L'Icona di Andria, di Valentino Pace

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Si riportano di seguito alcuni interessanti brani di studio [1] sulla "ICONA  DI  ANDRIA" tratti da cinque approfonditi lavori del prof. Valentino Pace dell'Università di Udine.

(stralcio da ...)

"12- Attività greca in Puglia:
gli affreschi della chiesa abbaziale di Santa Maria delle Cerrate."

Squinzano-SMariaCerrate-AscensioneSanti
[Ascensione del Signore e Santi in S. Maria delle Cerrate a Squinzano]

Prima di rivolgere tuttavia l'attenzione a queste icone agiografiche [le due tavole di S. Nicola e di S. Margherita di Bisceglie] ... è opportuno dare adesso conto di una testimonianza ... il cui alto grado di interesse è in diretta proporzione col fatto che vi si manifesta all'opera una maestranza d'oltremare: si tratta della decorazione pittorica più antica della chiesa abbaziale di Santa Maria delle Cerrate, nei pressi di Squinzano (a una ventina di chilometri a nord di Lecce).

... Sul semicatino dell'abside centrale è raffigurata l'Ascensione di Cristo che, entro una mandorla sorretta da due angeli, sovrasta i due cori apostolici divisi al centro dalla Vergine a mezza figura (per via della monofora sottostante) in posa di orante. ...Sulla parete di sinistra si susseguono diversi pannelli, uno dei quali presenta la consueta immagine dei santi cavalieri (Giorgio e Demetrio) e un altro, fortemente picchettato per sovrapporvi un altro affresco, quattro figure frontali di santi, di cui la prima sulla sinistra è identificata dall'iscrizione, greca, con Luca. ...

... il fatto che nel Salento potessero essere attivi pittori greci è inequivocabilmente documentato da una lettera, resa nota dal Lascaris, che a Nectario, igumeno di Casole fra il 1220 e il 1235, inviò il metropolita di Corfù, Giorgio Bardanes, con la seguente, calda raccomandazione di un pittore, evidentemente greco: "Siano rese molte grazie a quest'uomo esperto dell'arte pittorica, che tanto tempo visse con noi con diritta saggezza e che da poco fu inviato da noi nella buona speranza che s'incontrasse con la tua saggissima e fraterna santità". Si potrà pertanto dire che, pur non necessariamente coincidendo, il ciclo delle Cerrate apporta la preziosa testimonianza di concreta conferma a tale documentazione e che esso dovrà trovar posto a pieno diritto, fra l'altro, in una storia dei fatti mediterranei della pittura bizantina: e non soltanto per la decorazione absidale, ma anche per i bei frammenti reimpiegati sul muro della parete destra e per il pannello coi quattro santi frontali.

… … …

"13. Le relazioni con l'oltremare nella pittura su tavola:
l'icona di Andria, il Crocifisso delle Tremiti,
le icone agiografiche da Bisceglie, le icone del secondo Duecento"

Se, come negli affreschi delle Cerrate, anche la splendida icona della Madonna col Bambino - conservata nell'Episcopio di Andria - sia un prodotto di un pittore "bizantino" o se invece sia stata eseguita da un pittore italo-meridionale (pugliesi o siciliani, forse anche campani possono avere legittime aspirazioni; non di certo - come pure si è supposto - i toscani) resta problematico.

Pulsano-SMaria-MadonnaConBambino
[Madonna Con Bambino,
in Santa Maria a Pulsano]

Problematica ne è altresì la data (nell'arco del XIII secolo) e ciascuna proposta ha avuto i suoi autorevoli assertori con le loro valide ragioni. Indiscutibile è che dal frammento - perché tale essa è, ridotta a una misura "portatile" di cm 72x52 ben minore della sua grandezza originaria [2] - si sprigiona una qualità di capolavoro: il soffuso dosaggio cromatico sfumato di tinte rossastre sul dolcissimo volto della Vergine vi è vivificato dalle lumeggiature bianche, con un effetto che può ricordare icone cipriote protoduecentesche (per esempio quella di Kerynia) richiamabili alla memoria anche nel "tipo" di Bambino; ma la qualità pare qui più alta e la veste rossa del Bambino, dinamicamente segnata da una trama di pieghe dorate, induce a ricordare esperienze tardo-comnene quali possono essere esemplate dal celeberrimo angelo dell'Annunciazione costantinopolitana del Sinai, resa nota dal Weitzmann.

Per questa sua qualità e per l'assenza di orientamenti "paleologi", l'icona è plausibilmente riferibile all'arco della prima metà (possibilmente agli inizi) del XIII secolo, mentre ne resta aperta la referenza geografica di stretto raccordo bizantino. Indiscutibilmente dové essere in Puglia, se in Puglia non fu eseguita, sin dalla metà di quel secolo perché in vario grado ne dipendono le icone della Madonna col Bambino che variamente si scaglionano nella seconda metà del '200. Avviene così che, per l'intrinseca limitatezza di un confronto con quanto si fece dopo, difficilmente può riceversi la conferma dell'ipotesi pugliese: la similitudine di trattamento disegnativo e pittorico nel volto della Madonna tranense del Fonte (leggibile, credo, con una fedeltà all'originaria stesura che non so quanto abbiano le altre parti) è indicativa di un seguito dell'icona di Andria altrettanto inutile, al nostro quesito, quanto, per esempio, la cognizione della "distorta" dipendenza dal volto del Bambino, di quello tenuto in braccio dalla Madonna di Pulsano. Come per la Bibbia di San Daniele l'icona di Andria resta perciò un'"ipotesi pugliese" e con quella, pur senza il conforto di discutibili connessioni di stile, potrebbe forse configurare gli apici di una stagione bizantina.

Fatta eccezione per questa problematica icona di Andria, la restante produzione duecentesca su tavola conservata oggi in Puglia (o nelle aree contermini da essa dipendenti, come la Lucania) è "pugliese": dalla Croce dipinta della chiesa di San Nicola nelle isole Tremiti o dalla icone di S. Nicola e di S. Margherita attualmente nella Pinacoteca di Bari a tutte le altre icone della Vergine eseguite tra il secondo Duecento e il primo Trecento.

La prima è opera sin troppo poco nota, quando si pensa che ad essa hanno rivolto l'attenzione soltanto l'immancabile Garrison e, con un accenno assai marginale, il Bertelli, che concludeva il suo intervento sull'Exultet 3 di Troia dicendolo «necessario passaggio alle affermazioni della pittura pugliese dei primi anni del Duecento, specialmente al raffinato bizantinismo del Crocefisso delle Tremiti». Essa può infatti ricollegarsi d'un lato - giusta l'indicazione dello studioso italiano - a quell'importante manufatto liturgico, d'altro lato alla linea evidenziata dalla icona di Andria, con una verosimile datazione all'iniziale XIII secolo.

Si tratta di un raro esempio di Croce dipinta a due facce. Sul recto è dipinta l'immagine del Cristo crocefisso da quattro chiodi, dal volto atteggiato a una espressione serena e dal corpo - rivestito da un perizoma lungo fino alle ginocchia - rettilinearmente impostato sul suo asse verticale, affiancato dai due dolenti rappresentati su scala ridotta a figura intera nel tabellone centrale. In alto una monumentale iscrizione in lettere capitali greche, oggi lacunosa, recitava: ΙϹ  Ο  ΒΑϹΙΛΕϒ[Ϲ]  ΧϹ  ΔΟΞΗϹ (cioè Ihesus Christus rex Gloriae). Sul verso un medaglione con l'Agnello è posto al centro di un tappeto di racemi vegetali stilizzati bidimensionalmente (come sulle pagine di manoscritti occidentali transalpini).

Dell'Exultet troiano, con cui è in qualche (leggera) misura imparentato per il sistema di pieghe sul perizoma o sulla veste del S. Giovanni, il Crocefisso mostra tuttavia di non condividere le cadenze tardo-comnene (monrealesi) svolgendo altresì caratteri pittorici ben più marcati, che nello splendido volto del Cristo possono essere colti e apprezzati al meglio. Ed è qui che, ancora una volta, il rapporto di fondo s'instaura con icone cipriote su una linea che sta tra quella, del monastero di San Crisostomo e quella del palazzo episcopale di Kerynia.

Ritornano in tal modo termini di riferimento già assunti per l'icona di Andria, il quesito della cui origine trovi esso risposta nella Puglia o nell'isola di Cipro viene così ad articolarsi più verosimilmente in un contesto di relazioni già operanti nei decenni del trapasso dall'uno all'altro secolo. Che, d'altronde, Crocefisso e Icona possano convergere su una stessa origine e siano uniti, malgrado le reciproche diversità, da un esponente stilistico comune, è dimostrato dal fatto che anche dal Crocefisso è possibile far discendere una linea di analogie nelle icone: per esempio ancora una volta in quella di Trani (il cui irrobustimento cromatico e lineare rispetto ad Andria è dovuto - se lo stato di conservazione non inganna - all'intervento del modello delle Tremiti, o, ovviamente, di altro analogo) o in quella di Mola.

Crocifisso delle Tremiti   Tavola di S. Margherita   Tavola di S. Nicola
[Il Crocifisso delle Tremiti    e    le due tavole dipinte di Bisceglie: S. Margherita e S. Nicola]

Sulle stesse direttive (Cipro-Terra Santa) si indirizzano anche le ascendenze delle due icone «agiografiche» cui si è appena accennato precedentemente. Originarie della chiesa di Santa Margherita di Bisceglie, sono esposte adesso nella Pinacoteca provinciale di Bari. Di uguale grandezza - irrilevanti le varianti di pochi millimetri - esse misurano 128 cm di altezza e 83 di larghezza; nell'una è raffigurata al centro l'intera figura frontale della S. Margherita in posizione orante, affiancata dalle storielle della sua vita e della sua passione (oggi in numero di dodici, ma una volta certamente sedici a contornare sui quattro lati la Santa), nell'altra la figura del S. Nicola intorno al quale si dispongono analogamente scenette. ... ... ...

[da "La pittura delle origini in Puglia (secc.IX-XIV)" di Valentino Pace, in "Civiltà e culture in Puglia", vol 2°, Electa editrice, 1980, pagg. 353-360. L'estratto è pubblicato anche nel sito "www.academia.edu"]

L'Icona di Andria
[La bellissima   Icona di Andria - Museo Diocesano "San Riccardo"]


(stralcio da ...)

"Icone di Puglia, della Terra Santa e di Cipro:
appunti preliminari per un'indagine sulla ricezione bizantina nell'Italia Meridionale duecentesca"

Icona di Kerynia - Cipro
[Icona di Kerynia, Cipro]

... Un’altra area artistica della massima importanza per fa Puglia (e per l’Italia meridionale) sulla quale troppo poco è stato finora posto l'accento è Cipro.
Intorno all’iniziale Duecento - dunque prima che si realizzassero quelle situazioni di riflusso dalla Terra Santa succe;ssive alla perdita di Gerusalemme (1244) e di Acri (1291), dopo la quale il Regno latino avrebbe trovato nell’isola il suo ultimo baluardo e in seguito alla quale avrebbe verosimilmente avuto luogo anche una. diaspora di pittori conclusasi sulle sponde pugliesi - alcune opere testimoniano infatti con chiarezza, pur se finora insospettata, questo stato di cose.

Mi riferisco in primo luogo alla splendida icona di Andria, nota agli studiosi con le differentissime indicazioni fornitene dal Garrison, dal Volbach, dal Bologna e, a più riprese, dal D’Elia, con un ventaglio di localizzazioni che svariano tra Bisanzio, la Puglia, la Sicilia, forse la Campania e un’impossibile Toscana, in un arco cronologico che privilegia l’immediato inizio del secolo nel riferimento a Bisanzio, la seconda metà nella sua collocazione italiana.
Infelicemente diminuita dalla drastica riduzione di formato - oggi essa misura solo 72x52 centimetri [nel 1909, come in nota 2 riportato, misurava 120 x 85 centimetri] - l’opera s’imparenta talmente per stile con un’icona cipriota dell’iniziale Duecento, quella del palazzo episcopale di Kerynia (fig. 168), da doversene desumere o una medesima origine come vorrei credere, o una esecuzione condotta sulla stretta osservanza di quei modelli stilistici.

Che nell’Italia meridionale, continentale o insulare, ciò potesse avvenire a tale livello di qualità (di un’altezza di cui la sola visione diretta può dare piena coscienza, soprattutto per la raffinatezza dei dosaggi cromatici) è problematico ma non può essere escluso. ...

Per questa icona di Andria non militano comunque, a favore di una sua origine in Puglia, le successive ma generiche dipendenze di impostazione iconografica della successiva produzione iconica pugliese; in quanto esse possono attestare al più, l’influente presenza del modello, non la sua originaria esecuzione nella regione; al proposito è anzi da lamentare che purtroppo ad Andria le lacune ci impediscono di sapere se fossero presenti gli angioletti sugli angoli alti della tavola e se il Bambino stringesse nella mano sinistra il rotulo; in ossequio alle normative bizantine, o afferrasse il pollice della Madre, come sarebbe avvenuto per una delle due icone da Giovinazzo.

È pertanto più significativo, in quanto è il sicuro livello di stile a esserne coinvolto, che all’icona di Andria possa esserne accostata una assai poco conosciuta, se non totalmente inedita, nel S. Francesco di Aversa (fig. 169), dunque in Campania. Sono intervenute, chiaramente, delle varianti: nell’iconografia - da una versione dell’Odigitria ad altra della Galaktotrophousa - nel tipo fisiognomico della Madre il cui volto è adesso più allungato - e nella figura del Figlio che, a parte il mutamento fisiognomico, è adesso rivestito soltanto di un avvolgente velo trasparente, per la cui rara presenza diviene degno di nota che esso si ritrovi in un affresco nel S. Nicola di Mottola, in Puglia. Ma la qualità stilistica delle due icone è sostanzialmente la medesima. Per quel poco che essa varia (indipendentemente dall’eventuale, possibile, distacco cronologico non quantificabile in uno o più decenni) più pertinente diviene il rapporto con un’altra icona cipriota pur essa tardo-comnena, quella di un arcangelo nel monastero di S. Giovanni Crisostomo (fig. 171), che a sua volta è stata correttamente accostata dal Weitzmann con l’icona dell’Odigitria nel monastero di Grottaferrata (fig. 170).

Parrebbe così che il proverbiale cerchio possa chiudersi e che in questa linea «Andria-Aversa-Grottaferrata» l’Italia meridionale duecentesca renda omaggio, per via di importazione o imitazione, all’essenziale ruolo di tramite bizantino svolto da Cipro.

Icona di Corsignano, Giovinazzo Icona della chiesa-Monastero di Aversa Icona del Monastero di Grottaferrata Madonna della Madia - Monopoli
[Icona di Corsignano, Giovinazzo - Icona di Aversa - Icona di Grottaferrata - Icona Madonna della Madia di Monopoli]

Almeno un’altra notazione è peraltro da aggiungere nell’ambito di queste icone cui si è limitata la presente esposizione: la monopolitana «Madonna della Madia» (fig. 172) presenta un’aureola a racemi in pastiglia e l’inserzione dei suoi committenti a figura intera e in scala ridotta, che sono stati ritenuti connotati tipici della produzione cipriota ovvero di quella crociata. ... Al di qua delle circostanze documentarie e delle ragioni storiche, è suggestivo concludere ricordando che già le tradizioni locali contengono in nuce questa verità, pur se velata dalla poesia della leggenda e dalla fede nel miracolo. Il senso degli avvenimenti può infatti cogliersi ancora oggi quando, a proposito dell’icona monopolitana, si legge che dal mare «nella notte sul 16 dicembre 1117 giunse nel porto di Monopoli una zattera o madiata di grosse e lunghe travi con un’effige della Beata Vergine, che si reggeva sulle travi senza il ministero dell’uomo».

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[da “Icone di Puglia, della Terra Santa e di Cipro: appunti preliminari per un'indagine sulla ricezione bizantina nell'Italia Meridionale duecentesca” di Valentino Pace, in “Il Medio Oriente e l'Occidente nell'arte del XIII secolo”, a cura di Hans Belting, Editrice C.L.U.E.B., Bologna, 1982, pagg. 181-191]. - L'estratto è pubblicato anche nel sito "www.academia.edu".


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“Presenze e Influenze Cipriote
nella Pittura Duecentesca Italiana”

La «questione cipriota» nella pittura italiana duecentesca può essere discussa considerandone due livelli. Il primo è concretamente rappresentato dalla presenza in Italia di opere importate dall’isola greca, il secondo si rivolge alle opere i cui esiti formali devono fame presupporre un’esperienza di modelli ciprioti. Un terzo ordine di considerazioni riguarda invece, a latere, la documentazione sull’attività «italiana» di pittori dell’oltremare adriatico o mediterraneo, a testimonianza delle inerenze «greche» della cultura figurativa peninsulare.

Tre sono le opere che, nell’arco cronologico considerato, hanno buona possibilità di essere ascritte a pittori ciprioti e sono tuttora conservate in Italia. Sono tutte e tre icone della Madonna col Bambino: l’una già nel convento delle Benedettine di Andria, in Puglia, la seconda nella chiesa del monastero di S. Nilo a Grottaferrata, la terza è la venerata «Madonna della Madia» di Monopoli, pure in Puglia.

Finora riferita a pittore duecentesco attivo in Italia - con localizzazioni alternative fra la Toscana, la Puglia, la Campania o la Sicilia - ma anche cautamente accreditata all’Oriente bizantino o a Cipro, l’icona di Andria (fig. ...) si caratterizza con una qualità esecutiva che giustifica la domanda se essa non sia addirittura da riconoscersi come opera «metropolitana» ovvero costantinopolitana. L’interrogativo «Bisanzio, Cipro o Italia?» che la coinvolge assurge dunque ad emblematico caso limite della possibilità di reciproche pertinenze fra queste aree, condividendo in ciò la sorte delle due celebri «Madonne» della National Gallery di Washington.

A un pittore italiano l’icona di Andria è tuttavia, a mio avviso, difficilmente attribuibile: non solo perché, in negativo, dalla Toscana alla Sicilia, non si ritrovano opere che le siano formalmente accostabili in maniera cogente, tale da convincere a una comune attribuzione, ma soprattutto perché s’impone, in positivo, l’evidenza del riscontro con icone cipriote: in primo luogo con l’icona di Kerynia (fig. ...), la cui origine cipriota non mi consta che sia mai stata messa in dubbio, e con quella del monastero di San Crisostomo (fig. ...). L’icona di Andria rappresenta l’Odigitria, in una versione «umanizzata» rispetto al suo specifico canone iconografico sia per via del diretto rapporto instaurato fra la Vergine e il fedele, sia per via del realistico gesto con cui la Madre stringe il Figlio; dall’utile confronto con un’altra famosa icona costantinopolitana, quella in mosaico del monastero sinaitico di S. Caterina, con cui pure strettamente condivide le soluzioni stilistiche degli analoghi tratti fisiognomici - ed è questa la ragione per un eventuale riferimento a un pittore della Capitale - essa risulta d’un lato più conforme alla sua tradizione d’immagine nel ricollocare il Bambino sulla destra e nel prospettarla su fondo oro, d’altro lato eterodossa perché infrange un rilevante canone iconografico, per l’esattezza di iconografia del colore: il volto della Vergine vi è infatti contornato da un’insolita cuffia di color rosso vivo, che prende il posto di quella consueta sui toni di blu. Sulla base di questa argomentazione iconografica è dunque possibile ipotizzare l’esecuzione dell’icona di Andria in un ambiente o, almeno, per una committenza non metropolitana e può plausibilmente ribadirsene, per la positiva evidenza del confronto con Cipro, l’origine in quest’isola.

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[da “PRESENZE E INFLUENZE CIPRIOTE NELLA PITTURA DUECENTESCA ITALIANA” di Valentino Pace, estratto da “XXXII Corso di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina”, a cura di “Università degli Studi di Bologna, Istituto di Antichità Ravennati e Bizantine – Ravenna”, Edizioni Del Girasole, Ravenna, 1985, pagg. 259-265]. - Pubblicato anche nel sito "www.academia.edu".


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"Circolazione e ricezione delle icone bizantine: i casi di Andria, Matera e Damasco"

... nel 1964 si tenne nella Pinacoteca Provinciale di Bari la Mostra dell'arte in Puglia dal tardo antico al rococò ... Fra le opere che allora vennero esposte e che successivamente sono entrate nel circolo di un ampio dibattito critico, ricordo in primissimo luogo la splendida Madonna col Bambino della cattedrale di Andria (figg. 1, 4-5), allora riferita nella didascalia ad «Anonimo trscano del XIII secolo», pur se il testo della pertinente scheda non ne escludesse «una derivazione diretta dall'oriente bizantino». La storia critica successiva di questa icona è ben nota, anche se su di essa manca una convergenza di pareri, dei quali rende ben conto la scheda di catlogo della mostra sulle Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento, tenutasi a Bari nell'autunno del 1988. ...

La tappa successiva è quella segnata .. dallo stesso D'Elia nel suo articolo Per la pittura del Duecento in Puglia e Basilicata, nel quale dell'ipotesi toscana non si fa più menzione, mentre della Madonna si scrive, pur sempre con la dovuta cautela, come la possibile «matrice nobile» delle Madonne pugliesi. La nobiltà della matrice, cioè l'alta qualità dell'opera è ciò che deve essere ancora una volta ribadito, anche se purtroppo dal consenso per un'osservazione del genere non derivi un consenso sulle coordinate geo-storiche dell'opera.

È del tutto probabile che questo consenso non venga mai raggiunto, per l'esclusiva dipendenza della soluzione del problema dalla soggettività dell'analisi stilistica, ma almeno un fatto dovrebbe essere certo (o, almeno, spero che come tale esso sia riconosciuto) ed essere utilizzato alla soluzione del problema: indipendentemente dalla questione della sua valenza prototipica — in senso iconografico — di recente messa in dubbio, l'icona di Andria non deve essere necessariamente discussa nel contesto di quanto a avvenuto «dopo» in Puglia.

Questo contesto può essere ovviamente utile, fra l'altro, a circoscriverne la cronologia o, forse più precisamente, la data della sua importazione in Puglia, ma non necessariamente a illuminarne le condizioni di produzione.

L'icona di Andria si colloca infatti a una data che indiscutibilmente ruota intorno al 1200 e comunque non dovrebbe oltrepassare il primo quarto del XIII secolo — dunque non soltanto in anticipo di almeno un cinquantennio su quanto l'ipotesi toscana aveva fatto necessariamente implicare, ma anche su quanto in Puglia le si può a diversa ragione accostare; si tratti del Crocefisso delle Tremiti, delle «icone agiografiche» da Bisceglie, della monopolitana Madonna della Madia o altro ancora.

Questa data la si desume, a mio avviso, sia dalla data delle opere cui «Andria» più si approssima e che, inevitabilmente, implicano un primario referente bizantino, sia dal dinamismo della crisografia sulla veste del Bambino, assolutamente consona all'eta tardo-comnena e ai suoi monumenti. Per quel che concerne i confronti «in positivo» va in primissimo luogo ricordata l'icona musiva del Sinai, poi la Madonna nella lunetta del portale della cattedrale di Monreale, la prima (fig. 2) essendo opera di assoluta eccellenza qualitativa universalmente riferita a Costantinopoli intorno al 1200, la seconda (fig. 3) dovendo condividere la sorte dei mosaici della stessa chiesa e dovendo dunque datarsi sicuramente entro il XII secolo — verosimilmente entro il 1189 — e riferirsi a un mosaicista di sicura educazione artistica bizantina.

Madonna col Bambino - Monastero S. Caterina, Sinai      Madonna a mosaico nella lunetta del portale del Duomo di Monreale
[Madonna col Bambino: 1-Monastero S. Caterina, Sinai; 2-Mosaico del Duomo di Monreale]

È in proposito significativo che per qualità di stile, ovvero di esecuzione, l'icona di Andria sia addirittura più prossima a quella sinaitica che alla siciliana, come evidenzia (a chi la veda di persona di certo con maggiore chiarezza che attraverso la riproduzione fotografica) la similitudine del suo delicatissimo gioco di luci sui volti, ovvero la simile costruzione in termini di puro pittoricismo — con l'assenza di quelle trame lineari nelle quali tanto facilmente si coagula la forma disegnativa di altre icone e dalle quali non è nemmeno indenne l'immagine monrealese.

Dall'una o l'altra delle due opere, se non pure da tutt'e due, l'icona di Andria si diversifica tuttavia ora per uno, ora per altro dettaglio, in quanto diversa per la sua formulazione d'immagine che è stata definita «una combinazione» dell'Odigitria e dell'Eleousa. Tale essa potrebbe forse correttamente definirsi se non fosse che queste stesse categorie iconografiche implicano di frequente varianti al loro interno, così da renderne difficile una definizione canonica. Ciò lo si può constatare al suo confronto con le due cosiddette Odigitrie del Sinai e di Monreale: a cominciare dallo sguardo della Vergine, indirizzato, a Monreale — e ad Andria, ma non al Sinai! — verso il fedele, a stabilire con lui un diretto nesso devozionale. Agli occhi della Vergine, innalzando verso di Lei i propri, è anche rivolto lo sguardo del Bambino di Andria, mentre a Monreale Egli segue con lo sguardo la direzione della mano benedicente e al Sinai mantiene un'impassibile astrazione, perfettamente consona alla gravità dell'immagine. La benedizione è impartita ad Andria con la mano quasi distesa in proseguimento dell'avambraccio, mentre altrove è sollevata. Diversamente da ambedue le altre e in coerenza con questa maggiore umanizzazione dell'immagine, la Madonna di Andria stringe a sé con la Sua mano sinistra il Figlio, esprimendo una forza affettiva che è quella già evidenziata dal celebre mosaico costantinopolitano eseguito per Giovanni II Comneno a Santa Sofia e in seguito sull'abside cipriota di Lagoudera. È una gestualità che dové comunque essere nota anche da icone se, come verosimile, da un prototipo iconico essa fu copiata in una miniatura di un Salterio dell'XI secolo, oppure in una miniatura siciliana di discussa datazione fra sec. XII exeunte e XIII ineunte o, ancora, in altre opere pia tarde. Più naturalistico rispetto all'astratta soluzione dell'icona sinaitica e poi ad Andria — e con diversa formulazione anche a Monreale — il modo con cui il maphorion della Vergine discende dal capo e incrocia i suoi due lembi sotto il giro del collo, dove illogicamente si interrompe tuttavia il percorso della fettuccia dorata che lo orla. Solo ad Andria infine, fra le tre opere in questione, il volto della Vergine è incorniciato da una cuffia rossa, come pure avviene di frequente a Cipro, in Dalmazia e in Toscana, per citare aree con cui la Madonna di Andria è stata messa in riferimento. Diversamente dall'icona sinaitica e dalla lunetta monrealese il Bambino di Andria indossa una vesticciola purpurea rabescata d'oro cui «non» si awolge nessuna forma di cinta (Sinai) o bretella (Monreale) e che è solo connotata dalle rabescature dorate della crisografia — qui del tutto assente sul manto della Vergine. Per il manto che avvolge la spalla destra della Vergine il pittore di Andria sembra aver utilizzato un modello simile a quello monrealese, diminuendo tuttavia l'angolo di caduta delle pieghe, disposte adesso più in orizzontale.

Madonna da Laugodera - Nicosia, Cipro
[Madonna da Laugodera - Nicosia, Cipro]

Nella sua formulazione di immagine, con le sue sottili varianti di espressione affettiva dall'Odigitria del Sinai, o dalla Sponsa sue prolis. Stella puerpera solis, come viene definita a Monreale, l'icona di Andria sembra voler sottolineare ancora più esplicitamente quel presentimento della passione del Figlio da parte della Madre più volte trattata nell'omiletica bizantina e visualizzata col massimo di chiarezza nell'affresco della Vergine della passione nella chiesa cipriota di Laugoudera ... [fig. 6].

Alla sicura precisazione sul luogo di produzione dell'icona i dati d'immagine non aiutano. Al di là di quanto esposto, nemmeno le affinità, che pure esistono e sono state indipendentemente colte — dallo Holler e da Pina Belli D'Elia — con un'icona di Zara, sono utili. Esse sono infatti radicalmente cancellate dalla sua qualità palesemente inferiore, di cui sono prova tanto l'insoddisfacente inclinazione 'prospettica' della testa della Vergine — a confronto del misuratissimo canone seguito ad Andria — quanto proprio la minore raffinatezza esecutiva. È questa ineludibile distinzione di qualità che non aiuta nemmeno in questo caso a 'spiegare' «Andria», ma solo a radicalizzarne l'isolamento 'genetico' anche nel contesto dalmatino. Nella misura in cui, anzi, il riconoscimento qualitativo ha un senso, può affermarsi che «Andria» si distacca dalla Dalmazia o dalla Puglia per la sua 'ideale' valenza di modello, anche se essa a sua volta fu verosimilmente copia da un altro modello perduto.

Allo stato delle nostre conoscenze non ci si può dunque che attestare su un rinvio necessariamente indefinito all'«oltremare bizantino», nel quale nulla autorizza a escludere una qualsiasi area di produzione dove — verosimilmente a una data intomo al 1200 — sia testimoniata o sia almeno in teoria plausibilmente ipotizzabile l'attivita di una bottega pittorica capace di una corrispondente qualità: per esempio Costantinopoli, oppure Patmos o Cipro, o anche la Sicilia.

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[da "Circolazione e ricezione delle icone bizantine: i casi di Andria, Matera e Damasco" di Valentino Pace, in "Studi in onore di Michele D'Elia", a cura di Clara Gelao, R&R Editrice, Matera / Spoleto, 1996, pagg. 157-165]. - L'estratto è pubblicato anche nel sito "www.academia.edu"


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"La transperiferia bizantina nell’Italia meridionale del XIII secolo.
Affreschi in chiese del Salento pugliese, della Basilicata e della Calabria"

Il 1201, anno iniziale del XIII secolo, non è segnato da particolari eventi che ne facciano ricordare la data nei libri di storia dell’arte o, in generale, di storia. Diversamente avviene per il 1204, quando la conquista di Costantinopoli ne determina il saccheggio, ponendo le condizioni per l’esportazione e l’arrivo in occidente di numerose opere fin allora presenti nella capitale dell’impero bizantino. Tornante decisivo per Venezia, il 1204 non lo fu però in altre aree, soprattutto là dove Bisanzio era stato referente artistico primario, in primissimo luogo la Sicilia, ma anche l’Italia meridionale in genere, dove già prima della famosa chiamata di artisti a Montecassino da parte dell’abate Desiderio, la presenza e la ricezione bizantina avevano svolto un ruolo essenziale.

S. Maria delle Cerrate - zona presbiteriale
[S. Maria delle Cerrate - zona presbiteriale ed abside mediana]

Lungo un percorso secolare che inizia a declinare soprattutto con il XIV secolo l’Italia “artistica” tutta sperimenta “Bisanzio”, ma con diversi gradi di ricezione e di percezione, oltre che di espressione in termini di qualità. In Italia meridionale la situazione si profila peraltro con la forza e la specificità dovute alla presenza di comunità di lingua greca, sia nella società civile che in quella religiosa, che ne determinarono l’inevitabile inerenza ai sistemi di comunicazione d’immagine di quel mondo “al di là del mare”.

È peraltro in Puglia e soprattutto nel Salento pugliese, ancor più che in Calabria (per restare nella penisola, senza varcare lo stretto) che nei messaggi rispondenti ad esigenze di figuratività affidati al colore e al pennello, ovvero alla pittura e all’illustrazione libraria, si manifestano con la massima durata e ampiezza orientamenti figurativi che possono a ragione qualificarsi con il comune denominatore della “maniera greca”, pur avendone diverso spessore e diversa inerenza.

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Il monumento di maggiore spessore qualitativo nell’arco cronologico qui preso in considerazione è certamente la chiesa di Santa Maria delle Cerrate, così come l’opera che al meglio esprime l’intrinsecità delle relazioni mediterranee con il mondo bizantino è la splendida “Madonna con il Bambino” di Andria (in Terra di Bari). È inevitabile prendere l’avvio da qui, perché è negli affreschi della chiesa e nell’icona che il referente di Bisanzio s’impone con maggiore evidenza e forza.

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Nei decenni intorno al 1200 queste chiese [Santa Maria delle Cerrate, in Puglia – Santa Maria di Anglona, in Basilicata – Sant’Adriano a San Demetrio Corone, in Calabria] costituiscono i principali esiti di quella che, mutuandone il termine dalla storiografia sull’arte occidentale, si potrebbe chiamare la “transperiferia” bizantina, indicandosene così la sua inerenza alla circolarità figurativa di Bisanzio, ma nel contempo sottolineandone la forte specificità territoriale, conseguente alla propria storia. Questa circolarità ‘transperiferica’ poté sostanziarsi di presenze di artisti e di importazioni di opere, in primissimo luogo quelle icone la cui valenza di modello poteva, ma non necessariamente doveva, discendere direttamente dal loro carisma devozionale.

In Puglia il caso dell’icona di Andria (…), di dibattute datazione e origine, rappresenta comunque il vertice qualitativo di un tipo di produzione, quello delle immagini devozionali, per le quali ben oltre i confini dell’Italia meridionale ci si rivolse al modello di “Bisanzio”, costituendosi così l’ossatura stessa della c[osìd]d[etta]. “Maniera greca”. Dovunque fosse localizzata la bottega nella quale l’icona di Andria fu eseguita, Italia, isola mediterranea (Cipro?) o terraferma d’oltremare, la sua presenza sta a significare la concreta possibilità di esperienza del linguaggio disegnativo e pittorico bizantino, che si ripeterà in seguito solo con altrettanta rarità. Ben più numerose, invece, le diverse immagini che sia nel disegno, che nell’esecuzione pittorica, palesano con chiarezza la loro appartenenza alla cultura figurativa italo-meridionale.

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[tratto da Valentino Pace, “La transperiferia bizantina nell’Italia meridionale del XIII secolo. Affreschi in chiese del Salento pugliese, della Basilicata e della Calabria”, in “Orient & Occident méditerranéens au XIIIe siècle.”, Les programmes picturaux, Sous la direction de Jean Pierre Caillet et Fabienne JoubertActes du colloque international organisé à l’École française d’Athènes les 2-4 avril 2009, Picard éd., Paris, 2012, pp. 215-234.]. - L'estratto è interamente pubblicato nel sito "www.academia.edu".

NOTE
Icona di Andria - ricostruzione
[ricostruzione dell'Icona di Andria - elab. Sabino Di Tommaso, 2017]

[1] I cinque documenti sono ricchi di note di rilievo, che in questa trascrizione sono omesse.
Le immagini a colori qui riprodotte non sono quelle presenti nei testi citati. Il grassetto non è nei testi originali e quanto è scritto tra parentesi quadre sono chiarificazioni del redattore della presente pagina, per ovviare a brani non riportati.

[2] In una "Relazione sul Monastero e Chiesa di donne Monache sotto il titolo di S. Benedetto in Andria", redatta il 22 dicembre 1909 dall'ispettore Angelo Pantaleo della "Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e del Molise" si trova scritto:
Su dipinto ad encausto, vedesi una Madonna col putto, di quelle dette comunemente di S.° Luca. L’iconografia della figurazione, la grandezza maggiore del vero, le aureole dorate, la dicitura in greco, gli occhi ampi a mandorla, la bocca ad arco, il viso ovale, il mento robusto, il colore bruno; la dicono una tavola, la tavola istessa di legno di quercia, di fattura bizantina o tutt’al più: bizantina – benedettina; benché sia molto sciupata e restaurata, tuttavia non ha perduto di carattere. La parte superiore finisce a trilobo: misura m: 1,20 x 0,85.