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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 135-140

Libro SETTIMO

Capitolo III.

Filippo II. Re di Napoli.
Fabrizio II. Duca di Andria.
Luca de Flisco Vescovo di essa Città.
Invenzione della Immagine di S. Maria de’ Miracoli.

Anno 1574.

Ecco il tempo, in cui doveva avverarsi quella predizione uscita di bocca da quell’uomo veramente pio, dal nostro Duca Francesco II. del Balzo. Costui un giorno accompagnato dalla sua Corte, e da molte persone notabili della Città, passando da vicino a quella Grotta, dove oggi è la Chiesa di S. Maria de’ Miracoli, trattenendo il suo palafreno, e lì rivolto pronunziò queste parole “Qui dentro avvi un ricchissimo tesoro, e beato colui che si troverà nel suo scovrimento!” Questi quasi profetici accenti interpetrati col senso dell’interesse, e coll’avidità dell’oro, molti si dettero a credere, che li si nascondessero ingenti ricchezze [1]. Questa Grotta nella lontananza da qui al di là di un miglio giace al piede della piccola Valle detta di S. Margherita di prospetto all’occidente. Essa era stata a lungo protratta dall’arte ne’ visceri di un masso di tufo. Qui dentro, come accennai nel Cap. 3. del Lib. 2. solevano gli Andriesi, istruiti ne’ rudimenti della Cristiana Religione dall’Apostolo S. Pietro rifugiarsi per praticare il culto cristiano, stanti le opposizioni de’ Gentili. Ma essendo stata sotto l’Impero di Costantino proclamata pei fedeli la libertà de’ cristiani esercizii, ed avendo il nostro primo padre e pastore S. Riccardo qui riprostrato il nero vessillo dell’errore, in modo che le armi del Gentilesimo più non valsero a risorgere; allora cessarono i fedeli Andriesi di più frequentare questo Romitaggio; e detta grotta rimase negletta ed obbliata. Ne’ tempi posteriori questo istesso luogo, un giorno sacro alla Divinità, addivenne un ricovero di gente facinorosa, che infestava quella contrada. Ma giunse quell’epoca in cui aveva Iddio decretato vendicarsi di un tale oltraggio richiamando quivi la sua adorazione.
Correndo l’anno 1576. piacque alla Santissima Vergine render pubblico, ed universale quel Tesoro che davvero servir dovea ai bisogni dell’afflitta Umanità. Il favore della celeste rivelazione cadde in persona dell’Andriese Gianantonio de Tucchio di mestiere falegname, uomo oltre ogni credere religioso. A lui in una delle notti de’ primi giorni di Febbraio, mentr’era semidormiente si appalesò la Vergine, esortandolo a conferirsi nella Valle di S. Margherita, e che fosse entrato in quella Grotta ed indi nell’altra a fianco più piccola; ed avesse accesa una lampada in onore di quella sua Immagine derelitta. Costui riscosso, esitò per qualche tempo sulla risoluzione; ma poi credendola diabolica visione chiamandosi quella la Valle Indemoniata, ne depose il pensiere. Ma non erano passate che poche altre notti, e la Madre di Dio si lasciò da lui quasi svelatamente vedere; premurandolo all’istesso ufficio. Allora egli ripieno di sacro raccapriccio non più dubitando sulla veracità della divina visione; impaziente attese l’arrivo del giorno per portarsi al luogo indicatogli. Difatto incamminossi per quello; ma per istrada caduto in un abbattimento di spirito, pensò munirsi di un compagno, e si diresse alla casa di un suo compare, ch’era il magnifico Annibale Palombino gentiluomo Andriese, anco di santa vita. Gli svela l’accaduto, e lo prega ad accompagnarsi con lui. Ma questi essendo del pari caduto in alcune dubbiezze; si rimise la esecuzione ad altro giorno. La Vergine intanto premurosa a voler manifestare il tesoro delle sue divine grazie non tollerò indugio. Nell’istesso mese di Febbraio la divina visione si presentò al Palombino. Nello stato di veglia gli parve esser condotto da un Celeste sembiante in quella grotta; dove a chiaro lume scorgeva in fondo della parete la gran Vergine dipinta, tenendo nel grembo il Bambino Gesù: e ch’egli a tal vista prostrandosi al suolo piangente, la Vergine tutta pietosa gli avesse detto: Qual grazia mi chiedi?
Cessata la visione egli si levò di letto con impazienza; ed al primo albeggiare corse a trovare il de Tucchio, narrandogli l’avvenuto; e così frettolosamente entrambi prendendo una lampada, e quanto occorreva per armarla, si avviano a quel luogo colla sola compagnia del servidore di Annibale chiamato Gilio da Torrito. Giunti nella Valle, ed entrati nella prima e maggior grotta, trovarono in un angolo di essa un’altare, sul quale nella parete era effigiata S. Margherita, ed al suo piede si leggevano scritte queste parole «Memento famuli tui Joannis, et uxoris ejus Gemmæ». Nel resto della Grotta si rendevano a stenti reperibili altre pitture, perché sfigurate, e guaste dall’umido. Non qui ristettero, ma cercarono intromettersi nella seconda più piccola; ma come dinanzi alla imboccatura eravi molto materiale dirupato; così dietro qualche fatiga, riuscì loro spianarne l’ingresso. Penetrativi appena, Annibale ravvisò quella Immagine dipinta alla Greca col Bambino Gesù, del pari che nella passata notte avea osservato nella sua visione. Sorpresi entrambi da un sacro brivido si prostrarono dinanzi a lei, e le offrirono un tenero tributo di lagrime. In fine dopo le loro orazioni accesero la lampada, e la situarono su di un malconcio Altare, che stavale di sotto. Fecero di poi ritorno in Andria colla ferma risoluzione di non mancare in ogni Sabato la condursi ad accendere quella lampada: essendo questa la espressa volontà della Santissima Vergine.
Ma il de Tucchio prevedendo non potervi adempire per la sua vecchiaja, ne pregò il compare Signor Annibale, il quale con piacere se ne compromise. Difatto proseguì fedelmente questo esercizio dal dì 10. Marzo sino al 19. di Maggio giorno di Sabato. Ma nel Sabato seguente trovandosi egli agitato, poichè pericolava il suo cavallo, assalito in una gamba dal male del verme, e tenendosi badato alla sua cura, essendo un animale di sua predilezione, dimenticò il solito ufficio. Nel di 30. Maggio il Tucchio scontrando il Sig. Palombino, gli dimandò, se nel passato Sabato avesse adempito al solito a quella pia prestazione. A tal richiesta si conturbò il Signor Annibale, e gli rispose essersene dimenticato per la cura intrapresa del suo infermo cavallo.
Dopo le giuste lagnanze del de Tucchio, combinarono conferirsi insieme nell’altro Sabato, e portare seco loro anche l’infermo cavallo. Difatto nel secondo giorno di Giugno, ch’era il Sabato, uniti secondo l’appuntamento si portarono alla prodigiosa Grotta; ed al primo ingresso videro illuminata la caverna da insolita luce. Essi sorpresi si guardano a vicenda; indi appressandosi alla lampada la trovano piena a trabocco di olio. Avvertono il miracolo, e tra le lagrime di tenerezza incominciano a glorificare la Vergine SS. Il signor Annibale intinge le sue dita nell’olio di quella lampada, e lo applica sulla parte morbosa del suo cavallo, là a stenti condotto. Quando all’istante si videro scappare dalla gamba alcuni vermi, e l’animale prendendo vigoria, e raddrizzandosi incomincia da sano a correre per quella Valle. Ed ecco giunto il momento della manifestazione di quel ricco Tesoro.
Fu allora che questi due avventurosi Andriesi, non sapendo più comprimere gli assalti della gioia, si precipitano da quella balza, e gridando si avviano per Andria. Tosto la notizia si fa presente ad ogni Cittadino e la popolazione commossa si accalca per quella strada, correndo ad osservarne il prodigio. Il Vescovo ch’era Monsignore Luca de Flisco immantinente cerziorato dell’accaduto dopo avere osservato il cavallo, ed inteso il pubblico attestato; fu sollecito in compagnia di molti Preti a condursi sul luogo. Là giunto sentissi occupato da una sacra venerazione; e dopo la offerta delle sue preghiere all’Augusta Madre di Dio, diede ordine che si rendesse comodo l’ingresso al Popolo che da tutti i lati si affollava. Volle ancora, che su quell’ara antica, dov’era riposta la lampada da quel giorno un numero di Sacerdoti celebrasse, finchè si fossero prese le opportune determinazioni.
La pubblicità del fatto frattanto dai nostri confini sorvola non solo per tutta la Provincia e pel Regno, ma perviene alle più rimote contrade. A. misura poi che si raddoppiava il concorso degl’infermi e degli storpii, si moltiplicavano i miracoli di guarigione. Non vi fu esempio che un solo ne’ primi giorni della invenzione ne fosse ritornato senza l’esperimento de’ celesti favori. Ecco perciò diluviare da per ogni dove ricche obblazioni, doni, voti in oro, in argento, in moneta effettiva, in bestiame, e tutt’altro. La prima offerta a Lei presentata fu il cavallo bajo del signor Annibale Palombino. Ma qui mi astengo da un minuto dettaglio, e perché ci vorrebbero volumi, e perché il tutto venne consegnato alle stampe dal Sacerdote D. Giovanni de Franchi da Catania, che taluno potrebbe leggere. Dico solo, che vedendo il prelodato Vescovo le ricchezze ingenti, che da giorno in giorno si ammassavano, pensò costituirvi un numero di scelte persone per la loro sicura custodia. Era egli entrato nella determinazione di volere da quello accumulo fabbricare non solo un sontuoso Tempio in onore della Vergine, ma di comprare alcuni fondi, e così quivi piantare una Casa di Missione. Ma per riparare al momento, vi stabili una Congrega composta da venticinque Sacerdoti, e da altrettanti secolari notabili della Città, sotto la direzione di un probo Rettore, e di altri Uffiziali. Questa doveva interessarsi pel culto della SS. Vergine, e nel tempo stesso raccogliere tutte le giornaliere offerte, ed assistere alla incominciata fabbrica della Chiesa. Per sua norma vennero fissate alcune regole e questa Università volle che fosse inserito in quelle un obbligo di doversi dotare in ogni anno da quella cassa di beneficenza sei vergini bisognose Andriesi colla somma di ducati quaranta per ciascuna. Si formò un pubblico Istrumento tra il Vescovo de Flisco, ed il General Sindaco Mariano de Rubertis, e co’ tre Deputati cioè Tommaso Tesoriero, Antonello Cocco, ed Angelo Martinelli, nel quale Istrumento, si obbligarono alla fedele osservanza di quanto si era stipulato [2].
Intanto il Duca Fabrizio II. era giunto all’età matura, ed avea impalmata nel 1579. D. Maria Carafa, sorella del Principe di Stigliano. Or egli prendendo stretto conto di quanto praticavasi dagli Amministratori della cassa della SS. Vergine de’ Miracoli, trovò esserne molti gli abusi, ed i profitti. Di ciò si dolse con Monsignor Vescovo, il quale viveva del pari dispiaciuto, perché vedeva negligentate le regole stabilite. Allora gli presentò il progetto di chiamarvi la famiglia de’ Padri Benedettini Cassinesi; cosa che ridondava di bistro alla Città di Andria. Monsignore sulle prime mostrò non aderirvi, perchè avrebbe voluto i Missionarii: ma poi vinto dalla sua persuasiva, fu dell’istesso avviso. Tosto il Duca, essendosi conferito in Napoli, propose il progetto al Reverendissimo P. Abbate D. Pietro Paolo de Senisio, che governava il Monistero di S. Severino, ed ai visitatori dell’ordine, che per sorte li si trovavano. La proposta fu con gradimento accettata, e prima di spirare l’istesso anno 1579. vennero in Andria il Duca e il predetto Abbate. Si tenne una sessione nel Palazzo Ducale coll’intervento di Monsignor Vescovo, de’ rappresentanti del Clero, dell’Università, e di molte persone qualificate; e si prese concordemente la risoluzione, che tutt’i tesori, sino a quel punto accumulati dalle obblazioni de’ Fedeli, restavano a disposizione della Famiglia Cassinese: assegnandovi solo alcune condizioni. Stipulatone l’atto pubblico, da questo Monsignor Vescovo, s’inviò supplica a Gregorio XIII., acciò si fosse degnato confermare quanto erasi stabilito a gloria, e culto perenne della SS. Vergine. La Santità Sua si compiacque accoglierne la supplica, e nel dì 13. Gennaio del 1580. fu quà spedita da Roma la Bolla Pontificia. In questa tra le altre cose si ordinò che la scoperta Immagine fosse adorata sotto il titolo di S. Maria de’ Miracoli; non essendovi titolo più proprio, atteso il numero incalcolabile de’ miracoli, che tuttodì faceva.
I Reverendi Padri Benedettini furono solleciti a spedire da Napoli il Cavaliere Cosmo, famoso Architetto di quei tempi, il quale diresse in altra forma l’incominciato piede della fabbrica della Chiesa; vi aggiunse il Monistero e quant’altro vi esiste: opere che non cessano manifestare i suoi talenti per la loro grandiosità. Ne’ tempi posteriori surse quel mediocre campanile, disegnato dall’Architetto Finelli Andriese. Non era ancora terminato che un solo braccio della Casa, e già la Famiglia Benedettina si era presentata in Andria in quella forma, e numero precisato nell’Istrumento. Si venne all’atto del possesso sul luogo, e v’intervenne l’Illustrissimo Monsignor Vescovo de Flisco, l’Eccellentissimo Duca Fabrizio, il Reverendissimo Capitolo Cattedrale, e gli altri due Collegii, l’illustre Università, e molti Patrizii, e Galantuomini Andriesi, nonché il Reverendissimo Abbate D. Severino di Montella, e gli altri Padri Benedettini. Dopo essersi letta la Bolla Pontificia, fu stipulato l’atto pubblico dal Regio Notajo Giambattista Petusi, e datato col dì 20. Aprile del 1581. In questo Istrumento si leggono per testimonii D. Fabio Quarti Arciprete della Cattedrale di Andria, D. Giorgio Filomarino Cantore, e D. Aurelio Vitagliano Teologo dell’istessa Chiesa: D. Gianvincenzo Petusi Preposito del Collegio di S. Nicola di Trimoggia, e D. Agostino Fortunato Priore della SS. Nunziata [3].
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1] Difatto, come rilevasi dal processo di questa invenzione, alla morte di un Conventuale di S. Francesco chiamato Angelo de Lellis di Bitonto, si trovò un cartoccio gelosamente custodito in un cassettino, nel quale erano scritte le seguenti pa-role «Ibis Andriam, et inde versus occidentem ibis ad Ecclesiam antiquam, dictam de Sancta Margherita in Lamys, ubi invenies duas portas, unam Austrum, altera Aquilonem versus: ingredere portam versus Austrum, et quære sinistrorsum, et reperies Magnum Thesaurum». Questa cartella caduta nelle mani di quel Provinciale, che dimorava in Bitonto, chiamato il Padre Maestro Cristoforo Palmieri di Montepeloso, venne da lui segretamente conservata come polizza, e carta da Banco. Elassi pochi giorni, non sapendo a chi meglio affidare il segreto, chiama a sè Frate Donato de Magistris, persona di tutta la sua fiducia, a lui gelosamente commette l’esecuzione del fatto; e lo istruisce sul modo da tenere, dietro lo scoprimento del tesoro. Ma tacendo qui tante altre circostanze, tediose lungherie, dico solo col Poeta: Auri sacra fames, quid non mortalia pectora cogis? e conchiudo che questa missione ebbe il suo effetto. Ma mentre questo frate con altri due stava praticando lo scavo in quella Grotta; di repente la fiaccola si spegne; ed essi si sentono da tutti i lati acremente percossi. Tra lo spavento e le battiture eglino si urtano, e riurtano a vicenda; finalmente barellando in quella congerie di materiali, potettero a stenti rintracciarne la bocca di uscita. Questo avvenimento si rese di pubblica ragione, e quella valle rimase all’intutto derelitta, chiamandisi poi la Valle Indemoniata.
[2] Questo Istrumento porta la data del dì 11. Febbrajo 1577. rogato dal Regio Notajo Gianvincenzo di Tota, e si ottenne l’assenso Pontificio nell’istesso anno.
[3] Questo istrumento si conserva nell’Archivio Ducale.