capitoli matrimoniali-1489

Contenuto

Gli Statuti Matrimoniali della città di Andria
in vigore dal 1489 al 1808.

Premessa

I "Capitula Matrimonialia" furono dati alle stampe la prima volta nel 1856 da Luigi Volpicella, procuratore del Re presso il Tribunale Civile di Trani, in appendice al suo discorso nell’udienza de’ 8 gennaio 1856, perché richiamati in contratti stipulati in Andria fino al 31 dicembre 1808.
Importanti stralci del discorso inerenti la Città di Andria e i Capitoli Matrimoniali sono qui trascritti di seguito al Documento.


CAPITULA MATRIMONIALIA [1]

Princeps Altamuræ Dux Andriæ.

  1. Havendo noi inteso che in la Citta d’Andria in lo contrahere detti matrimonj circa la costitutione et lucrare delle doti, quarto et meffio, tanto ex parte viri, come della donna, per la prava e mala consuetudine et obscurità risultano diverse ambiquità, dubbij, et errori fra li cittadini tanto nobili, come populari della detta Città, et altri che contraheno con loro: Et volendo Noi, siccome spetta a buono et optimo Principe et Signore, providere et ridurre ogni dubbio che potesse occorrere a declaratione, e togliere ogni abusione e pravità: imo confirmarne colla debita equità e naturale justitia, havemo ordinati l’infrascritti statuti e capitoli; li quali acciocchè per ciascuno se intendano, et non habbiano necessario da esser declarati, li havemo fatti ordinare in vulgari.
  2. Et primo ordinamo e statuimo che lo marito quando riceverà la dote per la quantità, che è stata promessa da sua mogliere, o dal patre, o da altro di sua parte, debbia esso marito fare cauta la sua mogliere, patre o altro da sua parte de conservare et restituire le dette doti, quando succedesse il caso della restitutione di quelle, per obbligatione di robba, o per pleggeria, secondo che le parti conveneranno, et serà fra esse concluso.
  3. Item ordinamo e statuimo che venendo il caso della restitutione delle doti, lo marito, o vero li suoi heredi debbiano restituire li beni stabili, et li denari dotali, et ancora li mobili; li quali mobili si debbiano restituire sì come si trovano usuconsumpti in constantia matrimonij: eccetto se lo marito l’avesse barattati, o dissipati, che in questo caso debbia restituire lo prezzo di quelli come valevano al tempo furo consignati, o vero conversi in suo uso proprio: et lo presente capitolo se intenda tanto in le robbe mobili date in dote apprezzate, quanto non apprezzate.
  4. Item ordinamo e statuimo che la donna per lo baso debbia lucrare lo meffio di quella quantità, che per lo marito li serà constituito sopra le robbe di esso marito: il quale meffio la donna lo perderà per nativitatem filiorum.
  5. Et più ordinamo e statuimo che la donna alla quale non serà statuito nè determinato quarto per conventione delle parti, ultra lo detto meffio, habbia ad havere e guadagnare lo quarto sopra tutte le robbe del marito presenti e future; lo quale quarto se judicarà havendo rispetto alle doti date, cioè che per ogni quattro onze o ducati dati in dote la donna lucra uno sopra le ditte robbe del marito presenti e future; che in tali casu la donna, premoriente lo marito, habbia lo quarto di tutte le ditte robbe, detratto haere alieno contratto ante constitutionem quarti.
  6. Et se ordina e statuisce che la donna habbia a lucrare lo ditto quarto si lo marito moresse prima di essa donna; ma morendo prima la donna, non habbia a guadagnare ditto quarto.
  7. Item ordinamo e statuimo che lo ditto quarto la donna l’habbia a lucrare e guadagnare quanto alla proprietà et usufrutto, et sia in pieno dominio, si lo marito morirà senza figlioli di essa donna; ma si morirà remanendo figlioli di essi marito e mogliere, la ditta donna habbia lucrato lo ditto quarto quanto all’usufrutto tantum durante la sua vita; et essa morta lo usufrutto se ritorna alla proprietà, e vada alli figlioli del ditto marito de qualunque matrimonio siano nati.
  8. Item ordinamo e statuimo che li figlioli, li quali haveranno a satisfare lo usufrutto del ditto quarto, habbiano e debbiano dare tanti dinari, quanto monta lo numero del ditto quarto, cum cautione fidejussoria da darsi de restituendo finito lo usufrutto, o vero dare tanti beni stabili da usufruttuarsi per la ditta donna sua vita durante ad elettione di essa donna; e la ditta pleggiaria si habbia da dare per la ditta donna.
  9. Item statuimo et ordinamo che si po’ la morte del marito con figlioli, quo casu la donna lucra lo quarto quoad usumfructum tantum, li ditti figlioli morissero superstite la loro matre, essa donna se intenda havere lucrato lo ditto quarto quoad usumfructum et proprietatem; et lo predetto se intenda quando li detti figlioli morissero in pupillari aetate, o vero deinde senza prole legitima, et superstite la loro matre.
  10. Et più statuimo et ordinamo che morendo la donna, et rimanendo li figlioli pupilli vivente lo marito et lo patre, che esso come a legitimo administratore habbia cura delle persone et robbe di essi figlioli durante la età minore, dando idonea cautione di conservare et non barattare le robbe di essi pupilli.
  11. Item ordinamo e statuimo che essendo ditti pupilli o alcuni di essi passata la età pupillare, et venendo di età di anni diecedotto, et non volendo o non potendo stare con suo patre, che si possa partire da esso, et petere la robba et dote materna, ogniuno per la rata e parte toccasse a quelli che fussero di età passata di diecedotto anni; et chi non vorrà stare con lo patre, che il patre sia tenuto a restituirgli le robbe tantum, et niente de li frutti, ma come è detto le dote predette, et altre robbe materne di essi figlioli.
  12. Item statuimo et ordinamo che se la donna morirà rimanente li figlioli pupilli, li quali forsi venissero a morte in pupillari aetate, che in questo caso le dote et altre robbe materne de li ditti pupilli habbiano a ritornare allo dotante, o vero alli altri coniunti ex linea et parte matris, excluso ditto marito patre pupillorum: et perché se habbia a servare eguàlità, ordinamo che si forsi il marito venisse a morire superstite la sua mogliere e figlioli communi pupilli, li quali forsi morissero in età pupillare, che in questo caso le robbe paterne de li ditti pupilli debbiano devenire alli coniunti ex linea et parte patris, exclusa la ditta matre; excepto che lo quarto, che debbia essere di ditta donna.
  13. Et più ordinamo che se li figlioli venissero ad età che possono de jure testare, che in tali casu che se morissero intestati, succeda lo patre o la matre, li quali se trovassero supervivere alli ditti figlioli; et se li figlioli havessero fatto testamento se debbia servare la loro dispositione secondo che de jure serà.
  14. Et più ordinamo e statuimo che le donne, le quali da qui avanti morissero in la ditta Città di Andria, rimanendo figlioli et descendenti da esse, che la dote et altre robbe devenute ad esse da li agnati et cognati che non possano disponere se non de ogni diece una tantum: ma se morissero senza figlioli o altri descendenti da se, allora possano disponere liberamente de la meta integra, l’altra metà debbia ritornare alli dotanti, o vero a quelli da la parte de li quali le ditte dote et robbe sono pervenute alla donna: et se havessero havuto altro marito et havessero lucrato lo meffio et quarto, o havessero da li ditti suoi mariti havuto alcuna donatione, o aliter havessero acquisito alcune robbe, di queste possano disponere liberamente, lasciando alli figlioli o descendenti da se, o vero allo patre e matre, non havendo figlioli, la sola legitima.
  15. 15. Et declaramo, ordinamo, e statuimo che li soprascritti Capituli et statuti non solamente se habbiano ad osservare alli matrimonij contrahendi, ma ancho alli contratti dove si dice esserno contratti secondo lo novo ordine de lo illustrissimo quondam Duca Francesco Duca d’Andria: ma se circa quelli, che sono contratti da primo, et che non fanno mentione de lo ordine et modo predetto, et per Noi non declarati, declaramo e comandamo che se alcuno dubbio occorresse che se debbia consultare Noi primo che se faccia lite, nè altra declaratione.

Datum in Civitate nostra Andriæ ultima mensis Aprilis 1489.

FEDERICUS MANU PROPRIA DUX ANDRIÆ

NOTE

(1) Di questi Capitoli fa pure cenno Sempronio Ascia [o Asciola (1543-1613), di Bari, nel cui arcivescovado fu celeberrimo Auditor Generale del Rev.mo Decio Caracciolo] alla pagina 266 della sua opera intitolata: Determinationes in utroque jure [materiam contractuum ultimarum voluntatum, ac Juris Patronatus tam Ecclesiastici, quam Laicorum  mediantibus sententijis diffinitiuis per annos sex & triginta, in diversis terris, & civitatibus gubernatis, continent. Cum argumentis, summariis, et repertorio locupletissimo ... complectens], la quale fu pubblicata a Bari l'anno 1607 [apud Iulium Caesarem Venturam] nella forma dell'in-folio, giacchè egli dice che nella città di Andria sunt consuetudines in scriptis redactæ, quod existente filio in ætate 18 annorum, quod bona dotalia materna vadant ad filium, et pater cogitur restituere bona prædicta nullo usufructu per patrem retento.
Un esemplare di questo libro rarissimo e pressoché ignorato del nostro giureconsulto Ascia si conserva nella libreria dell'egregio signor Lorenzo Festa Campanile avvocato in Trani, ed in essa si trovano ancora i due volumi non meno rari de' Consigli criminali e civili di Orazio Persio, de' quali si è fatto menzione nel discorso. Molte cose di non lieve momento si apprendono dall'opera dell'Ascia, e fra l'altro che le Consuetudini di Bari avevano vigore in Noia (pag. 30), Turi (pag. 65), Rutigliano (pag. 102), Capurso (pag. 104), Mola (pag. 105), Castellana (pag. 122), Valenzano (pag. 167), Casamassima (pag. 171 ), e Conversano ( pag. 198 ), e che in terra Casamaximæ fuit conditum statutum, quod exteri non admictantur ad emenda bona stabilia civium terræ prædictæ ( pag. 190).


L’autore, come s'è detto in premessa, nel suo discorso dell’udienza svoltasi l’ 8 gennaio 1856, dichiara indispensabile considerare i Capitoli Matrimoniali di Federico D’Aragona, essndo stati utilizzati fino ai suoi tempi nei contratti civili locali.
Ecco i passi essenziali che riguardano soprattutto la città di Andria.

“… Molte consuetudini delle città di queste regioni sono state in vigore fino alla pubblicazione delle nuove leggi, ossia fino al primo gennaio del 1809, e spesso troviamo ne’ contratti precedenti ad una tale epoca che le parti le invocano o si riportano a ciò che con esse è sanzionato. …

Ben rammenterete che nelle conclusioni da me date nella udienza de’ 9 giugno ultimo per la causa della graduazione de’ creditori della eredità di Pietro Giuseppe Cantatore dovetti a lungo discorrervi de’ Capitoli della città di Andria, i quali non ancora sono stati dati alle stampe, e leggervene pure alcuni brani.
In quel giudizio intervenne la signora Antonia Cristiano vedova dell’erede del debitore espropriato chiedendo la restituzione del suo corredo, ma poiché nel suo contratto nuziale stipulato da notar Vincenzo Ieva di Andria ai 9 novembre del 1807 si leggeva essersi il matrimonio contratto secondo il tenore de’ Capitoli matrimoniali di questa suddetta città editi per la felice memoria del Serenissimo re D. Federico d’Aragona olim Principe di Altamura e Duca d’Andria, io vi mostrai non dover la sua domanda essere accolta come quella che veniva respinta dalle disposizioni contenute ne’ Capitoli medesimi. …

… … …

Sursero per la maggior parte le nostre consuetudini prima della fondazione della monarchia quando queste contrade erano sotto la dominazione più o meno diretta de’ greci, dei longobardi e de’ normanni. …

Per ciò che riguarda poi la città di Andria, non avrò che a ripetere quello che altra volta ebbi occasione di dirvi.
Francesco II del Balzo alla morte di Guglielmo suo padre succedette nel ducato di Andria che nell’ anno 1308 fu a Bertrando del Balzo suo bisavo portato in dote da Beatrice di Angiò, figliuola di re Carlo II e vedova di Azzo d’ Este marchese di Ferrara.

Questo duca Francesco fu Gran Contestabile, ed essendo un potentissimo barone ebbe non lieve parte nelle faccende politiche del regno in guisa che il suo nome spesso è ripetuto nelle nostre istorie del tempo della dominazione aragonese. Per opera di lui si scoprì in Andria ai 23 aprile 1438 il corpo di S. Riccardo, e di questa invenzione egli medesimo scrisse il racconto. Morì nel 1482, ed il suo scheletro nella sagrestia della Chiesa di S. Domenico in Andria dopo circa quattro secoli ancora intatto si conserva e con maraviglia è osservato da coloro i quali d’ogni parte appositamente vi si conducono.

Egli stabilì un nuovo ordine relativamente ai contratti matrimoniali degli andresani, ma il tenore delle disposizioni da lui emanate più non abbiamo, e solo si può argomentare che dovevano esse in certa guisa essere simili a quelle contenute ne’ Capitoli matrimoniali di D. Federigo d’Aragona, perciocché costui prescrisse dover ai suoi capitoli essere anche sottoposti i matrimonii precedentemente contratti secondo il nuovo ordine del duca Francesco.

A lui succedette il suo figliuolo Pirro, che fu più potente ma meno saggio del padre, e che avendo imprudentemente preso parte alla famosa congiura de’ baroni contra Ferdinando I d’Aragona fu dichiarato fellone e con la vita perdette ancora gli stati, che vennero incamerati al fisco: ma poiché l’ultima delle sue figliuole per nome Isabella era stata tolta in moglie dal principe D. Federigo d’Aragona, il re concedette a questo suo figliuolo il principato di Altamura ed il ducato di Andria.

Il nuovo duca, che in seguito ascese al trono, si condusse allora in Andria, e vedendo che per la oscurità della consuetudine spesso insorgevano quistioni tra gli abitanti di quella citta intorno agli effetti dei contratti matrimoniali, diede fuori nell’ultimo giorno di aprile 1489 uno statuto che doveva dileguare i dubbii e togliere gli abusi.

Un tale statuto, il quale fu intitolato Capitula matrimonialia ed ebbe vigore, come innanzi si è detto, fino al 31 dicembre del 1808, volle egli che fosse redatto in lingua volgare, perché venisse meglio da tutti compreso e non avesse d’uopo di dichiarazione. Esso è diviso in quindici capitoli, i quali, ad eccezione de’ primi due e dell’ultimo che furono pubblicati dal sacerdote d’Urso [2] sono tuttora inediti.”

NOTE

(2) D’Urso (Riccardo), Storia della città di Andria, pag. 116 e 117 (Napoli 1842 in 4.).

[tratto da “ Dello Studio delle Consuetudini e degli Statuti delle Città di terra di Bari, discorso letto nell’udienza de’ 8 gennaio 1856 da Luigi Volpicella, procuratore del re presso il Tribunale Civile sedente in Trani”, Napoli, Stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, 1856, pp. 6-8, 16-18, 33-37]