occultamente questo sacro furto, che nel 1800, nel dì 23 luglio, vi cadde una grandine, tutta simile a quella caduta nel 1727 nella Marca d’Ancona, il di cui peso di ognuno fu di libbre 27, (?) e cosi nel tratto successivo.
Nel 1815 passò all’altra vita il suddetto Miseo, e la di lui moglie della S. Spina ne fece un dono al signor Cantore Spada che aveva il pio costume di ammonticchiare sacre Reliquie, senza esporle alla pubblica venerazione. Nel 1820 morì il signor Cantore, e tutto il sacro deposito passò al di lui nipote Don Raffaele Spada.
Monsignor D. Federico Guarini, in occasione della S. Visita, fu alloggiato in casa di D. Raffaele su menzionato, che si fece un merito con presentargli il prezioso monumento, e per questa offerta li fu ordinato Suddiacono il di lui figlio.
Questo è il racconto il più probabile, e il più appurato. La prego onorarmi ecc.
Spinazzola 18 novembre 1837.
Dev.mo servo Francesco Saverio Lombardi Arciprete Curato.
A S. E. Mons. D. Gius. Cosenza Vescovo di Andria.

[Deposizione di D. Francesco Saverio Lombardi – Spinazzola 20 Gen. 1838]

Si fa fede di verità da me qui sottoscritto Arciprete Curato di quest’unica Parrocchial Chiesa, sotto il titolo di S. Pietro Apostolo del Comune di Spinazzola in Provincia di Bari, Diocesi di Venosa, come dietro le più minute investigazioni, ed a comun voce, mi è riuscito conoscere d’essere stato il Sacro Glorioso pegno della S. Spina involato dal rispettabile Deposito della Chiesa Cattedrale del Comune di Andria nel saccheggio sofferto nel 1799 dalle truppe estere, e qui condotto, e conservato per moltissimi anni dal fu D. Michele Miseo nostro concittadino, che intervenne al saccheggio medesimo a fine di fare acquisto di oggetti di sorta qualunque, e fra i non pochi colse il destro di avere il Sacro Ostensorio con dentro la succennata S. Spina.
Dopo la di costui morte, che avvenne nel 1807, la di lui moglie D. Angela Saccinno, anche passata nel numero dei più, confidente del fu signor Cantore D. Vincenzo Maria Spada, che aveva in pregio di fare acquisto di sacre Reliquie, gli ne fece un dono, che ha sempre con gelosia e segretezza custodito. Passato agli eterni riposi il ridetto signor Cantore Spada, il di lui nipote D. Raffaele Spada la presentò graziosamente all’Ill.mo e Rev.mo D. Federico Guarini Vescovo di questa Diocesi di Venosa, che finì di vivere nel mese di settembre dell’anno 1836.
Questa è la voce comune di tutti questi miei filiani, sostenuta non interrotta, e costante tradizione, che prova senza alcuna esitanza l’essere stata la succennata S. Spina dal 1799 fino al 1831 sempre qui conservata, e se il fatto ha variato di qualche circostanza, ciò non ha derogato la verità della cosa.
In accerto del vero a richiesta di S. E. D. Gius. Cosenza Vescovo del Comune di Andria si è rilasciata la presente munita col mio solito suggello Parocchiale.
Spinazzola, li 20 gennaio del 1838.
Fran. Saverio Lombardi Arcip. Curato.
Visto per la legalità del presente certificato da Noi Pro Vic. G.le Vinc. M.a Arcid. Calvini.

[Deposizione di Gaetano Montedoro – Andria, 24 Dic. 1841]

L’anno 1841, il giorno 24 decembre, in Andria.
Innanzi di Noi Mons. Giuseppe Cosenza Vescovo della Diocesi di Andria, assistito dal Cancelliere della nostra Curia Vescovile; dietro chiamata, si è presentato D. Gaetano Montedoro, figlio del fu Pasquale, domiciliato da molti anni nel Comune di Venosa, Provincia di Basilicata.
Domandato da Noi opportunamente, ha risposto, che per molti anni nella qualità di Cameriere ha prestato egli la sua opera all’Ill.mo e Rev.mo D. Federico Guarini, già Vescovo della Diocesi di Venosa, che trapassò in settembre 1836. Con tale occasione, essendo stato il dichiarante per lo lungo corso di anni trenta e più presso di esso Guarini, sì quando dimorava nel Chiostro da Padre Cassinese, e sì quando fu Arciprete Mitrato di Altamura; come pure allorchè restò in Napoli Vescovo in partibus; così mai intese far motto dal prelodato Vescovo, anche qualche anno dopo del suo Vescovado in Venosa, di possedere desso la preziosa S. Spina, di cui è oggetto.
Ben vero però che il deponente per onore della verità fedelmente dichiara che non molti anni dopo del possesso in detto Vescovado che fu propriamente il 1827, non rammentando la propria epoca, per la lunghezza del tempo trascorso, dopo una S. Visita, ch’esso Monsignore Guarini fece a Spinazzola, ove alloggiò in casa di D. Raffaele Spada, come al solito, fece al dichiarante in tal’epoca vedere detta S. Spina, che moltissimo lodava, per essere la vera Spina, che trafisse le tempia di N. S. G. C. la quale diceva avere acquistata recentemente senza confidargli da chi, e quando.
Questa preziosa S. Spina venne riposta in un’Urna di argento, ed al detto Vescovo la lasciò la deponente, allorché cessò di vivere: ed è quella istessa che in ottobre 1837 fu rinvenuta in sua casa dal Can.co Lomuscio di Andria, e quindi venne restituita alla stessa città di Andria, per essere stata riconosciuta essere quella involata nel saccheggio Francese del 1799.
Né altro conosce.
E data a lui lettura di tutto, si è sottoscritto.
Gaetano Montedoro.

Dal processo sul Reperto della S. Spina di Andria tolta nel saccheggio del 1799. (Curia Vescovile).

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X. - [Verbale del miracolo del 1842]

Oggi che sono li 31 marzo 1842.
In continuazione del verbale redatto a dì 23 cadente mese soprascritto; e coll’intervento ancora di S. E. Rev.mo Mons. Giovanni Costantini, Vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, assistito dal suo Rev.mo Vicario Generale Can.co D. Giandomenico Falcone, ed alla presenza di tutti quei signori sopra firmati, ed indicati nel detto atto del 23, si redige il presente verbale in contesto del Miracolo avvenuto nel Venerdì Santo scorso, chiaramente ravvisato verso le ore 23 sul Palazzo Vescovile, dopo essere stato in tutto il corso del giorno la S. Spina nella sua Teca esposta nel Duomo alla pubblica venerazione ed alle pubbliche preci.
Si è osservato tutto lo stelo della S. Spina quasi nello stesso stato suo primiero, e quasi quasi nello stato stesso naturale e primiero la macchia più rosacea della punta della Sacratissima Spina. E mentre da tutti si attendeva un cambiamento nel colorito e forma delle macchie sopra descritte, altre volte accaduto, come rilevasi dagli antichi processi, che si conservano nel nostro Archivio Vescovile, e presso diverse Curie notariali, si è veduto con sorpresa verso le ore 23 ½ dell’indicato giorno sorgere dalla fenditura … una fioritura di figura irregolarmente quadrangolare di colore biancastro nella periferia, con un punto rilevato nerognolo nel mezzo, della grandezza d’una testa di spillo, sostenuta da un gambo di estrema sottigliezza alquanto curvato nella parte superiore attaccato al fioretto, gambo distante dal punto di attacco nella S. Spina poco più di una linea. Quanto si è detto fin ora si è rimarcato nella sera del venerdì.
Nella mattina poi del Sabato Santo 26 del detto mese a giorno chiaro, fatta una più diligente attenzione, ed armato l’occhio con lenti d’ingrandimento si è potuto distinguere, come oggi ad occhio nudo si distingue, che vi era un secondo fiore di dimensione inferiore al primo, anche nella lunghezza dello stelo, di un colorito e forma però rassomigliante al primo. Ora continuandosi più minutamente le osservazioni con microscopio perfettissimo (del signor Dollond London a sei lentine, ma le osservazioni si son fatte con la quarta lentina) portata appositamente da Mons. Vescovo sopracitato di Molfetta, onde vedere ingrandito l’oggetto, e meglio poterlo descrivere, ci ha presentato:
  1. La sua figura di un quadrato irregolare smerlato nella periferia. Il colorito della superficie di un bianco argenteo screziato di puntini rassomiglianti alle perle, tra i quali ve n’esistono molti altri punti d’ineguale figura, e di un colore blù oscuro.
  2. I gambi partono da quella rima, ossia fenditura della Spina, che si osserva anche ad occhio nudo.
  3. I rispettivi gambi osservati nello stesso modo offrono un colorito bianco argenteo granellato … .
Quindi a futura memoria di un tale portentoso avvenimento si chiude il presente processo verbale rispettivamente firmato:
Lorenzo Arcid. Marchio — Ricc. Arcip. Santacroce — Ricc. Cant. Brudaglio — Gius. Prim. Troia — Mariano C. Penit. Cocco — Ant. Can. Teol. Regano — Gius. Can. Iannuzzi — Rice. Can. Montaruli Iun. — Nic. Ant. Can. Brudaglio — Can. Gius. Zinni — Can. Bernardino Frascolla — Mich. Can. Borsella — Vinc. Prev. Noia — Franc. Cant. Antolini — Ricc. Prim. Dell’Olio — F. Luigi da Maddaloni ex P.le e Def. G.le M. O. — Carlo Carafa dei Duchi d’Andria — Vincenzo Cotreman — Annibale Accetto Reg. Giud. Supp. — Pasq. Fasoli Sind. d’Andria — ecc. ecc.

Giuseppe Cosenza Vescovo di Andria

Giangiuseppe Can. Torti Vic. G.le — Giov. Can. Pàstina Canc.

(Curia Vescovile).

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XI. - [Documento del 1° Apr. 1842]

Giuseppe Cosenza per la grazia di Dio e della S. Sede Vescovo di Andria.
Essendosi benignata la infinita misericordia di Dio di esaudire i nostri fervidi voti, come quelli di tutto il Clero Secolare e Regolare, nonché di tutte le Autorità, e dell’intera Popolazione di questa dilettissima Città, di cui, sebbene immeritamente, ne siamo Padre e Pastore, con fare apparire nella S. Spina della Corona di N. S G. C. due delicatissimi fioretti, che osservati attentamente coll’aiuto di appositi cristalli presentano in una forma sorprendente un ammasso ben disposto ed ordinato di perle variopinte; non vogliamo starcene neghittosi in un avvenimento di tanta misericordia divina, senza darne pubblicamente al Signore Iddio i debiti attestati di riconoscenza e di ringraziamento.
Quindi è che ci siamo determinati di disporre quanto segue:
  1. Dalla mattina di domani, giorno 2, entrato mese di aprile, la teca della S. Spina sia esposta alla venerazione dei fedeli per tre giorni continui, nella Cappella del Glorioso Protettore S. Riccardo.
  2. Nell’ultimo giorno dell’indicato Triduo, e propriamente nel mattino di lunedì prossimo, si canti una Messa Solenne nella nostra Chiesa Cattedrale, coll’intervento di tutte le Comunità Secolari e Regolari, e delle Autorità invitate, nella quale Messa Solenne vi sarà pronunziato analogo discorso dal Molto Rev.do Can. Teologo D. Antonio Regano, e sarà chiusa la funzione col canto dell’Inno Ambrosiano.
  3. Finalmente da ora facciamo prevenzione a tutti, che tenendo presente gl’incommodi inseparabili dalla corrente stagione, sarà eseguita coll’intervento, come sopra, una divota Processione per tutta la città della S. Spina, nella mattina del 5 entrante mese di maggio, dopo che avremo Pontificalmente celebrato per la ricorrenza della Gloriosa Ascensione di Nostro Signore.
Dato in Andria dal nostro Episcopio il dì primo aprile 1842

Giuseppe Vescovo di Andria

Giov. Can. Pastina, Cancelliere.

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XII. - [Documento del 1853]

Terminata poi la santa funzione di detto dì (Venerdì Santo), furono assegnati, per assistere in detta Cappella, ed osservare, se mai il Nostro Divino Salvatore G. C. si fosse benignato nell’abbondanza delle sue misericordie esaudire i voti comuni del Clero e del popolo Andriese, nonché di gran numero di forastieri intervenuti dai paesi di questa Provincia, ed oltre ancora i signori R.mi Mons. Arcid. D. Nicolantonio Brudaglio, Mons. Arcip. D. Giovanni Pastina, il Prim. D. Giuseppe Troja, il Predicatore Quaresimale D. Sozio Porretti … .
Questi tutti alle ore 16 entrarono nella Cappella suddetta (di S. Riccardo), di cui chiuso il cancello, che la decora, si portò processionalmente la sacra statua della SS. V. Addolorata, e postasi sulla mensa dell’altare maggiore, l’Ill.mo e R.mo Mons. Vescovo D. Giovanni Giuseppe Longobardi ascese al sacro Pergamo, e diede principio alle sacre preci con un fervoroso discorso eccitante alla penitenza, ed alla confidenza nel cuore trafitto di Maria SS.
Questo terminato, si cantò il salmo: Miserere mei Deus: quindi altro discorso fervido di ricorso alla intercessione di Maria SS. Addolorata conchiuso con la Coroncina dei suoi dolori e con l’inno: Stabat Mater; nel canto del quale cominciò a notarsi un cambiamento nella parte estrema della Sacra Spina, che apparisce intrisa del preziosissimo Sangue.
Proseguendosi la preghiera, e i sentimenti fervorosamente al popolo, una col canto delle Litanie di tutti i Santi, ed avvicinandosi l’ora di Sesta, sempre più si marcava sensibile il mutamento della macchia del preziosissimo Sangue alla punta, a segno che tutti i circostanti concordemente convennero essere avvenuto il miracolo sospirato, col vedersi vermiglia, e come di fresco intrisa la punta nel preziosissimo Sangue, marcandosi specialmente la lucidezza che l’accompagnava, ed un cerchio suboscuro che principiava, ove appunto terminava la macchia del preziosissimo Sangue.
Impertanto a procedere con tutta certezza e regolarità, si volle indugiare altro tempo, ed allora fu che si notò il lato destro, ove vi esiste benanche una macchia del preziosissimo Sangue alterata dallo stato di prima.
Giunte le ore 19, da tutti con unanime consenso si decise essere avvenuto il miracolo.

Dagli atti pubblici del Notar D. Michele Cristiani del fu D. Francesco Paolo (Curia Vescovile).

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XIII. - [Documento del 1864]

Riuniti alle ore diciassette e mezza nella solita Cappella del nostro protettore S. Riccardo, e riveduta la S. Spina con ogni possibile attenzione ad occhio nudo, e talora armato delle solite lenti d’ingrandimento, abbiamo scorto che tutte le macchie in esse esistenti, e con specialità della punta, si offrono sbiadate, e la S. Spina dalla sua metà alla punta è di tinta quasi cenerognola. Si è dato principio alle preci.
Ad ore 18 nessun cambiamento. Ad ore 20 e minuti 35 nella punta e porzione sua scheggiata manifestasi lieve tinta color carota. Ad ore 20 ¾ questa tinta è più carica, e intorno alla punta occupa uno spazio lungo due linee. Ad ore 21 compite tutti scorgono la detta tinta, ma non offre rigonfiamento, né lucido. In tutto il resto non vi è cosa di straordinario a rimarcarsi, meno la parte concava della punta, ove la naturale sua macchia offre una tinta di un pavonazzo più oscuro, ed alquanto più esteso. I periti sanitarii e chimici all’uopo assistenti, non che le autorità locali, tutti si sono accorti dell’avvenimento miracoloso, con quelle fasi enunciato … .
Ad ore 21 e minuti abbiamo stimato dare pubblicità del fatto straordinario miracoloso ad un popolo, che in confuso e stivato riempie la navata del tempio.

Dagli atti pubblici formati dalla Curia di Andria il 21 e 25 marzo 1864 (Curia Vescovile).