l'antichità di Andria ..., di D. Morgigni

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testi estratti e trascritti da [*]

“La Vergine dei Miracoli”

supplemento al periodico
“La Parola di Dio”


L’antichità di Andria
e La valle di S. Margherita

di Domenico Mans. Morgigni (1853-1932)
— Bagnato dal torrente Aveldium e probabilmente dal torrente Pactius ed altri rigagnoli; sparso di un bel numero di Casali Rudiæ Peucetiorum, sul piede stesso oggi di Andria; intersecato da una via, che da Rudie per Rubos finiva ad Egnatia, il nostro territorio Andriese antichissimamente si estendeva di sotto le Murgie verso il mare.
I Romani poi aprirono la via Appia, un ramo della quale da Benevento per Canusium, per il territorio di Andria, per Rubos faceva capo ad Brundusium.
La via Appia percorreva il territorio su riferito, lungi un due chilometri dal maggior gruppo dei casali Andriesi, così vicini da formare una specie di città; e staccava per raggiungerli un tronco di strada. Non molto lontano dal punto di questo distacco s’incontrava sulla via Appia una taberna o stazione, chiamata ad quintum decimum.
Alcuni nomi di quei Casali, i quali durarono divisi sino a Pietro Normanno, giunsero a noi, e sono: Criptulae, Andrim, Casalinum, Pantana, Kata-kana ecc.
Non si comprende perché sulla carta di Peutinger del III secolo, a luogo d’essere segnata la via consolare Appia, si vede tracciata l’antichissima via peuceta, la quale incomincia da Rudiæ, allaccia Rubos, Botuntos, Celie, Ethium, e va a finire ad Egnatia.
Della esistenza di Andria al tempo dei Romani, dei Goti, dei Longobardi parlano in chiare note la tradizione e la storia.
La Critica, sempre diffidente per istituto, non vuole assentire e nega recisamente, che Andria abbia avuto esistenza in quel tempo. Questa volta però a torto, poiché essa Critica non ancora ha perlustrato tutti gli angoli della Storia.
A dirimere infatti la quistione, oltre ai numerosi elementi storici di cui disponiamo, è sortita nel 1904 dalle viscere della terra un vetustissimo Delubro, che si teneva nascosto sotto il presbiterio della Chiesa Cattedrale di Andria. —

Questo brano l’abbiamo stralciato da una storia, che stiamo scrivendo sulle antichità di Andria, e vedrà fra breve la luce.

La Critica paesana ha tenuto il campo sinora, facendo man bassa di tutte le antichità paesane, così di quella della Città, dell’epoca del suo primo Vescovo S. Riccardo, di qualche altro monumento ancora esistente. Ma non sarà più così.
Gli argomenti della Critica si spunteranno di fronte ai documenti e prove in contrario, che man mano da noi si esibiranno. Anzi non poco è la nostra meraviglia, nel constatare come la Critica abbia ignorato cose, che non avrebbe dovuto, rendendo così tal fiata gratuiti i suoi giudizii. Per ora limitiamoci ai documenti storici in favore dell’antichità di Andria.

I. TAVOLA DI PEUTINGER del III Secolo. Quivi proprio là, ove oggi erige il suo capo Andria, poco lungi dal mare e dalle Murge, in mezzo alle città: Bardulos, Turenum, Rubos, Venusia trovasi segnata la voce Rudias, nome collettivo che si riferisce evidentemente ai molti borghi sparsi nel contado Andriese.
L’autore più antico, che parla di Rudiæ, è Plinio il vecchio, vissuto nel I secolo dell’Era volgare, Pediculorum (o Peucetiorum) Oppida: Rudiae, Barion, Egnathia. Qual meraviglia dunque che S. Pietro abbia potuto visitare questi forti Casali Oppida, nei quali si abitavano i Populi Andrienses come afferma la Leggenda?
Che Rudiæ si riferisca ad Andria lo dicono parecchi Autori, tra i quali il De Luca nella sua Geografia, Ettore Pais nella sua Opera Magna Grecia pag. 338.
Il fatto stesso, dice costui, che Andria è segnata con varii nomi Netium, Rudiæ, Andri; è prova della sua antichità.

II. SECONDA EPISTOLA di San Placido a S. Benedetto nell’anno 536. Quivi il monaco viaggiatore fa menzione di Andrim, dove venne, dopo aver visitato il beato Sabino in Canusium. Ecco le parole: A Canusio ad Andrim iter nimas moleslum, imbre numquam cessante. …

III. TAVOLA COROGRAFICA Longobardica, commentata dal dotto monaco Gaspare Beretti, e riportata da Ludov. Antonio Muratori nel Tomo X. Scri[ptores]. Rer[um]. Italicarum, del secolo ottavo. In esso si fa la numerazione di tutte le città, che componevano il Ducato Beneventano: fra queste la Città di Andria.

IV. ANNALI di Alessandro Di Meo. Questi, noto per il suo studio sulle vicende longobardiche nel Reame di Napoli, numerando le varie città vescovili devastate in quel tempo, pone in capo della lista Andria, la quale contava il suo Vescovo, poi divenne preda dei Longobardi. Al Di Meo fa eco lo storico Carlo Troya nel suo Codice Diplomatico. Si noti, che la devastazione delle città Vescovili, da parte dei feroci Longobardi, seguì in sullo scorcio del sesto secolo: val quanto dire, non molti anni dopo la morte del beato Riccardo 536.

Dunque sin da quel tempo il paese di Andria era importante: dunque se il Beato Riccardo è il primo suo Vescovo, realmente questi ha esistito nell’epoca indicata dalla Leggenda: dunque … Tali induzioni storiche devono essere ricevute come verità; se la logica vale qualche cosa anche nella Storia.
Vero è che la Critica ammette l’esistenza di Andria prima del mille, ma nello stato di villaggio, villaggietto tanto piccolo, da confondersi con una villa. E riporta in appoggio un precetto in greco del protospatario Basilio di Mesardonia, che ordina, siano consegnati alla Badia di Montecassino alcuni beni nel contado di Andria. Or bene anche questa volta la Critica nella interpretazione di quel precetto prende un granchio a secco.
Il precetto è questo: lo trascrive il Cronista Leone Ostiense nella sua Cronaca in tali termini: Et in civitate trancesis, in villam que est de ipsa civitate, que cognominatur Andre, vinee deserte et olivetalia viginti septem. Porta la data del 5 Maggio 943. In base a questo precetto si è voluto la villam riferire alla Città di Trani, quando invece, giusta una più sana interpretazione, essa si dice di appartenere a ipsa civitate, que cognominatur Andre.
Per intenderci: la Città di Andria in quel tempo era una città sui generis; o meglio more longobardorum risultava da un numero di borghi uniti amministrativamente in un sol Comune. Là dunque ove si dice villam que est de ipsa civitate, que cognominatur Andre, s’intende quella villa o cittadella, la quale, pur avendo il medesimo nome, con altri borghi costituisce la Città stessa, che chiamasi Andria, que cognominatur, non nominatur.
Ma riferiamo il testo originale greco, che noi trascriviamo in lettere italiane, per farlo leggere da tutti. Esso dice così: Upo ten diacratesin tou castrou tranon eis to horion to caloumenon andras. [NdR1] Trinchera : Ex sillabo membranarum græcarum.
Il qual greco si traduce in buon italiano così: Sotto il potere della fortezza Trani verso la terra o regione, ch’è chiamata Andria. La traduzione è del Prof. D. Giuseppe Sgaramella.
Come si vede, il precetto di Basilio di Mesardonia nel suo originale greco differisce non poco da quello trascritto nella Cronaca di Leone Ostiense. Or bene, anche qui si esclude l’interpretazione voluta dai critici, che Andria cioè sia stata villa della Città di Trani.

Fra le cittadine intorno, sparse nell’ampia campagna, il borgo Andrim dovea essere il maggiore, forse il più civile, forse il più importante, se da esso prendevan nome il contado, la Diocesi, la Città edificata dal Duce Normanno verso il 1046.
Andrim si posava tra il borgo Criptulæ o Grottole di S. Andrea ed il Casalinum; due borghi tipici, per essere il primo abitato dai Greci, ed il secondo abitato dai Latini, siccome afferma la tradizione. Difatti in Criptulæ ancora oggidì conservansi varii nomi greci di strade di quel rione; cosi Pant-ana, Kata-cana, Kano-sera, Lagaron o Lagarone ecc. In Casalinum, voce romana, cui facea capo il ramo della via Appia, esiste ancora una lunga via ripida, detta volgarmente celso, parola che si deriva dal latino celsus (alto, sublime). Si allude al colle cui si adagiava questo borgo.
I vari nomi su accennati, pertinenti a due lingue diverse, non sono dunque, che rivelazioni storiche di cose, che furono.
Anzi chi sente la voce dell’antichità, prima che il piccone demolitore adegui al suolo il Casalinum, vada a vedere in cotesto quartiere gli avanzi di ciò, che costituiva un giorno le sue fortificazioni, quando ciascun borgo dovea pensare a difendersi dalle possibili incursioni dei barbari vedrà viuzze, archi, archetti, fughe o vie coperte, tutta roba dell’alto Medio Evo.
Torniamo però al borgo Andrim, che più ci preme.
Dove deve stimarsi la sua ubiquità? noi più innanzi l’abbiamo già detto. Un nostro amico C. R. T. modesto, ma esimio cultore di antichità paesane opina, che sia il rione basso, oggi le Grottole di San Andrea.
Non pare: il borgo Andrim deve trovarsi presso l’antichissima Chiesa di S. Pietro, la quale era prope et extra mœnia Andriæ, come si esprime Benedetto XIV nella sua Bolla In sublimi al Clero di Andria, servendosi certamente di memorie storiche da noi ignorate.
Ora l’antichissima Chiesa di S. Pietro, di cui parlano Benedetto XIV e la Leggenda Andriese dell’Anonimo, non è che la Cripta del Vescovado, sortita alla luce nel 1904. Di ciò si darà ampia ragione in un prossimo lavoro.
Risulta perciò, che il borgo Andrim è da porsi più da vicino al nostro Duomo, sul medesimo luogo del presente quartiere, che gira intorno la Chiesa di Mater Gratiæ.
Si vedono ancora alcune sue vestigia. Ecco, gli Archi Cocco, Ajello, ed il così detto Arco d’Andria, in capo al 2. vicolo Flavio Giugno, non sono che le porte antiche del borgo Andrim.
Vadano ad esaminarli l’ingegnere e l’archeologo, e si convinceranno subito, che non sono quelli dei cavalca-via. Denudandoli infatti della calcina, che li riveste, si scopre in quegli archi la medesima costruzione fatta di rustiche pietre — simile alla costruzione della Cripta del Vescovado, giudicata tra il VII e il X secolo dagli architetti Bernich ed Hasseloff — la medesima lunghezza, le medesime rozze cornici, quasi i medesimi connotati. Gli Archi Cocco ed Ajello anzi sono affondati per metà nel terreno, a causa dell’avvenuto sollevamento del piano della Città nel tempo forse dei Normanni. Cavandosi di sotto, lascierebbero scoperti interamente.
Mentalmente si possono seguire le mura, che circondavano questo Casale, del quale si vede ancora un vecchio edilizio in capo al Pendio, detto anche oggi dal popolo la Taverna della Posta.
Se dunque il borgo Andrim avea delle porte di entrata, esso è più antico della città di Andria; esso dunque va al di là del mille. La sua esistenza nel 536, riferitaci per lettera di San Placido, vien confermata dal fatto stesso della sua esistenza in quel tempo antico.
Conseguentemente, quegli Archi o porte sono più che millenari, preziosi avanzi di tempi oscuri. Il che produrrà stupore e forse incredulità: ma l’antichità bisogna saperla leggere, quantunque rozza e primitiva
Di grazia si osservi ancora. A destra di chi guarda l’Arco Cocco si eleva immediatamente un prospetto regolare di pietra, deturpato al solito dall’imbianchino. In antico dovea essere un torrione, certo un corpo di fabbrica adiacente, al servizio della porta.
Guardate: in basso di quel prospetto si apre un finestrino di singolare architettura; più in alto, verso lo spigolo, si vede una mensoletta, su la quale si accovacciava un leone, del quale oggidÌ si osserva il torso, più le zampe anteriori.
Sarebbe lo stemma del borgo Andrim, che suona forza, di cui è simbolo il leone?.!. Allora avremmo nelle mani una prova novella, che qui si fondava una cittadina dal nome greco Andrim: allora non sarebbe infondata la tradizione, che sia Andrim colonia dell'antica Grecia.
A proposito dello stemma di Andria, ci si permetterà un breve studio araldico su di esso. Non essendo stato mai fatto da alcuno, lo richiede ora il presente articolo storico; ché anche su questa via c’ è dato constatare l’antichità e importanza nella storia della nostra Città.
Lo stemma d’Andria non è di quelli occasionati da alcun fatto eroico, o avventura da Medio evo, come la maggior parte sono, sibbene è un arme parlante; cioè nel simbolo o leone figurato sullo scudo si legge il nome della città. Non è recente, ma si perde nel buio dei secoli passati. Non è fisso, ma ha subito diverse trasformazioni, come si rileva da parecchi esemplari, che ancora possediamo nella nostra Città. Non è artifizioso, ma semplice.
Ci permettiamo un po’ di larghezza e di libertà nelle nostre vedute, necessarie a chi inizia uno studio qualsiasi. Altri correggeranno poi le nostre osservazioni. Ciò sia detto ad evitare gli strali dei puritani nella storia:

1. Esemplare. Sarebbe quel torso di leone dell’Arco Cocco, antichissimo, mai notato da alcuno. Come si disse, esso si apparterrebbe non alla Città di Andria, ma al borgo Andrim: precede dunque i Normanni e va a nascondersi nella semi oscurità dell’alto Medio evo.
« Le città antiche — dice il Cantù nella sua Archeologia — avevano tipi stabili, concepiti ed eseguiti sotto la sanzione della pubblica autorità. Spesso i tipi sono parlanti, cioè espressione fonetica del nome della Città o della famiglia: così la rosa per Rodi, il cuore per Cardia, un gomito per Ancona ecc.».
Tale crediamo sia la natura del tipo della cittadella Andrim, una espressione fonetica, un significato etimologico del nome Andrim, che in greco suona forza, simboleggiata nel Leone.
Se dunque quel Leone è davvero lo stemma del borgo Andrim; se il tipo blasonico lo innalzavano solo le città distinte, si deve ragionevolmente presumere, che Andrim sia stato tra i casali, sparsi qua e là, il casale metropoli o Comune; dove forse si abitava un popolo più civile ed evoluto.
La leggenda Andriese, scrittura preziosa di qualche secolo innanzi al mille — lo proveremo a suo tempo — narrando le vicende qui seguite nei primi secoli della Chiesa, si riferisce sempre ad Andrim o Andria, quantunque esistessero altri Casali.

2. Esemplare. È lo stemma, che fu trovato nel 1904 su l’architrave d’una casa in via Summonte. Credesi trasferito da una gran casa limitrofa, mezzo diruta, che giace giù il ponte Giulio, sull’antico livello di Andria.
Rappresenta due leoni rampanti, identici, i duali sostengono un grosso C. Sullo stemma leggesi la seguente iscrizione: A. D. 1062. M. SE. XI. IND. CE. C. ME. E. che fu interpetrata cosi: Anno Domini 1062, mensis Septembris decima prima indictione, cetus civium me erexit.
Guardando il millesimo, si vede il secondo numero che è di una perfetta rotondità, quantunque porti una cediglia sotto; perciò impossibile che esso non sia zero [NdR2].
stemma del 1462, oggi nell'atrio dell' episcopio
Come si vede, questo stemma è dell’epoca dei Normanni, in quel medesimo tempo che da loro si edificava la Città di Andria. Allude forse ad una casa comunale costruita allora dalla cittadinanza, cœtus civium.
Lo stemma perciò si apparterrebbe alla nascente Città di Andria, la quale, rappresentata dal C grosso, vien sostenuta da due leoni; dei quali uno sarebbe il leone simbolico di Andrim, l’altro il leone Normanno.
I due leoni sono posti là nella posizione imposta dalla scienza araldica, che nel secolo decimo primo faceva le prime sue prove; ma non avea fissate ancora tutte le sue norme. Lo scudo difatti dello stemma in parola è semplice, rudimentale, non riferibile ad altra epoca posteriore.
Questo stemma trovasi oggi nella Chiesetta di San Michele dei Meli. [1a]

3. Esemplare. Trovasi murato nella Chiesa di Porta Santa, a sinistra di chi entra. Sul muro destro, di fronte, vedesi un altro stemma della Città dell’anno 1522, descritto da Ettore Bernich in un suo Art. «Andria e le Reminiscenze Sveve».
Piuttosto che su di questo, il Bernich doveva portare le sue indagini sul primo stemma a sinistra; studiando il quale, avrebbe avuto la conferma, che quella Chiesa esisteva nel tempo di Federico II.
stemma sulla parete sinistra della chiesa di Porta Santa
Lo stemma, che noi diciamo, è molto più antico; e contiene alcuni elementi storici, che sono importanti per la storia di Andria.
Su di uno scudo araldico si rappresenta un grosso leone rampante che afferra con le branche un ramo di quercia. Non conoscendosi altro precedente, pare che questo stemma sia stato il primo, sul quale siano stati fissi i segni dell’arme di Andria.
Chi ce l’abbia concessa quest’arme — e in qual tempo — quale significato abbiano i segni su di essa impressi sapremo qualche cosa, se si analizzassero i caratteri, che presenta lo stemma di Porta Santa.
I. Il leone è senza corona. [NdR3] Dunque questo stemma è prima, che Andria fosse data in feudo alla famiglia dei Del Balzo, prima cioè del 1300.
Durante il governo di tali feudatarii infatti, il leone d’Andria fu incoronato la prima volta con la corona ducale. Ciò si rileva da su l’antica piletta d’acqua santa nella Chiesa della SS. Annunziata, dove a canto dello stemma di Bertrando Del Balzo, si osserva quello della Città con il leone incoronato.
II. Lo scudo è decorato dell’ordine equestre dei Cherubini. [1b] Vedesi infatti sullo stemma di Porta Santa svolazzare due lunghi nastri con fiocchi, e sospeso alla punta dello scudo una testa di Cherubino.
Qual è mai quest’ordine equestre? Ecco ciò che noi troviamo sul Dizionario Universale di Scienze, Lettere ed Arti, edito dai fratelli Treves nel 1882, sotto la voce Cherubino: L’ordine dei Cherubini e dei Serafini è fra i più insigni ordini militari della Svezia.
Ora conosciamo, che gl’Imperatori Svevi, il capostipite dei quali fu un principe della Svezia, ebbero in pregio gli usi e costumi, la letteratura ed ordini cavallereschi della loro patria di origine.
Consegue dunque con molta probabilità, che Federico II abbia donato alla Città di Andria le insegne dell’ordine equestre dei Cherubini, allora quando questa Città divenne culla del suo Corrado, o tomba delle sue consorti.
Sarebbe ciò un altro pubblico attestato di predilezione, che quel grande Imperatore diede alla sua Andria fedele. Gli storici paesani eppure hanno posto in obblio così grande onore.
La testa alata del Cherubino è riprodotta sul portale di Porta Santa, il quale sebbene sia del mille e cinquecento, a giudizio del Bernich, ripeterebbe però la decorazione del precedente.
La medesima testa si riproduce parimenti sulla porta medioevale dell’antico monistero di Santa Caterina in basso al Pendio.
III. Il leone afferra con le branche un ramo di quercia. Perché un ramo di quercia? «Gli stemmi o arme costituiscono — dice il Cantù — un linguaggio geroglifico come l’egiziano; e l’arte del blasone consiste nel saperlo scrivere e leggere» Archeol. p. 359.
Se siano stati gli araldici del tempo a dare la quercia in mano al leone d’Andria, ovvero per concessione dell’Autorità, sin’ora non sappiamo dire.
Vediamo invece quali sono le virtù naturali della quercia, in base alle quali si potrebbe conoscere il simbolo espresso sullo stemma di Porta Santa.
La quercia, quercus robur, fu sempre tenuta in grande onore dagli uomini dell’antichità. È il legno più duro che si conosce. Vive una lunga vita, superando talora i cinque secoli. I Romani dispensavano corone civiche con rami di quercia in premio anche di virtù militari. Dizion. Univ. Treves.
Ponendo dunque il ramo di quercia tra le branche del Leone d’Andria, si volle esprimere l’antichità della Città, o la robustezza degli abitanti? ovvero fu dato in premio alla Città, per alcun servizio reso a Re o Imperatori di quei tempi?

4. Altri esemplari — Lo stemma d’Andria seguì le vicende della Città: ebbe cioè il suo leone fregiato della corona di conte, quando Andria fu una Contea; della corona ducale, quando Andria addivenne un Ducato.
Lo stemma dalla corona di Conte è quello lievemente scolpito sulla piletta d’acqua santa della Chiesa su riferita.
I primi due stemmi dalla corona ducale, a noi pervenuti, sono quelli che si appartenevano ad Sacellum o tribuna divo Richardo dicatum da Mons. Angelo Floro, vivente ancora Francesco II Del Balzo. Trovansi ora murati nel così detto Tesoro della Cappella di S. Riccardo.
Vi ha un Esemplare, sul quale si trova consecrato quel celebre motto: Andria fidelis. è del 1544 e facea parte del portico del Seggio del popolo in porta la Barra. Ora è sul fronte del Nuovo Edifizio scolastico.
Un altro Stemma inneggia all’istituzione delle monache Benedettine fondatasi in Andria nel 1563. Le parole sono queste; Andria non minus fidelis quam benigna. Sarebbe stato fatto dopo, che Pio IV con una bolla di quell’anno riconobbe all’Università il diritto di patronato perpetuo sulla nuova Casa Religiosa. Vedesi sul bel portale dallo stile barocco del medesimo Monistero.
stemma un tempo affisso a Porta la Barra stemma un tempo affisso sul portale del Monastero delle Benedettine
Lo stemma di Porta Santa, quello più recente, consacra ai posteri il diritto di patronato della Università di Andria su quella antica Chiesa. è di squisito lavoro cinquecentesco, al dir di Bernich, e porta scolpita questa leggenda: Ejus patronato Universitatis. Civitate Andrie 1521 [vi si legge invece: IUS PATRONATUS M.CE UNIVERSITATIS CIVITATIS ANDRIE A.D. 1573].
Un altro esemplare non molto antico inneggia a Dio: Laus Deo 1586 [questa invece la data: 1587 ]. Si trova in una delle Rughe lunghe, oggi via Tupputi; e si apparterebbe all’antico monistero di Santa Colomba, il quale, essendo del demanio, fu nel 1458 donato da Ferdinando d’Aragona ai monaci Domenicani. Nel 1586, chi sa per quali vicende, sarebbe ritornato nelle mani del Municipio.
stemma sulla parete destra della chiesa di Porta Santa Stemma attualmente sulla casa in Via Tupputi

Dopo la presente divagazione, ritorniamo al territorio Andriese, il quale non fu mai deserto, ma sempre popolato, sin dai tempi preistorici, di ville, casali, necropoli, cripte, di acque.

Risulta ciò dalla Storia e da monumenti. Infatti:
— nel 843 figurano i casali Trimodie e Cicalia. Prologo. Carte dell’Archivio Metropolitano di Mani, Doc. II;
— nel 536 figura il Borgo Andrim o Andre. Secun. Epistola di S. Placido: più da vari Docum. nel Prologo;
— nel terzo secolo i Casali del contado di Andria vanno sotto il nome di RudiasTavola di Peutinger: — antichissimamente si conosce di abitati preistorici, che corrispondono ai nomi di Santa Barbara, di Santa Lucia sulle Murge, di Palese, di Bosco di spirito, di Castel del Monte; dove Antonio Iatta di Ruvo ha scoperto tombe di alta antichità, scheletri, manufatti ecc. Il risultato di tali studi fu dal Iatta descritto in un suo libro: Avanzi della 1a Età del ferro nelle Murge Baresi.
Indizii gravissimi di altri simili abitati nel contado di Andria ce l’offre il gran numero di stoviglie di creta e di bronzo, che qua e là ci rende il terreno. Sono monete, sono vasi, sono idoletti: parte di ciò ha viaggiato e viaggia per gli altrui musei; parte ha formato collezioni cittadine, p. es. quella di Lorenzo Troja, che nessuna Amministrazione comunale curò di farla sua.
Sono indizio di popolo, che si abitava in queste contrade nel tempo dei barbari, le varie Cripte ancora visibili, quelle cioè del Vescovado, di Santa Croce, della valle di Santa Margherita, la Cripta di Santa Caterina in fondo al Pendio sotto la casa Medioevale, la Cripta di Santa Sofia con pitture greche, scomparse e distrutte, sotto il colle del Seminario ecc.
Facciamo speciale menzione di una Cripta, che giace inaccessibile in capo al Pendio, parecchi metri giù il livello stradale, sotto le case un dì di Colavecchia, poi di Accetto, oggi della famiglia Durso. Vogliano i signori Durso far rifiorire le tradizioni storiche, patriottiche della loro famiglia, permettendo o agevolando l’accesso in quel recesso, che sicuramente conserverò elementi di storia antica.

Quando la Critica paesana si fa la dimanda, se Andria fosse antica, e risponde negativamente; a nostro modo di vedere, essa allora concepisce male la quistione e la risolve ancora peggio; con ciò sia cosa che nel contado andriese Andrim non costituiva che una parte del tutto; non era cioè che una cittadina tra le cittadine sparse, nelle quali si abitava quel popolo, che poi raccolto dai Normanni costituì il popolo di Andria ...
L’agro andriese antichissimamente, dicemmo, era ancora popolato di acque, le quali correvano in forma di fiumi e torrenti, e formavano laghi. Indizio questo e richiamo di gente emigratoria. Ecco:
1. L’Aveldium o Aveldius era il corso più importante, il quale ha nome di fiume sulla carta di Peutinger. Formava due laghi vasti e profondi, che corrispondono ai due attuali bacini di S. Michele e di S. Lorenzo.
2. Un altro torrente, di cui ignorasi il nome, costituiva il bacino di Santa Croce, e poi per luoghi ripidi si scaricava nell’Aveldium. Ciò si conferma per un ragionamento sulla geografia antica della Puglia, stampato nel Corriere delle Puglie, An. XIX N. 61.
Intorno le sponde di questi tre bacini si osservano non poche caverne, ora vaste, ora profonde, ora a guisa di abitazioni, per la maggior parte devastate. Indizio questo di gente antichissima, i trogloditi, i quali si abitavano nelle grotte, in vicinanza delle acque. Sono prova i vasi futili trovati nei pressi di quei bacini; alcune tombe scoperte nelle grotte delle fornaci del bacino S. Lorenzo.
3. Il Pactius, di cui il Plinio. Dicesi che il suo corso sia il canale di Taverna vecchia, e corresse tra due ripe alle volte ripide, alle volte terrazzate.
4. Il Vergelius, il qual nome occorre nelle carte geografiche d’Italia più antiche. Era affluente dell’Ofanto, e dicesi che il canale, che attraversa ora la tenuta di S. Domenico, formasse un dì il suo letto. Lo ricorda Valerio Massimo, Lib. 9. Cap. 2. Dux Annibal ... in flumine Vergello, corporibus romanis ponte facto, exercitum traduxit. Lo ricorda pure Lucio Floro, Lib. 2. Documenta cladis cruentus aliquandiu Aufidus, pons de cadaveribus iussu ducis factus in torrente Vergelli.
5. Il Turenum passava per lama Petrarelli ad Est di Andria, e si riversava nell’Adriatico presso Trani, formando sulla foce una isoletta, la moderna Colonna. Corriere delle Puglie. Ivi. Il Turenum riceveva sull’Agro Andriese una corrente di acqua alla sua sinistra, Lama Paola; e tre alla sua destra, canali cioè di S. Ciriaco, di S. Angelo e di Lama d’Oro.
6. Il Bardulus, altro fiume o torrente, che passava per la nota Lama o valle di Santa Margherita. Corriere delle Puglie. Ivi.
Il Forges Davanzati in uno studio inserito negli Atti della Pontan. V. I, ritenne che il corso di questo fiume fosse quello dell’Aveldium. Fu errore il suo, perciocché l’Aveldium è là dove si formano i due bacini o laghi di S. Michele e di S. Lorenzo, come si vede nella tavola Peutingeriana. [2]
I due fiumi Bardulus e Aveldium presso il mare confondevano insieme le loro acque. Di qua l’errore del Davanzati, il quale, risalendo dal mare per delineare il corso del fiume, invece di torcere a sinistra per Andria, volse a destra, e riuscì in valle di Santa Margherita.

… …(manca il breve testo del fascicolo n. 7 del novembre 1906, andato disperso) … …


Però quantunque sia Maria la figura principale dello Speco o chiesa sotterranea, pure questa non ad Essa, ma ad una martire cristiana Santa Margherita fu dedicata. La cui figura, molto deteriorata, si scorge ancora tra gli altri dipinti a fresco della Grotta.

Qui deploriamo la incuria dei nostri maggiori e dei presenti, i quali non seppero accuratamente conservare quei dipinti, studiando i quali si sarebbe saputo con sicurezza — sin da qual epoca quello speco fosse aperto al culto cristiano — in qual rito officiato — e forse qualche altra vicenda di non minore importanza.

Oggi invece si procede a tentone. Ecco i dipinti, che trovansi tutti in cornu Episttolæ dell’altare della Madonna:
a) L’affresco di Santa Margherita di proporzioni grandi, simili a quelle dell’immagine di Maria dei Miracoli. Si trova pur essa in una specie di alcova o grotticina, tagliata ora nelle parti emergenti sino alla sparizione della sommità del capo della Santa.
Gl’indumenti suoi sono molto ricchi e vivaci all’uso orientale: porta ai piedi il conturno. Fra le pieghe del manto leggesi in una parte MARGARITA.
Intorno intorno all’immagine principale sono disposti varii quadrettini, nei quali si rappresentano forse i miracoli, ovvero le vicende storiche della Martire illustre.
Portano alcuni delle figurine graziose, ed un quadrettino presenta una santa con la croce in mano, in tutto simile alla nostra Madonna dell’Altomare.
b) Un affresco di S. Nicola di Mira nelle sembianze più antiche, con intorno i miracoli del Santo.
Si noti, che il culto di S. Nicola, tra noi, non rimonterebbe solo all’epoca della traslazione delle ossa nella Città di Bari, ma andrebbe oltre. Quindi il dipinto su tali mura del Taumaturgo di Mira cresce la probabilità, che siano stati i basiliani ad officiare in quest’antica Chiesa di Santa Margherita.
c) Fregi alla bizantina, distinti cioè per varietà e ricchezza di stile: sono i soliti intrecci su fondo rosso, che tradiscono l’origine orientale. Occupano tutta la parete, ove non sono immagini di santi.
affresco di S.Margherita  Affresco di S. Nicola di Mira

Oltre a questi, si ammirano o si ammiravano in Andria altri antichi dipinti greci: così quelli celebri di Santa Croce, intorno ai quali R. 0. Spagnoletti nell’opuscolo «I Lagnoni e Santa Croce» così discorre:
«A riguardare quelle reliquie si è costretti a dirle opere di pennelli bizantini, anche prima di procedere ad un accurato esame critico. Ci si vedono ad occhio e croce le forme dell’arte d’oltremare ... in quelle figure di santi dagli occhi molto oblunghi, dalla fronte austera, dal profilo secco e sottile, dall’aspetto rivelante pietà, rigidezza e misticismo.»

Pitture greche si vedevano nella Chiesa sotterranea dell’Altomare, ora scomparse, se facciamo eccezione di quella della Madonna — greco era il primo dipinto di S. Riccardo a fianco dell’antichissima sua sepoltura, pictura græca manu tincta (Histor[ia]. Invent[ionis].) — greci sembrano il dipinto del Salvatore nella Cripta del Vescovado che benedice nel rito orientale, quelli della Madonna della Grazia e di Mater gratiæ — altre pitture, dell’Arcangelo San Michele e di altri Santi, si osservavano dentro una caverna in Gurgo, tracciate, pure alla greca maniera, siccome riferisce lo storiografo Pastore in uno dei suoi manoscritti.
Restano ad osservare le pitture della Cripta, che si nasconde sotto il Pendio. Sono questi gli elementi preziosi, che spingono la storia di Andria al di là dei limiti imposti dalla critica.

Pare che quel tipo di Madonna nella Cripta di Santa Margherita, di cui ora s’è discorso, assisa sul trono in maestà di Regina, avesse sin da principio dato nel genio religioso degli Andriesi, e fosse tenuto in grande venerazione, se, scioltasi per la ferocità dei tempi la comunità che l’avea in custodia, passò ai posteri sotto la denominazione di gran tesoro.

Domenico Mens. Morgigni

[tratto dall'opuscolo periodico “La Vergine dei Miracoli”, tip. F. Matera, Andria, 1906, anno I, n.2, pagg. 8-14; n.3, pagg.11-22; n.4, pagg.27-31; n.6, pagg.27-30; n.8, pagg.24-27]


NOTE

[*] La copia degli opuscoli periodici mi è stata gentilmente fornita dallo studioso e appassionato di storia locale e ambiente Nicola Montepulciano. Le immagini non sono presenti nei testi originali, ma sono state aggiunte dalla redazione del sito per una migliore comprensione del pensiero esposto dall'autore.
[NdR1] Il testo in originale greco è nella pergamena del 1032: “ὑπό τἡν διακρ ὰτησιν τοῦ κὰσ τρου τρανων εἶς τό χωριον τό καλ ούμενον ἄνδρασ, ...”
[NdR2] L'anno non può essere 1062, in quanto l'indizione di quell'anno sarebbe la XV (ma nel rito bizantino, nel quale la nuova indizione inizia da settembre, è la successiva. la I).
È da intendere 1462, in quanto l'indizione (qui di stile bizantino, nel Regno di Napoli in vigore fino al XVI secolo) è proprio l'XI, come si interpreta sulla lapide.
[NdR3] Non è vero che il leone non sia coronato; sulla sua testa è ben visibile la corona.
[1a] [b] Prima di passare al terzo stato, da noi descritto nel N. 3, pare che il Leone di Andria abbia subito un’altra varietà. Quale? Ecco.
Nello stemma rispondente al 2. Esemplare, soppresso il leone a sinistra, soppresso il grosso C, resta isolato il leone a destra con le branche campate in aria, senza il ramo di quercia, che l’avrebbe avuto più tardi. Tale è il leone di Andria del secolo XII, che noi vediamo su lo stemma del portale di fianco della Chiesa di S. Agostino, un dì dei Templari.
Le nostre osservazioni, si badi, non sono che relative; e piuttosto non offrono che materiale per chi vorrà di proposito e competenza occuparsi dell’argomento. Anzi avvertiamo i pochi lettori dei nostri Artic[oli]. Storici, di accogliere come non detto ciò che da noi s’è riferito sull’ordine equestre dei Cherubini dello stemma di Porta Santa. Questo per la verità.
[2] Una gran parte di questa erudizione fluviale l’abbiamo tolta da un pregievole manoscritto del nostro Amico Can. R. T.