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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 66-68

Libro Quarto

Capitolo IV.

Seconda venuta di Federico in Andria.

L’Imperatore amareggiato oltremisura, perché il partito de’ Guelfi erasi d’assai insolentito, e perché il Vessillo Romano sventolava in più di un luogo de’ suoi stati; prese la risoluzione di totalmente disfarsi delle opposizioni. Quindi dirige le sue galere al porto di Taranto; ma perché ivi dominavano le armi Guelfiche, si rivolse verso Brindisi. Significanti furono le acclamazioni, le feste di questa popolazione nel rivedere l’Imperatore; a segno ch’egli la segnalò nella sua dilezione con questo verso: Filia solis ave, nostro gratissima cordi! ad imitazione de’ Brindisini molte altre città gli affacciarono le istesse affettuose dimostrane e perch’erano totalmente stanche di soffrire ulteriori oppressioni, e perché credevasi comunemente essersi effettuato l’accordo di pace tra il Papa e lui; mentre avea finalmente intrapreso il viaggio per la Terra Santa, da cui facea ritorno.
Andria particolarmente si segnalò nel suo accoglimento; poiché ne sentiva più delle altre città la voce della riconoscenza, essendo stata onorata dell’augusto deposito delle ceneri della sua diletta Jolanta, e per altri attestati della sua Imperiale munificenza. Prevenne il suo arrivo coll’inviargli cinque nobili e spiritosi giovanetti delle prime famiglie, supplicandolo, acciò si fosse compiaciuto altra fiata degnare di sua presenza la popolazione Andriese: ed affinché fosse rimasto maggiormente convinto del suo costante, e fedele attaccamento per lui, non isdegnasse tenere presso di sè, come pegni di sicurtà i cinque primarii giovanetti presentatigli.
Somma fu la sua compiacenza per queste amorevoli significazioni, e crebbegli vie più, quando essendo egli molo versato ne’ studii ameni sentì dal labbro degli stessi giovanetti recitarsi i seguenti quattro esametri;
Rex fclix Federice veni, Dux naster amatus,
Est tuus adventus nobis super omnia gratus.
Obses quinque tene, nostri signamine amoris:
Esse tecum volumus omnibus diebus, et horis.
Or questi atti di fedele sudditanza congiunti alla memoria, che serbava Federico di questa Città, depositaria di colei, che formata avea un giorno la sua delizia, ve lo affezionarono in modo, che la riguardò sempre con predilezione, avendola tra gli altri privilegi resa immune da ogni peso, ed imposizione a preferenza delle altre città. Qui si trattenne a lungo, provvedendo ai bisogni dello stato, e richiamando con la forza delle armi alla sua ubbidienza molti luoghi da lui ribellati. Era suo genio spesso visitare il castello del Monte, ivi al solito esercitandosi nella cacciagione; ma vedendo esser necessaria la sua presenza in alcuni punti dei suoi dominii, determinò partirsene. Gli Andriesi, prima che fosse uscito dalle sue mura, lo supplicarono a continuare loro la sua Imperiale benevolenza, col non piú richiamarsi le grazie concesse. Egli allora per semprepiù assicurarli della sua paterna predilezione, ne lasciò loro come perenne attestato i seguenti tre versi esametri, che vennero poi incisi su non degna pietra:
Andria fidelis nostris affixa medullis,
Absit, quod Federicus sit tui muneris iners.
Andria vale felix, omnisque gravaminis expers.
Andria godette di questo privilegio, finchè durò in queste regioni il governo Svevo. Decorata da Federico della impronta di fedeltà, cosi venne sin d’allora distinta tra i popoli d’Italia; e cosi tuttavia da per tutto si appella; cioè Andria fedele. Utinam e sapesse sempre non demeritare questo nome!
Intanto l’Imperatore da qui si diresse a Benevento, la quale città erasi sottratta dalla sua giurisdizione. Avendo egli quivi incontrata una viva resistenza, la cinse di assedio, il quale durò per molti giorni. Alla fine cadde nelle sue mani, come tremebonda preda tra le branche di orso insanguinato; soffrendo, dopo un miserando saccheggio, le ultime miserie. Allora Federico, volendo rimproverare ai Beneventani la sconsigliata condotta, pose loro sotto l’occhio la fedeltà di Andria, pronunciando questi altri versi:
Andria tua soror[1] multo te prudentius egit,
Ad nos quae venit, cum nobis poemeta legit.
Propterea incolumis[2] permansit, inultaque nobis
Quod tibi nunquam erit in multis implicita globis.
Finalmente egli avendo più coll’arte e coll’ingegno, che colle armi richiamate alla sua ubbidienza molte città, e terre da lui ribellate; pensò come vedovo d’impalmare novella sposa. Venne occupato il suo cuore da Isabella sorella di Arrigo Re d’Inghilterra; e fu questa la terza sua moglie. Le nozze furono con molta celebrità effettuate in Vormazia nel 1235. avendone ottenuta da Roma la dispensa. Ma incontrò costei la istessa sventura della infelice Jolanta. Correndo l’anno 1241. essendo venuta col consorte in Foggia, quivi sorpresa immaturamente dalle angosce del parto, nel giorno 21. Dicembre cessò di vivere. Alla infausta notizia della perdita d’Isabella s’impegnarono a gara le primarie città de’ suoi dominii, presentando suppliche all’afflitto Federico, per ottenere l’onore di tumulare l’augusto cadavere; anche per cosi procacciarsi presso di lui una particolare protezione. Ma egli o perchè sentiva sempre presenti le affettuose, e fedeli dimostranze degli Andriesi, o perché volesse rendere indivise le ceneri di quelle, che si erano succedute alle sue tenerezze, decretò, che la defunta spoglia dell’amata Isabella fosse stata condotta in Andria [3], ed avesse ricevuta tomba onorata accanto a quella della diletta Jolanta. Gli Andriesi inebbriati per questi novelli attestati di predilezione, volendo semprepiù esternare all’Imperatore la loro alta riconoscenza, profusero somme immense per la funebre pompa di quest’altra sventurata Imperatrice. A lei venne eretto nell’istesso soccorpo di questa Chiesa cattedrale non lungi da quello di Jolanta, il secondo mausoleo non differente dal primo.
NOTE
[1] Essendo Federico molto istruito, e versatissimo nelle cognizioni storiche del Regno, ben conosceva , che Diomede era stato il fondatore di Benevento; come del pari della Città di Andria. Le chiamò Sorelle, perchè, a causa di origine, vantavano l’istesso genitore.
[2] Ossia rispettata, e resa immune da ogni dazio, e contribuzione.
[3] Murat. An. D’Ital. anno 1241. Gian. lib. XVII. pag. 439. Vol. 2.