Restauro 1988-91 - Riuso, G. A. Selano

Contenuto

Complesso monastico "San Domenico"
Il restauro del periodo 1988 - 1991

relazione dell'arch. Giovanni Alessandro Selano
(stralcio)

Problematiche di riuso

Nei due precedenti interventi sono state affrontate le problematiche relative al consolidamento e quelle inerenti la ricostruzione storico filologica, problematiche che sempre accompagnano ii restauro dei complessi monumentali importanti.

Occorre a questo punto affrontare un altro aspetto determinante per la corretta prosecuzione dei lavori, ossia quello che riguarda la riutilizzazione, il riuso dell’intero organismo architettonico.

È necessario precisare che riuso non significa utilizzare in un modo qualsiasi gli spazi disponibili, una volta ultimati i lavori. In edifici importanti come questo, il riuso deve avvenire secondo modalità corrette, cercando preferibilmente di restituire i singoli ambienti alle funzioni per le quali sono stati costruiti originariamente, e qualora questo non fosse possibile assegnando volta per volta funzioni che rispettino le caratteristiche storiche, costruttive e architettoniche.
D’altra parte occorre prevedere gli impianti adeguati che ogni attività richiede.
Per non correre il rischio, quindi, di sistemare gli ambienti per un uso generico è necessario a questo punto dei lavori fare una riflessione generale sul riuso dell’intero complesso architettonico e provvedere per tempo alla realizzazione di opere ed impianti che faciliteranno e renderanno agevole l’utilizzazione futura.

La nostra proposta muove da queste premesse, a cui si aggiungono ulteriori necessarie considerazioni. Nell’intervento precedente stato sottolineato come l’insieme chiesa — convento di S. Domenico abbia costituito nei secoli un grosso polo di interesse cittadino e come il tessuto urbano del quartiere si sia formato progressivamente intorno ai suoi margini.
Non è possibile quindi pensare ad un riuso che consideri indipendentemente l’uno dagli altri gli elementi che compongono l’insieme.

La proposta deve considerare S. Domenico come un vero e proprio organismo urbano.
Occorre pensare sia al consolidamento e al riuso dell’insieme chiesa - campanile e degli altri ambienti costruiti, sia al recupero dell’area esterna anticamente occupata da gran parte del convento, e su cui ancora oggi affacciano parte del primitivo chiostro e delle abitazioni dei frati.
Un atteggiamento di questo genere sarebbe alla base di un progetto che mira a soddisfare esigenze diverse: quelle che salvaguardano gli interessi espressi dall’interesse dell’ente proprietario, e quelle più generali del quartiere e dell’intera città. S. Domenico consente questa possibilità. Questo polo urbano storicamente consolidato ha ancora oggi le sue potenzialità. Non si tratta certamente di ricostruire quello che ormai è distrutto. Si tratta di far rivivere l’attitudine, la vocazione di questo luogo ad essere contemporaneamente centro di interesse religioso, culturale e sociale. Occorre ricreare quindi le condizioni ottimali, e fare in modo che la cittadinanza possa fruire di questi spazi in maniera attiva ma rispettosa e consapevole. Attualmente gran parte della zona esterna è occupata dalla ex cabina elettrica che fu impiantata qui all’inizio del secolo sui resti dell’antico fabbricato. Sicuramente l’entusiasmo per la modernità e la mancanza di cultura non fece prestare grande attenzione alle monumentali preesistenze.

Al di là dei giudizi sulla qualità dell’intervento va detto che questo fabbricato versa in pessimo stato di conservazione; le condizioni statiche generali sono precarie (a causa di dissesti e per la tipologia della costruzione) e la copertura è semidistrutta. Pur rappresentando un volume quantitativamente ragguardevole, non ci sembra auspicabile il suo ripristino, che risulterebbe tra l’altro abbastanza oneroso economicamente. Crediamo d’altronde che neanche i più accaniti sostenitori del principio della conservazione nel restauro possano avere qualcosa da eccepire alla demolizione della ex cabina elettrica, data la sua assoluta estraneità al complesso del convento. Con la sua ubicazione, l’edificio in questione preclude qualsiasi use reale ed efficace dell’area esterna della Chiesa di S. Domenico, modificando totalmente l’originaria armonia dei due chiostri e modificando completamente la percezione del campanile.

L’ipotesi di recupero di quest’area non può prescindere, secondo noi, dalla demolizione di questo edificio, cercando di recuperare per quanto possibile, la sua capacità volumetrica, redistribuendola ai margini del grande spazio ridisegnato.

A questo proposito tale “ridisegno” dovrebbe seguire l’allineamento dei pilastri dell’antico impianto identificabile mediante opportuni saggi come quelli già effettuati, che hanno messo in luce il pilastro d’angolo …
Questo non solo per una ricostruzione storica, ma soprattutto perché è difficile immaginare un andamento planimetrico che si inserisca meglio nel contesto già esistente, perché, come sottolineato in precedenza, è proprio il quartiere che si è man mano costituito intorno al convento. Il vecchio impianto potrebbe essere messo in risalto da una semplice pavimentazione, o preferibilmente mediante la costruzione di un percorso pedonale coperto, un vero e proprio portico costruito con strutture leggere, ciò che renderebbe sicuramente meglio la suggestione dello spazio architettonico originario. Il percorso segnerebbe l’andamento dei portici originari ricreando i due cortili quadrati comunicanti tra loro. In particolare ricollegherebbe le strutture del chiostro superstite. Poiché una campata di questo comunica con piazza Manfredi, ecco che emerge la possibilità di ricreare una sorta di nuovo collegamento urbano. Dal portico si accederebbe alla grande piazza-giardino interna e attraverso questa si arriverebbe alla piazzetta in cui sfocia via Sant’Angelo dei Meli, e di qui giù per via S. Chiara o per via Quarto verso il Municipio.

In sintesi quindi la proposta di riuso si compone di questi punti fondamentali:
  1. Ultimare i lavori che interessano la Chiesa e la Sagrestia per restituirle alla loro funzione originaria. Riaprire quindi la Chiesa al culto per la gioia degli abitanti di quartiere …
  2. A diverse funzioni, ma compatibili con quelle del punto precedente, verrebbero destinati gli ambienti al 1° piano nonché la ex chiesetta di S. Colomba e parte del portico superstite al P.T.: dovrebbero infatti essere predisposti per ospitare il Museo Diocesano, e dare così adeguata collocazione alle splendide opere attualmente custodite nel Palazzo del Vescovado. (Al primo piano si potrebbe per la verità, aumentare lo spazio disponibile, ricollegando le restanti parti esistenti un tempo, destinate ad abitazione dei frati).
    L’avallo a questa decisione di trasferire il museo da parte degli enti competenti assume particolare importanza per il prosieguo dei lavori, dovendo predisporre impianti e misure di sicurezza adeguati.
  3. Ultimare i lavori di consolidamento del Campanile. Restituirlo cosi in tutto il suo splendore alla città. Per come è ubicato, esso costituirebbe la scultura “a grande scala” incastonata proprio negli ambienti del museo diocesano. Potrebbe essere visitato dall’interno fino alla prima balaustra, e finalmente percepibile dall’esterno da una distanza inedita, proprio dal giardino. Con queste due operazioni si potrebbero godere pienamente i bellissimi particolari scultorei del campanile, frutto della perizia dei maestri muratori e scalpellini che lo hanno costruito 2 secoli fa.
    L’ingresso al museo avverrebbe direttamente dal portico del chiostro con accesso da piazza Manfredi. Basterebbe una semplice cancellata o una chiusura trasparente in questa posizione per consentire l’accesso custodito e permettere nello stesso tempo il passaggio verso l’area esterna e la continuità visiva del chiostro. Un po’ come avviene nel chiostro di S. Francesco laddove è necessario dividere la zona pubblica del Comune da quella della Chiesa.
  4. Il quarto punto prevede la demolizione della cabina elettrica, il ridisegno della zona esterna e la redistribuzione intorno a questa dei locali destinati alle attività parrocchiali e a quelle di interesse cittadino, e infine la conversione di tutto l’insieme a vero e proprio luogo di sosta o di attraversamento urbano-pedonale.
    Gli ambienti preesistenti che, pur non facendo parte dell’impianto originario, costituiscono comunque testimonianza di aggiunte successive, verrebbero risistemati per ospitare le attività parrocchiali. In quest’altra zona il percorso porticato distribuirebbe le funzioni d’interesse di quartiere e un campo di gioco.
    Le funzioni a carattere cittadino dovrebbero anch’esse basarsi nella continuità storica, ricordando che da sempre in questo luogo si è fatta cultura. L’ordine Domenicano nasce proprio con l’intento di essere promotore e depositario della cultura.
    Gli spazi dei due cortili dei chiostri, a nostro avviso, andrebbero lasciati liberi da ingombri, magari coltivati a prato per consentire la realizzazione di un luogo di sosta o relax estremamente privilegiato nel cuore della città. Qui potrebbero aver luogo eccezionalmente concerti all’aperto, conferenze, proiezioni.

In questi disegni non vi è accenno ad alcuna architettura costruita, e nessun particolare architettonico. È solo uno schema di funzionamento, uno schema distributivo. Sarebbe stato un controsenso predisporre e presentare in questa sede un progetto vero e proprio senza conoscere le intenzioni reali dell’ente proprietario e del Comune di Andria.

Da questo schema si può solo immaginare il risultato di un’ipotesi che, se sostenuta da un accurato accordo sulla gestione economica e di responsabilità, darebbe davvero avvio alla rivitalizzazione e al recupero del Centro Storico di Andria.

[testo tratto dalla relazione presentata in pubblica assemblea al termine di quella prima fase di lavori]