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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 148-150

Libro SETTIMO

Capitolo VIII.

Re di Napoli Filippo IV. di Spagna. Carlo Duca VII. di Andria.
Vescovo di essa Città D. Ascanio Cassiano. Costruzione del Coro della Cattedrale.
Flagello della Peste.

Anno 1641.

In questo istesso anno dietro la morte di Monsignor Franceschini [1], Urbano VIII. destinò a questa Sede un Canonico Romano (nativo di Monreale) di S. Giovanni Lateranese, cioè D. Ascanio Cassiano, il quale ne prese il possesso nel dì 19. Novembre. Dell’impegno di questo Prelato pel lustro della Casa di Dio, parlano ancora molte sue memorie. In osservando egli sulle prime il Coro della Cattedrale decaduto dalla sua decenza, perché dal tempo scompaginato, ed in alcune parti rappezzato; si determinò a formarne un nuovo a proprie spese. Difatto occupò la somma di circa diecimila ducati a quell’opera di capolavoro, la quale ha formato sempre l’ammirazione de’ forestieri e per la nobile qualità della noce, e per la finezza della costruzione, e per la esquisitezza dell’intaglio. A suo maggiore ornamento fece subito venire dalla Capitale alcuni pittori di gusto, onde non sembrasse una gemma impiastrata sul piombo; e da questi furono le pareti Corali dipinte con fini colori, rappresentanti cose ricavate dalla Sacra Scrittura. Gittò poi lo sguardo sull’esterna prospettiva della Chiesa, e voleva rifarla; ma poiché esaurito di forze, ne sospese la impresa, e ne rinnovò solo le orlature delle tre porte; poiché le antiche all’uso Gotico stavano dal tempo difformate. Erano crollati i brachettoni dell’Atrio, il quale in origine era coperto; ed egli lo ridusse alla semplicità presente. Ingrandì le finestre, e fece costruire il Battisterio. Nell’anno 1652. il nostro Duca D. Carlo nell’età di anni 33. quale avvizzito fiore corse alla tomba; lasciando Vedova D. Costanza Orsini de’ Principi di Gravina, ed un solo figlio chiamato Fabrizio di anni 12. [NDR]

Flagello della Peste.

Ma l’epoca che segue fu l’epoca delle lagrime e dello spavento. Apparso l’Agosto del 1656., videsi aggredito il Regno dalla ferocia di un male, che sembrava sbucato dal Tartaro, per distruggere la umanità. Non affacciavasi appena una pustola nerognola, detta bubone, in qualunque parte del corpo, che subito sopraggiungendo una febbre infernale, lasciava il paziente decotto cadavere. In questa Città incrudelì tanto questo flagello, che nello spazio di sei mesi contò la morte al di là di quattordici mila vittime; in modo che Andria, la quale numerava ventidue mila anime, rimase difalcata di due terzi. Per arrestare questo torrente non vi fu riparo. I periti dell’arte salutare invano si affaticavano ad escogitare ed applicare rimedii; anzi essi furono i primi a caderci. Contro l’ira del Cielo invano si oppone, e stupida pargoleggia ogni umana scienza! Dai rappresentanti della Città si presero tutte quelle precauzioni, che il bisogno in tali sciagure propone. Furono segregati gl’infetti dai sani; ed a questo scopo venne destinato come per lazzaretto, quel camerone attaccato alla Chiesa de’ Padri Osservanti di S. Maria Vetere. Servì anche a quest’uso un grande Casino, sistente su quel promontorio, dove fu eretto dappoi il Convento del Carmine. Ma riuscirono anche inutili questi provvedimenti; perché gli assaliti dal contagioso bubone, per non essere condannati ai lazzaretti, si celavano, e così campeggiava semprepiú la strage. Finalmente quando si vide dilatato l’esterminio, si ricorse alle violenze. Dovunque trovavansi coloro, che dall’aspetto appariva esserne attaccati, a viva forza erano spinti in quei luoghi.
Di continuo si vedevano per le strade i libitinarii raccogliere la messe della sventura, e correre a depositarla in quegli antichi fossati, o granai, che questa Città teneva nel suo dintorno. Ne furono riempite a ribocco sette cisterne nelle adiacenze del Carmine, che ancora appajono. Altre tre nelle vicinanze di S. Lucia, e due accanto al Convento di S. Maria Vetere. Non è da passarsi sotto silenzio lo zelo, e pietà del Vescovo Monsignore Ascanio, il quale non cessò mai visitare il tugurio, ed il burrone e per apprestare il sollievo temporale alla indigenza, e per non far mancare gli spirituali sussidii. Dalla sola Cattedrale si contarono morti quarantasette Sacerdoti. Tutte le famiglie facoltose, abbandonando i loro tetti in Città si ritirarono nelle Casine di Campagna; dove furono anche in parte scemate; e molte subito si restituirono in Patria pel bisogno de’ Sagramenti. La famiglia Ducale, lasciando qui due de’ suoi Uffiziali a dispensare ai bisognosi il vitto essa tutta confugiò nel Castello del Monte, in unione di molti altri notabili Andriesi, ove dimorò per sei mesi in perfetta sanità.
Non mai si stancava frattanto il pio Pastore col Clero offrir voti all’Altissimo, unico rimedio in tali sventure, affinchè avesse liberate queste contrade da un sì acerbo castigo. Nel Dicembre si scoperse un riparo creduto alquanto efficace, e consisteva nell’applicazione del fuoco sul comparso bubone. A molti riuscì con questo mezzo scampare la vita; ma doveva il fuoco applicarsi all’istante dell’apparizione della pustola; altrimenti non vi era più da sperare. Ma siccome non a tutti affacciavasi in parti visibili e nè tutti sapevano tollerare quella scottatura, principalmente le donne; ne avvenne con ciò che la morte non avesse incontrato un forte ostacolo al suo taglio. Alla fin fine spirò l’anno del dolore 1656. e nel Gennajo del 1657. alcuni vecchi qui rimasti rimembrando la tradizione, che in un consimile disastro questa Città. N’era stata liberata dietro un pubblico voto fatto al glorioso Martire S. Sebastiano, e che perciò n’era stato eletto per Patrono meno Principale; fu allora che si ricorse di bel nuovo alla sua intercessione conferendosi ogni giorno il Vescovo col Clero e la Università a pregarlo nella sua Chiesa.
Oh quanto ammirabile Iddio ne’ Santi suoi! Quel malore che sembrava non volerla più perdonare a creatura vivente, si vide come alla impetuosità dell’Oceano, dietro quell’accento Divino «usque huc venies» deporre la sua audacia. Dalla vigilia di questo Santo qui non più si avverò un caso di tal fatta; mentre ne’ luoghi limitrofi la strage era nel suo maggiore fermento. Allora il Vescovo, il Clero, e la Università ai diciotto giorni di palpitante preghiera aggiunsero un triduo di ringraziamento, e rafforzarono l’antico voto, consistente nella offerta di dieci libbre di cera a questa Cattedrale con una promessa solenne di onorare la vigilia del Martire S. Sebastiano in ogni anno con un generale e rigoroso digiuno in attestato di riconoscenza. A questa obbligazione i nostri Maggiori hanno sempre fedelmente corrisposto; annunziandosi nell’antivigilia di ogni anno con banditori per la Città l’arrivo di un giorno tanto segnalato, cioè 19. Gennajo. Ora tra noi, non voglio dire, ottenuta la grazia, si dimentica il Santo, avvi una qualche osservanza pel digiuno [2].
In continuazione di quanto diceva aggiungo che sparsa la voce per queste contrade essersi ottenuta miracolosamente la sanità generale; furono solleciti a restituirsi in Patria tutti coloro che durante il flagello se n’erano tenuti lontani. Sebbene questi superstiti fossero fuori di ogni pericolo; ciò non ostante vivevano sempre in apprensione e sbalordimento. Si vide sbandito da quest’amena Regione il brio e la letizia. Si raccapricciavano nel vedersi rari ed isolati, essendosi cresciuti in numerosa popolazione. Dalla Università poi si prese la determinazione di bruciarsi tutti gli arredi, e suppellettili rinvenute nelle case appestate. Ebbero l’ultimo oltraggio tante schede e patrie memorie. Possa il Cielo sempre e poi sempre preservarci da sì calamitosi avvenimenti [3]. Alla fine il pio Prelato D. Aseanio Cassiano, che per Divina provvidenza non soggiacque al comune infortunio, dopo altri cinque mesi corse all’eterno sonno de’ Giusti nel dì 12. Giugno del 1657. e fu il suo corpo tumulato nella Cappella del nostro Protettore S. Riccardo.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[NDR] Giuseppe Ceci (di Francesco), a pag. 51 e 53 del VII vol. di “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti” pubblicato nel 1890, afferma che il D'Urso qui è impreciso due volte. Sbaglia gli anni di Fabrizio Carafa, che nel 1652 aveva 3 anni e non 12, essendo nato nel 1649; sbaglia la data della morte di Carlo Carafa, che morì il 23 ottobre 1655 e non nel 1652.
[1] Questo Vescovo vivente fece costruirsi il suo sepolcro, come si legge sulla sua lapida nella cappella di S. Riccardo «Vivens sibi hoc rnonumentum præparavit».
[2] L’offerta della cera in libbre dieci si è praticata sino a questi tempi di mia ricordanza. Si è mancato a quest’obbligo dietro la morte dell’orrnatisslmo Medico D. Giuseppe Cannone. Al presente dal Cancelliere del Comune si offre una torcia di 2. libbre.
[3] In questa peste si distinse nel Lazzaretto di Napoli la pietà di un nostro Concittadino, il servo di Dio fra Pietro della Croce Carmelitano dell’osservanza di S. Maria della Vita di Napoli. Egli era nato da Giacomo de Feo, e da Mariella, persone molto religiose. Tenendosi occupato al servizio degli appestati, ivi morì in concetto di Santità, correndo il 1656. La sua vita non senza Miracoli fu egregiamente scritta dal P. Maestro Fra Andrea Mastelloni dell’istesso 0rdine, Provinciale di Scozia. Essa fu stampata in Napoli nel 1698. dal Gramignani.