il santuario tra '700 e '800

Contenuto

“Rivista Diocesana Andriese”

Anno LV - n. 3 - Settembre/Dicembre 2012

  STUDI 

Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria


1.   Il santuario della Madonna d’Andria, tra ’700 e ’800

di Vincenzo Zito

Agli inizi del ’700 il santuario doveva avere ancora un aspetto rinascimentale medievaleggiante, con le pareti affrescate e le superfici lapidee dipinte, così come riferisce il Pacichelli in occasione del suo terzo viaggio in Puglia nel 1686 (1) e com’è riscontrabile dai saggi effettuati e dai risultati delle demolizioni effettuate a partire dal 1911 (2) (Figg. 1-3).
Con l’affermarsi anche in Puglia dei modelli artistici del barocco, al quale successivamente fu data ingiustamente un’accezione negativa, anche per il nostro santuario fu avviato un programma di interventi volti ad adeguare l’edificio religioso al nuovo gusto estetico.
Un primo intervento fu opera del marmoraio napoletano Ferdinando de Ferdinando che nel 1720 realizzò l’altare centrale, oggi non più esistente (3).
Alla prima metà del ’700 si può ascrivere la sopraelevazione del secondo livello e della guglia del campanile, che sarebbe opera di un tale architetto Finelli (4).
Verso il 1745 furono collocati gli altari delle cappelle del Crocifisso e di S. Benedetto, opere di un altro marmoraio napoletano, Domenico Troccoli (5).
Dopo una pausa decennale fu la volta di un intervento di più vasta portata. Le pareti interne della chiesa superiore e di quella inferiore furono rivestite con stucchi e cornici. Questo intervento ha conferito l’aspetto generale baroccheggiante della basilica tutt’ora visibile e che, forse, ha avvalorato l’errata attribuzione dell’opera a Cosimo Fanzago (6). I lavori, e questa è una notizia inedita, furono eseguiti tra il 1753 ed il 1754 dallo stuccatore beneventano Nicolao Galante (7), secondo un “disegno” approvato che si conservava nel monastero e che, probabilmente, è andato perduto insieme all’archivio. Oltre ai lavori di stuccatura propriamente detti il Galante eseguì anche lavori extracontrattuali, tra i quali la demolizione delle pitture che decoravano le pareti (ad ulteriore conferma che la chiesa era tutta dipinta), la scalpellatura dei capitelli di pietra delle colonne, la formazione dell’ossatura del cornicione (forse quello della navata centrale), dell’ossatura di quattro altari e di alcune finte delle colonne. Nel contempo non furono eseguiti altri lavori previsti nel contratto relativi a due cappelle da realizzare a sinistra ed a destra dell’altare [maggiore]. Dovendo regolare i rapporti economici per le opere extracontrattuali e per quelle non eseguite, furono nominati i periti muratori Nicolò Antolino e Vito di Jeva, come risulta da un atto notarile del 1° marzo 1755, risolutivo di una controversia tra il Galante ed i benedettini (8).
La decorazione delle pareti della chiesa superiore era completata, sulle pareti non interessate da altari, da sei cornici identiche, evidentemente destinate ad ospitare altre tele. Ogni cornice delimita una specchiatura che misura cm 155 x 200, con due lobi alle basi, formati da segmenti circolari aventi la base di cm 130 e raggio diverso. Il lobo superiore presenta un’altezza di cm 46 con raggio di cm 70 ed è rivolto all’esterno della specchiatura. Il lobo inferiore ha un’altezza di cm 30 e raggio di cm 80 ed è rivolto all’interno della specchiatura. Le cornici si presentano sotto forma di medaglioni sospesi ad una cornice che delimita la parete di ciascun intercollumnio. L’attacco dei medaglioni alla cornice è identica per cinque di esse, mentre si differenzia quello posto nella prima campata della navata di sinistra.
Nella cappella di S. Benedetto le pareti laterali portano altre due cornici quadrate, della misura di cm 250 x 250 circa, impreziosite con articolate rientranze alla base inferiore e sporgenze su quella superiore. Anche queste cornici dovevano essere destinate ad ospitare altre tele.
Appena conclusa l’opera del Galante, sulle “ossature” da questi realizzate furono montati i quattro altari in marmo delle navate laterali, attribuiti al napoletano Giuseppe Bastelli (9). Contemporaneamente nel coro dietro l’altare maggiore furono collocate le tele della Natività di Maria e della Nascita di Gesù, almeno una datata 1755 e firmata da Alessio D’Elia (1718 – dopo il 1770). Nella cona del secondo altare nella navata di destra fu collocata la tela di S. Nicola, che anch’essa sarebbe firmata dal D’Elia e datata 1755. Alla stessa data ed al medesimo artista sono state attribuite le altre tele del Crocifisso, di S. Benedetto, di S. Michele Arcangelo, di S. Mauro che soccorre gli appestati e del Martirio di S. Placido, poste nelle cone degli altari delle cappelle e delle navate laterali (10). Allo stesso periodo dovrebbe anche appartenere la grande tela di Giuda Maccabeo vincitore di Nicàmore, collocata sulla retrofacciata del santuario. Anche questa tela, priva di data e firma, è stata attribuita allo stesso A. D’Elia (11).
Infine verso il 1757, come risulta dalle incisioni poste sulle transenne marmoree in corrispondenza delle scale, il presbiterio fu circondato da una balaustra di marmo bianco.
Il grandioso progetto di ammodernamento iconografico dei benedettini fu purtroppo interrotto dalla soppressione dell’Ordine e del monastero, avvenuta nel 1807 per ordine di Gioacchino Murat (12). La chiesa per molti anni rimase incustodita e fu addirittura privata di alcuni elementi. Tra questi si ricorda il coro ligneo e la tela di Giuda Maccabeo, ora rispettivamente nel coro della cattedrale di Bisceglie e sulla retrofacciata della chiesa di S. Nicola di Andria (13).
Con la venuta degli Agostiniani calzati nel 1838, la Basilica fu finalmente riaperta al culto quotidiano (14). I nuovi custodi, nel riprendere l’opera di “ammodernamento” iniziata dai benedettini, si occuparono anche di riparare ai guasti seguiti alla soppressione francese ed al lungo periodo di abbandono. Nel 1849 rivestirono la facciata della grotta con una nuova facciata, poi rimossa nel 1911, impreziosita con la installazione di un organo (15), opera del napoletano Michele Sessa. Successivamente, nel 1853, fecero eseguire sulla retrofacciata della chiesa l’affresco di S. Agostino che sconfigge gli eretici, opera del pittore foggiano Ernesto Affaitato. L’affresco andava a riempire il vuoto lasciato dalla grande tela di Giuda Maccabeo trasferita nella chiesa di S. Nicola. Si occuparono anche, ad opera del medesimo organaio Michele Sessa, della ricostruzione dell’organo della chiesa superiore, distrutto al tempo della soppressione francese, per la cui realizzazione la civica amministrazione andriese contribuì con un contributo di £ 200 (16). L’arredo della chiesa si arricchì anche di una serie di otto quadri del pittore settecentesco Francesco Robortelli (17), che rappresentano scene della vita di Gesù, donate nel 1843 dalla baronessa di Romagnano (con l’Unità divenuto “Romagnano al Monte”), città in provincia di Salerno (18). Queste tele, che al tempo del Merra adornavano gli spazi vuoti sulle pareti delle navate laterali della chiesa superiore, oggi sono esposte nella ex sala capitolare (19). Purtroppo l’opera di arredo della chiesa fu nuovamente interrotta nel 1866 perché con l’Unità d’Italia si giunse ad una seconda soppressione degli ordini religiosi e il Santuario fu definitivamente privato del monastero (20).
I frati, dopo diverse vicissitudini, solo in un secondo tempo e con grandi sacrifici, nel 1886 dettero inizio ai lavori di un nuovo monastero (21), dove attualmente alloggiano, e non potettero occuparsi del completamento della chiesa.
Soltanto con l’approssimarsi del 1907, cinquantenario dell’incoronazione della Vergine a patrona di Andria, e grazie all’impegno del P. Lo Jodice, fu possibile finalmente portare a compimento il progetto iconografico avviato nel 1753. Per tal fine importante è stata l’opera di Tito Troja.

 [tratto da “Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria” di A. Lomuscio, N. Montepulciano, L. Renna, V. Zito, estratto dalla "Rivista Diocesana Andriese" Anno LV - n. 3 - Settembre/Dicembre 2012, pagg. 158-162; Anno LVI - n. 1 - Gennaio/Aprile 2013, pagg. 178-179] (*)

[nelle seguenti pagine del sito potranno essere letti gli altri capitoli dello"studio":]

2.   Tito Troja, pittore “Agostiniano” in Andria (di Nicola Montepulciano)

3.   Tito Troja: un pittore al “servizio” della fede (di Annalisa Lomuscio)

4.   Il segno di un ordine religioso nell’arte e nella fede andriese (di Luigi Renna)


(*) In merito al presente estratto si precisa che:
- la rivista originale reca le immagini in toni di grigio: nell'estratto sono state riprodotte a colori per una migliore lettura; inoltre sono stati corretti alcuni refusi tipografici.
(1) Pacichelli G.B., Memorie novelle de’ viaggi per l’Europa cristiana, Vol. 2, Napoli, 1690. Un brano significativo degli affreschi secenteschi, raffigurante l’episodio del miracolo di S. Placido, è venuto alla luce nella chiesa inferiore, sulla parete che fronteggia la grotta (cfr. Montepulciano N. in “Nuove ricerche sul santuario della Madonna d’Andria”, Rivista Diocesana Andriese, n. 2 – Maggio/Agosto 2011, p.140-145).
(2) Ferriello M., Gli Agostiniani in Andria, Firenze 1931, p.49.
(3) Nappi E., «Documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli», in Pasculli M., Arte Napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Fasano 1983, p.306, docc.84-87. In Ferriello M., Gli Agostiniani in Andria, cit., è riprodotta una foto del vecchio altare. I resti dell’altare del de Ferdinando sono oggi sommariamente assemblati alle spalle dell’attuale altare.
(4) D’Urso, nella Storia della città di Andria, Napoli 1842, p. 140, che non cita la fonte. Effettivamente nella prima metà del ‘700 è documentata in Andria l’attività di un mastro Saverio Finelli, pertanto è da ritenere tale attribuzione verosimile. Forse il D’Urso trae la notizia dal manoscritto del prevosto Pastore, contemporaneo del Finelli, «Storia o descrizione della città di Andria», manoscritto tutt’ora irreperibile, che per ammissione dello stesso D’Urso è servito quale fonte per il suo libro sulla storia di Andria.
(5) Sulla paternità degli altari al Troccoli esiste la prova documentale soltanto per uno di essi (Nappi E., «Documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli» cit., p.307, doc.88). Tuttavia, data la notevole somiglianza, entrambi sono stati attribuiti al suddetto marmoraio (Pasculli M., Arte Napoletana cit., pp.135-143), attribuzione ripresa da Di Gennaro G. in «Gli altari della Basilica di S. Maria dei Miracoli», in La Madonna d’Andria, a cura di L. Bertoldi Lenoci e L. Renna, Andria 2008, p.263.
(6) Vedasi tutta la costante storiografia locale, contestata in Zito V., La lama di Santa Margherita e il santuario della Madonna dei Miracoli, S. Ferdinando di P. 1999, pp.85-86 e in Gelao C., «La chiesa di S. Maria dei Miracoli ad Andria. L’architettura», in La Madonna d’Andria, cit., p.115.
(7) Di questo artigiano, che è stato anche autore della stuccatura del cappellone degli Agonizzanti nella cattedrale, al momento non si conoscono altre opere in Terra di Bari. Il suo nome difatti manca nelle biografie redatte da Pasculli M. in Atlante del Barocco. Terra di Bari e Capitanata, Roma 1996, pp. 591-617.
(8) AST [Archivio di Stato di Trani], Fondo notarile, piazza di Andria, notaio Antolini Giuseppe, protocollo n.187, anno 1755, f.181. Nicolò Antolino è già noto per aver eseguito lavori al monastero benedettino (Zito V. in La Madonna d’Andria cit., p.153-154). Vito Jeva è noto per aver realizzato i campanili di S. Domenico e di S. Francesco (per quest’ultimo vedasi recentemente Zito V., «Committenza e maestranze nel rinnovo dello skyline urbano in Terra di Bari nel ‘700. La costruzione del campanile di S. Francesco in Andria», in Mediterranea – Ricerche storiche, n. 22, Agosto 2011, anno VIII, pp. 338-342).
(9) Pasculli M., Arte Napoletana cit., p.141, attribuzione ripresa da Di Gennaro G. in «Gli altari della Basilica di S. Maria dei Miracoli» cit. Gildone cit., p.60, riporta erroneamente “D. D’Elia”.
(10) ibidem.
(11) D’Elia M., «La pittura Barocca», in Aa. Vv., La Puglia tra Barocco e Rococò, Electa, Milano 1982, p. 294. A proposito di questa tela il Petrarolo, in San Nicola Trimodiense (Sveva ed., Andria 1993, p.17), afferma categoricamente, senza motivare l’affermazione, che la tela “è” di Sebastiano Conca (1680 - 1764).
(12) Merra E., Monografie Andriesi, Bologna 1906, Vol. II, p.394 e segg.
(13) Ibidem, pp. 396-398.
(14) Lo Jodice C., S. M. De’ Miracoli di Andria. Cenno storico, Napoli 1888, p. 18.
(15) Zito V. in La lama di S. Margherita e il santuario della Madonna dei Miracoli cit., p.90.
(16) Archivio storico comunale, «Acquisto dell’organo della chiesa di S. Maria dei Miracoli» (1851-1854), Cat.7-6-2, F.956. L’organo è stato recentemente restaurato dall’organaio Nicola Canosa di Matera.
(17) Gildone cit. (p.111) riporta il solo cognome. Loconte R., in Breve guida della Basilica di S. Maria dei Miracoli (Ed. Notarpietro, Andria 1958), riporta erroneamente “Robartelli”, errore ripetuto in Andria la mia città, ivi 1992, p.152. Petrarolo, in Il Santuario di Santa Maria dei Miracoli (Andria 2004, p. 58), riporta erroneamente “Michele Robertelli”, seguito da Melillo in Il 10 Marzo 1576 e le vicende del Santuario di Andria (ivi 2011, p.97). Ringrazio Nicola Montepulciano per la precisazione.
(18) Il titolo corretto è stato rinvenuto da Nicola Montepulciano in un “Registro degli esiti” presso l’archivio della basilica. Il Merra cit., scambiando il titolo nobiliare per cognome, scrive “baronessa Romagnano” (p.322 nota 15). Loconte cit., seguito da Gildone cit. (p.111), da Petrarolo cit. (p.58) e da Melillo cit. (p.97), erroneamente riporta “baronessa Romagnosi di Napoli”. Ringrazio Nicola Montepulciano per queste precisazioni.
(19) Le tele del Robortelli sono state sottoposte a restauro tra il 1971 ed il 1981 (cfr. De Venere C. et alii, a cura, Restauri in Puglia 1971-1981, vol. I, Schena, Fasano 1983, p. 31). Del pittore Francesco Robortelli, che delle otto tele ne firma tre e data 1749 una sola tela, non si conoscono al momento notizie. D’Elia cit., p.318, riporta erroneamente, forse per un refuso, la data 1737.
(20) Lo Jodice C., S. M. De’ Miracoli di Andria, cit., p. 24.
(21) Ferriello M., Gli Agostiniani in Andria, cit., p.46.

figura 1
Fig. 1) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata sinistra. Saggio al disopra del capitello del terzo pilastro a sinistra della navata principale. E’ ben visibile la struttura lapidea degli archi, dipinti a vivi colori.




figura 2
Fig. 2) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, presbiterio. Basamento di una lesena che inquadra l’arco del presbiterio dipinta con vivi colori, messo in vista a seguito della rimozione degli stucchi settecenteschi avvenuta a partire dal 1911.



figura 3
Fig. 3) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, chiesa inferiore. Superficie lapidea dipinta messa il luce dalla rimozione degli stucchi settecenteschi.