La Madonna dei Miracoli d’Andria

Contenuto

Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol II, pagg. 281-472

Madonna dei Miracoli, cripta: altare

XIV
La Madonna dei Miracoli d’Andria

sommario


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  Indroduzione
Maria e l’Italia nel secolo XVI.

Col nascere del secolo XVI la Chiesa Cattolica si trovò a petto di nuovi e micidiali nemici - Lutero in Germania, Calvino in Francia, Enrico VIII in Inghilterra e Zuinglio nella Svizzera scossero potentemente la fede dei credenti, e gran parte d’Europa gettarono in un abisso di mali, quant’altri mai funestissimi! L’Italia nostra, educata in tutt’i tempi all’ombra benefica della religione e del Papato, dalla cui sovrumana fecondità germogliò il suo vero incivilimento, fu presa di mira dai novatori; e sotto il nostro cielo il genio della Riforma si manifestò di soppiatto e larvato. Le colossali istituzioni cattoliche del medio evo, la imponente maestà del Pontificato, la signoria italiana sinceramente ossequiosa della Chiesa, il popolo d’Italia cattolico fino all’entusiasmo avrebbero rigorosamente respinto qualunque aperto assalto della Riforma. Quindi essa apparve tra noi letterata e razionalista. Giordano Bruno, Girolamo Cardano ed altri portarono l’audace ragionamento sulle cose sacre, e la scuola di Padova fu sospetta di eresia. Francesco Calvi da Menaggio, libraio a Pavia, dif-fuse clandestinamente nel Lombardo le opere di Martin Lutero; a Venezia sott’altro nome si ristampò il catechismo di Calvino, ed il Commentario su i salmi di Bucero; a Modena il Siciliano Paolo Ricci aprì un’accademia Luterana; ed in Lucca tennero scuola Pietro Martire, Fremerio Ferrarese, Celso Martinengo; ed altri pessimi eretici. La corte di Ferrara addivenne focolare di riformatori; e Calvino, e Marot vi dimorarono per qualche tempo. Como fu tragetto di eretici; Bergamo e Fiesole vennero infettate dai proprii Vescovi; Viterbo dal Cardinale Polo, che molti novatori ospitò nella sua corte; Siena e Firenze furono assai piene di eretici, perchè quella fu patria d’Ochino, e di Morone; questa di Pietro Martire, Vermiglio e di Carnesecchi; e Bologna finalmente fu in molto pericolo per un certo Giovanni Battista Scoto.
Il nostro Reame non andò esente dalle insidie del Protestantesimo. In Napoli insegnarono l’eresia il Valdes, l’Ochino, Pietro Martire, Flamminio, ed altri; i loro seguaci arrivarono sino a tremila. Nelle valli della Calabria Citeriore molti venuti anticamente dal Piemonte, udita la Riforma in Germania, mandarono a Ginevra chiedendo dottori, e fu loro inviato certo Luigi Pasquale di Cuneo, il quale fece molti proseliti nella Guardia, in San Sisto, e nelle vicine terre di Basilicata, Taito, le Celle, e la baronia di Castelluccio. La Puglia ebbe molti maestri di eresia, e nominatamente Odone da Monopoli, e Giovanni Paolo Castroffiano. Finalmente in terra di Otranto vi fu un tale Ladislao, uditore del vescovo di quel paese, il quale tenea corrispondenza particolare con Bucero, con Valdes, e per molto tempo albergò in casa l’eretico Giannetto, onde fu processato [1].
Tale nel sec. XVI era lo stato religioso del nostro bel paese minacciato dalla Riforma. Se non che Dio, il quale vegliava sovranamente provvido su questa terra, bagnata dal sangue di tanti martiri gloriosi, la ravvivò nella fede e la immegliò nella morale cristiana, con l’opera largamente influente del Concilio Tridentino. Si vide allora in Italia una imponente reazione cattolica, capitanata dalla gloriosissima trionfatrice di tutte le eresie. La Riforma avea mossa aperta guerra ed insistente al Papato; e Maria ispira ad Ignazio di Lojola l’opera mondiale della Compagnia di Gesù, che nata in Ispagna si trapiantò tosto tra noi intrepida battagliera in favore dell’augusto Capo del Cattolicismo. Il Protestantesimo avea invaso le scuole; e Maria rivela al Calasanzio la fondazione delle Scuole Pie per infondere con l’amore delle lettere quello del vero, del buono, e del bello nelle menti e nei cuori dei teneri giovinetti. Non volevansi più ordini monastici; e sotto l’ispirazione di Maria S. Gaetano Tiene istituisce i Teatini; Bartolomeo e Giacomo Antonio Morigia i Barnabiti; e S. Filippo Neri i preti dell’Oratorio, i quali ringiovanendo il clericato e raddoppiando di opere pie, venivano qual solenne protesta contro la Riforma. I novatori avevano distrutto la carità cattolica, che tanto volentieri e generosamente si dona e si sacrifica pei suoi fratelli; e la Madre del bello amore suscita S. Camillo de Lellis coi suoi Crociferi, e S. Girolamo Miano coi Somaschi, miracoli di carità e di beneficenza.
Lo spirito di associazione era stato estinto dal Protestantesimo; ed ecco un Gesuita a Napoli, sotto il soavissimo nome di Maria, associare i giovani studenti; ecco il P. Pietro Canisio, in molti luoghi e nominatamente a Messina, fondare Congregazioni in onore della Vergine; ecco in Milano il prete Castellini da Castello formare la compagnia della Riforma cristiana; ecco sorgere altrove le Congregazioni del buon Gesù, della Madre di Dio, e della buona Morte. La donna infine, che rappresentata da Caterina Bore, e da Elisabetta d’Inghilterra, aveva sciaguratamente avuto tanta parte alla Riforma, volle da generosa aver parte alla grande reazione cattolica, e qui in Italia, sotto la celeste influenza di Maria, essa si consacra alla istruzione delle fanciulle, «le quali dovevano riformare le famiglie, le famiglie le province, le province il mondo». Quindi S. Angela Merici istituisce le Orsoline, Vittoria Fornari le Annunziate, e le tre sorelle Gonzaga, nipoti di S. Luigi le Vergini di Gesù; mentre Maddalena dei Pazzi, Lorenza Strozzi, Caterina dei Ricci, Veronica Franco ed altre offrono agli Italiani esempii di virtù specchiatissime.
Ma quasi tante cattoliche istituzioni non bastassero a rincalorire il nostro bel paese nella fede, in certo qual modo intiepidita dalla Riforma, Maria moltiplica all’infinito miracoli ed apparizioni. Essa appare ai Monti di Roma, a Narni, a Todi, a Brescia, a Camogli, a San Severino, a Liveri, a Termini, a Caravaggio, a Valtellina, a Reggio di Lombardia, a Venezia. Una effigie di Maria parla in San Silvestro, un’altra in San Sisto; una a Savona grida: misericordia, misericordia; una altra a Subiaco suda; ed a Treviglio ed a San Severino nelle Romagne piange. A Lucca un soldato perdendo al giuoco, gitta irato contro un’Immagine di Maria i dadi, ed in quell’atto gli si rompe il braccio! A Livorno alcuni corsari salgono il Montenero per saccheggiare il ricco suo tempio e sono colpiti di cecità. Napoli e Vico sono in mestissimo squallore ed in pianto per una peste, che crudelissimamente infierisce; Maria appare, e questa prodigiosamente cessa. In Roma si apre l’anno santo, una confraternita parte da Napoli in processione con la Immagine della Madonna della Bruna; questa nel viaggio restituisce la vista ad un cieco; e in Roma è venerata dal Pontefice e dai Cardinali, e in Napoli è la salute degli infermi. In Andria, in una parete della Chiesa di Porta Santa, si scovre la Madonna detta della Neve, e vi opera grandi miracoli. Una fanciulla cade in un pozzo, fuori le mura, e dopo tre giorni n’esce sana e salva, sostenuta a fior d’acqua, da una Immagine di Maria ivi dipinta. Il pozzo, antica Catacomba di S. Sofia, è vuotato ed addiviene il santuario di S. Maria dell’Altomare per miracoli chiarissimo. Che più? Maria appare ripetutamente a due nostri buoni concittadini, impone loro di accendere una lampada innanzi alla sua derelitta Immagine, nella grotta di S. Margherita in Lamis; i prodigi si succedono ai prodigi, tanto da essere appellata per eccellenza Santa Maria dei Miracoli d’Andria; i popoli vi accorrono da per ogni dove; un magnifico tempio ed una Badia si levano in onore di lei, e desta così nel petto degli avi nostri il più grande entusiasmo religioso.
In tal modo il secolo XVI per opera di Maria addivenne in Italia il secolo della fede più viva, della carità più grande, delle virtù più segnalate, dei miracoli e delle apparizioni più sorprendenti. L’Italia è la terra prediletta di Maria, e non sarà mai che venga meno nella cattolica sua fede. I suoi nemici deliranti possono dire: distruggiamo il cattolicismo in Italia; ma suonerà per essi l’ora suprema, e gl’infelici guardando per l’ultima volta l’Italia, la vedranno immobile nella sua classica fede alzare gli occhi verso la Regina del cielo ed esclamare: Godi, o Vergine Maria, tu sola hai distrutte tutte le eresie della terra!
NOTE    (Nell'originale le note sono tutte a fine monografia)

[1] Cantù, Gli Eretici d’Italia, Vol. II.

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I. - La valle di S. Margherita.

Non lungi dall’antica, vaga e popolosa città di Andria si apre ad occidente una fertile e deliziosissima valle detta di Santa Margherita. Pampinosi vigneti, verdi olivi, mandorli fioriti, odorosi pascoli, ridenti praterie e dolci colli, la coronano pittorescamente. In antichissimi tempi un mormorante torrentello la irrigava, onde lati-namente fu chiamata Lama, che suona fossa di fiumi [2]. Quivi nella balza, che guarda l’occidente, avvi una solitaria grotta scavata nel tufo con dei sedili intorno a guisa di coro, ed un modesto altare su cui si vedea dipinta l’Immagine della Martire S. Margherita, coi miracoli intorno, ed ai piedi questa iscrizione: «Ricordati, o Signore, del tuo servo Giovanni e di Gemma moglie di lui : Memento, Domine, famuli tui Joannis, et uxoris ejus Gemmae». Pare che questi ve l’avessero fatta dipingere. Altre pitture ornavano pure la grotta, ma cancellate dal tempo; solo ravvisavasi un po’ meglio una che rappresentava S. Nicolò di Mira nella Licia. A destra dell’altare un arco metteva in un’altra grotticella, cha avea parimenti un altare scavato nel tufo, e dietro una tribuna alta circa ventidue palmi, e larga dieci, su cui alla greca era effigiata la Vergine Maria, assisa sopra un trono alla greca. È ancora greco il costume di che è vestita. Ha le stelle intorno al capo incoronato, e culla in grembo il Bambino, seduto sulle ginocchia. Questo fare alla greca, non che la figura di Maria col figlio in seno, farebbe rimontare il dipinto all’età del Concilio di Efeso, e propriamente ai tempi della greca dominazione, vale a dire al sesto secolo dell’era cristiana. Se vogliamo aggiustar fede alla veneranda tradizione, questa grotta nei tristissimi tempi delle persecuzioni contro la Chiesa, servì di catacomba ai primi Andriesi chiamati alla fede dal Principe istesso degli Apostoli.
La valle infatti, ove è posta la grotta, il sole di ponente che la illumina, il torrente che anticamente le scorreva davanti, la selvaggia e rimota contrada in cui giace, tutto induce a credere che in tempi di per-secuzione sia stato quel luogo un eremo, o catacomba dei primitivi Cristiani. Da questi ferventi cristiani, gloriosi avanzi di martiri, i soli che non avessero un’altra volta piegato il ginocchio dinanzi agli idoli, dicesi che S. Riccardo, primo vescovo di questa città, formasse il novello clero, che con lui evangelizzò queste contrade [3]. In prosieguo fu beneficio patronato dei Cassinesi di S. Lorenzo d’Aversa, i quali fin dal 944 possedevano in Andria vigne ed oliveti [4]. Indi eremo ascoso di virtuosi romiti, che lontani dalla rumorosa città, nella preghiera e nella mortificazione vivevano a pie’ degli altari di Maria e della beata Martire una vita tutta di cielo. Col correre degli anni un’orda di ladroni e di assassini investiva la valle, s’impadroniva della grotta di S. Margherita e delle circostanti, e i buoni romiti massacrati, o cacciati via. Da quel giorno malaugurato l’Andriese mirò con raccapriccio quel luogo addivenuto orrido covile di scellerati, e si guardò bene di portarvi incauto il piede [5].
NOTE

[2] FACCIOLATI, Cal. sept. ling.
Nella tavola del Pentinger, sulla via Egnazia trovasi segnato un fiume o torrente chiamato Aveldio, che sboccava nell’Adriatico, tra Bardulum et Turenum. In essa tavola si vede un Oppido, situato nel luogo, dove ora è Andria, e l’Aveldio, che, come dice Forges Davanzati (Memorie della Società, Pontaniana T. I. fol. 2, 308 e 309) scorreva presso del monistero di Santa Maria dei Miracoli di Andria, ove si osserva il letto d’un torrente, che sembra proprio un alveo di fiume. In conferma dell’esistenza dell’Aveldio, in una carta che si conserva in Montecassino, con la data del 1021, si fa menzione d’un ruscelletto, che scorreva per una vigna deserta, appartenente a quel monistero, nel territorio di Andria, forse avanzo dell’antico Aveldio.

[3] L’Arciprete PINCERNA, Appendice agli ammonimenti Cristiani; e Giov. Di Franco, Di S. Maria dei Miracoli di Andria.

[4] Lione Ostiense.

[5] Di S. Maria dei Miracoli d’Andria, libri tre di D. Giovanni di Franco da Catania, dal quale abbiamo desunto il presente racconto sino al 1606.

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II - Il tipo dell’Immagine di Maria dei Miracoli d’Andria nei primi secoli della Chiesa.

L’esimio periodico: La Civiltà Cattolica, parlando delle Immagini di Maria, somiglianti a questa della Madonna dei Miracoli di Andria, cosi scriveva: «Questa figura della Madre di Dio col bambino, seduto in mezzo al grembo, sopra un magnifico trono con quiete e maestà jeratica, si vede scoperta ultimamente in Santa Maria Antiqua al foro romano: a Ravenna nella basilica di S. Apollinare Nuovo, a Parenzo sul famoso mosaico, ad Andria sul dipinto dell’antica grotta, a Salonicco sugli amboni pubblicati dal Garrucci: sulla pittura, detta di S. Maria Nicopea a S. Marco di Venezia, sulle celebri fiaschette di Monza: sopra un dittico di Berlino, pubblicato dallo stesso Garrucci, e finalmente in Roma in un antico musaico in S. Paolo.
Nei primi quattro secoli questo tipo dell’immagine della Madonna non s’incontra nelle catacombe. Ma quando la Chiesa celebrò il tempo del suo trionfo, nelle basiliche ed in tanti oratorii pubblici, allora soltanto si formò il tipo sacro e storico della Maria sedente come regina col bambino in mezzo al grembo. Da Roma questo tipo è derivato alle altre Chiese lontane. In esso non si veggono ancora le forme irrigidite del così detto bizantinismo; si è piuttosto un soffio dell’antica arte classica; vi è una libertà, una naturalezza, che ha dell’attraente anche pel nostro tempo, e in tutto congiunto ad una somma gravità e serietà. Anche riguardo al carattere artistico del tipo, garantito da tanti esemplari, non si arrischia certamente troppo, se si dice d’avere qui da fare col tipo della prima età del trionfo della religione cristiana.
Lo stesso modo di rappresentare la Madre di Dio l’abbiamo a Roma nell’assai antica pittura di una nicchia nella Chiesa sotterranea di San Clemente, a S. Valentino nel Cimitero, a S. Urbano alla Caffarella nel sotterraneo, poi a Santa Prassede nell’oratorio di S. Zenone sull’altare, e ai SS. Nereo ed Achille sul mosaico dell’arco» [6].
Ecco descritto dalla Civiltà Cattolica il tipo della Madonna dei Miracoli d’Andria, tipo quant’altro mai bellissimo, e pieno di una maestà del tutto jeratica, che di profonda venerazione ti riempie.
NOTE

[6] Civiltà Cattolica, Serie 18, V. I. quad. 1218 pagina 727.

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III. - Un gran tesoro.

Era un bel giorno del 1451, ed il prode e piissimo. Duca di Andria, Francesco II del Balzo, di brigata a molti della sua corte e di vani ottimati iva a diporto lungo la ridente valle di Santa Margarita; quando giunto vicino alla grotta consecrata a questa Martire, tutto fuori di sè arresta all’improvviso il suo baldo destriere, la guarda con occhio insaziabile e devoto, ed additandola con aria da ispirato esclama: «Qui dentro avvi un ricchissimo tesoro; beato colui, che si troverà al suo scovrimento!» e via con la sua allegra brigata. Si bella predizione fe’ colpo nella più parte, che immaginò chi sa qual grandissimo tesoro e preziosissimo ivi si nascondesse, e col correr degli anni viva oltremodo in mezzo al popolo si mantenne. Infatti il 7 luglio 1592 Andrea Speciale, Pirro d’Aquino, Giovanni Antonio Abate, ed Alessandro d’Oria deponevano innanzi alla Curia Vescovile di Monsignor Resta di avere ciò udito dal centenario Andrione d’Andrione, compagno del Duca in quella gita. Il medesimo giorno i RR. D. Prospero Ricca, Fra Doneto de Magistris, e Fra Cristoforo Palmieri di Montepeloso testimoniavano pure innanzi alla detta Curia una seconda predizione non meno splendidissima.
Il 1561 moriva in Bitonto certo P. Angelo de Lellis dei Minori Conventuali, uomo di vita, di dottrina, e di autorità rispettabile. Tra gli scritti di costui si rinvenne dal Provinciale P. M. Cristoforo Palmieri da Montepeloso un cartellino di antichissima data in cui si leggevano queste parole latine: «Andrai in Andria, ti porterai verso Occidente, nell’antica Chiesa detta di Santa Margherita nella Lama, ove troverai due porte, una verso mezzo giorno, l’altra verso settentrione. Entra per la porta australe, cerca alla tua sinistra e troverai un grande tesoro: Ibis Andriam, et inde versus Occidentem ibis ad Ecclesiam antiquam, dictam de S. Margherita in Lamis, ubi invenies duas portas, unam versus austrum, alteram versus aquilonem. Ingredere portam versus Austrum, et quaere sinistrorsum, et invenies magnum thesaurum».
Se il frate restasse a tale nuova imparadisato, è più facile pensarlo che dirlo; perchè scriver subito ad un religioso Francescano suo amicissimo, Fra Donato De Magistris Andriese, confidargli gelosamente il segreto, ed impegnarlo alla ricerca di si grande tesoro, fu un punto solo. Fra Donato dopo essersi all’uopo consigliato con un sacerdote della Cattedrale, certo D. Prospero Ricca, e con vani secolari e religiosi, ed aver lor mostrato la gelosa cartellina, ne commette il delicato incarico ad un suo fratello per nome Natale. Questi vola ansioso nella valle, ma alla vista di quella grotta orrida e tenebrosa, intimorito torna in città, ed alcuni giorni dopo vi si porta in compagnia di Fra Diaspero Guindola Agostiniano, di Riccardo Sgarra e di un altro secolare. Con le fiaccole in mano penetrano in quel derelitto Santuario, ed avidi di oro si danno sollecitamente a scavare nel luogo additato. Ed ecco un buffo impetuoso di vento smorzar loro le fiaccole, ed un invisibile grandinare di orribili percosse metterli in precipitosissima fuga! Alla nuova di sì strano avvenimento, un gelo corse per le ossa di tutti gli Andriesi, e da quel giorno quel sito fu detto: VALLE INDEMONIATA!

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IV. - Le apparizioni.

Correndo l’anno di nostra salute 1576, in sul far dell’alba dei primi giorni di febbraio, un tale Antonio Tucchio, fabbricatore di carri, uomo semplice e senza fraude, era dolcemente sopito; quando si vide presente la Madre di Dio, in candida veste, tutta sfolgorata d’una luce di Paradiso, che amorosa gl’imponeva di portarsi nella grotta di S. Margherita, che egli soleva alle volte devotamente visitare, ed accendere una lampada innanzi alla sua immagine derelitta. Il buon vecchietto al principio rallegrarsi immensamente per tale celeste visione, ringraziarne di cuore Maria, e correre veloce col pensiero e con l’affetto in quella grotta; ma ecco la valle indemoniata affacciarsegli più che mai nera nera e spaventosa molto alla mente, ed all’amore prevalere la paura. Scorsi pochi giorni, Maria di bel nuovo in santa visione gli appare; e di bel nuovo la Valle indemoniata gli si presenta innanzi, come il simulacro del terrore. Una notte infine mentre il settuagenario Tucchio placidamente dormiva, un forte picchiare alla porta gli rompe l’alto sonno nella testa; si leva, corre frettoloso ad aprire; ed ecco in mezzo ad un mare di luce soavissima, che cielo e terra mirabilmente irradiava, coronata da angeli e santi, sopra ogni umana cosa bellissima, gli appare la Vergine, la quale elevando dignitosa la destra fe’ cenno verso la Valle, e rivolò al cielo.
Il fortunatissimo popolano oltremodo lieto per tal visione, alla dimane per tempissimo corre difilato alla Valle; se non che al vedere appena quella grotta, irta di bronchi, di spini, e di dirupati macigni, ricordò le orribili percosse toccate per invisibile mano da coloro, che venuti erano in cerca di tesori, sentì tremarsi le vene e i polsi, ed affannoso tornò in città ad invocare l’aiuto di un suo compare, certo Annibale Palombino, virtuosissimo gentiluomo. Il quale udito per filo e per segno il prodigioso racconto rimase oltre ogni credere consolato e fuori di sè per la meraviglia, promise di tenergli volentieri compagnia; ma a miglior tempo. L’amore non soffre indugi; e la dolcissima Madre di Dio, che tanto ardentemente anelava rivelarsi al caro suo popolo Andriese, si degna apparire in visione anche al Palombino. A costui dormendo sembrava di esser già nella grotta di Maria, e che al vedere l’augusta Immagine di lei, stringente affettuosa tra le braccia un vezzosissimo bambolino, le si accostasse strisciandosi con la lingua per terra, e che mentre dirottissimamente piangeva e sospirava, l’Immagine benedetta schiudendo amorosa le labbra gli dicesse: Annibale, quali grazie vuoi tu da me? — Soavissime parole, che tutto mirabilmente rivelano il tenerissimo cuore di Maria verso di Andria sua! — In questo mentre Annibale è destato dai suoi, accorsi tremanti all’udirne il dirottissimo pianto; ai quali dopo di avere fil filo narrata la visione, di buon mattino menando seco un suo settenne servitorello, Giulio da Torrito, fu dal Tucchio. Fornita una lampada di olio, ed allestito ogni cosa, tutti e tre lietissimi e devoti, s’incamminarono verso la Valle di S. Margherita, ove ripetutamente ed instantemente li avea chiamati Maria.

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V. - Il dieci marzo.

Era il 10 marzo, giorno di sabato, allora quando il Palombino, il Tucchio, e il Torrito, i più avventurati cittadini di Andria, giungevano nella Valle. Con ardenti fiaccole in mano, e con sacro terrore nel petto, penetrarono nella maggior grotta dedicata alla Vergine Martire d’Antiochia. L’arco che metteva nella minore, verso settentrione, era ingombro di rotolati sassi, di ammonticchiata terra, di selvatici arbusti, e di ellera verdeggiante. Solleciti si danno a sgombrarne il passo; alla fine vi entrano; tutto era silenzio e tenebre. Paurosi ed attoniti volgono intorno lo sguardo; ed ecco al dubbio riverbero delle faci offrirsi loro innanzi la veneranda Immagine di Maria, maestosamente seduta sopra di un trono, col Bambino sulle ginocchia, coronata di dodici stelle, ed avente a destra ed a sinistra il sole e la luna. Non è possibile ridire la gioia immensa di quei cuori, le copiose lagrime di tenerezza che versarono al vedere l’Immagine di colei, che tante volte si era degnata apparir loro in visione di paradiso. Non è possibile ridire quante volte affettuosissimamente e riverentissimamente baciassero e ribaciassero quella tenera effigie; quante volte giurassero di volerla sempre ardentemente amare!
Effuso con immensa dilezione il loro cuore dinanzi alla Madre di Dio, che già era addivenuta l’eco armoniosa dei dolori e delle gioie degli Andriesi, vi accesero una lampada, con l’obbligo di portarsi ad accenderla in ogni sabato, e si partirono benedicendo Gesù e Maria. Tre secoli sono ornai volati, ed il dieci marzo vive nella memoria dei pii Andriesi, come il giorno più bello della loro vita; ed ogni anno accorrono devoti in quel sacro tempio per salutare il dì anniversario, in cui la prima volta si mostrò ai loro sguardi la cara Immagine di Maria!

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VI. - La lampada.

Serbando gelosamente il segreto di tale consolantissima invenzione, i tre fecero lieto ritorno alle loro case. Gian Antonio, che avea degli anni molti, ed era povero dei beni di fortuna, sebbene ricco del timore di Dio, che è qualche cosa di meglio, pregò accesissimamente Annibale più giovane e ben agiato, perchè volesse eseguire l’incarico da entrambi assunto di andare ogni sabato in quella grotta ad accendervi la lampada innanzi alla Immagine di Maria. Il Palombino senz’altro il promise e fedelmente l’attenne sino ai 19 di maggio. Il sabato seguente avvenne che dimenticasse di accendervi la lampada, ed essendosi recato per alcune sue faccende in Corato, ai 30 reduce da quella città s’incontra con Gian Antonio, il quale premuroso gli chiede: e la lampada, l’hai tu accesa sempre? A tal dimanda Annibale arrossire, chiederne scusa, e promettere di andarvi insieme il prossimo sabato.
Però oltre ogni credere grandissima fu la loro sorpresa, quando all’alba novella dei 2 giugno, entrati nella grotta trovarono la lampada di vivissima luce riscintillante. — Da quel dì quella lampada, simbolo dell’ardentissimo amore di Maria verso di Andria, e di Andria verso la sua cara ed amata Madonna, non si è estinta, e non si estinguerà giammai. L’amore è immortale! — Quei due a tal vista sino alle lagrime commossi, gridarono: miracolo! miracolo! e miracolo! miracolo! ripetè per la prima volta di lontano l’eco della sottoposta valle. Allora il Palombino, che avea menato seco un suo cavallo baio, il quale pativa il male del verme in una gamba, pieno di confidenza e di ardente fede in Maria s’avvicina alla lampada, prende di quell’olio benedetto, l‘unge, ed all’istante il cavallo risana, e ne fa dono a Maria. Quel cavallo era l’immagine vivente dei poveri peccatori, a cui le tante volte Maria nella sua grotta avrebbe ridonato la eterna salute!

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VII. – La valle dei prodigi.

Incredibile a dire! non appena Annibale e Gian Antonio recarono in Andria la lietissima novella dei primi miracoli, operati da Maria; nella grotta di Santa Margherita, chè in un baleno il popolo Andriese si riversò nella valle a venerarne la Immagine sacrata. Non erano scorsi tre giorni appena, ed il grido di un tanto avvenimento si sparse subito nelle circonvicine, e nelle più lontane città del regno, e di fuori ancora. Era un continuo andare e venire di gente devota e di infermi, che invano avevano sperato negli umani rimedii. Era un non interrotto raccontare di grazie ricevute fin nei proprii paesi, per strada, in Andria, e nella grotta venerata. Era un incessante appendere di tavolette votive a quelle rustiche pareti, un accendere lampade e ceri innanzi alla benedetta fra le Donne. Era uno spettacolo oltremodo consolante vedere i ciechi ungersi con l’olio benedetto della lampada, trovata accesa innanzi alla prodigiosa Immagine, ed acquistare la vista, i muti la parola, i sordi l’udito, gli storpi l’uso delle membra, gli infermi la sanità, e gli ossessi la liberazione dai demonii! Alla vista di tanti miracoli, tutti infermi e sani premurosamente dimandavano di essere unti con quell’olio prodigioso, e si reputavano fortunatissimi di poterne portare in casa un pochino. Fu d’uopo quindi accendervi lampade più grandi ed in più numero innanzi alla miracolosa Immagine, per soddisfare alla devozione di tutti.
La valle poi fragorosamente echeggiava di un vario grido religioso, canti di salmi e di litanie, accenti di tristezza e di gioia, di speranza e di rendimenti di grazie, gemiti di pentimento, e slanci d’amore quant’altri mai cocentissimi. Fu allora che Monsignor D. Luca Fieschi dei Conti di Lavagna di Genova, Vescovo di Andria il 6 giugno, con tutto il clero in processione, accompagnato dai più ragguardevoli della città, e dal Duca Fabrizio III Carafa si portò divotamente a venerare la Immagine di Maria nella Valle di Santa Margherita, che tutti addimandavano; la valle dei prodigi. Il pio Pastore fe’ alla meglio ornare quel rustico altare intorno a cui di giorno e di notte scintillavano mille faci votive, e volle vi si celebrasse il divin sacrificio in rendimento di grazie infinite a Colei, che si era degnata visitare con tanti miracoli questa città, oggetto soavissimo dei suoi santi amori. Per tanti strepitosissimi prodigi il popolo Andriese appellò la sua Madonna: Santa Maria dei miracoli d’Andria, titolo dal Sommo Pontefice Gregorio XIII pienamente confermato [7].
NOTE

[7] Nello strumento, rogato il dì 11 febbraio 1577 dal notaio Federico de Colutiis tra l’Università e la Curia Vescovile, per l’erezione della Confraternita nella grotta di S. Margherita, si legge per la prima volta il titolo di S. Maria dei Miracoli, dato alla nostra Madonna «deputetur Confraternitas... sub invocatione B. Mariae Miraculorum in lamiss etc.». Il medesimo titolo si legge pure nella supplica, umiliata dall’Università a Gregorio XIII, per l’approvazione di detta Confraternita: «in dicta Ecclesia, sub invocatione ipsius B. Mariae Miraculorum in lamis nuncupata etc.». Sicché il detto Pontefice nella sua Bolla: Cathedram praeminentiae etc. data in Roma il 13 gennaio 1580, confermava questo titolo, dandolo alla nuova Badia.

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VIII. -La Confraternita.

Come ogni dì più Maria nella sua grotta spandeva copiosissime su tutti le benefiche sue grazie; così il popolo devoto largheggiava verso di lei di offerte d’oro, d’argento, di gemme, di vesti preziose, di sacri arredi, di frumento e di bestiame. Laonde Monsignor Fieschi premuroso della gloria di Maria, ordinò si gettassero le fondamenta di un gran tempio, che tutta ne abbracciasse la grotta. A tal uopo con Mariano de Robertis, in allora Sindaco dell’Università di Andria, e coi deputati Tomaso Tesoriero, Antonello Cocco, ed Angelo de Martinello, istituì una Congregazione di cinquanta individui, dei quali venticinque ecclesiastici da eleggersi dal Vescovo, e venticinque gentiluomini laici dal Municipio. Tutti dovevano frequentare i sacramenti, massime nelle feste della Madre di Dio, e nelle maggiori solennità di nostro Signore, ed essere soggetti ad un Rettore ed a sei Priori, eletti due dal Vescovo, due dall’Università, e due dalla Confraternita. Loro precipuo compito era di accrescere sempre maggiormente più il novello culto della Beatissima Vergine; riceverne le offerte, ed a tempo debito renderne conto alla Curia Vescovile; sopraintendere alla fabbrica del tempio; distribuire annue doti di quaranta a cinquanta ducati a sei oneste e bisognose orfane Andriesi; e via via.
Di ciò il dì 11 febbraio 1577 sul palazzo Vescovile, fu stipulato solenne atto dal notaio Federico de Colutiis, tra l’Università e la Curia. Il Sommo Pontefice Gregorio XIII l’anno istesso approvò questa Confraternita. In tal modo il nascente Santuario di Maria dei Miracoli fu custodito quanto meglio e più religiosamente si potè, per quasi due anni, ed ognuno in tutte le ore trovò facile adito di prostrarsi devoto innanzi alla sua dolcissima Madre, nel di cui seno affettuoso veniva a versare i segreti affanni del suo cuore.

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IX. - La Badia.

Il maggior culto ai Maria era sommamente a cuore di tutti gli Andriesi, ed il Duca Fabrizio Carafa, desideroso di provvedere per quanto era da sè allo splendore della Madonna della sua Duchea, mostrò ardente desiderio a Monsignor Fieschi di sostituire a quella Congregazione laicale, una di regolari e nominatamente di Benedettini. Il Vescovo arrise ben volentieri a tale divisamento, la città l’applaudì, e il Duca volò premuroso in Napoli a conferire su questo affare con D. Pier Paolo da Senisio, Abate di S. Severino di Napoli, e suo amicissimo. Il tutto fu bello e fatto; il 1579 l’Abate Senisio, il Vescovo, il clero e l’Università erano sul palazzo Ducale, ove fu stabilito, che il nascente Santuario passerebbe alle cure della Congregazione Cassinese. Il 13 gennaio 1580 il Pontefice Gregorio XIII con la Bolla «Cathedram praeeminentiae etc.» approvava tale decisione, e la Chiesa lasciando il titolo di Confraternita, prendeva quello di Badia di Santa Maria dei Miracoli d’Andria. Il Vescovo fece di ciò celebrare pubblico istrumento il 1.° Aprile 1581, e l’Università ai 2. Ai 20 dell’istesso mese il R. P. D. Severino Montella, quale Amministratore dei Padri Cassinesi [8], accompagnato dal Vescovo, dal Clero, dal Duca e da immenso popolo ne prendeva il reale possesso, giusta un altro breve del medesimo Pontefice «Nuper Ecclesiam etc.» dei 30 marzo, diretto a Monsignor Fieschi, quale delegato apostolico. Di tal possesso fu fatto pubblico atto dal Notaro Giambattista Petusi alla presenza di D. Antonio Guadagno, Vicario generale di Andria, suddelegato dal Vescovo, e firmato dai testimoni Don Fabio Quarti, Arciprete della Cattedrale, Don Vincenzo Petusi, Prevosto della Chiesa di San Nicola di Trimoggia, D. Agostino Sacerdote Fortunato, dal chierico D. Francesco Berardo di Ruvo, e da mastro Paolo de Russo.
Al solito non vi mancarono dei permalosi e brontoloni, che palliando il proprio tornaconto con lo spe-ciosissimo nome di bene pubblico, commossero il clero ed il popolo sempre cieco all’amore del pari che all’odio; ed i religiosi Benedettini ardentemente desiderati ed accolti prima, si odiarono e si vollero rimandare poi. Brigarono presso il Vicerè del Regno D. Pietro Girone, portarono reclami alla Santa Sede. A tal uopo nel maggio 1583 il Pontefice commise l’affare al Vescovo di Andria Monsignor Resta, essendo stato il Fieschi l’anno precedente traslatato alla sede di Albenga nel Genovesato. Indi ad istanza dei Benedettini, con un altro breve dato in San Marco il 7 luglio del medesimo anno, fu eletto giudice di tale controversia Scipione, Arcive-scovo di Trani, il quale seppe mirabilmente riamicare fra loro gli Andriesi ed i religiosi. Il 24 settembre sul palazzo ducale si fece un nuovo trattato con cui, tra l’altre cose, l’Abadia obbligavasi dotare ogni anno tre orfane, e Gregorio XIII l’approvava col breve «Debito pastoralis» dei 13 settembre 1584. D’allora l’amore tra i Benedettini e gli Andriesi divenne ogni dì più ferventissimo, ed il culto di Maria dei Miracoli poggiò ad altezza non pareggiata mai. Imperocchè i Cassinesi avuto il pacifico possesso della Badia, bollenti di zelo pel culto della Madre di Dio, furono premurosi far venire da Napoli il Cavaliere Cosmo Fonzago, Bergamasco, famoso architetto e scultore di quei tempi. Questi nel 1617, con altro disegno più grandioso, rifece la fabbrica della Badia e della Chiesa, già incominciata, e v’innalzò un triplice tempio a tre navate quant’altri mai elegantis-simo, che a meraviglia ritrae la sveltezza del genio Andriese, gli slanci dell’ardente suo amore per Maria, la bellezza del limpido suo cielo, ed il sorriso incantevole delle sue campagne. Questo tempio ebbe termine dopo 16 anni, cioè nel 1633. Coll’andare degli anni, oltre dell’estesissimo territorio limitrofo, che l’Università graziosamente donava all’Abazia, questa con le offerte dei fedeli comprò i seguenti territorii:
Denominazione dei Territori Anno della compra Carra Versure Ducati Al Carro
Lama di Muccio 1581 11 10 3450 300.00
Il Parco 1586 4 » 1500 375.96
Le Fondare 1587 2 13 1150 433.75
Sant’Attomais 1587 11 2 3219 283.00
Lama Paola 1591 8 » 4822½ 595.37
Monte Guaragnone 1595 » 10 800 80.00
L’Antica d’Andria 1597 6 13 1833 290.67
La Spineta 1605 12 11 4712 372.00
S. Nicolò della Guardia 1614 17 » 5610 330.00
Le Chiese rotonde 1616 4 3 1288 310.36
La Buzzaccara 1647 12 4020 354.96
Il Piano della Padula 1653 15 10 1575 225[9]
Il Piano della Padula 1717 9 5 » »
Quest’ultimo territorio fu dono di Francesco e Beatrice Mele per un anniversario e 33 messe annue per le loro anime [10]. Questa munificenza dei fedeli verso la Badia di S. Maria dei Miracoli d’Andria, non era irreflessiva; era il frutto di un nobile e giusto calcolo; essi donavano ai monaci sia perchè sempre vivo mante-nessero il culto della loro cara Madonna, sia perchè pregassero pace alle loro anime al di là della tomba. Ecco come si formò il tesoro dei Benedettini!
Fra tutte le proprietà infatti nessuna ebbe mai un’origine più legittima, più santa e più inviolabile, quanto la proprietà monastica, come quella che ha per origine l’atto più nobile dell’uomo, il dono. Imperciocchè: «il dono, dice Thiers, è la più nobile maniera di usare della proprietà, è il godimento morale aggiunto al godimento fisico». E l’imperatore Federico II in testa d’un diploma scriveva: «In mezzo all’universale caducità delle cose umane, l’uomo può tuttavia involare al tempo qualcosa di stabile e di perpetuo, cioè, quello che dona a Dio; e così riunisce il suo patrimonio terreno al patrimonio di Dio». A dir breve i beni monastici sono i doni del pentimento, i legati del dolore, i frutti del sacrifizio. La mercè di questo ricchissimo patrimonio, Andria vide sorgere a decoro massimo del suo tempio Abbaziale, un magnifico coro di noce elegantemente intagliato ed istoriato, un vero capolavoro in tal genere.
Ogni anno poi pomposamente in onore di Maria dei Miracoli solennizzavansi due feste, l’una il primo Sabato di Giugno, in memoria della manifestazione miracolosa di questa Imagine a tutto il popolo Andriese, e l’altra l’ultima Domenica di Agosto, in memoria della dedicazione del tempio [11]. In detta Domenica solevasi, sull’elenco presentato dal Sindaco di Andria, estrarre da chi cantava la messa, tre maritaggi di ducati 30, in favore di orfanelle civili [12]. L’anno 1660, il 29 agosto, Fabrizio Maggio, Generale Sindaco, ed Antonio Conoscitore, Gennaro Caputo, Carlo Antonio Tota, deputati eletti dall’Università di Andria, assistevano alla Messa cantata nella Chiesa di S. Maria dei Miracoli in Lamis; ma non essendosi sortizzati detti maritaggi, essi protestarono contro il monistero. Alla quale protesta il Priore D. Saverio da Ascoli rispose di non essere quell’anno l’Abadia obbligata ad estrarre detti maritaggi, perché l’Università non aveva pagato l’interesse dei Ducati 1000, prestatigli dal monistero [13].
Però mentre l’Abadia largheggiava tanto in opere di culto, non largheggiava meno in opere di carità, e fu il pietoso asilo dei poveri e degli infelici, che trovarono sempre presso dei Monaci pane e conforto. E quando le intemperie delle stagioni non permettevano che i miseri andassero a battere alla facile porteria della Madonna dei Miracoli, il Benedettino, l’amico sincero del povero popolo, recava in Andria carra di pane e di legumi per sfamare gl’infelici fin nei proprii tugurii! I beni dei frati furono in tutti i tempi ed in tutti i luoghi la fonte inesausta dei soccorsi al popolo bisognoso.
NOTE

[8] Il 12 Febbraio 1885, essendosi demolita l’antica cappella della Madonna, onde ergersi nuovamente, per voto di Re Ferdinando II delle due Sicilie, furono sotto quel pavimento scoperte le ossa di questo primo Benedettino, venuto in Andria, come egli stesso rivelò in sogno ad un’anima pia, aggiungendo che le sue ceneri si erano scoperte dopo tre secoli. Di questo amministratore si conserva ancora la prima campanetta, da lui fatta fare per la Madonna dei Miracoli nell’anno 1582, con la seguente iscrizione: A + R. D. Severinus. A _llontella. Administrator. Monasterii. S. Mariae. Miraculorum. Andriae. Fecit A. D. MDLXXXII.

[9] Da un Elenco dei Beni dei Benedettini, conservato tra le carte del Comm. Riccardo Ottavio Spagnoletti.

[10] Di quest’ultima donazione fu posta una lapide ,con la seguente iscrizione:
«Franciscus et soror Beatrix Mele postumia vitae qua nobilitatis qua pietatis haeredes, dum adhuc viverent sacro huic P. P. Cassin. coenobio bona omnia donatione postquam e vita decessissent obventura certis oneribus praescriptis legarunt; his igitur obtigit locuples arvis ac pascuis fundus novem, vernacula lingua, carras et versuras quinque complectens, in loco vulgo Pianae delle Padulae amodo quotannis in Piaculare anniversarium et XXXIII missarum sacrificia persolverentur. Tum mille aureorum summam cum reliqua quae post eorum obitum extaret pecunia in annuos census referendam mandarunt, ut divina missae solemnia singula pro singulis aureis inde comparatis celebrarent. Tandem integra licet modica suppellex pro peculiari in annos anniversarios attributa. Indultum tamen ut si quavis de causa per seipsos toties his sacris operari non liceret, eadem modica ut moris est, collata stipe per alios conficerentur. Eximiae beneficentiae testem lapidem hunc grati animi monumentum P. P. Cassin: P. P. anno reparatae naturae MDCCXVII sub regimine R.mi P.ris Jacobi Navarrette Abbatis».

[11] RESTA. Const. Dioec. Synodi Andrien 1582.

[12] Atto rogato dal Notaio Gian Vincenzo Tota ai 18 Giugno 1586.

[13] Arch. Not. di Trani, Prot. del Not. Fr. Sav. Colavecchio, anno 1660, fol. 365.

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X. - Il Tempio.

Su gli estremi confini di amena e ridente pianura leggermente ondulata, si vede sorgere svelto e maestoso il tempio di S. Maria dei Miracoli d’Andria. Esso ha il suo prospetto su quel vasto piazzale, e la sua facciata posteriore sul fondo della ripidissima ed incantevole valle, detta di S. Margherita.
Una spaziosa e ben costruita strada mena al tempio, il di cui prospetto, tutto di pietra da taglio nostrale, si eleva sopra sei pilastri, ornati da piccola cornice, e superiormente coronati da una balaustra a colonnine con cornicione, fregi e stemmi Benedettini.
La balaustrina segna il limite di un loggiato, in cui termina il portico, in fondo del quale s' innalza la parte superiore del prospetto con colonne a muro, e quinta coronata da una cornice Toscana, avente nel mezzo l’Immagine della B. Vergine, scolpita in pietra. Il portico costituito dai suddetti pilastri e da cinque arcate, che sorreggono il prospetto, e da una sesta laterale, che guarda di lontano la limpida marina di Barletta, immette direttamente nel tempio, mediante tre porte, che simmetricamente corrispondono alla navata di mezzo ed alle due laterali. La porta principale del tempio ha gli stipiti d’un sol pezzo di pietra da taglio, i quali con la cornice superiore, con la quinta corrispondente, e con l’Immagine di Maria, scolpita a basso rilievo nel mezzo, presentano un accuratissimo e bel lavoro di scalpello.
L’interno del tempio è costituito dalla parte superiore, dalla media, chiamata anticamente Cappella del Crocifisso, e dall’inferiore detta Soccorpo. Entrando per la porta principale si rimane sorpreso nell’ammirare la bellezza e sveltezza del tempio, vagamente inondato da un limpidissimo fiume di luce. Desso è formato da tre spaziose navate, delle quali la media supera le due laterali per aver luce da tredici luminosi finestroni. La navata media comunica con le laterali mediante dodici archi a tutto sesto, sei per ciascuna, e di oltre a metri quattro e cinquanta in corda. Quattordici pilastri a colonne, con capitelli Corintii, cornicioni e fregi sorreggono detti archi, ed a prima vista vi si vede eseguito un ordine architettonico, non cosi facile a riscontrarsi in opere di simil genere nei nostri luoghi. In fondo la navata media termina in una cupola circolare e ben arieggiata, che poggia su quattro arcatoni, ed il di cui vano forma il coro. Aderente alla parete estrema, in fondo alla Chiesa, è sito l’organo di costruzione assai pregevole. Esso poggia su d’una antica orchestra, con lavori di ornati tutti a doratura, e porta l’epoca del 1614. In fine la soffitta della navata media è formata a cassettoni esagonali, con rosoni ed ornati a finissima doratura, su d’un fondo celeste, che ne aumenta l’eleganza e la bellezza. Fu costruita nell’anno 1633. Nel mezzo della soffitta evvi una tela a quadro, in cui è dipinta la Madonna dei Miracoli, esatto lavoro di lontananza, ma disgraziatamente ritinto nel panneggiamento da inesperto pennello. Ad eguale distanza nella medesima soffitta vi sono altri due quadri rappresentanti S. Benedetto e Santa Scolastica, dipinti pregevoli quanto il primo.
A ciascuna arcata media delle due navate laterali corrispondono due capelloni a semplice intonaco ed a colori, ciascuno dei quali ha nel fondo un altare di marmo bianco. Nell’uno a destra si vede una grandissima tela su cui da valente pennello ed in tinte e rilievo è dipinto San Benedetto maestosamente seduto, che dà la sua regola a re, e frati, e suore. Nell’altro a sinistra si vede un altro grandissimo quadro di mediocre pennello, che rappresenta il Calvario. Simmetricamente alla linea dei due cappelloni sono disposti quattro elegantissimi altari di marmo bianco ed a colori a tutta altezza, vero modello di costruzione di tal genere, massime per gli ornati, di che sono bellamente rivestiti. Nel loro mezzo si vedono quattro grandi quadri a tela, dipinti con molta freschezza di colorito, i quali rappresentano S. Michele Arcangelo, e S. Nicola di Mira a destra, S. Mauro, e S. Placido a sinistra di chi entra. Sopra ciascuno dei detti quadri avvi un ovale, in cui ad affresco sono dipinti i quattro Evangelisti. Una balaustrina in marmo bianco ad ornato, che comprende le due ultime arcate delle navate, costruita nel 1757, divide il Presbitero, in fondo del quale s’innalza l’altare maggiore, di marmo bianco e di stile semplicissimo. Al dorso dell’altare, anche rivestito di marmo bianco, si vede scolpita una bellissima Immaginetta di S. Maria dei Miracoli, che porta l’epoca del 1720. Sulle pareti laterali del coro osservansi due grandi tele, che rappresentano con molta vivacità di colori la nascita di Gesù e quella di Maria [14]. Qua e colà poi tra gli spazii delle colonne a muro delle due navate estreme, e nei due cappelloni si ammirano otto quadri a tela di paesaggio, con pregevoli cornici dorate, pennello finissimo della scuola di Salvator Rosa, e che con vaghe e delicatissime tinte rappresentano le incantevoli scene campestri della vita di Cristo [15].
NOTE

[14] Questi due quadri, e quello della visita della Regina Saba a Salomone, che si vede nel Soccorpo, furono dipinti da un certo D. Elia, nel 1757.

[15] Questi bellissimi dipinti furono donati a questa Chiesa nel 1843 dalla Baronessa Romagnano di Napoli.

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XI. - La Cappella del Crocifisso.

In fondo alle due navate laterali di questo magnifico Tempio si aprono due spaziosissime scale, che menano alla Cappella del Crocifisso, ed al Soccorpo, e per le quali i fedeli, come gli angioli di Giacobbe, salgono e scendono, recitando l’Ave per ogni scalino, affine di onorare la Madonna dei Miracoli. Due balaustrine di marmo, simili e quelle che limitano il presbitero, bellamente coronano il vano superiore delle gradinate di 50 gradini per ciascuno. Nel 1903, la pietà del Can.co della Cattedrale di Andria, D. Riccardo Avantario, piissimo oltre ogni credere di Maria, rifaceva splendidamente di marmo queste scale, come pure il pavimento del Soccorpo [16]. Le due gradinate scendono dritte ed in una sola rampa, framezzata ciascuna da un pianerottolo. Questi pianerottoli per mezzo di due porte rivestite anche di marmo, menano per tre gradini dentro la Cappella, detta del Crocifisso.
Questa Cappella forma un tempietto, medio tra la volta del Coro, che sta al primo piano, e la volta della Cripta o Soccorpo della Beatissima Vergine, messo al terzo piano. È sostenuto da quattro grossi pilastri di pietra, dipinti di non mediocri affreschi; come pure di eguali affreschi sono pennelleggiati i muri all’intorno. Queste pitture rappresentano i Profeti e le Sibille, che tanti secoli prima vaticinarono la passione dolorosa del Salvatore, nonchè varie scene di quella. Adossato alla parete, che guarda il levante, vi è l’unico altare, sul quale una volta s’innalzava un bellissimo Crocifisso di stucco; mentre in fondo vi si scorge dipinto il Calvario, con Gesù Crocefisso, l’Addolorata e San Giovanni, e sul paliotto è dipinta la scena della sepoltura di Nostro Signore. Questa Cappella viene illuminata dalle due porte laterali, e da quattro finestre, che corrispondono alla parte occidentale del Soccorpo. Anticamente avanti alla finestra di mezzo, che era più grande delle altre, si vedeva una bellissima statua di Gesù Cristo morto, lavoro di stucco. Essa si posava dentro un’urna vagamente ornata di eleganti dorature, e presentava ai riguardanti un pregevole colpo d’occhio. Ora più non esiste; invece la finestra è occupata da un armonioso Organino.
In prosieguo, due delle quattro finestre furono chiuse, come pure venne murata la porta, messa alla sinistra di chi scende, nel di cui vano fu provvisoriamente seppellito il cadavere, imbalsamato di Mons. Saggese, Ve-scovo di Montepiloso. Ma nel 1903 queste ceneri furono deposte sotto il monumento di marmo, e le due finestre furono riaperte; perchè si volle restituire al culto questa Cappella. Sicchè la Chiesa di S. Maria dei Miracoli forma come un complesso di tre elegantissimi tempii, perpendicolarmente posti l’uno sopra, consecrato a Gesù in Sacramento, l’altro in mezzo, consacrato a Gesù Crocifisso, ed il terzo sotto, dedicato alla Vergine Santissima dei Miracoli di Andria.
NOTE

[16] Le scale ed il pavimento costarono L. 13,000.

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XII. - Il Soccorpo.

Bellissima ed incantevole è nell’insieme la vista del Soccorpo. La sua pittoresca posizione topografica gli permette di essere splendidamente illuminato, mentre la sua facciata posteriore, ben costruita con pietra da taglio scende al fondo della valle e prospetta il ponente. Il davanti della grotta propriamente detta è una costruzione sublime nel suo genere sacro; sembra un tempio addossato alla cripta, e che splendidamente conduce ad essa. Si eleva maestoso su due pilastri doppii a colonna, che sorreggono la sveltissima e ben proporzionata cupola, vagamente ornata di stucco. Nella parete, rimpetto alla grotta, si osserva un gran dipinto, eseguito pure con molta vivacità e freschezza di colorito; esso rappresenta la Regina Saba, attonita in-nanzi alla sapienza di Salomone. A destra ed a sinistra di chi scende, su due grandi porte, che mettono nel fondo della valle, convertita in delizioso giardino, si vedono gli affreschi di Gesù, orante nel Getsemani, e della Samaritana, che discorre col Nazareno sul pozzo di Giacobbe. Sulle due pareti laterali vi sono gli affreschi di Giuditta, che taglia il capo ad Oloferne, e di Giaele, che inchioda Sisara al suolo. La grotta è piuttosto profonda, e la sua volta di tufo, scavata nel masso, è sorretta da dodici pilastri a colonne.
Sull’ingresso di essa si legge questa iscrizione:
D. O. M.
SACRUM
SUB DEIPARAE MIRACULORUM INVOCATIONE
ET TUTELA
PARVUM IN ABSCONDITO OBLIVIONI RELICTUM
PIORUM AUXILIO
MAGNUM POSITUM ET PATENS
DIE SABBATI PRIMI JUNII AN. DOMINICAE INCARNATIONIS
MDLXXVI
OPERE PLASTICO EXORNATUM AUGUSTIUS
A. D. MDCCCXLIX
In fondo alla sacra grotta vi sono tre altari, dei quali il medio è posto sotto la sacra Immagine, e funziona da altare maggiore. Il piano di detto altare era sollevato su quello degli altri due di metri uno e venti, e vi si accedeva da due rampe laterali di cinque gradini ognuna. Questo piano sollevato formava un tutto a sè, ed era circondato da fortissima cancellata di ferro, con fregi di ottone. Le sue pareti erano adorne di cristalli colorati, che nell' insieme presentavano un disegno svariatissimo; anche l’altare era cosi costruito. Ma quando Francesco II, Re di Napoli, vi costruì il novello altare, esso prese novella forma. Dei due altari laterali l’uno è dedicato a S. Margherita Vergine e Martire, e l’altro, che aveva balaustrina di marmo bianco, e stemmi di Casa Càrafa, è sacro all’Annunziata, grande e pregiatissimo dipinto in tavola, in cui è sommamente rimarchevole il volto della Vergine di una bellezza angelica, che t’innamora, ed il ritratto di D. Vincenzo Carafa, Priore d’Ungheria, dell’Ordine Gerosolimitano, e figlio di Fabrizio IV, Conte di Ruvo, ed utile signore d’Andria. Un dì nella espugnazione delle Provincie Spagnuole duce di tremila fanti Italiani. Nella guerra di Fiandra capitano di dugento cavalleggieri, e di seimila pedoni, nel Regno di Napoli. Attualmente duce di cento cavallieri, e regio consigliere di stato e di guerra. Questi ammalatosi nella Spagna, ove trovavasi per taluni affari presso Re Filippo, fe’ voto alla Beatissima Vergine dei Miracoli, e per tale voto impetrò la guarigione, l’anno 1590. Tutto ciò rilevasi dalla seguente iscrizione, incisa in marmo sull’altare, e scopertasi nell’anno 1885 [17].
Diversi depositi adornano il Soccorpo. A destra di chi sale, vi è la tomba con un medaglione di marmo, rappresentante Monsignor Don Francesco Saverio Saggese, Vescovo di Montepeloso, con la seguente iscrizione:
HEIC IN PACE QUIESCIT
FRANCISCUS XAVERIUS SAGGESIUS
MONTIS PELUSII EPISCOPUS
E PRISCIS SALAEROSETIQUE VETRUSCELLI DOMINIS ORTUS
SANCTITATE SIMPLICITATE PRUDENTIA
PROLIXAQUE IN PAUPERES MISERICORDIA
CUM APOSTOLICIS VIRIS COMPARANDUS
QUI CUM HOSPES HOC IN COENOBIUM ADVENISSET
ADFECTISSIMAE VALETUDINIS
SUB SALUBRIORI CAELO CONSULTURUS
INGRAVESCENTE SENSIM MORBO
CONSTANTISSIME MORTEM OPPETIIT
A. D. V IDUS NOVEMBRIS ANNO R. S. CIƆLƆXCIV [1794?]
AETATIS SUAE LIII MENS. IX
AB INITO EPISCOPATU II MENS. VII.
VINCENTIUS ROGADEUS
CASINENSIS HUIUS COENOBII ABBAS
AMICISSIMI PRAESULIS DESIDERIO PERCULSUS
CONDITO CORPORE
PARENTALIBUS RITE PERSOLUTIS
SACRUM PIGNUS
MAGNO FREQUENTISSIMI POPULI STUDIO
SANCTITATIS ET SIGNORUM FAMA PERMOTI
ELATUM
RELIGIOSISSIME HEIC SEPONENDUM CURAVIT
PHILIPPUS SAGGESIUS ROSETI ET VETRUSCELLI BARO
GERMANO FRATRI OPTIMO ATQUE AMANTISSIMO
L. M. P.
Morto appena questo Vescovo, venne imbalsamato, ed interinamente seppelito nel vano della porta d’ingresso della Cappella del Crocifisso, a destra di chi scende per la gradinata, che mette nel soccorpo. Nel Novembre del 1903, dopo cento e nove anni, il cadavere venne trasportato di là, ed a cura del Priore degli Agostiniani P. Cosma Lojodice, fu collocato sotto il monumento di marmo, che il fratello Filippo Saggese gli aveva fatto rizzare, e che allora per le sociali tempeste, non si potette inaugurare.
Sull’intonaco fu scritta la seguente Epigrafe, ora distrutta coll’apertura della porta:
D. O. M.
Qui giace il corpo di Monsignor D. Saverio Saggese, Vescovo di Montepeloso. Era egli strettissimo amico del P. Abbate D. Vincenzo Rogadeo. Preso da grave infermità, che aveva sofferto nella propria residenza, fu da esso P. Abbate invitato a respirare l’aria di questo monistero, per fargli riacquistare la salute. Ma il male, donde il santo Vescovo era accagionato, non potea, nè con l’aria, nè con l’arte medica, nè con qualsivoglia ricercato medicamento ricevere veruna guarigione, per cui chiedendo di essere annoverato tra i Cassinesi di questa famiglia, ed essendo stato capitolarmente ricevuto per monaco di essa Religione, munito di tutti i Sacramenti, con particolare edificazione, da lui presi, alle ore dodici e mezza del giorno nove del mese di Novembre dell’anno 1794, fu chiamato da Dio agli eterni riposi. Era egli nato a Roseto, fondo di sua nobilissima famiglia, il primo di decembre dell’anno 1740, e sin dalla prima età aveva vestito l’abito clericale, ed aveva occupato le prime dignità della Collegiata Chiesa della Città di Foggia. Sino al punto estremo di sua vita si era sempre distinto nell’innocenza, nelle virtù morali, e sopratutto nella’incomparabile carità verso dei poveri, e nella somma divozione verso Maria SS.ma, il cui nome, unito a quello di Gesù, aveva sempre sulle labbra, e per la di lui somma devozione ed esemplarità di costumi è morto nel compianto di un gran servo di Dio.
A destra di questo monumento si vede quello di Mons. D. Federico Maria Galdi, Vescovo di Andria, rizzatogli dai fratelli e dalla sorella, nel 1903.
L’epigrafe gli fu da me dettata:
QUI PRESSO L’ARA DI MARIA DEI MIRACOLI
PIÙ QUETE DORMONO IL SONNO DELLA MORTE
LE OSSA DEL VESCOVO DI ANDRIA
FEDERICO MARIA GALDI
MAESTRO IN DIVINITÀ E FILOSOFO INSIGNE
PER XXVII ANNI QUESTA DIOCESI
CON LA CARITÀ DI CRISTO GOVERNÒ
IL IX MARZO M.DCCC.XIX DI ANNI LXXVI
AL CLERO FU RAPITO ED AL POPOLO
NON ALL’AMORE DEI SUOI FRATELLI
CHE QUESTO MONUMENTO GLI POSERO
LAGRIMANDO
Dirimpetto a sinistra è il tumulo, col busto di marmo di Mons. D. Gian Giuseppe Longobardi, Vescovo di Andria.
L’epigrafe seguente lo ricorda alla più tarda posterità:
MEMORIAE SEMPITERNAE
JOANNIS JOSEPHI LONGOBARDI
PRAESULIS OMNIGENAE VIRTUTE PRAEDITI
QUI NATUS AD CASTRUMARIS STABIENSIS
SACRARUM LITTERARUM LAUDE PRAECIPUE FLORESCENS
PER ANN. XVIII. MENS. VII. DIES XVI
ANDRIENSEM GUBERNAVIT ECCLESIAM
CONCREDITARUM OVIUM SALUTI UNICE INTENTUS
IN SEX PAROECIAS URBANAM CURAM TEMPERAVIT
PUELLIS ATQUE ORFANIS PATER FUIT INDULGENTISSIMUS
HISQUE SAT COMMODUM HOSPITIUM APERUIT
ADFUIT CONCILIO VATICANO I
UNDE VALETUDINIS CAUSA IN SUAM DIOECESIN REDIENS
EVANGELICIS LABORIBUS ATTRITUS
OBDORMIVIT IN DOMINO IV NON. NOV. MDCCCLXX
ELATUS EST OMNIUM ORDINUM LACRIMIS
─────────
ANTISTITI BENEMERENTISSIMO
CLERUS ET POPULUS
GRATI ANIMI PIGNUS MONUMENTUM
POSUERUNT
A destra di questo monumento s’innalza quello del Prevosto Parroco della Collegiata di San Nicola, D. Nicola Agresti.
Fu fatto per quella Chiesa; ma i Canonici non vollero riceverlo, e la famiglia senza mutare l’epigrafe, lo pose in questo Santuario, cosi come si legge:
NICOLA AGRESTI
DI SAN NICOLA PREPOSTO PARROCO
CHIARO PER ESEMPLARI COSTUMI
PER FORTE INGEGNO
VIVRÀ BENEDETTO DAGLI INDIGENTI
PERPETUAMENTE RIMPIANTO
DA QUESTO CLERO
A CUI SINO ALL’ULTIMO GIORNO DELLA VITA
IV APRILE MDCCCLXXXVII
ANNO SUO SESSANTESIMO QUINTO
ACCREBBE DECORO E FIDUCIA
DIFENDENDONE IMPAVIDO LE SACRE RAGIONI
In fondo al Soccorpo e di rincontro alla grotta della Beata Vergine, venne recentemente aperta una elegantissima Cappella, con altare e pavimento di marmo colorito, sacra a San Giuseppe, e destinata come sepolcro di Monsignor D. Giuseppe Iannuzzi, Vescovo di Lucera. Una lapide marmorea ne covre le ceneri con la epigrafe seguente:
QUESTA TOMBA CHE NEL SILENZIO DELLA MORTE
MESTAMENTE RACCHIUDE LE CENERI
DI GIUSEPPE IANNUZZI
MANDA Al POSTERI CARA RICORDANZA DELLA VITA DI LUI
DA STEFANO ED ANTONIA CECI CONIUGI PIETOSISSIMI
NASCEVA LI XI GENNAIO MDCCCI
VESTIVA DI ANNI IX L’ABITO CHIESASTICO
SACERDOTE CANONICO DELLA CATTEDRALE DI ANDRIA
TANTO ZELO SPIEGAVA NELLA CASA DEL SIGNORE
DA ESSERE NEL MDCCCXLIII
DAL PONTEFICE SOMMO IL XVI GREGORIO
PRESCELTO ALLA SEDE VESCOVILE DI LUCERA
PASTORE GUIDÒ L’OVILE COGLI EVANGELICI PRECETTI
LA CARITÀ DEI POVERELLI L’AMMAESTRAMENTO DEL CLERO
LA MORALE DIFFUSA NEL SUO GREGGE
GLI OTTENNERO GLORIA ED ONORE
I SACRI E RICCHI ARREDI DONATI ALLE CHIESE
IMPETRATE ALLA CATTEDRALE
LE PONTIFICALI ONORANZE DAL CAPITOLO RICONOSCENZA
E DA DIO O. M. IL PRIVILEGIO
DI SEDERE TUTTO CHE VECCHIO E SOFFERENTE
FRA I PADRI DELL’ECUMENICO CONCILIO VATICANO
CHE IL SOMMO PIO IX LONGEVO DEI FONTEFICI
A TUTELA DELLA FEDE
CONVOCAVA NEL TURBINE DI TEMPI PROCELLOSI
AI XXI AGOSTO MDCCCLXXI D’OGNI VIRTÙ INSIGNE
COMPIVA LA MORTALE CARRIERA
IL GERMAMO RICCARDO COLLAGRIMANDO TANTA PERDITA
L’ANNO DI SALUTE MDCCCLXXIV QUI COMPONEVA LE OSSA
INNANZI AL CORONATO SIMULACRO DELLA REGINA DEL CIELO
CHE NEL SOLENNE RITO VENERAVA L’ESTINTO
LE SANTE SUE OPERE NE RENDERANNO LA MEMORIA CARISSIMA
IMPETRANDO DALL’ETERNO ETERNA VITA
Finalmente a sinistra della grotta è la tomba in marmo della settenne fanciullina Marietta Francesca Tozzi di Cerignola. Sulla lapide posta dai suoi non consolabili genitori vi si legge questa Epigrafe:
QUI DORME E IN DIO RIPOSA
MARIA FRANCESCA TOZZI
CARISSIMA ED AMOROSA ANGIOLETTA
PROLE UNICA DELIZIA UNICA
DI SALVATORE E FILOMENA CIBELLI DI CERIGNOLA
VISSUTA APPENA VII ANNI
E LUNGAMENTE INFERMA
NÉ A SALVARLA DAL CRUDEL MORBO
VALSE L’AMENITÀ DI QUESTI COLLI
─────
MARIETTA
IN QUANTO DOLORE LASCI I TUOI GENITORI
OGNI NOSTRA ALLEGREZZA FU SPENTA
NEL GIORNO FUNESTO XXII GENNAIO MDCCCLXXI
In fine l’Immagine di S. Maria dei Miracoli, è l’obbietto principale ed interessante di questo tempio. La sacra effigia è quasi sempre religiosamente coperta d’un velo serico trapunto di oro, fuorché nel tempo della celebrazione delle messe, e nei giorni più specialmente a lei dedicati. Lampade d’argento, e ceri votivi irra-diano perennemente questa Immagine, insigne per infiniti miracoli, depositaria di tanti dolori, ministra di tante consolazioni, splendore e delizia, conforto e difesa della città di Andria.
NOTE

[17] Vincentius Carafa Hungariae Prior. Ordinis Hierosolimitani. Fabritii IV Ruborum Comitis. Et primi Andriae Ducis filius. Olim Ductor Italorum peditum trium milia in expugnatione provinciarum Lusitaniae. In bello autem Flandriae Equitibus ducentis praefectus et in Regno Neapolitano peditum sex millibus. Atque in presenti Centum Equitum dux. Et a Regis status et belli consiliis. Egrotans in Iberia ubi apud Philippum Hispaniae regem nonnullis impediebatur negotiis vovens huic Andriensi Beatissimae Virgini de Miraculis pro voto salutem impetravit M.D.XC.

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XIII. - Il Coro.

Le arti belle fiorirono sempre splendidamente rigogliose all’ombra veneranda della cristiana religione, e nominatamente del Monachismo di S. Benedetto, nei di cui chiostri ripararono, quando fuggivano innanzi all’ululato barbarico. E Montecassino, e quasi tutte le Abbazie Benedettine furono per capolavori di arte celebratissime. Fra queste non ultimo posto occupa la Badia di S. Maria dei Miracoli d’Andria, la quale dopo aver veduto sorgere un Tempio tanto svelto ed elegante, dovette ammirare estatica un magnifico Coro di noce, che e per eleganza di disegno, e per bellezza di lavori, e per finitezza di esecuzione, e per varietà di ornati e per lusso di fregi supera di gran lunga quello di S. Severino di Napoli, che pure è un capolavoro d’arte e di intagli.
Esso componeasi di ventotto stalli, a doppio ordine, non compreso quello dell’Abate vagamente ornato di svelte colonnine scannellate, con arabeschi, e con dorature in vani punti. Nel mezzo vedevasi un bellissimo rilievo, rappresentante S. Benedetto, che ha il libro della regola aperto sul ginocchio destro, con le iniziali: Ausculta, o Fili, praecepta magistri. Nella mano sinistra stringea il pastorale, ai piedi teneva il corvo, con il pane nel becco; mentre in alto ammiravansi due angioletti, che deponeano sul capo del Santo una corona. Dei ventotto stalli a doppio ordine, cinque erano situati di fronte, gli altri a destra ed a sinistra, ed ogni stallo dell’ordine superiore era bellamente ornato di due statuette ben scolpite a tutto rilievo, con cornice artisticamente intagliata all’intorno, e diviso l’uno dall’altro da due colonnine scannellate ed arabescate.

Nel primo stallo, a destra dell’altare maggiore della Cattedrale di Bisceglie, ove detto Coro oggi si ammira, osservansi le statuette dei Pontefici S. Gregorio Magno, e S. Bonifacio IV, su cui è scritto: Congregatio Cassinensis, con lo stemma consistente in un leone, cinto da una fascia, ed una croce sulla quale si legge : PAX.
Nel secondo stallo vedonsi i Papi S. Adeodato, e S. Agatone I, su di essi è scritto: Congregatio Camaldulensis, con lo stemma di due leoni, ed un calice, in cui sembra cadere una stella, mentre due uccelli bevono in quello.
Nel terzo stallo sono scolpiti i Pontefici San Leone IV, e S. Gregorio, con lo stemma di due chiavi, ed una croce, che si eleva sulle seguenti iniziali L. A. E.
Nel quarto vedonsi S. Stefano III e S. Zaccaria Papa; su di essi è scritto: Congregatio Valumbrosae, collo stemma d’un leone, ed una mano, che regge un pastorale.
Nel quinto sono effigiati S. Pasquale I Papa, S. Stefano IV; sopra di essi si legge: Congregatio Cisterciensis, collo stemma d’una mezza palla, cinta da sette gigli, ed una mano che regge un pastorale. A piè delle due statuette vi sono le seguenti iniziali P. L. C. A.
Nel sesto si vedono i Pontefici S. Silvestro V, Gregorio V, con l’iscrizione: Congregatio Humiliatorum, e lo stemma d’una pecora e due chiavi legate.
Nel settimo vi sono i Papi S. Leone IX, e Giovanni XIX, con l’iscrizione: Congregatio Caelestinorum, e lo stemma d’un leone cinto da una fascia, ed una croce su cui si vede la iniziale S.
Nell’ottavo stanno i Papi S. Gregorio VII, S. Stefano IX, su d’essi leggesi: Congregatio Olizetanorum, con lo stemma d’una croce fra l’unghie d’un leone, ed un’altra croce, circondata d’alloro.
Nel nono i Papi S. Urbano II, e S. Vittore III, con l’iscrizione: Congregatio Gallica, con lo stemma di due leoni che s’azzuffano, ed un’aquila.
Nel decimo S. Gelasio II e S. Pasquale II Papi, su cui leggesi: Congregatio Hispanica, con lo stemma d’una torre, assalita da un leone.
Nell’undecimo i Pontefici Anastasio IV, e Gelasio II, con l’iscrizione: Congregatio Cluniacensis, con lo stemma d’una spada, intersecata da due chiavi e tre leoni.
Nel dodicesimo Giovanni IX Papa e S. Stefano VII; su di essi si legge: Congregatio Mantisurensis, con lo stemma di un leone, due chiavi incrocicchiate ed una croce, accanto alla quale osservansi queste iniziali M. † V.
Nel tredicesimo i Papi Innocenzo III ed Adriano IV, con l’iscrizione: Congregatio Floriacensis, con lo stemma di tre gigli ed una spada spezzata.
Nel quattordicesimo finalmente sono scolpiti i Pontefici S. Urbano V, e Clemente I; su di essi si legge: Congregatio Sicula, con lo stemma di due aquile.

A sinistra poi del medesimo altare
nel primo stallo osservansi le statuette a rilievo di S. Raimondo M. Cala I, e Gomezio Franc. M. Alcai. Su di esse leggesi: S. Lotarius Rom. Imperat. III, e più sopra è scritto: Lenecluegil, con lo stemma d’una croce ed un albero di quercia.
Nel secondo S. Avisiense soldato e Templarior. M. Sopra vi si legge: Hugonus Imp. con lo stemma di una corona con lo scettro.
Nel terzo S. Mercenario M. e S. Gregorio M. con lo stemma di due croci.
Nel quarto S. Montesio M. e S. Stefano M. sopra di cui si legge: Arduinus Imp. con lo stemma di un’aquila bicipite, due gigli, e due croci.
Nel quinto S. Lazzaro soldato ed il B. Alario M. con l’iscrizione: Iudit. Imp. e con lo stemma di due croci.
Nel sesto S. Gerardo Vescovo e Martire, e S. Bonifacio Vescovo e Martire; sopra è scritto: Vuilla Imp. con lo stemma di otto gigli.
Nel settimo S. Brunone Vescovo e Martire, e S. Chiliente Vescovo e Martire; sopra si legge: S. Adelaid. Imp, con lo stemma di una corona e d’un uomo a cavallo.
Nell’ottavo S. Chiliente Vescovo, e S. Uvillebado Vescovo. Vi è scritto sopra: S. Matilda Imp. con lo stemma di due leoni, sei gigli e tre rane.
Nel nono S. Buillo Vescovo, e S. Lamdert Vescovo e Martire; sopra vi si legge: S. Guveged. Imper. con lo stemma d’un leone e quattro ancore.
Nel decimo S. Adalbert Vescovo e S. Aucusto Vescovo; con l’iscrizione sopra: Gunild. Imp. e lo stemma di sei leoni.
Nell’undecimo S. Lugder Vescovo e S. Savibert Vescovo; sopra vi si legge: S. Ageus Imp. con lo stemma d’una mezza corona ed un leone.
Nel dodicesimo S. Leone V Papa e S. Uvicpert Vescovo e Martire, con lo stemma di due chiavi ed un uccello.
Nel tredicesimo S. Penedeo Vescovo e Martire, e S. Ausgrario Vescovo, leggendosi sopra: Praxedes Imp. con lo stemma di due leoni ed un’aquila.
Nel quattordicesimo infine vi si vedono effigiati i Vescovi S. Sulvillefrido, e S. Amando, sopra dei quali è scritto: Constant. Imp. con lo stemma d' un’aquila e due leoni.

Questo su per giù è il Coro di S. Maria dei Miracoli d’Andria, capolavoro quant’altro mai perfettissimo d’architettura, e di scultura, ed una di quelle opere classiche, che si ammirano solo nelle grandi Abbazie Benedettine, le quali furono la culla felice delle arti belle e della civiltà Europea. Peccato, che lo scultore di esso abbia nascosto il suo nome nelle tenebre dell’umiltà! È ignota pure l’epoca in cui questo capolavoro venne eseguito; però pare rimonti alla fine del mille e seicento, o più tardi, sia perchè trovasi una somiglianza di ornati e d’intagli nel Coro della Cattedrale di Andria, che porta la data del 1650; sia perchè il Franco nella sua storia di S. Maria dei Miracoli, che arriva al 1606, non ne parla. Finalmente per somma sventura questo Coro, che formava il più bello ed elegante ornamento di questa Chiesa Abbaziale, nel 1809 veniva da Re Gioacchino Murat donato alla Chiesa Cattedrale di Bisceglie, che sel gode in pace, quasi che il governo confiscando i beni ecclesiastici, abbia potuto confiscare ancora il grande principio di giustizia: Res clamat domino suo!
[ - errata corrige (pag.470-471) - ]
detto Coro le fu dato da Giuseppe Napoleone, nel 1807, come chiaramente si rileva dalla seguente Lettera del Duca di Cansano, inclusa nella Conclusione del Capitolo di Bisceglie, del 10 Agosto 1807:
«Trani 31 Luglio 1807 [nel testo del Merra erroneamente è scritto: 1907]. Al Vicario Capitolare di Bisceglie. Mons. Vicario S. E. il ministro delle finanze con sua venerata Lettera dei 29 spirante, mi faceva sapere che S. M. si è benignata, dietro le mie premure di accordare che cotesta Cattedrale e Parrocchiale Chiesa abbia il Coro di noce della Chiesa del soppresso Monistero dei Benedettini di Andria, e mi autorizza a permettere alla suddivisata Chiesa di trasportarselo a sue spese. A questo oggetto mi assicura averne passati gli ufficii al Direttore Generale dei Demanj, onde questi dia gli ordini al Ricevitore di essi, cui appartiene detto Monistero, perchè ad ogni mia richiesta consegni il succennato Coro di noce alla persona, che gli verrà da me indicata ecc. Vi saluto con tutta distinzione.
Cansano, Rossi Segretario ».
L’Arcidiacono Consiglio Vicario Cap. di Bisceglie nominava deputato pel ricevimento del Coro il Can.co Don Francesco Cocola.
(Bisceglie, dal Libro delle Conclusioni Capit. dal 1790 al 1827).

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XIV. - Maria Carafa, Duchessa di Andria.

Maria Carafa, figliuola di Luigi II Principe di Stigliano, e di Lucrezia del Tufo, nacque nel 1566. Fin dall’adolescenza fu naturata ad una tenerissima ed affettuosissima devozione verso della Beata Vergine, che sua madre e Signora dolcemente solea chiamare. Nei viaggi con suo padre portava sempre seco una immaginetta di quella, ed ovunque albergasse, suo primo pensiero era innalzarle un altarino, e qui inginocchiata devotissimamente pregare, e pregare. Grandicella fu allevata in un monastero, ove crebbe quale giglio, piantato in terra di benedizione. Sposata nel 1579 a Fabrizio III, II Duca di Andria di Casa Carafa, e VI Conte di Ruvo, del ramo Stadera, non lasciò di essere tutta di Maria. Nella Chiesa dei Padri Cappuccini della sua Duchea le rizzò una cappelletta, e la visitò nel Santuario di Montevergine, ove passò la notte accesissimamente pregando.
Scoperta di fresco nella Valle di Santa Margherita la Immagine di Maria dei Miracoli, celebre per la fama dei suoi prodigi nell’Europa tutta, l’amore della piissima Duchessa per la madre di Dio divampò maggiormente. Maria dei Miracoli formò allora la sua più dolce e cara delizia. La visitava di frequente; e sebbene a più d’un miglio da Andria, vi veniva e tornava a piedi negli ardori della state e nei freddi del verno. Ogni giorno le recitava la corona e l’ufficio; nelle vigilie delle sue feste, sebbene fosse il Natale, ed in tutti i Sabati, in pane ed in acqua digiunava, e vi facea celebrare una messa. Per amore di Maria le eran care le tribolazioni.
Il Duca suo marito abbandonatosi ad altri amori, che non di lei, le usò crudelissimi trattamenti, ed ella, che virtuosissima era, non ne mostrò mai risentimento. Avuta per divina rivelazione la dolorosa novella, che il suo consorte nella notte precedente il 17 ottobre 1590 era stato mortalmente pugnalato in Napoli insieme a Maria D’Avalos da Carlo Gesualdo, marito di costei, e Principe di Venosa; corse rassegnata a prostrarsi iunanzi ad una Immagine di nostra Signora, pianse, pregò per quell’infelice, finchè fu rassicurata della cristiana morte di lui [18]. Vedova non prescrisse modo nè misura al suo passionatissimo amore per Maria. Non gustare più carne nè vino; dormire sulla terra, e quando più agiatamente sopra due tavole; vestire a carne nuda un aspro e duro cilicio a guisa di tonaca; disciplinarsi con una catenella di ferro così da bagnare di sangue largamente la terra; erano le sue delizie. Prodiga di sè e delle cose sue ai poverelli, li serviva negli ospedali, e spendeva in elemosine sino a dodicimila scudi l’anno.
Ogni festa ammetteva più di trecento poveri nella sala del palazzo ducale, gl’istruiva nella divina legge, e dava loro cibo e danaro. Dei poveri vergognosi teneva esattissimo conto, e a tutti or di propria mano, or per mezzo dei figli, segretamente sovveniva. Alle donzelle pericolanti assegnava dote del suo, e secondo la loro condizione onorevolmente allogava. Per un ostinato sereno di molti mesi, venute a mancare tutte le acque di Andria e del paese d’intorno, la pietosa Duchessa aprì una peschiera del suo palagio, che sola avea acqua, ed in cinque mesi, che tutta la città e i contorni ne trassero, non dibassò punto.
Amante passionatissima della sua cara Madonna di Andria, ne fu di ricambio grandemente amata. Il 1587 infermò a morte Don Scipione, cavaliere di Malta, il quarto dei suoi figliuoli, che col nome di Luigi si rese Benedettino nel Monastero di S. Severino di Napoli, e fu poi Abate di S. Maria dei Miracoli d’Andria, la buona Madre il raccomandò caldamente alla sua Signora d’Andria, e nell’ottobre, come narra il di Franco, era guarito. D. Vincenzo altro suo figlio, santissimo giovinetto, dubitando in quale religioso istituto dovesse consacrarsi a Dio, scoperse alla Duchessa sua madre i segreti del suo cuore; ed ella il consigliò ad obbligarsi con voto alla Madonna d’Andria, che gli ottenne la grazia. Un’altra volta la buona Maria fu assalita in una guancia da gravissimo morbo, che l’aspetto avea d’un cancro; essa prima che ai medici ricorse fiduciosa alla sua dilettissima Madre e Signora d’Andria, e il male disparve.
Per tanti contrassegni di amore mostratile dalla Madre di Dio, la piissima Duchessa volle darle l’ultimo e più solenne attestato della sua gratitudine, e superati coraggiosamente tutti gli ostacoli, nel 1606, si rese religiosa in Santa Maria della Sapienza, monastero delle Domenicane in Napoli. Quivi al nome di Maria l’umilissima donna aggiunse quello di Maddalena, onde si ricordasse di essere fra tante innocenti, essa sola la peccatrice [19] Così vissuta in ogni stato tutta di Maria, riarsa meno dalla febbre, e più dall’amore cocentissimo del paradiso, il 29 decembre 1615 in età d’anni 49, con una faccia del tutto angelica e di soave luce splendidissima, sen volò al cielo nel bacio di colei, che affettuosissimamente aveva amato in terra [20].
NOTE

[18] Questo quadro si conservava in Andria nell’Oratorio privato del signor Emanuele Spagnoletti Zeuli fu Pasquale, che col fratello Onofrio comprò il Palazzo Ducale dei Carafa.

[19] Osservansi in Andria due ritratti della pia Duchessa in due dipinti, rappresentanti la Maddalena penitente, l’uno nella Chiesa dell’Annunziata, e l’altro in quella di S. Maria Vetere.[foto qui sotto non presenti nel testo del Merra]

[20] MARRACCIUS, Heroides Marianæ, P. IV. S. V. Fam. Mariana, § XLII. BARTOLI, P. Vincenzo Carafa d. C. d. G.

Deposizione nell'Annunziata di Andria La Maddalena di S.Maria Vetere (Pinacoteca Prov. Bari)
[Confronto, delle Maddalene, tra il quadro nell'Annunziata e quello già in S.Maria Vetere, oggi alla Pinacoteca Prov. di Bari]

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XV. - D. Luigi Carafa Abate di S. Maria dei Miracoli d’Andria.

Ai 15 luglio del 1589, dal II Duca di Andria Fabrizio e Maria Carafa, nacque quarto genito Scipione, il quale, fanciullo ancora, in grazia dei meriti di Vincenzo Carafa, suo zio, gran Priore di Ungheria e poi di Capua, fu decorato della Croce di Cavaliere di Malta. Ai 15 ottobre 1604. Nell’età di tre lustri, dato un addio al mondo, vestì le lane di San Benedetto, nel monistero di S. Severino in Napoli, prendendo il nome di Luigi. Novizio fece mirabili progressi nella perfezione religiosa, e specie nella mortificazione e nella contemplazione. Negli ordini sacri portò la più grande santità che mai. Abborrente dagli onori, al Cardinale Carafa, Arcivescovo di Napoli, che seco il volea condurre in Roma, a fine di ottenergli una prelatura, rispondeva: essersi fatto religioso non per cercare onori, ma per far penitenza. Religioso di grande umiltà, fu trovato dallo zio Vincenzo Carafa, e dal ragguardevole seguito di lui, a rigovernare i piatti in cucina.
Un giovane di tanta virtù non potea sfuggire agli sguardi dei suoi superiori, che lo destinarono Rettore nel monistero di S. Renato in Sorrento, ove una povera cieca avendo inteso parlare della santità del P. Luigi, lavandosi, con fiducia, gli occhi con l’acqua, di cui egli erasi servito per la purificazione delle mani, nel sacrificio della messa, riacquistò prodigiosamente la vista! A trentatrè anni fatto maestro dei Novizi, fu loro esemplare luminoso di perfezione monastica. Mandato Priore nel monastero di Castrovillari prima, e poi in quello di San Severino fu superiore diligentissimo. Nel tempo, in cui Napoli era spaventata da una terribile eruzione del Vesuvio, il P. Luigi esortò i suoi Religiosi a ricorrere alle preghiere. Promosso Abate del monistero di S. Flavia in Caltanisetta, lo governò santamente.
Ma Dio lo voleva nella Badia di S. Maria dei Miracoli d’Andria, ed un bel giorno da Palermo, con altri passeggeri, faceva vele per l’Adriatico. Percorsi appena un dieci miglia; ecco abbuiarsi il cielo, ecco sconvolgersi dall’imo fondo il mare, ecco il pilota gridare atterrito: siamo perduti! In quell’ora il Carafa, che assorto nella contemplazione di Dio, se ne stava in un angolo della nave, alle grida del pilota, ai singhiozzi dei viaggiatori, accorre, e gli esorta tutti a sperare nella stella del mare, in Maria, ed inginocchiato comincia con gli altri a recitare devotamente le Litanie Lauretane. Dopo la recita delle preghiere, si alzano gli altri, ma egli resta ancora a pregare fervorosamente, e mentre la tempesta minaccia di inabissare nei suoi gorghi la nave, in un attimo, per le preghiere del servo di Dio, la procella si arresta tre miglia distante dal naviglio! Tutti discesi sani e salvi a terra in Cefalù, vollero per tale grazia baciare i piedi al buon religioso, che nol permise affatto, inculcando loro di rendere grazie a Dio, ed alla Madonna dei Miracoli d’Andria, alla di cui Badia in qualità di Abate egli si portava.
E venne in Andria, Duchea di sua famiglia; ma vi dimorò come estraneo; solo sua cura e delizia fu il monistero. Qui egli stesso spazzava il Santuario, e massime la Cripta della Madonna, con grande edificazione dei riguardanti. E Maria mostrò eloquentemente quanto Essa gradisse la devozione del Santo Abate. Imperciocché in un ultimo sabato di agosto, giorno della solenne festività di Maria dei Miracoli d’Andria, mentre egli cantava i primi Vespri, l’Immagine benedetta all’improvviso si fece vedere radiante di vivissima luce da quanti ivi stavano radunati! Alla vista di tanta insolita luce di cielo, come rimanessero estatici l’Abate ed il popolo Andriese, non è a dire! Il cuore del Carafa palpitò più teneramente e più ardentemente per Maria, ed i cuori degli Andriesi di maggior fiducia si accesero verso la consolatrice degli afflitti! L’amore di Maria rapiva il Carafa così fuori dei sensi, che fra le altre una volta in questa Badia fu trovato dal suo Converso tutto estatico ed immobile, che ripetutamente chiamato e scosso, non risenti punto!
L’amore di Maria lo infiammava di angelica carità verso il prossimo, ed una sera essendo arrivato nella Badia di Andria un oblato, e mancando costui d’una coperta da letto, l’Abate gli offri la sua, poco badando di stare egli a disagio, coprendosi col proprio mantello. Un bel giorno il Cellerario D. Graziano da Napoli trovandosi in una masseria del monistero di Andria, vide un pastore di pecore per nome Piccolella voltolarsi orribilmente per terra, lacerarsi coi denti le carni, ed abbaiare come cane, ed ululare quasi fosse lupo! Accorse in aiuto dell’infelice, lo fece tenere e legare da più persone; poi inginocchiatosi con gli astanti recitò devotamente le Litanie alla Madonna per la salute dello sventurato; ma inutilmente! Allora per forza fattolo mettere sopra uno giumento, volle il conducessero al santo Abate. Appena il Piccolella arrivò in Chiesa, e ne fu avvisato il Carafa, questi vi accorse, gli toccò la fronte con la sua corona; indi lo fece menare avanti l’Immagine della Madonna dei Miracoli, dove fattolo inginocchiare insieme con lui, dopo un quarto d’ora, con meraviglia degli astanti, sano e quieto si alzò, senza più ricordarsi di cosa alcuna! La preghiera dell’Abate gli aveva ottenuta la guarigione da Maria!
Chiamato il Carafa al Capitolo Generale vi venne prontamente; ma quivi giunto, con la più grande umiltà che mai, espose al presidente ed ai Padri del Definitorio il desiderio cocentissimo, che avea di ritirarsi dalla carica di Abate, per vivere vita più raccolta e santa; fu esaudito. Tornato in Andria, dava un ultimo addio alla sua cara Madonna, e partiva per Napoli. In tale ricorrenza il suo fratello Antonio, Duca d’Andria, gli offrì pel viaggio tutto quello che poteva occorrergli; ma egli ringraziandolo di tutto, non volle cosa alcuna accettare, contento d’una vettura, presa a nolo. Anzi pel viaggio avendo portato seco due tovaglie della Badia, le rimandò prestamente in Andria, tanto era osservante del voto di povertà! Da Napoli ritiratosi nella solitudine di Ottajano, furono sue delizie la mortificazione, la contemplazione, e l’amore di Maria, alla quale in Andria aveva promesso di servirla ed amarla sempre più teneramente! Laonde nel suo Oratorio privato altra Immagine non aveva che, quella della Madonna dei Miracoli d’Andria. Soppressa la solitudine d’Ottajano, si ritirò in san Severino di Napoli, ed ivi, nelle angustie d’una cella, visse sino alla morte.
Nel 1653 stando genuflesso innanzi alla Immagine della sua cara Madonna, predisse al suo converso la strage, che dopo tre anni dovevano fare in Napoli la peste e la rivoluzione! Finalmente afflitto da dolorosissima podagra, predisse, sette giorni prima, la sua morte. Due giorni dopo sceso in Chiesa, ascoltò la santa Messa, e con la faccia risplendente, come un serafino, ricevette dalle mani d’un suo discepolo il pane degli angeli. Ritornato in cella, volle meditare il trattato della visione di Dio dell’Aquinate, indi assalito da un mortale parossismo, munitosi dell’estrema Unzione, entrò in agonia. Due giorni dopo, nell’età, di anni 76, il 18 novembre 1664, Luigi Carafa, con gli occhi rivolti al cielo, spirava l’anima sua benedetta.
La sua morte fu accompagnata da prodigi. Nel lavarsi il cadavere, il servo di Dio per ben due volte sciolse le mani, e le distese per covrire la sua nudità! Dopo 38 ore trovato flessibile ancora, fu salassato, e ne uscì sangue vermiglio dalle vene! Esposto sul cataletto in mezzo alla Chiesa, con meraviglia di quanti accorrevano a baciargli le mani ed i piedi, fu visto copiosamente sudare. Parecchie grazie si ottennero dopo la sua morte. Un certo Giovanni Crispo avendo immerso nell’acqua alcune rose, sparse sul cadavere di lui, la fece bere con fiducia ad un suo figliuoletto, che da continue febbri era afflitto, e guarì immantinente. Grazia de Litto, sofferente di spesse risipole, con applicarsi un pezzetto della veste del P. Carafa, restò libero per sempre dal male. I due figli di Domenico Vitale, disperati dai medici, applicandosi una foderetta del cuscino del P. Luigi, ottennero la grazia. Egualmente con un pezzettino della veste, e con alcune foglie, raccolte di sopra il cadavere di lui, guariva da una piaga una monaca, in san Marcello. Come pure una certa Laucella guariva dal male di gola: un certo Nicola Lancella da una pazzia; e dalla febbre la figlia dei signori Spinello e Carafa, che per intercessione del servo di Dio vinse pure una lite [21].
Ecco di quante belle virtù era adorno questo devoto figlio di Maria dei Miracoli d’Andria!
NOTE

[21] P. ANGELO PERFETTO, Il Contemplativo Cassinese. Neapoli, apud Castaldum, 1667.

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XVI. - Il servo di Dio P. Vincenzo Carafa d. C. d. G.

Da D. Fabrizio Carafa, Duca d’Andria, Conte di Ruvo, e Sovrano della Famiglia nel ramo Stadera, a differenza dell’altro, che è della Spina, e da D. Maria Carafa, il 9 maggio 1585, nasceva in Andria D. Vincenzo. Figlio di tanta virtuosissima e santissima madre e tanto affezionata alla Benedetta fra le donne, non poteva non esser santo e devotissimo di quella. Laonde fin dall’alba ridente di sua vita attese con premura ad opere di pietà, e fu sua cara delizia l’amore di Maria, innanzi alla di cui Immagine sette volte al dì s’inginocchiava, recitandole quella breve e devota orazione «O Domina mea, Sancta Maria etc.». In onore di Lei digiunò ogni sabato in pane ed acqua; ogni dì ne recitò devotamente l’ufficio e la corona; in tutte le feste si comunicò con tanta pietà, che la sua faccia fu vista circonfusa di luce divina; e quando il potè nelle vigilie delle feste di Lei dava di sua mano un pubblico desinare ai poverelli. Per protestarsi sensibilmente schiavo di Maria, portò gran tempo al piè un anello di ferro, e vi avrebbe volentieri trascinato una catena, se l’avesse potuto. Tutte le volte che usciva di casa, al suo primo arrivare in qualche città, visitava premurosamente qualche Chiesa, dedicata alla Beata Vergine, e non a fuggi fuggi, ma trattenendosi quanto più lungamente potea in fervida preghiera, e partendosene con non lieve amarezza.
Mentre visse in Andria costumò venire di frequente nella Chiesa di S. Maria dei Miracoli, la quale per essere fuori di città e solitaria, riusciva oltremodo acconcia alla sua tenerissima devozione. Ed era sì cocente e soavissimo l’affetto di D. Vincenzo Carafa verso di questa Madonna, che un bel dì con grande sentimento ebbe a dire: riputarsi egli avventuratissimo se fosse stato degno di consecrare tutti gli anni di sua vita in servigio della divina Madre, ancorchè avesse dovuto solamente spazzare e tenere in assetto quella Chiesa, o chiedere l’elemosina a quanti vi entrassero, per mantenere viva la lampada innanzi a quella Immagine. Delle quali parole ridendosi non so chi, per non esser questi desiderii da cavaliere, il giovinetto umilmente soggiunse: ed io non mi tengo neppure degno di ciò, tanto è grande e meritevole di essere servita la Madre di Dio! Che se il Carafa amava tanto Maria dei Miracoli, essa di rincontro mostrò apertamente di gradire assaissimo tanto filiale affetto, e di avere sotto la sua gentil tutela il caro giovinetto.
Un giorno il Duca d’Andria, D. Antonio Carafa, volendo fare una rassegna delle sue soldatesche, ne ordinò la mostra e gli esercizii militari in Ruvo, intervenendovi in armi la nobiltà di Andria e di quella città. Condottiere d’una compagnia era il fratello del Duca, D. Vincenzo, allora di presso a quindici anni. Or mentre costui guidava la sua ordinanza e si affrettava a tirare contro gli avversarii, il moschetto non diè fuoco. Il giovinetto allora, con un polverino ricaricò il focone, il quale, non si sa come, prese fuoco, e la vampa del polverino, che gli crepò in mano, passò fin dentro al fiasco, che scoppiando orribilmente, tutto nelle fiamme lo avvolse. Vincenzo spaventato diè un altissimo grido, invocò la sua cara Madonna dei Miracoli, ed imman-tinente la vampa, che s' era appiccata alle vestimenta si spense; di che egli ne rese grazie vivissime alla sua pietosa liberatrice.
Naturato a sentita pietà e devozione, divisò uscire dal mondo, e poichè era stranamente perplesso se dovesse abbracciare l’austerità dei Cappuccini, o dedicarsi alla salute delle anime nella Compagnia di Gesù, tali angustie di animo scoperse alla Duchessa sua madre. Ella, che ben era sperimentata nelle cose di Dio, il consigliò ad obbligarsi con voto alla Madonna dei Miracoli d’Andria, che di certo gli otterrebbe la grazia. Fecelo volentieri il giovinetto, e mentre innanzi alla Immagine miracolosa di quella devotamente ed accesissimamente orava, si sentì talmente da celeste luce illuminato da non dubitare affatto che Dio nella Compagnia di Gesù il chiamasse. Laonde superati i contrasti del Duca d’Andria, suo fratello, e del Priore di Capua, suo zio e tutore, benedetto affettuosissimamente dalla madre, che d’immenso amore il prediligea, ai 4 di ottobre 1604, nell’età di 19 anni, entrava nel Noviziato di Napoli, ove rinnovava gli esempii luminosissimi del Kostka e del Gonzaga.
Mentre il Carafa era ancora studente in Napoli fu dai suoi superiori inviato in Andria a consolare la sua famiglia. Egli venne a piedi e limosinando; e non appena vi giunse, la prima visita fu alla sua tanto cara ed amata Madonna dei Miracoli, luogo consueto delle sue fervide orazioni, finchè fu nel secolo. Ben molti anni erano passati dacchè non avea più veduto questa Immagine benedetta, laonde vi si trattenne a lungo e come assorto in un’estasi beatissima di paradiso, così che per distaccarnelo vi bisognarono molte istanze del Duca suo fratello.
In un mese che dimorò in Andria dette si belli e grandi esempii di devozione e di sentita pietà, che tutti lo chiamavano: il Santo. Novizio, studente, maestro, rettore, provinciale, e preposto generale della Compagnia non cessò mai di promuovere la gloria della Vergine Madre di Dio e degli uomini. In Roma il dì 8 giugno 1649, chiaro per miracoli, con gli occhi fissi in una devota Immagine di Maria, tranquillamente sen volava in cielo al bacio eterno di Colei, che tanto avea amato in terra [21].
NOTE

[21] P. ANGELO PERFETTO, Il Contemplativo Cassinese. Neapoli, apud Castaldum, 1667.

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XVII. - Il Ven. Giovenale Ancina, Vescovo di Saluzzo.

In Fossano, città del Piemonte, il 19 ottobre 1545 aveva i suoi natali Giovenale Ancina da Durante e da Lucia degli Arandini. Fin dall’infanzia fu devotissimo di Maria; e come professore di medicina, e come Segretario del Conte Mandrucci, e come Ambasciatore del Duca di Savoia presso il Papa, e come prete dell’Oratorio, e Vescovo di Saluzzo, l’ebbe sempre così nella mente e nel cuore, che in una sua canzonetta esclamava: Contempla notte e giorno, anima mia, lo splendore di Maria; ed in una lettera da lui scritta ad un certo P. Giulio dell’Oratorio diceva: Tengami per carità raccomandato spesso alla Madonna Santissima, di cui è impossibile che mi possa scordare, nè giorno nè notte. Non è da meravigliare pertanto se uscisse in queste parole di cocentissimo e tenerissimo amore per Lei:
Vergine Santa, pigliati il cor mio,
E non aver per mal s’io t’amo tanto,
Chè più bella di Te mai non vid’io.
Ogni volta che Giovenale uscia di casa domandava sempre inginocchiato la benedizione a Maria, ed a chiunque vi entrasse additandogli l’Immagine di Lei diceva: salutiamo prima la Vergine. Dimorando in Napoli tenne esattissimo elenco di tutte le immagini di Lei, anche delle più sconosciute, nè si rimase mai dal visitarle. A tal uopo ebbe sommamente a cuore di accogliere le Immagini più celebri al mondo, sia per prender parte così alla venerazione dei popoli verso Maria, sia per aver occasione da riguardare più sovente con amore in Lei. Fu allora che Monsignor Ancina dovette aver notizia di Santa Maria dei Miracoli d’Andria, ed il vederne l’Immagine venerata e sentirsi fortemente preso di lei, ed amarla di cocentissimo e dolcissimo amore, fu un punto solo. Infatti nel suo "Tempio Armonico [/ della Beatissima Vergine N.S. fabricatole per opra / del R.P. Giovenale A.P. della Congreg. dell’Oratorio"], in cui celebra, con poesie calde d’affetto, le più rinomate Immagini di Maria, si fa ad encomiare la Madonna dei Miracoli di Andria, con questi versi, che sono tutta dolcissima effusione di cuore, tutt’impeto d’amore passionatissimo:
Se pensando di Te s’infiamma il core,
Vergine, del tuo amore,
Che fia dunque nel cielo
Veder tua viva luce e senza velo?
L’opre eccelse e virtù ch’ogn'hora fai,
Son come chiari rai
Rilucenti di quella,
Per cui sei tanto vaga, ornata e bella.
Se a Te stanca ne vien quest’alma mia,
Vergin dolce e pia,
Non ritrarmi'l tuo viso
Che gioia spande in terra e'n Paradiso.

Testo e musica della poesia "Se pensando di Te", pubblicati nel 1599
[Poesia "Se pensando di Te" dell'Ancina con musica a 3 voci di Incerto (anonimo?), pubblicati a Roma da Nicolò Mutij nel 1599]

Con lo spirare di Agosto dell’anno 1604 questo dolcissimo amante della Madonna dei Miracoli d’Andria, avvelenato da un cotale, che egli aveva rimproverato per il modo di vivere scandaloso, col caro e soave nome di Lei, in sulle labbra, esalava l’anelito estremo in Saluzzo. Fu oltremodo chiaro per fama di miracoli, prima e dopo morte [22]. Papa Leone XIII lo beatificò il 9 febbraio 1890.
NOTE

[22] ANICETO FERRANTE, Vita del Venerabile Giovenale Ancina.

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XVIII. - San Giuseppe da Copertino.

Popolosa e distinta città della provincia d’Otranto, è Copertino. Il 7 giugno 1603 di Felice Desa e Francesca Panara, virtuosi popolani, vi nasceva Giuseppe, massimo decoro della sua patria, la quale nel 1858, mercè lo zelo santamente operoso del Vicario Foraneo Canonico D. Salvatore Leo, lo eleggeva a Patrono. Giuseppe avendo succhiato col latte la più tenera devozione verso della Madre di Dio, fin dai primissimi anni fu usato dire: La mamma mia è la Madonna, l’altra è la mia nutrice. Infatti fu suo caro diletto starsene le intere giornate colla sua mamma celeste, innanzi alla quale dolcemente sfogava gli ardori del suo cuore, ora recitandole il rosario, ora coronandola di fiori. Nelle traversie e nei dolori, di che tanto largamente abbonda l’umana vita, ricorse sempre fiducioso alla sua diletta Madonna, e non fu mai che non ne tornasse riconfortato.
Per 18 anni, in cui da Sacerdote e Religioso dei Minori Conventuali di S. Francesco, ebbe stanza alla Grottella, dì e notte se ne stette quasi sempre orando innanzi ad una devotissima Immagine di Maria, che ivi si venera, e dicesi che di frequente la B. Vergine gli parlasse, e conversasse alla domestica con lui. Era tanto il passionatissimo trasporto di amore di Giuseppe per Maria che bastava pronunziarne il dolce nome, perchè si levasse improvvisamente e rapidamente in aria, e rimanesse estatico quasi fosse un accesissimo cherubino. Per tanta figliale fiducia, che aveva nella benedetta Madre di Dio, egli soleva in nome di quella prometter grazie ai devoti, e rendersene mallevadore.
Verso il 1633 Frate Antonio da San Mauro provinciale, e uomo di Dio, dovendo percorrere i Conventi del suo ordine, messi nel Barese, volle per compagno Giuseppe, perchè ai Frati della provincia fosse specchio di religiosa osservanza. Il santissimo uomo ubbidì, e col suo superiore, ed un laico a nome Fra Ludovico, si mise in viaggio. Andando male in arnese, e non essendo conosciuto, venne in sulle prime pessimamente accolto, e villanamente bistrattato; di che il Santo, che era oltremodo desideroso di patire per Cristo, ne fu lietissimo! Ma allora quando i popoli riconobbero in Giuseppe l’uomo dei ratti, delle estasi, e della più grande ed eminente santità, uscirono in gran calca a vederlo, a colmarlo di benemerenze ed a salutarlo chi santo, e chi apostolo del Regno. Il servo di Dio, che umilissimo era, volendo cansare tutta quella gloria, e tutta quell’aura popolare, si mise attraverso i campi camminando per viottoli, e tragetti, e sentieruzzi, o sotto gli ardenti raggi del sole, o nel fondo della notte, o tra le tempeste e i lampi e le pioggia dirotte. Inutilmente; chè accortesi di ciò le genti gli si accalcarono più e più intorno ed in tanto numero, che l’uomo di Dio tribulato da cosi fatte dimostrazioni di onore e di affetto, non meno che dai disagi della via, a stento trascinavasi innanzi.
Da sì dure e strane fatiche affievolito ed affranto Frate Ludovico non potendosi più reggere in piedi, si lasciò cadere tramortito in mezzo della via dicendo: Frate Giuseppe mio, chè non mi aiuti? A cui il Santo, sebbene macero e stanco al pari di lui, e più di lui: Fa cuore, o Fratello, gli disse dolcemente, fa cuore, ed abbi fede nella gran Madre di Dio, che ti libererà da questo male, e ci aiuterà a compire l’obbedienza. Indi come meglio potè sollevatolo di terra, poiché era ad Andria vicino, presolo per mano, lo condusse difilato nel venerando Santuario di Santa Maria dei Miracoli, che di lontano lasciasi vedere da chi percorre la vecchia via, che da Barletta mena in Andria. Quivi umilmente inginocchiato innanzi alla devota Immagine di Maria, pregò con quell’ardenza di fede e di amore, con cui unicamente sanno pregare i santi. Di poi intinto il dito nell’olio della lampada, che ardeva davanti a quella, e fattosi dappresso al compagno, che quasi agonizzava, piamente gliene unse in forma di croce la fronte. Mirabile a dire! Frate Ludovico si senti immantinente risanato, e rinvigorito cosi che parevagli non avesse fatto via alcuna, anzi mettersi allora allora in cammino! Se alla vista di questa cara e devotissima Immagine di Maria, che con l’olio della sua lampada avea risanato mirabilmente quell’infermo Frate, l’uomo di Dio, secondo il solito, si fosse levato in estasi beatissima di paradiso, i suoi biografi si tacciono.
La patria tradizione però ci narra, che celebrando egli in Andria, a porte chiuse, nella Chiesa dei Minori Conventuali, dopo la comunione abbia avuto un ratto mirabile alla presenza della Signora Barbera de Angelis, la quale come dama di specchiata virtù e di singolare pietà, e come insigne benefattrice di quel Convento, aveva ottenuto di assistervi [23].
Il giorno 18 settembre 1663, Maria chiamava il suo caro Giuseppe nel sorriso dei cieli [24].
NOTE

[23] P. M. ROBERTO NUTI, Vita di S. Giuseppe da Copertino.

[24] Il 17 febbraio 1703, per Notar Gir. de Micco, Barbera de Angelis con suo testamento dichiarava suo erede universale il Convento di S. Francesco di Andria, col peso di tante messe l’anno a carlini 5 l’una, quante ne sarebbero entrate dai frutti della sua eredità. Gabreo dei Min. Conventuali. (Curia Vescovile).

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XIX. - San Francesco di Geronimo.

Il dì 19 decembre 1642 da Leonardo e Gentilesca Gravina, nasceva nelle Grottaglie, terra di Otranto, Francesco di Geronimo della Compagnia di Gesù, chiaro per fama di miracoli, e per eminente santità. Negli anni 1709, e 1713 il Santo dovette portarsi in Andria per ordine del Preposito Generale della Compagnia ed a richiesta di D. Aurelia Imperiale, Duchessa di Andria, la quale avvinta di singolare devozione ed affetto all’uomo di Dio, in quest’ultimo anno non solo per le missioni, ma anche per predicare la Quaresima il volle, e secolei da Napoli il condusse.
Il viaggio fu contrassegnato da prodigi; imperciocchè la notte nell’osteria detta Dente di Cane, posta tra Avellino ed Ariano, impennatosi i cavalli della carrozza Ducale, diedero col timone impetuosamente in petto al carrozziere ed il gettarono tramortito al suolo. Vi accorse sollecitamente il P. di Geronimo e segnatogli la fronte con l’olio di S. Ciro, di cui era divotissimo, essendo stato egli il promotore del culto a questo Martire nel Regno ed in Andria, in un istante il risanò. Nell’istessa notte il figlio dell’oste per una rissa insorta tra lui ed un mulattiere della Duchessa, gravemonte ferito nella testa corse rischio della vita; vi accorse pure il Santo, ed il giovane fu salvo. In quest’istesso viaggio la Duchessa trovossi un dì cosi abbattuta di forze da non poter proseguire la via, ma il Santo col toccarle leggermente la fronte le restituì la perduta vigoria.
Giunto in Andria, con quanto zelo e pietà si sia adoperato ad istruirla nella vita cristiana, affezionandosela colla potenza dei miracoli, non è a dire. Liberò da eccessivi dolori in tutta la persona un certo D. Michele Baldino notaio; prolungò di altro quattro anni la vita ad una tale Eleonora Toro, già disperata dai medici ed agonizzante; senza lasciare di essere in Andria si trovò a riamicare due nobili. Andriesi, che egli aveva altra volta pacificati, ma che essendosi riaccesi gli odii, si battevano con le armi alla mano in un luogo, posto due giornate lontano dalla città. Uno sciame di bruchi essendo venuto a disertare queste campagne, egli che ardentemente predilegeva gli Andriesi, pregò Iddio, e la città ne fu libera. Anzi dopo pochi anni essendo di bel nuovo piombate quelle cavallette, giunsero per fame a rodere persino le porte delle case, ma all’infuori dell’erba inutile, non toccarono alcun frutto. Non poche volte stando in Andria e fuori, consolò la Duchessa Imperiale, afflitta da molestissima emicrania, ora dicendole che confidasse nel Signore, e ciò era segno per lei che il male, come le avea mostrato l’esperienza, sarebbe presto finito; ora dicendole che si conformasse al divino volere, e con ciò volea significare che il male sarebbe durato ancora; ed ora vaticinandole l’avvenire.
Un uomo cosi ripieno dello spirito di Dio e di tanta e sì rara santità non potea non essere devotissimo della Beatissima Vergine. Laonde in onore di Lei digiunava tutti i sabati, e tutte le vigilie delle sue feste, nelle quali si flagellava pure a sangue. Nelle missioni portava sempre uno stendardo su cui sventolava l’Immagine di Maria per chiamare i peccatori a penitenza. Nei viaggi non tralasciava mai di recitare devotamente la corona; anzi in tutto il tempo che dimorò in Andria nel Palazzo Ducale, per mettere sempre più in intima ed in amore l’uso del Rosario quotidiano, ivi lodevolmente stabilito, tralasciata ogn’altra occupazione, procurava egli il primo di accorrervi al suono del campanello, ed inginocchiato nella cappella domestica coi paggi e colla famiglia Ducale recitava devotissimamente quelle preci, tanto gradite a Maria. Per la qualcosa non è a dire quante volte e con quanto affetto nel lungo tempo, che per ben due volte dimorò in questa città, si sia portato a visitare la cara ed amata Madonna dei Miracoli d’Andria; quante volte e con quanta devozione abbia celebrato il divin sacrificio sul benedetto altare di Lei; quante volte, e con quanta tenerezza abbia effuso l’a-mantissimo suo cuore innanzi a quella Immagine veneranda; quante volte e con quanta istanza abbia accesissimamente pregato Maria per quest’Andria, tanto da lui amata nella vita, e non dimenticata poi dopo morte!
Infatti nel principio dell’agosto 1719, tre anni dopo la sua morte, essendo mortalmente infermo un tale Francesco Brudaglio, D. Aurelia Imperiale gli mandò una devota Immagine del Santo, dicendogli che confidasse in quello; il fece l’infermo, e risanò immantinente. In sul finire dell’istesso mese, coll’Immagine del medesimo Santo, scampava pure da evidente pericolo di morte il Sacerdote D. Marcantonio di Miccio; risanavano in Napoli il figlio d’un certo Domenico Visunti Andriese, la moglie di Domenico Giordano, ed un tale Vincenzo Zaffarano. Nel 1722 D. Aurelia Imperiale, afflitta da grave infermità pregò caldamente il caro ed amato suo Santo, promise di visitarne le ceneri venerate, e subito guarita corse in Napoli a sciogliere il voto, ed abbracciare e baciare affettuosamente la tomba di quel Santo, che con tanto amore avea amato S. Maria dei Miracoli d’Andria, e che il dì 11 Maggio 1716 iva a godere in cielo [25].
NOTE

[25] DE BONIS, Vita di S. Francesco di Geronimo.

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XX. - Il Beato Benedetto Giuseppe Labre.

Correndo l’anno 1769, un devoto pellegrino nato in Amettes, Diocesi di Boulogne in Francia, il 26 marzo 1748, da povero ed a piedi passando le Alpi, intraprendeva il viaggio di Loreto, per visitare la benedetta casa di Maria, ed i più famosi e devoti Santuarii dell’Italia, della Svizzera, della Germania, della Francia e della Spagna, e nominatamente quelli dedicati alla Vergine madre di Dio, di cui fu devotissimo sin dall’infanzia.
Verso l’ottobre del 1771, reduce dalla visita dell’Arcangelo S. Michele in sulle cime del Gargano, venne in Barletta, ove visitò la Chiesa di S. Maria di Nazaret, e di là in Andria. Quivi questo Pellegrino, essendosi varii giorni trattenuto, edificò gli Andriesi con esempii di virtù specchiatissime, per ingiurie pazientissimamente tollerate, e per la sua squisita carità e devozione ammirabile. Imperciocchè accolto a fischi ed a sassate da una turba di monelli, e ferito in un calcagno, egli anzichè montare in sulle furie, raccolse placidamente quelle pietre, che lo avevano insanguinato, e se le baciò come doni del cielo. Nella Collegiale di S. Nicola, villanamente schiaffeggiato e cacciato via quale vagabondo da un indiscreto Sacrista, portò in pace quella offesa. Del che ammirato il Canonico D. Andrea Iannuzzi ravvisò in quel Pellegrino un uomo di Dio, rimproverando acremente il manesco ardore di quel tale, e gli diede per elemosina un paio di scarpe nuove. Il devoto Pellegrino accettò quell’elemosina e ringraziandolo di cuore andò via; ma per istrada imbattutosi con una poveretta le donò quelle scarpe! Indi fu yisto portarsi nel tempio di S. Maria dei Miracoli d’Andria, baciare e ribaciare devotamente quella soglia benedetta, piegare umile e riverente le ginocchia innanzi al sacrato altare di Lei, cancellare le mani al petto in atto pio, intendere fiso ed estatico il ceruleo suo sguardo in quell’Immagine veneranda, e lungamente ed accesissimamente pregare e pregare!
Era San Benedetto Giuseppe Labre, che ridevole oltremodo agli occhi degli uomini, usi a giudicare dei loro simili dalle vane apparenze, ma sovranamente grande ed ammirabile innanzi allo sguardo di Dio, il quale legge nel fondo dei cuori, era venuto in Andria a visitare la nostra dilettissima e benamata Madonna dei Miracoli, ed a sfogare teneramente innanzi a quella gli ardori cocentissimi ed affettuosissimi del vergine suo cuore [26].
Peccato che neppure una memore pietra ricorda ai posteri le visite divote, gli amori tenerissimi, e le vivissime simpatie di questi Santi verso della celeste e miracolosa Signora di Andria! A questo vuoto riparò nel 1900 il P. Cosma Lojodice, Priore degli Agostiniani, col mettere all’ingresso della Cripta i ritratti dei quattro Santi, piissimi di questa Immagine, a spese di altrettanti devoti.
NOTE

[26] DI IORIO, Compendio della Vita del B. Benedetto Giuseppe Labre.

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XXI. - Le due fiere.

La devozione verso Maria dei Miracoli d’Andria, essendo addivenuta ormai popolarissima non solamente in città, ma nel Regno ancora; il Sommo Pontefice Sisto V, col suo Breve: «Piis votis etc.» dei 20 settembre 1589, dava facoltà ai superiori dell’Abazia, che nei giorni festivi, in luogo, che i divini ufficii non disturbasse, fosse loro lecito permettere che si vendessero corone, rosarii, crocette, medaglie ed altri oggetti, senza che i venditori incorressero in pena alcuna. A questa grazia ne aggiunse una nuova la S. Congregazione dei Regolari, come si ha per lettera del Cardinale Alessandrino, data in Roma ai 13 luglio 1591, al Vescovo di Andria, Monsignor D. Luca Antonio Resta. In essa si ordina che nelle feste, per comodità dei cittadini, e dei forestieri, si potesse innanzi alla Chiesa di Santa Maria dei Miracoli tener mercato. E poichè la Santa Congregazione dei Riti, con un generale decreto rivocò tali grazie, il Papa Clemente VIII il 27 settembre 1601, per speciale concessione riconfermava il detto privilegio di Sisto V, con inserirlo per esteso nella sua Bolla.
Finalmente il Re Cattolico Filippo III concesse di potersi celebrare due fiere innanzi alla Chiesa, l’una il primo sabato di giugno, in memoria della invenzione di Maria dei Miracoli, e l’altra l’ultima domenica di agosto, anniversario della consecrazione di detta Chiesa. A tale uopo il 6 decembre 1602, l’Eminentissimo Cardinale di Montaldo, Andrea Peretti, spediva da Roma a D. Vincenzo Basso, Vescovo di Andria, una lettera in cui raccomandava di permettere che nelle due fiere, che i ministri del re cattolico avevano concesse ad istanza del Monastero di Santa Maria dei Miracoli di Andria, si potesse vendere ogni sorta di mercanzie, nei dì feriali e nei festivi, dopo la celebrazione delle messe, come era stato risoluto dalla Congregazione dei Riti.
Queste due fiere furono animatissime; era un andare e venire a cavallo, in carrozze ed a piedi di nobili e plebei, di uomini e di donne a brigate, a coppie, soli; era un urtarsi, un gridare di merciaiuoli, convenuti da Andria e dai vicini e lontani paesi. In mezzo al brulichio di tanta gente spiccava ogni anno il magnifico treno della famiglia Ducale, e del suo seguito. La premura dei forestieri di venire in occasione di queste due fiere a visitare la madonna dei Miracoli era stragrande, così che nei capitoli matrimoniali, lo sposo obbligavasi solennemente di menarvi la sposa, nel primo anno del matrimonio. Vi accorrevano moltissimi coi loro animali, che avevano il dritto di pascolare nei territorii del monastero, senza sottostare al minimo pagamento. Tali fiere popolarissime finirono col 1770, quando in mancanza del governatore della città, cui spettava l’inaugurazione di esse, i frati credettero non dovere, secondo il solito, mandare uno di loro con la propria carrozza a rilevarne il sostituto. Vi furono scambievoli proteste tra l’Università ed i Benedettini, i quali vennero ad iracondi divisamenti, e sciolsero la questione col rovesciare irruentemente le baracche e le capanne, che si levavano a spese dei monaci intorno alla spiazzata della Badia, e cacciare i venditori in mezzo alla più grande indignazione popolare [27].
NOTE

[27] D’URSO, Storia della Città di Andria. Lib. VII, Cap. VI.

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XXII. - Mesagne.

Il 14 gennaio del 1592, mons. D. Luca Antonio Resta, dottissimo Vescovo di Andria, versava in grave pericolo di vita, assalito da orribili dolori di reni, cagionatigli da calcoli. Si ricorse a tutti i rimedii dell’arte salutare, ma inutilmente! Per cinque giorni e cinque notti l’illustre infermo fu in preda a dolori mortali!
In tali supreme distrette, si ricordò della Madonna dei Miracoli della sua Diocesi, e fiducioso ne invocò il patrocinio. Ed oh mirabile a dire! mentre dai Religiosi Benedettini accesissimamente si pregava per l’infermo Prelato innanzi all’Immagine prodigiosa di Maria; improvvisamente, e senza dolore alcuno, l’infermo metteva fuori cinque calcoli, simili a grossi ceci, lunghi acuti e triangolari! Per questa grazia singolare, ed in attestato di vivissima gratitudine, il Vescovo ordinò immantinente che si facesse una tavoletta votiva di argento, e su quella si attacassero le cinque pietre. Il 9 febbrajo poi mons. Resta si portò nel Santuario della Madonna a ringraziare cordialmente Maria, con una solennissima processione, formata da tutte le Confraternite laicali, dagli Ordini Religiosi, e dal Clero della città, seguita da un popolo immenso. Fu portata in processione la detta lamina d’argento, con una iscrizione in pergamena, col suo suggello pendente, registrata nella Curia Vescovile, e scritta di proprio pugno dal Vescovo, che in quella narrava l’ottenuta grazia, e faceva sospendere alle pareti della Cappella. Il Vescovo cantò Messa pontificale, all’altare della Vergine, con scelta musica a piena orchestra [28]. Fungeva da abate D. Giovanni Micheli da Pavia.
A mostrare sempre più il Resta la sua gratitudine verso la Beatissima Vergine; circa l’anno 1594, ne promosse efficacemente il culto in Mesagne, sua patria, dove fece erigere una Chiesa, sotto il titolo di Santa Maria dei Miracoli di Andria [29].
I cittadini di Mesagne l’ebbero in grandissima venerazione, e sino ai primi anni del prossimo passato secolo, nell’ultima domenica di agosto, se ne celebrò la festività, la quale si distinse per la cavalcata dei migliori cavallerizzi Mesagnesi [30].
NOTE

[28] DI FRANCO, Di Santa Maria dei Miracoli d’Andria, Lib. II, Cap. 18, p. 214.

[29] PASTORE, Mss. memorie ecc., pag. 33.

[30] PROFILO, Vie, piazze ecc. di Mesagne, pag. 66.

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XXIII. - Che orribile sacrilegio!

Spuntava l’aurora del 30 novembre 1604, ed in Andria era un sospirare profondo, un piangere dirotto, un dimandarsi ansioso l’un l’altro, un sollecito correr del Vicario con la sua Curia, del governatore, del giudice, della corte ducale, e d’immenso popolo per la via che mette al Santuario di Santa Maria dei Miracoli, un con-corde esclamare: che orribile sacrilegio! Che fu?
Di nottetempo, spezzata la inferriata, che difendeva l’altare di Maria, la veneranda Immagine di lei era stata sacrilegamente spogliata di tutti i preziosissimi ornati, dei ricchi voti, delle corone di oro e di argento, non che di duecentoventi ducati di messe. Per tale orribile sacrilegio l’Abate D. Lorenzo d’Aversa della SS. Trinità della Cava fulminò la scomunica nel monastero, Monsignor de Franchis allora Vescovo di Andria nella diocesi; il governatore della città ordinò rigorosissime perquisizioni, ed il Vicerè di Napoli D. Pietro Ernandez de Castro, informato del fatto da D. Antonio Carafa Duca di Andria, mandava ordine in tutto il regno perchè si fosse usata grandissima diligenza per iscoprire il ladro. Intanto pubbliche preghiere, digiuni, penitenze e lagrime a piè degli altari di Maria in Andria e nella Diocesi.
La notte del 26 decembre in Barletta, mentre una pattuglia iva lungo la marina in traccia d’un omicida, s’avviene in un tale, che al vedersi circondato da gente armata comincia a domandar pietà, e perdono. I soldati attoniti squadrandolo, veggono pendergli dalle saccocce alcune frangie d’oro, lo arrestano, e lo interrogano chi fosse. Era il ladro di S. Maria dei Miracoli d’Andria! Legato fu condotto a pigliare il furto, che avea nascosto nell’Osteria del Procaccio; indi menato innanzi al nobile Spagnuolo D. Roderico di Messia de Prato in allora governatore di Barletta. Costui piissimo della Madonna dei Miracoli, nell’istessa notte spedì sollecitamente in Andria a portarne la lieta novella il giudice di Barletta D. Giambattista de Stefano di Napoli, con dodici guardie, e in sull’albeggiare furono all’Abazia tutti zuppi di pioggia, che scendea dirotta, e intirizziti dal freddo.
La gioia degli Andriesi fu immensa, e crebbe da vantaggio quando, il 6 febbraio 1605, gli oggetti derubati furono processionalmente portati al Santuario, in mezzo al suono lietissimo di tutte le campane della città, ed alle salve dei soldati che li accompagnavano. In chiesa furono accolti fra le soavissime armonie dell’organo, e gl’inni di ringraziamenti. Fu cantato una Messa solenne a Maria, e vi si comunicò divotamente il de Stefano, il quale di sua mano sospese all’altare della Vergine un gran dipinto con cornice dorata, per essere giorni prima ad intercessione di questa miracolosa Immagine, uscito sano e salvo da una precipitosa caduta, in una grotta di quaranta palmi di altezza, e per aver scoperto il ladro del Santuario.
Autore di tal ladrocinio era stato un tale Marco Finò Anconitano, il quale quattro anni prima, col finto nome di Marco Montella, s’era presentato ed era stato ammesso quale servo all’Abadia. L’ipocrita seppe bene atteggiarsi a virtù, e fu dato a compagno del P. Sagrestano. La sera del 29 novembre, lasciando socchiusa la porta della maggior Chiesa, andò a dormire; in sulla mezza notte per una finestra scese sulla pubblica via, donde nella Chiesa. Il soccorpo essendo sullo sbocco delle due scalinate, chiuso da una ringhiera di ferro, egli mediante una fune scese giù da una finestra della Cappella della Passione, sovrapposta al soccorpo, ruppe l’inferriata, che custodiva l’altare di Maria, commise il sacrilego furto, lo nascose in una grotta, e poi andò a dormire. Il mattino piangere, e pregare insieme con gli altri, e più che gli altri.
Dopo 27 giorni colto un pretesto, abbandonò l’Abazia e col suo ricco bottino del valore di circa quattromila scudi si portò in Barletta, dove venne arrestato, per indi a Bari, e di là salpare per Venezia. Compilatosi il processo, fu condannato ad essere pubblicamente trascinato, impiccato e fatto a brani; la sua morte doveva essere agli empii di esemplare spavento! Se nonché saputosi essere religioso, professo dei Francescani Rifor-mati, gli venne commutata la morte in perpetua prigionia.
Il Viceré di Napoli intanto, ad intercessione di Maria dei Miracoli liberato da dolorosissima gotta, ordinò che il sacrilego, incatenato con gli altri malfattori, fosse condotto colà con la iscrizione dietro le spalle: IL LADRO DELLA MADONNA D’ANDRIA. Ovunque passava, la gente al vederlo torceva inorridita lo sguardo ed esclamava con raccapriccio: Che orribile sacrilegio!

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XXIV. - Messina.

Fra le città d’Italia dopo Andria, Messina riscosse nel 1610 le più vive simpatie della nostra Madonna dei Miracoli. Nelle mura di questa città eravi un angolo, ove di nottetempo e furti e rapine ed uccisioni impunemente si commettevano. I cittadini n’erano costernatissimi; quando uno di essi divisò affiggere su quel muro una immagine di S. Nicolò di Mira. Il successo fu oltremodo felice; la maestà del santo tutelare spaventò così i malfattori, che non osarono commettervi più alcun delitto.
Allora il devoto Messinese, con l’aiuto di altri pii concittadini, costruì in quel muro una cappelletta, in tutto unanimi, discordi solamente fra loro nella scelta del Santo cui dedicarla. In questa si avvicina ad essi un pellegrino, e tratta dal seno un’immagine della Madre di Dio, loro dice: «A questa dedicate la cappelletta: questa vi difenderà. Essa porta il nome di Andria, città della Puglia, ove si venera, e donde io ne vengo ricolmo di grandi benefici, e pei quali, piacesse al Cielo, io le fossi grato per tutta la vita!» Non vi volle altro: le parole del pellegrin devoto furono accolte, come voce del cielo, e subito fattola dipingere in grande, fiduciosi la collocarono nella cappelletta. Mirabile a dire! da quel giorno i prodigi si successero senza interruzione ai prodigi; tutta Messina vi accorse meravigliata, le offerte fioccarono, e in breve le venne rizzato un tempio magnifico.
Dopo sette anni vi fu eretta una confraternita a custodia del novello Santuario, che porta il titolo di S. Maria dei Miracoli d’Andria. Ogni anno la Domenica infra l’ottava della nascita di Maria vi si celebra solennissima festa popolare. Le pareti del sacro tempio sono gremite di tavolette votive, di ori, e di argenti, e non v’ha pellegrino, o nocchiero, o infelice che nei suoi perigli e nelle sue miserie abbia invocato invano la Madonna dei Miracoli d’Andria, in Messina! [31].
Oh! quanto, quanto sei buona, o Maria; lascia per ciò che io ti dica con l’altissimo Poeta:
Donna, sei tanto grande e tanto vali,
Che qual vuol grazia, e a te non ricorre,
Sua desianza vuol volar senz' ali! [32].
NOTE

[31] P. Placidus Samperius S. J., Iconologia Messinensis, Lib. IV, Cap. 27.

[32] Dante, Paradiso, Canto XXXIII.

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XXV. - Bitonto e Palo del Colle.

La fama degli innumerevoli prodigi, che ogni giorno più Maria operava nella sua veneratissima Immagine di Andria, avea destato in tutti i petti le più dolci, e più care simpatie verso il suo culto, e tutti accesissimamente si studiavano di venerarla, con singolare e dolcissimo affetto, e nobilmente gareggiavano tra loro le città a mettersi fiduciose sotto della sua gentil tutela.
Laonde mentre la città di Messina, in Sicilia, trovava nella devozione della Madonna dei Miracoli d’Andria una fonte inesausta di grazie e di misericordie, Bitonto e Palo del Colle, nel Barese, circa l’istessa epoca si mettevano pure sotto la protezione di questa miracolosissima Regina. Infatti nella città di Bitonto, in cui nel 1561 Maria dei Miracoli d’Andria era stata annunziata sotto il simbolo di un gran tesoro, e dove moltissimi Bitontini avevano riportati segnalati favori da questa Vergine benedetta, nell’anno 1627, nella Chiesa del Carmine, oggi Orfanotrofio, le venne dedicata una cappella ed eretto un altare votivo. Vi si vede l’Immagine veneranda fiancheggiata dai Santi d’Assisi e di Padova, e al disotto una barca fluttuante in mezzo al mare, ed un nocchiero che inginocchiato sul cassero innalza supplichevole le mani, e gli sguardi lagrimosi a Maria dei Miracoli dipinta in alto, e prega.
Pare dunque che e il dipinto e la cappella sieno un ex voto, sciolto in occasione di un miracolo ottenuto da un Bitontino, che corse pericolo di naufragare. Da quell’epoca Maria dei Miracoli d’Andria ebbe un culto più speciale d’amore e di venerazione in Bitonto, ove tanti avevano sperimentato le materne tenerezze di Lei.
Al pari di Bitonto, Palo del Colle vedea pure nascere sotto del suo cielo il culto affettuosissimo di Maria dei Miracoli d’Andria. Infatti nell’Archivio di quella Chiesa si legge come: il Rev.do Primicerio D. Teodosio Leone nel 1637 donava per uso dell’Ospedale di quella città la Cappella di S. Maria dei Miracoli d’Andria di diritto patronato di sua famiglia, con l’annua rendita di ducati 93. Il Garruba, nella Serie Critica dei Pastori Baresi, fa menzione di questa Cappella, quando enumerando i pii stabilimenti di beneficenza, di cui è provveduto Palo del Colle, tra gli altri, nomina quello della Madonna di Andria [33].
Sono passati due secoli, e nei petti di quel popolo non si è spenta la devozione tenerissima verso della cara e diletta Madonna dei Miracoli d’Andria. Imperciocchè essa è tuttavia onorata con culto, e con preghiere pubbliche; e ne’ suoi bisogni quella pia città non manca di versare nel materno ed amorosissimo cuore di Maria i segreti affanni dell’animo suo, di mostrare a lei le sue lagrime spregiate, e di palesarle i suoi inconsolabili dolori [34].
NOTE

[33] Garruba, App. 1a, paragr. XX, pag. 882.

[34] Anche nella Chiesa dei Minori Conventuali di Andria fu eretta da Donato de Magistris una Cappella a Santa Maria dei Miracoli, e nel 9 ottobre 1610, con atto di Notar Ettore Santacroce, la troviamo dotata da Giovanni Bernardino del Mastro di ducati 50 per comprare annuo censo, onde cantarsi una Messa in ogni sabato — GABREO, Dei minori Conventuali di S. Francesco di Andria — (Curia Vescovile).

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XXVI. - L'Abate Pacichelli in S. Maria dei Miracoli.

Nell’aprile dell'anno 1686, l’abate Pacichelli nelle sue Memorie novelle di viaggi per l’Europa cristiana [Napoli, 1690, P.II, pag 53], narra come venne in Puglia e si portò in Andria a visitare la Chiesa ed il Convento di Santa Maria dei Miracoli. Egli così ne descrive la visita.
«Pervenni di buon’ora al celebre e vasto Monastero dei Cassinesi, Chiamato la Madonna dei Miracoli, un miglio vicino alla città.
Il P. Cellerario Vitaliani cui portava lettere del P. Maestro Sebaste Agostiniano, suo zio, si rinvenne col P. Abate Costanzo nel palazzo ducale; ma (con meraviglia di tutti quei cortegiani, che mi vollero accompagnare) niun conto fa dell’officio, scusandosi contro la verità, che prestava alloggio in quella sera, capitati forse per l'aria, a quattro gentiluomini del signor Cardinale Gallio.
Un zelantissimo ecclesiastico, per nome il signor Giacomo Pacini Mantovano, passato poi poco dopo la morte di quel Duca nella state stessa a miglior vita, mi fe’ vedere quel palazzo che è grande in isola, di pietre proprie del paese, con ampia sala e tre comodi quarti in piano, in uno dei quali alloggiato avea il signor marchese de las Velez Vicerè nel ritorno da Bari, scuderia di 50 bizzarri cavalli di quelle razze, comodità sopra, un giardino contiguo alle stanze, di dove un corridore, coverto porta nel Vescovato, custode del primo Vescovo San Riccardo, spedito da San Pietro Apostolo, posseduto con esempio da Mons. Alessandro Egizio, in età di 95 anni.
Venni informato dei tre seggi della nobiltà e del decoro, che, spiega il numeroso magistrato. Mi trattenne anche un di quei gentiluomini Veneziano, che aveva viaggiato nella Lituania e Moscovia, e il Priore D. Riccardo, fratello del signor avvocato in Napoli, Flavio Gurgo, provvisto di pingue beneficio in quella sua patria, ed altri: alcuni dei quali in una carrozza di corte mi condussero a veder quella Sagra Immagine della celeste reina, chiamata dal Pontefice Sisto V la Madonna dei Miracoli, accompagnandomi poi sempre l’abate stesso con varii Monaci, per ritenermi ancor quella sera fra loro.
Il tempio è grande, luminoso  e colorito tutto di eleganti pitture, circondato fuori da botteghe di fabrica per la fiera. [35] Si discende sotto per due larghe e comode scale, colme di tavolette votive in una chiesa vecchia, dove in un altare coperto di lamini e illuminato da varie lampadi d’argento, somiglianti a quel di Loreto, si scopre, e tirata la cortina, mi fu mostrata, con una torcia, quella figura che sembra a mosaico, nel volto della tribuna, con la faccia alquanto guasta dal tempo, a sedere in trono, coronata da dodici stelle con la luna ed il sole, ritenendo il figliuolo avanti al petto, ricco di gemme. L’adorai e ne ricevei copie in carta.
Vidi il monastero che si perfezionava in alcune camere, non però abitato che da 20 fra padri e commessi, ed ha il giardino grande.»
Così il Pacichelli [36] descrive il Tempio di Maria.
NOTE

[35] Queste botteghe, di cui fa menzione fin dal 1602 il Di Franco nella Storia della Madonna dei Miracoli a pag. 239, furono totalmente distrutte nell’agosto del 1702.

[36] Memorie novelle dei Viaggi per l’Europa cristiana, Napoli, 1690, P. II, pag. 53.

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XXVII. - Sepoltura di D. Oliviero Carafa Benedettino.

Era l’anno 1704, e la Duchessa di Andria, Donna Aurelia Imperiale, dava alla luce il suo quarto genito, Oliviero, il quale vestì l’abito Benedettino, nella Badia di San Severino di Napoli. Giovanissimo ancora fu per le sue singolari ed elette virtù nominato abate, prima di Capua, due volte di Aversa di Chiaja, e poi di San Severino. Malsano di salute venne dai medici consigliato a portarsi in Andria, sua patria, per respirare l’aria nativa, e vi dimorò ben cinque mesi.
Nell’ottobre dal palazzo Ducale, venne ad abitare nel Monistero di Santa Maria del Carmelo in Andria, sperando di giovarsi meglio di quel punto più salubre di aria. Ma qui da nuovo male assalito, morì nel bacio soavissimo del Signore, il novembre del 1771. Pianto inconsolabilmente dalla Duchessa sua madre, dai parenti, e da tutta la cittadinanza, il suo cadavere con grandissima pompa fu trasportato nella Badia di Santa Maria dei Miracoli, e seppellito secondo il suo merito. Nei mesi in cui il santo abate dimorò infermo in Andria, non è a dire quale e quanto buon saggio di religiosa esemplarità, e di carità specchiatissima abbia dato a tutti, e massime ai poverelli. Ora le sue ossa lagrimate e benedette dormono, nella pace di Cristo, il sonno della morte nella tomba dei Padri Benedettini, scavata a piè della Cripta di Maria dei Miracoli [37]
NOTE

[37] PASTORE, Stor. Mss. di Andria, P. II, Cap. XVI.

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XXVIII. - La Repubblica Partenopea.

Nel decembre 1798, Re Ferdinando IV di Napoli, la Regina Maria Carolina, ed il loro ministro Acton alla nuova dell’avvicinarsi degli eserciti della Repubblica Francese, salpavano sulla flotta di Nelson per la Sicilia; mentre il generale Championnet, alla testa dei suoi Giacobini, dopo non lieve resistenza, il dì 11 gennaio 1799, entrava in Napoli e vi proclamava la Repubblica Partenopea, dichiarando San Gennaro cittadino col berretto rosso. Le Paglie non così di buon grado plaudirono al nuovo ordine di cose, ed insorsero; laonde a sedarne i moti realisti venne spedita dal Direttorio Francese una colonna di 3000 uomini, comandata prima dal generale Duhesme, poi da Broussier, che fissò il suo quartiere generale in Barletta. Di questo esercito facea parte Ettore Carafa, Conte di Ruvo, e figlio del Duca di Andria, colla sua nascente legione di mille armati, formata di militari dello sbandato esercito Borbonico, e di gente reclutata negli Abruzzi, in Foggia, Troia, Barletta, Corato, Ruvo, Terlizzi, Cerignola, Minervino, ed Andria.
I timori di una prossima invasione francese in Andria ogni dì più crescevano; quando improvvisamente si sparge la notizia che il signor Domenico Antonio Tupputi, in unione di tre Padri Benedettini di S. Maria dei Miracoli d’Andria, cioè D. Massimo Fiori, i fratelli D. Gaetano e D. Erasmo Santacroce, ed un Barlettano, avessero divisato piantare di notte tempo l’albero della Gallica libertà, nel largo della Catuma, e d’introdurre in Andria i Francesi. A tale nuova il popolo Andriese, memore della tradizionale fedeltà ai suoi Re, divampò di sdegno, e bollente d’ira, di notte tempo, corse difilato all’Abazia di S. Maria dei Miracoli, penetrò dentro con mano armata, e dopo varie ricerche, arrestò quattro benedettini Repubblicani, e cautamente li menò prima nel carcere d’Andria [38], poi in quello di Trani, donde evasero il primo aprile 1799, coll’entrare delle vittoriose truppe Francesi in quella città, presa d’assalto, e largamente incendiata.
Nel carcere di Trani furono fucilati dai cancelli circa cinquanta detenuti, fra i quali varii Andriesi, ed i cadaveri, parte gettati in mare, e parte sepolti nel sotterraneo della Cattedrale, rimanendo a guardia gente armata. Intanto sentendosi un sospiro, e credutosi d’un morto risuscitato, le guardie fuggirono! Ma il sagrestano, fattosi coraggio, si accostò, e vide essere il Padre Tranfo, ferito, Cassinese della Madonna dei Mi-racoli d’Andria, arrestato in Trani, il 5 febbraio. Fattolo entrare in Sagrestia, gli fece ricevere i sacramenti. Ma saputosi ciò dagli armati corsero per ucciderlo. Si cercò invano di salvarlo; mentre quegli inumani lo trascinarono nel carcere del tribunale, ed ivi crudelmente il lunedì di Pasqua 1799, lo massacrarono! [39].
Intanto i rumori del prossimo avvicinarsi dei Giacobini verso di questa città, crescevano, ed un numero di Sanfedisti Andriesi un’altra volta circondano, armata mano, l’Abazia di S. Maria dei Miracoli, rabbiosamente trascinano in città tutti i Benedettini, li chiudono nel convento dei Padri Domenicani; ove insieme ai religiosi degli altri ordini, e non pochi gentiluomini furono gravemente taglieggiati, col pretesto che bisognava alimentare gran numero di Tranesi, venuti in aiuto di Andria, non che dugento armati di Gioia, spediti dal Principe ereditario di Napoli, e dal Duca di Sassonia, cioè l’Anglo Corso e l’avventuriere De Cesare, per difesa di questa città, devota alla santa fede. I P. Domenicani, nel cui Convento stava l’Abate Rogadeo coi Benedettini, furono tutti salvati dal Capitano D. Pasquale de Uva, il quale con un Ufficiale Francese, nel mezzo della strage, passò e difese le vite di tutti i Domenicani e Cassinesi, dei quali niuno perì [40]. Dopo tale fatto fu dato ai Cassinesi di ritornare alla loro Badia; ma la trovarono dai Sanfedisti saccheggiata di arredi sacri e domestici.
Spuntava frattanto l’infausto giorno 23 marzo 1799; ed Andria dopo una vivissima resistenza e sanguinosissima, veniva presa d’assalto dalle furenti truppe repubblicane, e senza pietà data a fuoco ed a ruba, e gravata d’una imposizione di meglio che dodici mila ducati! Da tanto eccidio non andò esente la Badia di S. Maria dei Miracoli, tutto che fosse stata la prima in Andria a respirare le libere aure repubblicane! Infatti non appena venne proclamata la repubblica Partenopea, quei Padri si sottoscrissero col titolo di cittadino [41]. Tutte le stanze dei Monaci ed il sacro tempio furono saccheggiati un’altra volta, prima dai Giacobini francesi, poi da quelli del Regno, capitanati dal Tenente Marotti, indi il lunedì di Pasqua, dai Repubblicani di Barletta. Nè ciò fu tutto; l’Abazia venne sottoposta a varie contribuzioni forzose e dall’Università di Andria per la tassa di ducati 12000, a cui questa città dai vincitori Francesi venne condannata; e dal Governo provvisorio, che volle si desse ai Padri Benedettini D. Erasmo e D. Gaetano Santacroce [42], ed all’altro Benedettino, lo zoppo, D. Massimo Fiori [43], quali gloriosi martiri della repubblica, una indennità di ducati 723; e dal Comandante Carafa che scrisse al Convento affinchè dasse ducati 196,25 ai due novizi Matera, i quali deposta la cocolla, avevano indossato le divise repubblicane. Il Monistero dovette pure sottostare a varie spese di equipaggio, di biancheria, e d’altri oggetti, occorsi all’esercito Francese.
Non si era ancora l’Abazia dai sofferti danni riavuta; ed ecco improvvisamente nel maggio del medesimo anno 1799, D. Nicola Vulturara, Cantore e Vicario Generale della Chiesa di Canosa, quale Commissario del Governo Provvisorio; il Sacerdote D. Giuseppe Metta [44] anche di Canosa, quale Capitano dell’armata repubblicana, ed il Benedettino D. Gaetano Santacroce, quale Giuda novello, portarsi con gente armata in Andria per sopprimere l’Abazia di S. Maria dei Miracoli. Il Metta suggellò tutti i libri; ma lasciò l’Abate e i pochi monaci, che vi erano nel monistero [45]. Però anzi che sopprimere la Badia, pare sieno venuti più veramente per metterla a ruba. Infatti il Commissario Vulturara s’appropriava ducati 300, appartenenti all’Abate D. Vincenzo Rogadeo, che nel 1806 veniva assunto a Vescovo di Caserta; ordinava la vendita di meglio che trecento pecore, e bovi, ed altri animali dell’Abazia, prendendo per sè ducati 340. Facea pur sua una carrozza del valore di ducati 150; un pastorale d’argento dorato del costo di ducati 300; un calice di fili-grana del prezzo di ducati 40; una Pisside di ducati 16; un incensiere d’argento di ducati 50; non che altri oggetti. Nè qui s’arrestò il Vulturara; imperciocchè di qual cosa non è capace l’esecranda ingordigia dell’oro ? Lo scellerato ebbe l’ardire di stendere sacrilegamente le mani sulla veneranda Immagine di Maria dei Miracoli, e strapparle tre ricchi anelli votivi, che le pendevano dal collo, ed altri donativi! Ed ahi! dura terra, perchè non t' apristi? —
Nel brevissimo tempo della Repubblica Partenopea i malcontenti crebbero ogni giorno più, e l’Abate Pronio, e Rodio, capi di bande, molestarono i Francesi negli Abruzzi, il famoso Fra Diavolo in Terra di Lavoro, altri altrove; mentre il Cardinale Fabrizio Ruffo sistemava la reazione assolutista nelle Calabrie, ed il 13 giugno 1799 entrava con le sue bande in Napoli. In attestato d’attaccamento e di essequio al nuovo ordine di cose, la Badia della Madonna dei Miracoli, che nell’anno precedente avea spedito quattro reclute a sue spese in aiuto di Re Ferdinando, nel luglio 1799 facea dono di parecchi puledri a Sua Eminenza il Cardinal Ruffo. In tutto il tempo dell’occupazione militare, gli ufficiali del Reggimento 42° che stanziava in Andria, fermarono il loro quartiere nella Badia, che largamente li fornì d’alloggio e di vitto.
Ormai cominciavasi a vociferare per Andria che i Padri Cassinesi sarebbero stati quanto prima soppressi; epperò il 12 gennaio 1807, si radunò a tal uopo il Consiglio Municipale, a suon di campana; con l’intervento del Dottor D. Filippo Tebi, luogotenente della regia Corte, del Sindaco D. Nicola Mita, e degli Eletti. In tale adunanza fu deciso doversi a nome della città supplicare il Sovrano, affinché avesse risparmiato questo Monistero, mentre la sua soppressione sarebbe stata di non poco danno per gli Andriesi, che venivano largamente soccorsi di continue elemosine dalla Badia. La quale istruiva pure la gioventù di Andria nelle sue scuole, e finalmente perché veniva a chiudersi il Santuario di Santa Maria dei Miracoli, famoso in tutta la provincia e fuori. Andria pregò, supplicò il Re, ma inutilmente! Nel medesimo anno l’Abazia fu soppressa, perché ricca! Cosi trattavano il nostro Reame i forestieri, che l’avevano fomentato di libere promesse! [46] La maggior parte dei beni fu nel 1810 alienata dal regio Demanio al francese Lanfrai; ma non avendo costui adempito al pagamento, gli furono detti beni sequestrati, e venduti a diversi cittadini di Andria, di Barletta, e di Bari [47]!
NOTE

[38] Cercarono di catturare il Tupputi nel suo casino, ma questi, avutone anticipatamente l’avviso, si pose in sicurtà con la fuga. In tempo della reazione fu condannato a 20 anni di carcere, e gli furono confiscati i beni. Cronaca del FRASCOLLA, presso G. Ceci, Ett. Carafa, p. 72.

[39] BERARDUCCI, Diario del 1799, pag. 65.

[40] BERARDUCCI, Diario del 1799, pag. 62.

[41] VACCHETTA 1.a, M. S. dell’Abazia di S. Maria dei Miracoli, gennaio 1799.

[42] Questi dal Cardinale Ruffo furono carcerati nei Granili di Napoli — RODINO, Racc. Stor.

[43] Nel tempo della reazione fu condannato a 15 anni di esilio — G. CECI, Ett. Carafa, pag. 71.

[44] Era Libero muratore, 1° assistente della vendita di Canosa, e gran maestro di quella, prima del Nonimestre. DE NINNO, Le vendite dei Carbonari della Terra di Bari.

[45] BERARDUCCI, Diario del 1799, pag. 120.

[46] VACCHETTA 1.a Mss. della Badia di Santa Maria dei Miracoli di Andria, marzo 1799, pag. 185, e seg. (Curia Vescovile).

[47] Deliberazioni del Decurionato dal 1806 al 1813 pag. 83. (Arch. municipale d’Andria).

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XXIX. - Trentadue anni di lutto.

Non appena nel 1806, Giuseppe Napoleone Buonaparte si assise vittorioso sul trono dei Borboni di Napoli, e cominciò a sistemare il regno alla francese, abolì i numerosi ordini di S. Bernardo e di S. Benedetto, dicendo nel preambolo della legge, che la espulsione dei frati era voluta dal genio del secolo e dalla economia dello Stato. Soliti e speciosi pretesti per mal fare!
Il convento dell’Incoronata, in provincia d’Avellino, fu disciolto il primo in pena di aver dato rifugio a fra Diavolo, Michele Pezza, celeberrimo brigante; indi gli altri più ricchi per goderne le spoglie; fra questi l’Abadia di Santa Maria dei Miracoli d’Andria. La notte del 16 febbraio 1807, gente armata improvvisamente circondò l’Abadia; ad i trentaquattro figli del più grande incivilatore d’Italia, in nome della civiltà e della tolle-ranza, dovettero dare l’ultimo addio e per sempre alla loro cara Madonna, alla di cui ombra erano vissuti dugentoventisei anni! E pure il giorno innanzi avevano ricevuto dal governo le più lusinghiere assicurazioni; promesse da birri!
Si dirà che i Benedettini meritarono la soppressione, perchè più amanti del ben vivere che del viver bene; si dirà coll’Alighieri che:
Le mura, che soleano esser badia
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.
Ma «l’abuso, diceva Lacordaire, non prova nulla contro chicchessia, e se bisognasse distruggere quello di che si abusa, cioè ciò che è buono in sè, ma corrotto dall’umana libertà, Dio stesso dovrebbe essere cacciato dal suo trono inacessibile, ove troppo spesso noi facciamo assidere presso di Lui le nostre passioni ed i nostri errori!»
I grandi e ricchissimi possedimenti dei Benedettini furono confiscati e prodigamente venduti; denudate dei voti più preziosi le pareti del tempio; staccati dall’altare di Maria gli eleganti bassorilievi d’argento; tolte le Campane nel 1810, e portate via per batterne moneta. Dei Giuda non vi mancarono mai al mondo; e due P. Benedettini ebbero l’ardimento di fare ciò di che ebbero ribrezzo gli stessi ladroni governativi, spogliare cioè la veneranda Immagine delle sue corone, delle sue gioie, e delle sue preziosissime suppellettili! ... — Ma sempre tarda non è l’ira divina; chè uno di questi ribaldi a Dio spiacenti ed ai nemici suoi, moriva improvvisamente in Barletta, l’altro restava col pollice ed indice delle mani diseccati! — Ognuno di questo manomesso Santuario volle il suo ricordino; e la Cattedrale ebbe parecchi arredi sacri; la Collegiata di S. Nicola un gran dipinto; la biblioteca del Seminario tutte le opere di Cicerone; la maggior Chiesa di Bisceglie nel 1809 ebbe da Re Gioacchino il Coro, capolavoro d’architettura e d’intaglio ed il parato d’ottone dell’altare maggiore; gli altri parati anche di ottone l’ebbe la città di Grumo, e Grottaminarda una campana; i monelli poi le canne dell’organo, le chiavi di ferro che sostenevano il dorato soffitto a cassettoni, e per fino il piombo dei vetri e quanto potè loro cadere nelle mani [48].
Parea riposasse in pace il denudato Santuario, quando un bel dì varii Barlettani vi si portano, con carri, per menar via i sette altari di finissimo marmo, con le ringhiere delle scale e le balaustre anco di marmo. Avutone sentore gli Andriesi, divampanti d’ira corsero armata mano a difendere da quest’ultimo scempio la derelitta casa della loro tanto amata Madonna, e misero in precipitosa fuga quei sacrileghi ladroni. I Bitontini nel 1810 fecero delle pratiche presso il governo invasore per ottenere gli altari di marmo; ma avutone sentore il Capitolo di Andria, per mezzo dei suoi Deputati, il Priore di San Riccardo, D. Francesco Paolo Mita, D. Michele Inchingolo, D. Giuseppe Iannuzzi, D. Lorenzo Marchio, D. Giuseppe Porro e D. Giuseppe Leonetti, avanzò un ricorso al Re, come lo stesso fece l’università, e gli altari restarono al loro posto [49].
Tutti gli argenti della Chiesa e del monastero passarono, nell’atto della soppressione, in consegna all’Ispettore dei Reali Demanj, Blanc de Pomard. Tutti i quadri del Monistero furono consegnati al detto Ispettore, mentre quelli della Chiesa non furono amossi, ad eccezione del solo quadro, che stava sopra la porta, e che fu dato alla Collegiata di S. Nicola di Andria, per ordine del Sovrano, come si disse [50]. Finalmente a compimento di tanta desolazione, il sacro tempio fu inesorabilmente chiuso alla tenerissima pietà del popolo di Andria, che per tre anni non si stancò mai, nominatamente nei dì di Sabato, di venire amaramente a piangere, ed accesissimamente pregare con la fronte poggiata a quelle chiuse porte! — Così un giorno Israele piangeva desolato sulle rovine del tempio di Gerusalemme! — Le lagrime e i sospiri dei popoli vilipesi li conta Iddio! E quelle porte alfine si aprirono, ed Andria potè un’altra volta vagheggiare la dolcissima Immagine ed il tempio sacrato della sua diletta Madonna, ahi! quanto diverso da quel di pria!!!
Tornato all’avito trono Ferdinando I, e ristabiliti novellamente gli ordini religiosi, i Benedettini non tornarono più, e la vasta Abazia di Santa Maria dei Miracoli fu data dal governo ai padri Agostiniani Scalzi, e da questi censita al medico D. Gaetano Virgilio, compratore di molti beni dei soppressi Benedettini, soccorso poi dall’angelica carità di Monsignor D. Giuseppe Cosenza, Vescovo d’Andria! « — Infelice chi ha in casa un solo mattone di Chiesa! — » dice un proverbio genovese. E Martin Lutero, autore non sospetto, diceva pure: l’esperienza prova che l’invasione dell’ecclesiastico patrimonio non produce che il depauperamento e la mendicità degl’invasori! Vedere tornato l’augusto tempio di Maria al primiero suo lustro, era il pensiero dominante d’ogni mente, il desiderio cocentissimo d’ogni cuore. Dopo trentadue anni di lutto, quel giorno tanto accesissimamente desiderato, venne! [51].
NOTE

[48] Tanta rovina venne ristorata, in tempo della venuta degli Agostiniani, dalla pietà del conte Onofrio Spagnoletti-Zeuli.

[49] Lib. delle Conclus. Capit. 25 marzo 1810 (Arch. della Catt.).

[50] Risposta del Vesc. Lombardi al Duca di Cansano (Arch. Vesc.).

[51] P. ANTONINO M.a di IORIO Agostiniano, Relazione storica sull'immagine, invenzione, santuario e prodigi di Maria SS. de' Miracoli di Andria. Cap. XI.

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XXX. - Serie cronologica degli Abati di Santa Maria dei Miracoli d’Andria.

1681. D. Severino Montella di S. Severino di Napoli, Amministratore.
1584. D. Arsenio da Padova di S. Giustina di Padova.
1586. D. Tiburzio da Brescia di S. Eufemia di Brescia.
1588. D. Anastasio d’Atino di Montecassino.
1589. D. Urbano da Parma di S. Gio. Evang. di Parma.
1590. D. Sigismondo da Verona di S. Nazario da Verona.
1591. D. Giustino da Firenze di S. Pietro di Perugia.
1592. D. Giov. Michele da Pavia di S. Salv. di Pavia.
1595. D. Lorenzo d’Aversa di Montecassino.
1596. D. Girolamo d’Aversa della Trinità della Cava.
1599. D. Eugenio da Milano di S. Piet. Gessato di Milano.
1600. D. Giov. Battista della Porretta di S. Piet. di Modena.
1601. D. Alfonso da Napoli di S. Severino di Napoli.
1603. D. Basilio d’Istria di S. Pietro di Perugia.
1604. D. Lorenzo d’Aversa della SS. Trinità della Cava.
1606. D. Alessandro da Castrovillari di S. Sev. di Napoli.
1630. D. Luigi Carafa dei Duchi d’Andria.
1686. D. Costanzo.
1701. D. Angelo da Gravina.
1717. D. Giacomo Navarretto.
1732. D. Tiberio Gentile da Genova [52].
1769. D. Domenico Scalea.
1772. D. Domenico Favilla.
1779. D. Prospero de Rosa [53].
1799. D. Vincenzo Rogadeo di Bitonto.
1802. D. Alferio Mirano.
1806. D. Vincenzo Rogadeo di Bitonto.
1807. Carlo di Ruggiero.
NOTE

[52] Questo Abate, visitatore delle Provincie Napolitana e Romana, fu presente alla ricognizione e traslazione del Corpo di S. Carlomanno, Re e Monaco Cassinese, da sotto l’altare maggiore nella Cappella della Cattedrale di Montecassino, al medesimo Santo dedicata, ai 28 maggio 1732. V’intervenne pure D. Antonio Capece di Napoli, Priore di Santa Maria dei Miracoli d’Andria - (TOSTI, Vita di S. Benedetto)

[53] Sotto questo Abate, essendo caduta una ingente quantità di neve, morì da per ogni dove un numero grande di armenti; ma per protezione speciale di Maria dei Miracoli, rimasero immuni gli armenti dell’Abazia. In tale circostanza i Monaci di nascosto murarono, per memoria, un vaso d’Olio con una pergamena. — Questo vaso, e questa pergamena furono per caso trovati nel 1876 in una parete del refettorio, ed è del seguente tenore:
Oleum quod hic habetur an. Incar. Dom. MDCCLXXIX postridie idus Aprilis die Mercuris dicato repositum fuit, sedente in hoc utriusq. Siciliae Regno Ferd. IV. Rege N. piissimo ac in Regimine hujus Monasterii S. M.æ Miraculorum Andriæ Ill. ac Rev. D. Prosper de Rosa Præsul sapientia atque eloquentia præstantissimus foret.; de eiusdem vero Monasterii familia R. P. D. Placidus Carbonelli Prior, D. Placidus Panari Dec. et Cellerarius D. Thomas dell’Ariccia Dec. D. Isidorus Capitaneo Dec. D. Maurus Firraus, D. Michael Unsaro, D. Angelus Firraus, D. Aloysius Veglia. Cum autem scitu digna sint, quæ hoc anno evenere erumnæ advertant quæso quantum nobis SS.æ huius Virginis Miraculorum prosit patrocinium, ut cum armenta jam undequaque nimia nivium copia interiissent, nullatenus nos in eadem sumus navi, hinc sub eodem auspicio fidentes sumus, ut cum quisque modo premitur angustiis ob aeris serenitatem, ipsa Domina Nostra favente, imbres nobis salutares tuto atque ultro elargiri fidemus.

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XXXI. - L'eremo.

Il 2 luglio 1832, era eletto Vescovo di Andria, D. Giuseppe Cosenza, di poi Cardinale di Capua. Questo Esdra novello dolorò grandemente nel vedere desolato il tempio sacro a Maria dei Miracoli, e stabilì in cuor suo di ritornarlo al sorriso di prima, e il ritornò. Col Cardinale Gabriele Ferretti Nunzio Apostolico presso la Corte di Napoli, il pio Cosenza fece fervide istanze all’Agostiniano P. Gian Michele Maria Quaranta, ristauratore dell’Ordine Eremitano di San Giovanni Battista di Napoli, perché volesse aprire un Convento Agostiniano, nell’antica Badia di S. Maria dei Miracoli. Il Quaranta, che già aveva manifestato al Cosenza cocentissimo desiderio d’impiantare un tale convento in Puglia, superando tutti gli ostacoli, accettò l’invito.
Nel 1837 il Quaranta pregò D. Gaetano Virgilio, perché facesse legalmente l’abdicazione del dominio utile, che aveva sul Convento di Santa Maria dei Miracoli, passando a carico dei Monaci il canone annuo di ducati 200, facendosi un istrumento coll’intervento della Comunità degli Agostiniani Scalzi di Napoli, ai quali era stato dato in dote il soppresso Monistero, unitamente ad altri fondi, esistenti in questa città, che un tempo facevano parte del Patrimonio Regolare.
La Badia mutata in Eremo avea bisogno di tutto, ed in più luoghi cadente; il Cosenza non dispera, con alcuni del clero e del municipio percorre la città, ed il buon popolo Andriese teneramente innamorato di Ma-ria, largheggia col suo pastore come meglio gli è dato [54]. Nell’agosto del 1838 i Rev. PP. Luigi Castiglione, Antonio Squillace, e Tommaso Tasca, la di cui memoria vivrà eterna presso gli Andriesi pel loro ardentissimo zelo in promuovere la gloria di questo Santuario, erano già nell’Episcopio. — Il 6 ottobre del medesimo anno ricevettero dal Cosenza il solenne possesso del Santuario e del Convento, in mezzo alle più grandi dimostrazioni di gioia del clero e del popolo! —
Da quel dì, mercé lo zelo dei novelli Padri, e la sentita devozione degli Andriesi, quel Santuario di giorno in giorno riacquistò, come meglio si potè, il suo antico splendore. La signora D. Caterina Januzzi negli Spagnoletti donava alla venerata Immagine due corone d’argento; la signora D. Antonietta Ceci nei Januzzi due preziosissimi orecchini, ed un fermaglio d’oro; altri devoti poi le offrirono e stelle e lampade di argento. Preziosissimi doni ornarono di bel nuovo la miracolosa Immagine, e ceri votivi si videro incessantemente ardere innanzi al suo altare. Due organi armoniosi rallegrarono con le solenni loro melodie le volte di quel triplice tempio; mentre il suono di nuove campane si spandeva largamente per le vicine campagne e dolce e soave giungeva in Andria, come la voce di Maria.
Il censo di 4800 ducati, che gravitava sul Monastero, fu redento dalle spontanee oblazioni dei pii Andriesi, a cui fu sempre sommamente a cuore il culto della loro dolcissima Madonna. Il ministro degli affari Ecclesiastici con ministeriale del 16 febbraio 1839 volle sapere dal Cosenza la spesa, che bisognava per i restauri del Monistero, ed il 18 marzo del medesimo anno, gli mandava la perizia da cui risultava, che vi bisognava la somma di ducati 173,269, che prontamente gli fu spedita [55]. Finalmente a maggiore accrescimento del ringiovanito culto di Maria, il Sommo Pontefice Gregorio XVI con un breve in data 12 settembre 1840 concesse di celebrarsene la festa nell’ultimo sabato d’agosto con ufficio proprio e messa in tutta la Diocesi.
NOTE

[54] S. Congregationis Em. Episc. et Reg. S. R. E. Cardinalium negotiis et consult. Episcoporum et Reg. præposita, attenta relatione E.pi Andriæ benigne commisit Nuntio Apost. Neapolis, ut, veris existentibus narratis, facultatem acceptandi enunciatum Conventum, assumpto onere solvendi annum Canonem Ducatorum dugentorum favore Religiosorum Augustinianensium, Excalceatorum Conventus Neapolitani pro cuius securitate fiat transcriptio in officis Hypothecarum pro suo arbitrio et conscientia impertiatur de consensu Episc. Andriæ, et eorumdem PP. præfati Conventus Naepolitani Excalceatorum Ordinis S. Augustini. In novo vero Conventu ad minus sex collocentur Religiosi, quorum quatuor saltem sint Sacerdotes, et Superior curet, ut aliqua elemosynarum pars investiatur ad effectum costituendi congruam dotem. Contrariis quibuscumque non obstantibus.
Romæ 9 Iunii 1837
.         (Arch. Vescovile).

[55] (Curia Vecovile).

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XXXII. - Il terremoto del 1857.

Era il 16 decembre dell’anno 1857, e nel cuor della notte fu inteso un rumore cupo, come rombo pieno e prolungato; quindi appresso un moto violentissimo di terra destò improvvisamente dal sonno gli Andriesi, che spaventati ed attoniti fuggirono fuori le case allo scoperto! Nell’istessa notte e nei seguenti giorni le scosse continuarono frequenti, sebbene non violentissime; e le case ne risentirono le scosse oscillatorie, e molte ne restarono screpolate. Il centro del tremuoto fu la Basilicata, ove alcune città in parte, altre del tutto, con la morte di migliaia di uomini, miseramente rovinarono!
In quella notte memoranda il popolo Andriese corse costernato ad abbracciarsi ai sacri altari, lo stesso fece il mattino ed i giorni susseguenti, affine di placare con la preghiera lo sdegno di Dio. Monsignor D. Giovanni Giuseppe Longobardi, in solenne attestato di perenne gratitudine verso di Maria dei Miracoli, alla di cui grande misericordia attribuì egli la liberazione di Andria da tanta lagrimevole sventura, ordinò pubbliche preghiere e la frequenza dei sacramenti, e la solenne esposizione con il canto del Te Deum in tutte le Chiese in allora, ed in ogni anno in rendimento di grazie; in fine una processione di penitenza al Santuario della Madonna. Il popolo, le confraternite, gli ordini religiosi, il Seminario, il clero ed il Vescovo, con le funi al collo, e tutti di cenere aspersi, preceduti dalla croce, s’avviarono al tempio di Maria recitando devotamente le litanie dei Santi. Quivi giunta la mestissima processione, il Prelato tenne un discorso commovente assai, con cui eccitò ognuno a penitenza ed a sentimenti di gratitudine verso così buona benefattrice. Tutti allora dettero in un dirottissimo scoppio di pianto, tutti senza modo e misura si flagellarono, chiedendo ad alta voce a Dio perdono, invocando con le lagrime sugli occhi il patrocinio di Maria, e promettendole interminabile riconoscenza. Andria in quel giorno sembrava una Ninive novella, che nella cenere e nel cilizio la divina misericordia invocava!
Nel corso dell’anno il pio Pastore, memore di tanto singolarissimo beneficio, donò all’altare della Madonna un elegante parato di argentone. Le parrocchie poi della Cattedrale, di S. Agostino, di S. Francesco e la Confraternita della Morte si portarono in devota processione al santuario di Maria e le offrirono quattro grandi lampade di argento, in perenne testimonio di gratitudine per avere liberata questa città dal violentissimo terremoto del 1857.

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XXXIII. - La Incoronazione.

D. Giovanni Giuseppe Longobardi, eletto Vescovo di Andria il 18 marzo 1852, fu a niuno secondo nel tenerissimo e filiale amore verso Maria dei Miracoli. Ogni sabato devotamente si portava a visitarla, celebrava sull’altare di lei, e con parole calde di affetto non cessava mai di eccitare tutti ad una tenera divozione verso si buona Madre. Avendo dato alla luce il suo Sinodo Diocesano a Maria dei Miracoli lo dedicò, e volle che ogn’anno il suo clero all’ombra benefica dei santi altari di Lei, per gli esercizii spirituali si adunasse.
Divampante com’era di cocente amore per Maria concepì il nobile divisamento di solennemente coronarla, ed andato a Roma alle soglie degli Apostoli, con lettere patenti a lui date il 2 giugno 1856 ne ottenne facoltà dal Rev. Capitolo Vaticano, cui il pio conte Alessandro Sforza Pallavicini, morto nel 1638, legava i fondi per incoronare le antiche e miracolose Immagini di Maria, e gli dava il glorioso incarico di esserne dispensatore. All’uopo il Vescovo fece preparare in Roma due preziosissime corone di oro, e reduce di colà, perchè avvinto di singolare affetto ed amicizia con Re Ferdinando II di Napoli, ottenne in dono dal pio Monarca una Rosa d’oro massiccio bella quant’altra mai, per fregiare il petto di Maria, il dì della Coronazione di Lei. Il Clero, il Municipio ed il popolo di Andria gareggiarono di zelo col loro Pastore in onorare Maria, e furono prodighi di sè e delle cose loro.
Il 26 aprile dell’anno 1857, in mezzo ad un lietissimo scampanare moveva alla volta dal Santuario una processione d’ingenue fanciullette, bianco vestite, e vagamente coronate di rose. Questo coro di angiolette menava in trionfo un gruppo di tre statue rappresentanti l’Eterno Padre col Figlio, i quali posavano sulla testa della Vergine aurea corona, ed alquanto in alto una candida colomba, simbolo del Divino Amore, che a fior di bocca reggea la rosa d’oro, dono di Re Ferdinando. Di tratto in tratto lungo la via il coro delle fanciulle disposava a soavissime armonie un cantico, che tutto rivelava l’ardente affetto degli Andriesi per Maria. Finalmente un popolo immenso, con alla testa il pio Pastore, chiudeva la processione, la quale giunta in Chiesa ebbe termine con una toccante ed entusiastica Omelia.
Con la prima aurora di maggio lo squillo festevole di tutte le campane della città annunziava l’inaugurazione delle solennissime feste, che preceder doveano l’Incoronazione di Maria dei Miracoli, nel suo Santuario splendidamente e vagamente parato di ricchi drappi e pellegrine stoffe, foggiate a pittoreschi capricci; illuminato da mille e mille faci, e rallegrato dalle melodie di soavissimi canti e d’eletti concerti musicali. Monsignor D. Giuseppe Iannuzzi Vescovo di Lucera [56], e Monsignor D. Bernardino M.a Frascolla Vescovo di Foggia, nostri carissimi e benemeriti concittadini, pontificarono, e dottamente ed entusiasticamente sermoncinarono i primi due giorni al popolo affollatissimo.
Il giorno 3 maggio, destinato per la solenne Coronazione, Monsignor D. Giovanni Giuseppe Longobardi, Vescovo di Andria, in paramenti episcopali, dopo la lettura di pubblico atto, rogato dal Notar G. Tondi, di sua mano, coronò la Venerata Immagine di Maria e del Bambino, fra le lagrime di gioia, gl’inni di ringraziamento, il suono lietissimo dei sacri bronzi, ed il fragore degli spari. Al vespro il Longobardi fece il suo panegirico, e benedisse il popolo, da per ogni dove in quel Santuario convenuto. La sera poi in città musiche, luminarie e fuochi artificiali. — In quei giorni solenni, in mezzo a quella gioia inebbriante, che pareva un’eco fedele di quella del cielo, chi mai avrebbe potuto pensare che, il sabato del 5 novembre 1870, le ossa del piissimo Coronatore di Maria venir dovevano a dormire più quete presso il santo altare della sua dolcissima Madonna? — Le son fila di Dio! —
Nei giorni susseguenti funzionarono i Rev.mi Capitoli della Cattedrale, e delle due Collegiate; indi i Minori Osservanti, i Cappuccini, i Gesuiti, ed in fine gli Agostiniani, custodi del Santuario. In tutta l’ottava la solennità ebbe termine con una orazione panegirica in lode di Maria. I giovanetti del Seminario le consecrarono un vaghissimo serto di poetici fiori, e le quattordici Confraternite laicali, nel corso del mese, furono premurose di dare attestati di sincero affetto e devozione verso della buona e misericordiosa Madonna della patria loro. Per lungo tempo i popoli dell’intera provincia e de’ più lontani luoghi ancora a nugoli si travasarono nel tempio della novella Incoronata, e la salutarono coi più dolci nomi, che un amore passionate sa trovare. Quelle erano feste, quelle erano dimostrazioni sincere, spontanee, affettuose dei popoli!
A perpetuare tale pia e solennissima ricordanza fu posta nel tempio Sacro a Maria una lapide marmorea con la Iscrizione seguente:
MARIÆ SANCTÆ DEI GENITRICIS
A MIRACULIS NUNCUPATÆ ICONEM
QUOD
OPE SUA PRÆSENTISSIMA
AB CHOLERA TETERRIMO MORBO
AC OIDIO VINETIS INIMICISSIMO
ANDRIAM LAEDI OMNINO VETUERIT
IOANNES IOSEPHUS LONGOBARDI
EIUSDEM DIÆCESEOS EPISCOPUS
ANNO MDCCCLVII MENSE MAIO QUI DIES DOMINICUS FUIT PRIMUS
ILL.MO ET REV.MO CAPITOLO VATICANO ANNUENTE
CORONAVIT
EAMQUE ROSA AUREA
A FERDINANDO II
REGNI UTRIUSQUE SICILIÆ REGE OBLATA
NOTE

[56] Monsignor D. Giuseppe Iannuzzi, Vescovo di Lucera, nasceva in Andria il dì 11 gennaio 1801 da Stefano ed Antonia Ceci, ricchi e virtuosi genitori. Ascrittosi alla milizia ecclesiastica, fu integerrimo ed esemplare sacerdote. Predicare, confessare, reggere quando la Confraternita della Morte, quando la nobile Arciconfraternita del1’Addolorata, di cui fu pure istitutore, incitare i suoi concittadini a virtù, erano le sue assidue occupazioni. Promosso nel 1827 a Canonico della Cattedrale, crebbe negli esercizi del bene. Il 25 giugno 1843 consecrato Vescovo di Lucera dalla Santità di Papa Gregorio XVI, fu forma del clero, padre degli orfani, consolatore delle vedove, prodigo di sè e delle cose sue ai poverelli, buono ed affabile con tutti, copia fedele del buon Pastore Gesù Cristo. Chiamato in Andria 1’anno 1857 per le solenni feste della Coronazione della Madonna dei Miracoli, vi venne volentieri, pontificò e tenne un toccante sermone all’immenso popolo, in quel Santuario raccolto. Scoppiata in Italia la rivoltura del 1860, ricoverò in patria, donde non mancò di reggere la Diocesi, sua dolce cura e delizia. Nel 1865 udito infierire il Cholera, in mezzo all’amato suo gregge, abbandonò la patria, e volò fra i morenti a prodigar loro generosamente le sua carità e la sua vita. Radunatosi in Roma nel 1869 il primo Concilio Ecumenico Vaticano, venne e fu caldo sostenitore della infallibilità pontificia. L’anno 1871 infermò a morte: ordinare collette per l’Obolo di S. Pietro, far celebrare quanto più splendidamente ai potesse il venticinquesimo anniversario del glorioso pontificato di Pio IX, consecrare la diletta sua diocesi al Cuore sacratissimo di Gesù, pensare al bene del clero e del popolo, furono i cari ed estremi pensieri del moriente. Il 21 agosto, ottava di Santa Maria Padrona di Lucera, munito dei Santi Sacramenti, fissava immobile lo sguardo sopra una devota immaginetta dell’Immacolata, si accostava affettuosissimamente alle labbra un crocefisso, Gesù... Gesù... s’udì esclamare, e più non disse. Suonava 1’Ave Maria della sera, e 1’Angelo di Lucera, benedetto per telegrafo dal grande Pio, era salito al cielo! Il Iannuzzi prima di morire, aveva affidato al dolcissimo Cuore del buon Pastore 1’amato suo gregge. Universale fu il compianto, splendidi i funerali in diocesi ed in patria, cara e benedetta presso tutti la memoria. Il primo febbraio 1872 le ceneri del Iannuzzi in mezzo alla desolazione ed alle lagrime affettuosissime di tutta Lucera, che ad ogni costo non voleva lasciar partire la spoglia del tanto amato ed adorato suo Pastore, venivano in Andria a riposare in pace nel Santuario di Santa Maria dei Miracoli, accanto a quelle di Mons. Longobardi, entrambi coronatori di Maria, entrambi dall’amore di Maria coronati in cielo. Solo la salma del primo vescovo di Foggia, Mons. Frascolla, altro coronatore della nostra Madonna, dorme lungi dal santo altare di lei, perché le ossa d’un Martire non dovevano riposare che nella terra dei Martiri! Senonchè nel 1893 furono dai Foggiani trasferite nella loro città, e deposte dopo 24 anni al Cimitero, nella Cappella privata del Sacerdote D. Orazio Rotundi.

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XXXIV. - La città di Maria.

La coronazione di Maria non fu l’ultimo attestato dell’amore svisceratissimo del popolo Andriese verso dalla sua dolcissima Madonna dei Miracoli; esso scintillò ancora di più vivida luce e soavissima. Nell’estate del 1854, il Colera infierì crudelissimamente nel Reame, onde le lontane e le circonvicine città ne furono de-solate e tutte in mestissimo squallore ed in pianto inconsolabile! La morte batteva inesorata ai palagi dei ricchi, ed ai tuguri dei poveri, non risparmiava sesso, non perdonava ad età; e ad ogni sorger di sole si scoperchiavano sempre nuove tombe per accogliervi novelle vittime dell’ira di Dio. A tal vista oltremodo desolante Andria dolorò grandemente, ed atterrita corse ad abbraciarsi fidente e speranzosa agli altari della sua diletta Madonna dei Miracoli; essa pianse, pregò, e non invano. Fra le Appule contrade Andria fu la novella Gessen misericordiosamente risparmiata dallo sdegno del cielo!
L’anno seguente l’oidio, contagio micidialissimo alle viti ed alle uve, che già disertava i vigneti d’Italia, si mostrò pure nelle nostre incantevoli campagne tanto largamente sorrise dalla natura e benedette da Dio. Il Popolo Andriese, che non sa amare Dio se non con Maria, ricorse alla Consolatrice dei suoi dolori, le raccomandò di tutto cuore i suoi vigneti, e fu esaudito. Il contagio si arrestò in faccia al rimedio a tempo adoperato, e mentre quel flagello di Dio impoveriva tante città, Andria arricchiva immensamente.
Per tanti singolarissimi benefici gli Andriesi non contenti di aver dimostrato la loro interminabile gratitudine verso così singolare Benefattrice, col solennemente coronarla, vollero altresì che ella fosse la principale Patrona di Andria, ed Andria la città prediletta di Maria. Monsignor D. Giovanni Giuseppe Longobardi promosse e caldeggiò efficacemente tale amorosissimo divisamento, e raccogliendo sollecito i voti unanimi del clero e del popolo Andriese, li presentò all’immortale Pontefice dell’Immacolata. Il 14 agosto 1858, la sacra Congregazione dei Riti radunata nel Vaticano, avendo maturatamente esaminati i detti voti, permise che Maria dei Miracoli fosse elevata a Principale Proteggitrice di Andria e della Diocesi; e concedè pure l’ufficio di rito doppio di prima classe, con l’ottava, da celebrarsi ogni anno, nella prima domenica di maggio, anniversario della sua Coronazione. Il Santo Padre Pio IX, il quale ebbe sempre a cuore la maggior gloria della benedetta Madre di Dio e degli uomini, arrise ben volentieri ad una tale decisione e l’approvò.
La prima domenica di maggio 1859, tra le gioie ineffabili di spendidissima festa, alla presenza del cielo e della terra Andria solennemente si consecrava tutta e sempre alla sua misericordiosissima Madonna dei Miracoli. In quel giorno tanto caro nella ricordanza di tutti, una più larga vena di grandi e dolcissimi affetti si apriva tra la Madre di Dio ed Andria, la quale alla vigilia di luttuosissimi avvenimenti, non senza singolare disposizione della provvidenza, addiveniva la città di Maria.

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XXXV. - Re Ferdinando II.

Andria, come negli andati, così nei presenti tempi, ha riscosso le simpatie dei Re di Napoli. Nel 1229, essa vide tra le sue mura Re Federico II: fu culla al Re Corrado: tomba alle Regine Iolanda ed Isabella: ed asilo fedele al ramingo Re Svevo. Nel 1327, mirò Re Roberto con la splendida corte di Napoli e di Francia: nel 1459 Re Ferdinando: e nel 1499 Re Federico d’Aragona: nel 1807, Re Giuseppe Napoleone: e nel 1831, Re Ferdinando II di Casa Borbone, che vi veniva pure nel 1846, e 1859 [57].
La sera dell’11 gennaio, il monarca delle due Sicilie entrava nella fedelissima Andria, in mezzo alle più grandi dimostrazioni di gioia d’un popolo immenso ed entusiasta oltre ogni credere. Quivi i lumi, le macchine allusive, i trasparenti allegorici, gli archi trionfali si appalesarono nel numero e nel fasto degni di una sì ricca e storica città [58]. Il giorno 12 natalizio del Re, questi ricevè nel palazzo episcopale gli omaggi delle autorità ecclesiastiche, civili e militari della provincia, del distretto e del municipio, nonchè della magistratura della Grancorte Civile e Criminale, e del Tribunale civile della vicina Trani. Nella Cattedrale assistè alla messa pontificata da Monsignor Giovanni Giuseppe Longobardi, Vescovo di questa città, e più volte con immenso affetto e devozione baciò la sacra Spina di nostro Signore, che in questa Chiesa si onora. Di là in mezzo ad un’onda di popolo si portò all’Annunziata a visitare la Veneranda Immagine della Madonna della Pietà, indi si diresse al Santuario della Madonna dei Miracoli, oggetto principale della sua venuta qui in Andria.
Questo Monarca più volte s’era mostrato piissimo della nostra Madonna. Nel 1857, per la solenne Incoronazione di questa Immagine le offriva una bellissima rosa di oro; nel 1858 una grande campana; ed il 12 gennaio 1859, vi veniva in persona, in compagnia della Regina Maria Teresa d’Austria, di Francesco II Principe Ereditario, di Luigi Conte di Trani, di Alfonso Conte di Caserta, e di Ministri e Generali e Gentiluomini di Camera, e Dame di Corte ed esercito. Giunto appena sulla soglia del Santuario, commosso sino alle lagrime, si gettò con la faccia per terra e la baciò e ribaciò devotamente, esempio da tutta la Reale famiglia imitato. Scese quindi nella sacra grotta; la visita di quel soccorpo unico nel regno, l’aspetto della veneranda Immagine di Maria, illuminata da lampade e ceri, il suono armonioso dell’organo, che si spandeva sotto quelle aere volte, lo squillo festivo delle campane, che nella sottoposta valle ripetutamente echeggiava, il grave silenzio di quella immensa moltitudine rapirono il Monarca fuori di sè, e piegato a terra le ginocchia lungamente ed accesissimamente fu visto pregare! —
Forse in quell’ora raccomandava egli alla Madre di Dio l’anima sua, che tra breve si sarebbe presentata dinanzi al Re, immortale dei secoli, ed il suo Reame su cui dovea scoppiare sì nera tempesta e largamente devastatrice! — Il Re delle due Sicilie, dopo aver dato libero sfogo alla sua filiale devozione verso la nostra dolcissima Madonna, partiva risoluto di volere con la sua munificenza ritornare quel tempio al primiero splendore; la morte lo prevenne! Re Francesco II, salito al trono, si ricordò della nostra Madonna dei Miracoli, e nel maggio 1860, spedì da Napoli il Serenissimo D. Alfonso Principe di Pescara e Marchese del Vasto per prendere le misure di un preziosissimo altare, che divisava innalzare alla Protettrice di Andria, e compiere così i desiderii del padre.
NOTE

[57] D’URSO, Storia della Città di Andria.

[58] M. Musci, Storia di cinque mesi del R. delle due Sicilie. IV.

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XXXVI. - La Madonna che suda! Che sarà?

Nel primo sabato di giugno 1859, fu visto un fenomeno per lo innanzi non osservato mai. La veneranda Immagine della Madonna dei Miracoli comparve tutta aspersa di luccicanti goccioline simili alla rugiada. Questo misterioso sudore cominciava la notte del venerdì, e durava tutto il sabato sino al tramonto del sole; negli altri giorni nulla. La prima a vedersi aspersa di candide goccioline era la testa della B. Vergine, indi a poco a poco tutta la persona con il Bambino Gesù; il resto del dipinto asciutto. Frequentemente con bombace e pannilini asterso quel sudore, ricompariva di bel nuovo; era poi sì copioso da gocciolare sul pavimento ancora. Oh! la Madonna suda! Che sarà? fu la voce che corse rapida pel paese, e fe’ la più parte rabbrividire. Tale fenomeno durò per tutti i dodici sabati consecrati dai devoti Andriesi alla loro amata Madonna; nell’ultimo sabato di agosto si vide per l’ultima volta, e più non si rivide!
In questo frattempo la Rev.ma Curia Vescovile volle esaminare il fatto. Si sospettò che forse qualcuno avesse potuto furtivamente aspargere di acqua l’augusta Immagine; per la qual cosa la sera del venerdì la inferriata fu ben chiusa con apposito catenaccio; ma la mattina il sudore comparve come prima. Si credette che i troppo aliti del popolo, condensandosi sulla fredda superficie del dipinto, l’avessero coperto di quella specie di rugiada, tanto più che osservavasi il sabato, quando vi era più frequenza di gente, e negli altri giorni non già. Per varii sabati s’impedì che il popolo scendesse nel soccorpo; ma il sudore non scomparve, e tanto più non potè a ciò attribuirsi, perchè la lastra su cui avrebbe dovuto prima comparire quella rugiada fu sempre limpida ed asciutta. Si pensò che il trasudamento dipendesse da variazioni atmosferiche; ma esso verificossi in tutti i tempi secchi od umidi, sereni o nebbiosi. Si dubitò infine che dipendesse dalla umidità della parete su cui la Immagine era dipinta: furono fatte delle indagini; ma il sito si trovò asciutto, e non dubbia fede ne facevano gli oggetti d’oro che dinanzi alla B. Vergine belli e lucenti pendevano, mentre l’umido li avrebbe subito anneriti.
Ciò non pertanto tale fenomeno fu dalla Commissione ritenuto per un fatto tutto naturale, sebbene non si sapesse naturalmente spiegare! Però il popolo, che vive più di fede che di pane, continuò a dire: la Madonna suda! eh! brutto segno! brutto segno! Che sarà? ... E non s’illuse! La grande rivolta di fresco seguita mostrò pur troppo che quella misteriosa rugiada era il pianto dolorosissimo di Maria dei Miracoli sugli imminenti mali della società cristiana! — Pianse Maria il 19 settembre 1846 sui monti della Salette, ed a quel pianto tennero dietro guerre fratricide, morbi desolatori, squallida fame [59]! Sudò Maria il 19 febbraio 1862, nelle Immagini dei Campieveri in Civitate. [60]; sudò il 5 aprile 1864, in quella dell’Addolorata in Arcene [61] ed a quel largo pianto, simile a quello della nostra Madonna dei Miracoli, seguì la sempre crescente sfrenatezza dei nostri tristissimi tempi!
NOTE

[59] ROUSSELET, Man. del Pell. a Nostra Signora della Salette.

[60] Giardinetto di Maria, Serie I, V. III, Anno I.

[61] Giardinetto di Maria, Serie I, V. IV, Anno II.

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XXXVII. - La soppressione.

Dopo di avere consecrato una pagina alla gioia, è d’uopo consecrarne una al dolore. Infelice condizione dell’umana vita intrecciata di rose e di spine, alternata di riso e di pianto! Erano scorsi ventinove anni dacchè il Santuario di Maria dei Miracoli era in certo qual modo ritornato al suo antico splendore, ed eccolo nuovamente ricaduto in basso loco.
In nome della libertà, che si va altamente vociando per tutta questa infelice Italia, fatta per servir sempre o vincitrice o vinta, con decreto del 1.° luglio 1866, furono chiusi i Chiostri dei frati; mentre ognuno di essi potea ben dire: Io sono una libertà! Gli Andriesi, come tutti gli altri popoli d’Italia, ricorsero all’ultima arma dei vinti, la protesta; e a centinaia di migliaia spedirono al parlamento nazionale firme contrarie alla soppressione delle fraterie. Ma nel paese del plebiscito, e del popolo sovrano, la Commissione aristocraticamente le condannava, perché di popolani e fin d’illetterati! Il 2 gennaio 1867, i pii custodi del Santuario di Maria dei Miracoli d’Andria erano fuori del loro Chiostro. Il cordoglio dei buoni Andriesi fu stragrande, ed affettuosamente aprirono le loro case a quelle vittime della libertà. Le porte del sacro tempio, mancò poco, non si chiudessero un’altra volta alla pietà degli Andriesi; ed il Convento ed il Santuario più dagli amici che dai nemici spogliato, addivennero proprietà del governo; perché, mentre dal devoto popolo di Andria era stato emancipato dal censo che vi gravitava, improvvidamente tale affrancazione s’intestò al Convento della Maddalenella di Napoli dei Padri Agostiniani Calzi. — Fatalità del nostro paese!
In sulle prime la grande e filiale devozione degli Andriesi verso la loro amatissima Madonna dei Miracoli parve si raffreddasse, perché si volle raffreddata da coloro che alla gloria di Maria il proprio tornaconto anteponevano. Se non che, mediante il lodevolissimo zelo e le cure incessanti del Canonico D. Stefano Porro, Cappellano eletto dal Vescovo e dal Municipio, non che dal R. P. Francesco Saverio Iafanti Agostiniano, il Santuario ha ripreso il suo culto e la sua antica devozione, che anzi ogni di più maggiormente cresce. Maria e la Patria gli saranno grati.
Andria poi, la quale è la cara città di Maria dei Miracoli, ne son certo, in cima dei suoi pensieri e dei suoi affetti metterà sempre il decoro ed il lustro di questo Santuario, monumento gloriosissimo ed eloquentissimo dell’ardente fede degli avi nostri, e perenne memoria dei caduti sodalizii religiosi, che «rinnovellati di novella fronda» ripullulano sempre fra i cadaveri illagrimati dei loro distruttori!

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XXXVIII. - Il terzo Centenario.

L’amore oltre ogni credere vivissimo dei popolo Andriese per la sua tanto cara e simpatica Madonna dei Miracoli, anzi che venire affievolito e raffreddato menomamente dalla gelida ala del tempo, di più bella e nuova luce di giorno in giorno scintilla e divampa.
Il 10 marzo 1876, compivansi tre secoli, da che la veneranda Immagine di Maria veniva prodigiosamente ritrovata in quell'antichissima cripta; ed Andria non ultima tra le cento città Italiane, che in questo secolo hanno tanto nobilmente tra loro gareggiato in celebrare splendidamente le feste centenarie di coloro che ben meritarono di Dio e degli uomini, volle in sì fausta ricorrenza dare un novello attestato di filiale e sentito affetto alla sua benamata Patrona. Per la qual cosa a monumento imperituro e del suo sentito amore verso Maria, e delle solennissime feste centenarie in onore di Lei celebrate, Andria divisò rizzarle una statua d'argento.
Tale splendida idea balenata nelle menti degli Andriesi, venne accesissimamente vagheggiata, e caldeggiata efficacemente dal Rettore di quel Santuario, il Canonico D. Stefano Porro, di poi Vescovo titolare di Casaropoli, morto il 23 marzo 1904, mentre aveva cominciato ad erigere a proprie spese una splendida Chiesa alla Immacolata! Il Porro con uno zelo a niuno secondo, con un nobile disinteresse, con una solerzia instancabile, e con un impegno superiore a qualsivoglia encomio, animato anzitutto dagli incoraggiamenti e dalle benedizioni dell'Ill.mo e Rev.mo Monsignor D. Federico Maria Galdi, Vescovo di Andria, sempre promotore zelantissimo di ogni opera, che a gloria di Dio, e del suo amatissimo gregge ridondi, vi si pose all'opera.
A tal uopo venne eletta una commissione di zelanti Sacerdoti, e di benemeriti secolari, che di buon grado assunsero tale onorevole e patriottico compito, ed ognuno come meglio ne ebbe l'opportunità ed il tempo, cercò di disimpegnarlo [62]. Tutti, clero e popolo, ricchi e poveri, sebbene grandemente afflitti da una ostinatissima siccità di più di un anno, per cui poco o nulla produssero queste campagne, pure nobilmente gareggiarono fra loro, e concorsero con spontanee e mensili offerte, a metter su tanta moneta da gettare una statua d'argento, che stesse alla pari con quella del Protettore di Andria, S. Riccardo.
Per lo che venne scelto in Napoli un abile e valente artefice il Signor Gennaro Pane, il quale, sotto la direzione dell'egregio scultore signor Cavaliere Salari, e la instancabile e lodevolissima vigilanza del Cavaliere D. Andrea Tornoaldano, eseguì lodevolmente il lavoro da superare la comune aspettazione.
Sopra un magnifico trono d'argento, elegantemente cesellato, e dorato nei varii fregi, si vede maestosamente seduta la Vergine dei Miracoli d'Andria, che porta sul capo inghirlandato di dodici stelle scintillanti, dono di Emanuele Merra fu Francesco, una splendida e ricca corona d'argento, dono dell'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Galdi, e che stringe nella destra una bella rosa d'oro, dono del Canonico della Cattedrale D. Francesco Tannoia. Essa con occhio sereno guarda amorosamente questa città, che è tutta sua; mentre il divino Infante, il quale siede vezzoso sulle ginocchia materne, e porta nella sinistra un libro, con tutta la effusione del dolcissimo suo cuore, alza la destra, e la benedice.
Dietro il trono del simulacro si legge la seguente Iscrizione, dettata dal chiarissimo Epigrafista, il P. Angelini della Compagnia di Gesù:
ANNO . CHRISTIANO . MDCCCLXXVI
TRECENTESIMO . A . SACRA . ICONE . INVENTA
IN . PERVETUSTO . SPECU . PERFUGIUM . PRAEBENTE
PRIMIS . REI . CHRISTIANAE . ASSECLIS
ORDO . ET . POPULUS
ANDRANENSIS
SIMULACRUM . MATRIS . DEI . MARIAE . A . MIRACULIS
EX . ARGENTO . CONFLAVIMUS
UT . BENEFICIORUM . QUIBUS . CIVITATEM . NOSTRAM
COELESTIS . PATRONA . PERPETUO . CUMULAVIT
GRATA . PERSTET . MEMORIA
UTQUE . SERA . DISCAT . POSTERITAS
AD . VIRGINEM . MATREM . ARCTIS . IN . REBUS . CONFUGERE
INQUE . EIUS . PRAESIDIO
SPEM . PONERE
Detta statua del valore di oltre Lire 30.000 veniva solennemente benedetta dall'Illustrissimo e Reverendissimo Mons. D. Federico Maria Galdi Vescovo di Andria, alla presenza d'un popolo immenso e devoto, che in quel simulacro vedeva un monumento d'amore e di speranza, innalzato alla sua potente ed amorosa Protettrice.
A perpetuare la memoria di questo Centenario, vennero battute delle medaglie commemorative con la seguente Epigrafe:
SOLEMNIA SAECULARIA
B. MARIAE VIRGINIS MIRACULORUM
ACTA ANDRIAE
VII NONAS MARTII MDCCCLXXVI
Il 10 marzo le feste Centenarie furono unicamente religiose. Tutta Andria fu vista tener dietro ad un quadro della B. Vergine dei Miracoli; che in quel giorno veniva processionalmente riportato al Santuario, donde era stato rilevato, in occasione della siccità. Monsignor Vescovo pontificò solennemente in quel giorno con l’intervento del Rev.mo Capitolo Cattedrale, del Venerabile Seminario Diocesano, e di tutte le Confraternite laicali, e tenne all’affollatissimo popolo una dotta e toccante Omelia. In tale festiva ricorrenza il signor Giuseppe Iannuzzi fu Giovanni, donava a Maria dei Miracoli una lampada votiva di argento.
Però le feste solenni e popolari furono fissate nella seconda Domenica di settembre, con solenne novena, con vaghi addobbi del sacro tempio, con un triduo solennissimo, con Pontificali, e con tre discorsi Panegirici recitati dai M. R. P. Antonino M.a di Iorio Maestro Agostiniano, dal Canonico Teologo della Cattedrale, D. Alessandro Parlati, e dal Canonico Primicerio della medesima, Don Giuseppe M.a Marziani. Nelle ore pomeridiane, processione solenne, bande musicali, illuminazioni, fuochi pirotecnici, spari e suono festivo di campane.
A rendere sempre più splendide tali feste Centenarie venne progettata ed eseguita una grande Esposizione ed una Lotteria di lavori donneschi, gentilmente donati dalle case di educazione, dirette dalle benemerite Figlie della Carità nominatamente di Andria, le quali offrirono molti e bellissimi lavori e misero vagamente in assetto la sala della Esposizione. Furono pure larghe di offerte le Figlie della Carità di Trani, e di Bisceglie, le Benedettine e le Stimatine di Andria, le Salesiane di Minervino, e le Domenicane di S. Lucia di Barletta. E doni pure vennero da Napoli, da Castellammare, da Salerno, da Lucera, e da Cerignola. Sopra tutte le giovinette Andriesi di ogni ceto e condizione, si riputarono a sommo onore offrire i loro gentili lavori in testimonio dei concentissimi e soavissimi affetti dei loro vergini cuori verso della Regina delle Vergini.
Sicchè le feste del Terzo Centenario della Invenzione di S. Maria dei Miracoli, celebrate nell’anno 1876, saranno nei secoli avvenire un monumento imperituro e prezioso della singolare pietà e religione del popolo Andriese verso di questa amatissima Madonna, di cui possiamo dire col Pellico:
Degli avi nostri fu consolatrice
E nostro umile pianto udì benigna!
Divine cose il nome suo ne dice;
Per esso in noi più caritade alligna;
Non sappiamo amar Dio fuorché con quella
Che per noi l’ha nudrito a sua mammella.
NOTE

[62] La Commissione fu composta dal Molto Reverendo Canonico D. Stefano Porro, dai Reverendi Mansionarii D. Nicola Sinisi, D. Francesco Fortunato, D. Vincenzo Losito, non che dagli onorevoli signori cavaliere Riccardo Spagnoletti di Sebastiano, Riccardo Porro fu Francesco, Riccardo Fasoli, Isacco Guglielmi, Salvatore Grossi, che si distinse fra tutti per impegno e per solerzia, Michele Nevola, Nunzio Cannone, Nicola Chieppa, Giuseppe Chicco, Domenico Memeo, e Tomaso Fatone.

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XXXIX. - Re Francesco II e la Cappella della Madonna dei Miracoli.

Il giorno 2 gennaio 1859, Ferdinando II, Re delle due Sicilie, devotamente ed umilmente prostrato innanzi alla Immagine veneranda della Madonna dei Miracoli d’Andria, pregava e pregava e faceva voto di rinnovarne a sue spese il tempietto e l’altare. Ma avendo la morte colto immaturamente il pio Monarca, il voto rimase inadempiuto! Francesco II, essendo stato dalla rivoluzione del 1860 sbalzato dall’avito trono di Napoli, dopo 27 anni potè soddisfare il voto del padre! Alla fine di aprile 1886, l’opera era compiuta, ed il 10 marzo, giorno della Invenzione della Beata Vergine dei Miracoli, venne solennemente inaugurata. Il detronizzato Monarca per quanto pio, altrettanto munifico spese per la Madonna d’Andria ben ottantamila lire. I lavori furono diretti dall’architetto di Casa reale, signor Francesco Gavaudan, ed eseguiti da Luigi Magliulo; ma sfortunatamente non soddisfecero all’aspettativa degli Andriesi, che si attendevano qualche cosa di meglio, e che fosse degna di un tale Santuario!
Demolito l’antico tempietto, una volta ornato bellamente di arabeschi d’argento, ed alla venuta degli Agostiniani di lastra colorata; venne costruito il nuovo, che non raccoglie lo spirito devotamente come prima, ma lo divaga assai! Esso ha due colonne nel fronte ed altrettanti pilastri nel fondo. Nei lati del tempietto, quattro robusti pilastri di marmo rafforzano il cielo della Cripta, che è di tufo macino.
Il tempietto è alto metri 3 e 98, largo metri 4 e 75 e lungo metri 5 e 30. Nei tre lati la zocculatura è di bardiglio. Le colonne sono di ravaccione, e poggiano su due piedistalli, decorati con cornici riquadrate nelle loro facce, con fascie di brulè di Francia e bugne di Portasanta; le basi e le cimasi sono scorniciate. Sopra questi piedistalli poggiano le basi attiche e le colonne superiori, alte metri 2 e 75 baccellate ed impiallicciate di broccatello di Spagna. Nell’interno del tempietto, sotto l’Immagine della Madonna s’innalza un altare di marmo statuario, ornato fra le cornici di pregevoli marmi colorati, cioè giallo e verde antico, broccatello di Spagna, brulè di Francia e breccia di Sicilia; il loro disegno però nulla dice, anzi è pessimo! In mezzo al palliotto dell’altare vi è il nome di Maria in rame dorato, e nella fascia della zocculatura si legge: Ferdinandus II utriusque Siciliæ Rex donavit A. D. MDCCCLIX.
Il sottocielo di figura rettangolare, lungo metri 3 e 67 per metri 3 e 44, è tutto d’argento. Rappresenta un campo stellato, nel mezzo del quale sta librato lo Spirito Santo entro una grande raggiera dorata. Le stelle sono dorate, ed intorno a questa soffitta gira una cornice anche di argento; in generale è di pochissimo effetto! Il peso dell’argento è di libre 459,08,65 del titolo 900,1000. Fu pure a spese del Monarca lastricato di bianco marmo il pavimento del tempietto e della Cripta, chiusa da tre magnifici e sveltissimi cancelli di ferro battuto, sormontati ed ornati di gigli angiojni. Di questo real dono della Maestà di Ferdinando II, fatto eseguire dal figlio, si può dire che i soli cancelli furono ben fatti. Povero Monarca, in tutto e da tutti tradito sempre!

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XL. - Colonia Agricola Umberto I.

Il 2 gennaio 1867, il Chiostro di Santa Maria dei Miracoli d’Andria restava deserto dei suoi religiosi abitatori, espulsi dalla legge di soppressione, del 1.° luglio 1866.
Dopo sei anni di increscioso abbandono, il Municipio di Andria offrì il gran fabbricato alla Provincia di Bari, nonchè L. 4000 annue per dieci anni per l’impianto in questo luogo d’una Colonia Agricola. Il 12 ottobre 1872, il Prefetto Amaricusi veniva da Bari per osservare il detto Convento, e fu accolto dal Sindaco di Andria, signor Riccardo Marchio, e dai consiglieri municipali. Fu trovato buono all’uopo, ed un pranzo quivi tenuto e che costò la bellezza di 900 lire, coronò la visita!
La proposta presentata dalla deputazione fu discussa in Consiglio provinciale, nelle riunioni del 21 e 22 aprile 1873. La deputazione mirava a trasferire in Andria, nella Badia della Madonna dei Miracoli, l’intero Ospizio di Giovinazzo; ma le autorità e la cittadinanza giovinazzese si oppose vivamente, ed il Consiglio provinciale stabilì che la sola prima compagnia dell’Orfanotrofio fosse destinata pel nuovo Ospizio Agricolo di Andria. — Anima di tutto fu il Comm. Spagnoletti. — Nell’anno 1877, coll’intervento delle autorità e dei cittadini ne fu fatta la solenne inaugurazione, sotto il nome di Ospizio Agricolo Umberto I.
L’Ospizio dopo otto anni, venne trasformato in Colonia agricola, la quale a poco a poco si perfezionò in modo che nel 1892 prese la forma e la sostanza di Scuola Agraria teorica-pratica. Nei suoi locali per uso della Colonia vi sono annessi uno Stabilimento Vinicolo per la fabbricazione del vino: un Oleificio per l’estrazione e lavorazione dell’olio, ed un Caseificio per i latticinii.
La Scuola è anche provveduta di strumenti, e macchine pei lavori della terra, per la seminagione e per la raccolta delle derrate. Nulla vi manca perché la Colonia Agricola Umberto I sia una Colonia ben sistemata, anzi una Colonia modello.
È questa l’ultima trasformazione della Badia di Santa Maria dei Miracoli d’Andria!

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  I Miracoli.

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Sezione in corso di trascrizione!