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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 95-98

Libro Quinto

Capitolo VIII.

Carlo III. di Durazzo Re di Napoli.
Andria sotto Francesco I. Matrimonio di Giacomo suo figlio colla sorella della Regina.
Introducimento della Religione Agostiniana, e Domenicana.
Matrimonio di Guglielmo, e nascita di Francesco II.
Vescovi di essa Città dal 1376. sino al 1418. Nicola: Fra Benedetto di Negroponte: Lucido: Francesco di Sorrento: e Fra Melillo Andriese.
Anni 1382.

Il nostro Duca Francesco, sebbene a persuasiva del Zio avesse abbandonata la impresa della conquista del Regno di Napoli; nondimeno sentiva sempre la voce di una ferita contro la Regina Giovanna. Quindi nella sua assenza da questi dominii non cessava di volta in volta or di conferirsi nell’Ungheria a stimolare Carlo di Durazzo che fosse venuto ad occupare il Regno di Napoli ed ora di avvicinare il Papa Urbano VI., che gli avesse accordata la investitura. Finalmente nel 1381. rimase pago ne’ suoi desiderii, vedendo il Re Carlo maneggiare lo scettro di Napoli. Riacquistò egli allora i suoi dominii, ed il figlio Giacomo già di età maggiore entrò al Governo del Principato di Taranto. Col reale favore il nostro Duca Francesco risolse dar moglie al figlio; e venne solennizzato il matrimonio con Agnese sorella della Regina Margherita moglie di Carlo, ambe nipoti della Regina Giovanna. Dopo queste nozze il nostro Duca in unione di altri Baroni accompagnò il Principe Giacomo con la Principessa Agnese in Taranto; ed egli si restituì al suo stato di Andria.
Ma la sua pace, e quiete durò poco, mentre per questo nuovo vincolo di parentela tra i Balzi, e la famiglia Reale, restarono sopra ogni credere feriti i Sanseverineschi per la invecchiata inimicizia coi Balzi per la Città di Matera. In effetti non mancarono cogliere la occasione per rovinarli. Essendo il Re Carlo caduto in forte discordia col Papa Urbano, a segno che questi minacciasse spogliarlo del Regno; si diede a credere in tale frangente a Carlo, che il Pontefice ne volesse investire Giacomo del Balzo e perché non altri potesse con maggior saggezza governare in quel torbido, e perché a lui il Regno spettasse di dritto; avendo sposata Agnese di età maggiore che non lo era la sorella la Regina Margherita. Aggiunsero di più che questo Principe tenesse segrete corrispondenze anche con la Regina Giovanna, la quale stava nel carcere del castello di Muro: odiando questa Francesco il Padre, ma non già il figlio; e finalmente, che Giacomo s’intitolasse Imperatore di Costantinopoli.
Di queste false accuse le notizie frattanto erano già pervenute al Principe in Taranto, il quale con Agnese corse sollecitamente in Napoli. Ma questo non servì, se non ad agevolare il colpo della calunnia; poiché erano usciti gli ordini della loro rovina. Già la Regina Giovanna era stata soffogata nel Castello, come morì Andrea suo primo marito, e la principessa Agnese fu subito arrestata e condotta nella Città di Muro. Ma Giacomo a tempo avvertito, su di una nave de’ Genovesi rifuggì in Taranto [1]. Quivi giunto raccoglie le sue milizie, ed affronta quelle del Re Carlo, ch’erano discese per occupare quella fortezza e ne riporta piena vittoria. Incomincia ad armare gente in massa col disegno di condursi nella città di Muro per liberare sua moglie; ma nel suo maggiore accaloramento riceve notizia di esser ella già morta, e tumulata nella Chiesa di S. Chiara [2]. Rimase Giacomo così colpito da questa sventura, che come se avesse perduta la sua Stella polare, caduto in uno stato di abbandono, non seppe che per pochi giorni a lei sopravvivere.
Il nostro Duca Francesco non ancora risanato dalla ferita per la perdita di Antonia sua figlia già Regina di Sicilia, ebbe con rassegnazione al Divino volere a tollerare l’acerbità di quest’altro colpo. Dolente si condusse in Taranto, e nella Chiesa di S. Cataldo, anni prima da lui edificata erse un Mausoleo dove rinchiuse la spoglia del figlio Giacomo, e sopra vi fece scolpire la sua Immagine con veste di broccato, stola, scettro, ed altre divise da Imperatore con questa epigrafe:
Hoc tuus Andriae Dux Franciscus Baucia Proles
Extruxit templum, Jacobi legit ossa Tarenti
Principis, huic mater Caroli de Stirpe Secundi
Imperii titulis, et Bauci Sanguine claro:
Hic Romaniae, et Despotus Acajcus, urbes
Subjecit Bello. An. Domini 1383.
Così chiuse la sua scena questo Principe, il quale e per sublimità di talenti, e per energiche risoluzioni, e per coraggio indomabile avrebbe forse maneggiato con molta gloria lo scettro di Napoli. Ecco il nostro Duca orbo del frutto de’ suoi primi amori colla diletta Margherita, sorella del Re Luigi. Or qual nocchiero spaventato dalle passate tempeste, e risoluto di più non cimentarsi colle onde, egli si fissò in Andria, e tutto si addisse alle opere di Religione. Ho detto dinanzi, aver egli riportati dalla sua seconda moglie Sveva Orsino altri due figli, cioè Guglielmo, e Bianchino: or tutte le paterne cure sono riconcentrate a costoro. Conoscendo intanto quale lustro, e spirituale vantaggio apportassero le Comunità Religiose ai popoli Cristiani; tutto s’interessò per lo accrescimento di esse nella Città. Quel Tempio, come ho accennato nel lib. 4. Cap. 6. occupato in origine dai Templarii, e poi dai Teutonici, dopo la loro abolizione venne dato da lui agli Agostiniani Calzati, i quali ne presero possesso nel 1387. Dalle prime somministrò loro tutte le spese, li corredò di sussidii; e poi li chiamò legatarii nel suo testamento.
Riguardo alla introduzione de’ Padri Domenicani, troviamo una supplica della Duchessa suo moglie D. Sveva Orsino, diretta al Sommo Pontefice Bonifacio IX. in forza della quale si ottenne una Bolla nel 1398. colla quale fu concesso a lei potere stabilire in Andria detta Religione sotto il titolo di S. Maria dell’Umiltà [3]. Quanto occorse per la sua fissazione, tutto sino all’ultimo quadrante venne erogato dal nostro Duca Francesco. Incominciò dal gittare la prima pietra per la fabbrica del Convento, e della Chiesa [4], e terminò col dotarlo di fondi speciosi pel suo mantenimento. Ne’ tempi posteriori surse quella elegante machina del Campanile, coeva a quella de’ Francescani Conventuali, disegnata dall’istesso Architetto Andriese [5] sotto il governo del Padre Maestro Mincollo.
Occuparono successivamente questo Vescovado Nicola Canonico Penitenziere della Cattedrale di Napoli, creato da Urbano V. A costui successe fra Benedetto di Negroponte, Francescano creato nel 1376. da Gregorio XI. Dopo venne Lucido, creato nel 1380. da Urbano VI. Appresso venne Francesco di Sorrento Arcidiacono di quella Chiesa creato nel 1385. anche da Urbano VI. In questo anno poi 1390. fu creato Vescovo di Andria un secondo nostro concittadino chiamato fra Emilio Sabbalice detto fra Melillo, dell’ordine Eremitico di S. Agostino, figlio del Magnifico Dottore in Legge Giuseppe. La nobile famiglia di costui da moltissimo tempo si è estinta. Rimane solo la denominazione di un largo dov’era la sua casa, indicandosi largo del Melillo. Conserviamo altresì, una memoria del fratello, chiamato Fra Matteo dell’istess’ordine Agostiniano. Egli nell’anno 1401. essendo venuto a complimentare Monsignore suo germano, aggredito qui da una febbre gagliarda, cessò di vivere nella sua Patria. Monsignore diede onorata tomba al fratello in questa Chiesa Cattedrale situandone il Sepolcro in cornu Epislolae dell’Altare maggiore. Lo fece scolpire sulla lapida cogli abiti da Monaco, con quella epigrafe, che trovasi tuttavia leggibile e rapportata dall'Ughelli. Monsignore alla fine dopo un lungo Vescovado di anni ventotto si licenziò dai viventi nel Febbraio del 1418.
Francesco frattanto, volendo assicurare la sua discendenza, propose a Guglielmo suo primogenito, che avesse presa moglie; e fu effettuato il matrimonio nel 1406. con Antonia figlia di Federico Conte di Bisceglie. Costei diede alla Casa dei Balzi un sol frutto, e fu Francesco II. mentre cessò di vivere in fresca età. Venne tumulata nella Chiesa di S. Maria Vetere, dove conservasi intatta la lapida sepolcrale [6]. In quel marmo si veggono incise due imprese, nelle quali si ravvisano le armi de’ Balzi, e de’ Brunforti; cioè in un lato una stella, e nell’altro un campo partito in quattro piani, ch’è la impresa de’ Brunforti: nel mezzo leggesi il seguente Epitafio:
Digna Polo Patria, muliebris norma Pudoris
De Brunforte jacet Antonia hic, Vigiliarum
Stirps Comitis, quondam que tuis Dux Andriæ Sceptrum.
Ma la vita del nostro Duca era già all’occaso; ed egli presentiva il termine de’ suoi giorni. Non teneva altri eredi, che i due figli Guglielmo, e Bianchino. Ma per quanto il primo aveva formata la sua delizia per la bontà dei costumi; altrettanto il secondo la sua tristezza per la sua perversità. Questi tralignando dai suoi si era reso l’orrore de’ viventi. Tutte le cure, ammonizioni, minacce, e gastighi de’ Genitori erano stati con lui vanamente impiegati. Era perciò giunta tant’ oltre la indignazione Paterna, che lo avea determinato a diseredarlo per quei motivi ch’egli rese di pubblica ragione nell’ultimo suo testamento.
Di questo pregevole, ed autentico monumento di antichità, ho stimato non defraudare il lettore; anche per la varietà delle notizie. Si è rinvenuto nell’archivio dei Padri Domenicani di questa Città, ed è il seguente:
[trascritto nel capitolo seguente]
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1] Costanzo, lib. 8. pag. 223. Giann., lib. XXIV. pag. 263.
[2] In questa Chiesa esiste tuttavia il Tumulo a destra dell’Altare maggiore.
[3] Cronaca della detta Religione, tom. 2. pag. 371. dove leggesi «die vig. V. Martii 1398. etc
[4] Esiste ancora una sua grande impresa sull’alto della parete che guarda la Casa de’ Signori Colavecchio.
[5] Il Magnifico Vito Ieva.
[6] Questa è sita su quella Porta, che s’incontra di prospetto entrando in Chiesa per la parte del Chiostro.