l'altare maggiore benedettino, di G. Di Gennaro

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Gli altari della Basilica di S. Maria dei Miracoli

Gabriella  Di Gennaro
(Architetto - Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia)
(stralci)

La Basilica della "Madonna d'Andria" si impone per la ricchezza dei suoi altari marmorei, opera di valenti artisti e commissionati nell'epoca d'oro del barocco napoletano.
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L'attuale altare maggiore

Questo superbo e imponente altare di epoca settecentesca è citato per la prima volta nell’opera di Giacinto Borsella (1770-1850), scritta intorno al 1850. Il Ceci aggiunge inoltre che «restano ignoti i valenti artefici che in pregiati marmi policromi distesero sotto le arcate laterali i ricchi panneggi e scolpirono gli altari minori e quello maggiore più sontuoso ed ornato». Seguono poi poche righe di descrizione dell’altare che, con altre opere, tra cui numerosi dipinti di un ignoto artista, realizzati per l’ornamentazione dell’antica chiesa di S. Benedetto, ora non più esistente, sono dovuti al lascito testamentario di Mons. De Anellis, vescovo di Andria dal 1743 al 1756.
In particolare l’altare venne realizzato con i legati dal Vescovo nel 1756, anno della sua morte, alla sorella Aurelia, monaca benedettina della Trinità, che «destinò le rendite del cospicuo patrimonio» di quella nobile famiglia «alla riedificazione e decorazione della Chiesa».
La chiesa, infatti, venne ammodernata nel Settecento, rifatta in gran parte e adornata di stucchi.
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Nessuna notizia è riportata nell’attuale bibliografia da me consultata circa l’autore di questo altare.
Ma un fortunato mio ritrovamento di un atto notarile del 1773 mi ha permesso di risalire all’anno di costruzione e all’artefice. Questa stipula, sottoscritta dal Monastero delle Benedettine nella persona dell’economo e procuratore D. Domenico Angelo Lacinesta e il marmoraro Marino Palmieri della città di Napoli, viene firmata da ambedue le parti previa visione di un disegno che, come consuetudine, veniva presentato e spiegato dettagliatamente al commitente. «Il suddetto maestro Marino sponte avanti di noi ... il disegno verrà firmato da ambedue le parti. Come pure un Comunichino, e due fonti per uso dell’acquasanta anche di marmi, ... e condurlo in questa predetta Città d’Andria, ... per Novembre del seguente Anno MilleSetteCentoSettantaQuattro».
L’altare, costato milleottocentoquaranta ducati, viene descritto nel documento secondo il disegno presentato dall’artista con tale meticolosità da riportare i marmi da impiegare nella costruzione e le misure precise dell’altare. Dal sopralluogo effettuato ho potuto constatare l’uso dei marmi citati nel documento, nonché la stessa composizione. Nel paliotto è rappresentata a rilievo l’immagine a mezzo Busto di S. Benedetto, inserita in una cornice a volute ritmata da sottili listelli di marmo giallo di Siena. Lateralmente, quasi ad inquadrare questo originale medaglione con fondo di fiori di pesco chiaro, probabilmente di riuso, si adagiano due putti che reggono rispettivamente gli attributi del Santo: una mitra ed un corvo avente nel becco un pezzetto di pane e sono rivolti verso S. Benedetto che regge il pastorale. Ai fianchi della mensa, sui pilastrini laterali, spicca lo stemma della famiglia De Anellis: un albero con al centro un pastorale ed un braccio che tiene un anello nella mano. Coronato e circondato da volute questo scudo presenta nel centro un destrocherio che regge tra il pollice e l’indice un anello, «avendo in testa una corona trapunta da globetti quasi fossero tante gemme che spiccano infisse nel cerchio di marmo bianco della medesima».
Fra i gradini soprastanti alla mensa, e la fascia che si estende superiormente, si ammirano dei cartigli con fogliame, rami di palme incrociati e frutta ed in particolare melograni. La fascia superiore, ugualmente pregevole per gli ornati, termina con una cornice a marmo bianco segnata da una fascia di marmo nero italiano.
Colpiscono, nel frontespizio, le tre statue allegoriche a figura intera simbolo delle tre Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità. Sui contornali due figure allegoriche, la Fede e la Speranza, si inseriscono nella già ricca decorazione che caratterizza l’opera. Quella di sinistra, la Fede, regge una Croce ed un Ostensorio, simboli eloquenti delle virtù che rappresentano. A destra, invece, l’àncora simboleggia la Speranza. Le vesti delle figure sono caratterizzate da un ricco panneggio alla Sanmartino. Ma il fulcro di tutta la composizione è la parte centrale superiore alla mensa: si tratta di un grande medaglione centrale, con fondo di fior di pesco chiaro, che riprende i motivi formali di quello del paliotto, bordato da una sequenza di volute appena arricciate che costituiscono una fascia continua. Un fregio superiore chiude la composizione in alto. Quindi, al centro dei gradini, in una cornice comprendente anche il tabernacolo, si innalza, in una gloria di angeli, la terza virtù, la Carità, che sorregge una fiaccola ardente. La porticina in argento del tabernacolo mostra a rilievo l’Ostensorio con quattro teste di Serafini con occhi umili e riverenti rivolti verso di esso.
Questo altare verrà completato nel 1774 e quindi collocato nella chiesa del monastero delle Benedettine, insieme a tutti gli altri sacri arredi, agli altri due altari marmorei laterali e ai dipinti, solo successivamente alla realizzazione degli stucchi.
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La chiesa e il monastero, nel 1939, furono demoliti per tutelare l’incolumità pubblica. L’altare maggiore fu conservato gelosamente dal Capitolo Cattedrale che, insieme al vescovo Mons. Brustia, nel 1965 ne fece dono al Santuario di S. Maria dei Miracoli.
In conclusione quest’opera, pregevole più per le ricche decorazioni scultoree che per i marmi impiegati, riprende nella tipologia il modello degli altari sanmartiniani della seconda metà del ‘700, e più precisamente lo schema più articolato dato da angeli capialtare e putti reggimedaglioni nel paliotto.
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In una cartella di G. Ceci circa i lavori di demolizione del 1935 trovo scritto che  «I lavori si intendono appaltati a forfait con corrispondenza al Comune da parte del’Impresa alla somma di £ 11.001: la quale impresa rimarrà proprietaria del materiale di spoglio (proveniente) dalla demolizione del manufatto, salvo per i fregi di opera che rivestono un pregio artistico come il Portale, l’altare, ecc. della Chiesa che saranno indicati dalla Direzione dei Lavori in parere della Sovraintendenza, che resteranno di proprietà del Comune».

[stralcio tratto da La Madonna d'Andria, studi sul santuario di S. Maria dei Miracoli, di AA.VV., Grafiche Guglielmi, Andria, 2008, pagg. 263-274]