Come si costruiva nel Mille, A Perotti

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da “Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti”

(estratto)

Come si costruiva nel Mille.

di Armando Perotti (1865-1924)
antiche case in via Oliva, Andria
[antiche case in via Oliva, Andria]

Francesco Nitti, il nostro giovine paleografo, ha pubblicato, in un recentissimo numero della Puglia Tecnica, un suo pregevole studio sulle Costruzioni edilizie baresi nei secoli X-XII, desumendone le notizie da quei documenti coevi che egli va interpretando e trascrivendo per la compilazione del Codice Diplomatico.

Spigolerò, per la curiosità del lettore, dall’interessante articolo quanto basti a dare un’idea del modo con cui i nostri avi remoti edificavano le loro case. I templi sontuosi hanno sfidato la decina dei secoli, ma delle modeste dimore private non appare vestigio, tanta onda di rovina le travolse.

Pure la tradizione dell’edilizia locale sopravvisse o rispuntò qua e là, nel cuore della città vecchia, dove più profondo e più puro è il misoneismo degli abitanti. In certe corti, romorose di femmine e di fanciulli, ma refrattarie allo spirito di modernità, l’osservatore ritrova quella tradizione, alterata quasi sempre, ma non tanto che non si riveli all’occhio e al cuore. Visitate le corti Colognalano, Rinaldi, Morgese, la via Maurelli, il vico Alberolungo, e specialmente un interno presso S. Vito, e la fantasia vi aiuti a ricostruire il tipo dell’abitazione barese durante l’ultimo periodo bizantino e il normanno.

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Lasciam da parte la casa a pianterreno, rifugio dei più umili, ed esaminiamo esternamente una casa a varii piani.

La scala è esterna, ad una rampa diretta, che mette ad un terrazzino d’accesso al primo piano. Sotto l’arco della scala àpresi una cameretta che serve da cantina, o da ripostiglio d’arredi.

Da un piano all’altro si accede per scale interne di legno. Il coronamento dell’edifizio è fatto da un cornicione molto sporgente, appoggiato sulle teste dei travi; buon riparo per il sole o la pioggia. Sa questo, il tetto a spioventi con nel mezzo il lastrico solare o talvolta una camera aerea o un terrazzo. Una la porta; parecchie, ma non simmetriche, le finestre e i balconcelli.

La casa confina a destra e a manca con altre case, ma ne è divisa da breve spazio; la facciata posteriore dà sulla via pubblica, e chi vuole può aprirvi un accesso; ma la facciata anteriore, quella su cui si appoggia la scala, è caratteristica. Essa ha dinanzi uno spiazzo libero, con nel mezzo il pozzo e spesso un serbatoio per il superfluo delle acque. Questa piazzetta è la corte o la corticella, che ritroviamo di continuo nelle carte. Spesso essa è comune a due o più case, e comune per essa a tutte è l’entrata e l’uscita, comuni il pozzo e l’acquaia. Ma un muro di discreta altezza divide allora la corte, perché i vicini possano in libertà attendere alle domestiche cure.

A sera, fornita l’opera diurna, le due o tre famiglie raccoglievansi nella corte comune, e i padri navigatori e mercatanti, seduti sui banchi di pietra, narravano i viaggi lontani, le meraviglie del paese di levante, i travagli rimuneratori del mare. Le donne e i figli ascoltavano in silenzio, mentre la pace del plenilunio si spandeva sulla piccola città addormentata.

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Ma fra gente obbligata a vivere in continuo contatto, e con quella contiguità di mari e di pozzi e di corti, non sempre la concordia era perfetta.

Il Nitti riporta alcuni curiosi documenti, per i quali si dimostra che il mondo è stato sempre lo stesso.

Falco, giudice barese, avea una porta aperta sulla corte di Caloiohannes. Questi se ne querela. Falco difende il suo diritto: la casa era così quando egli l’ha comprata. Caloiobannes non vuol saper di chiacchiere e chiede che sia presentato l’istrumento di vendita: in questo non è fatto parola della porta. Allora Falco invoca la prescrizione: son trenta anni che l’uscio è aperto. Caloiobannes non cede e intima al vicino di presentare i testimoni. Il povero giudice non riesce a trovare due persone che ricordino la trentennale apertura della porta, ed è costretto a murare il vano con pietre e calce e a promettere con atto pubblico che non farà mai più in sua casa alcun buco per il quale si possa guardare in casa di Caloiohannes.

E questa bizza, che sembra d’oggi, avveniva l’anno 988.

Ancora. Il commerciante Porfiro ha eretto una casa in città, presso la chiesa di S. Giorgio. Ma le teste delle travi del cornicione sporgono troppo in fuori, e danno troppa ombra allo spiazzetto comune a parecchi vicini. Il maestro Maio ha una casetta a terreno proprio di fronte a quella di Porfiro, il quale, come se nulla fosse, ha appoggiato le travi sul muro di Maio. Dopo chi sa qual tempesta di improperi, giudizio. La lite finisce con un accordo: ciascuno potrà appoggiare sul muro del vicino, a patto che chi sta sotto non accenda fuoco e chi sta sopra non versi acqua. Anno 1136.

E così via. Le nostre carte son piene di questi fattarelli, dai quali, chi vuole, ricavi le norme di diritto: io non vi leggo dentro che la cronaca della vita.

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Accanto alle case a piani, Bari offriva il pittoresco spettacolo d’un fitto agglomerarsi di costruzioni di vario tipo. C’era la casella, più piccola, ma pure abitabile; l’applicto, abitazione di una sola stanza a terreno; il casile, anch’esso a terreno, di un sol vano, coverto talvolta da un tetto di legno, e che dovea servire da bottega o da deposito; il paleario, costruzione rustica di pietre, cementate o no, con tetto leggero, tugurii da contadini o da marinari, presso il porto o sotto le mura della città; il suppinno, talvolta alto sui tetti, tal’altra a terreno, piccolo e rozzo, per uso di cantiere dove i lavoratori depositavano i ferri dell’arte; l’edificium, cameretta di legno elevata sulle travi del tetto.

In mancanza di commissioni edilizie e di piani regolatori, tutte queste costruzioni si moltiplicavano nell’ambito della cinta fortificata in un bel disordine, che farebbe inorridire gli apostoli della simmetria.

Ciascuno edificava, in terra sua, come voleva: alto, basso, diritto, storto; un simpatico anarchismo di pietra, che diè alla città nostra quel singolare carattere, resistente tuttavia ai livellamenti ed agli allineamenti in nome della civiltà.

E, da quel mosso mare di tetti, emergevano i fastigi delle torri familiari, vere rocche di difesa; e quelli di chi sa quali sontuosi edifici eretti dal genio bizantino. Non per le caselle né per i palearii versava lagrime Ugone Falcando, quando narrava la distruzione del 1156!

Armando Perotti

[testo di Armando Perotti, estratto da “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti”, ed. Valdemaro Vecchi, Trani, vol. XVIII, 1901, fasc. n 7, pp. 216-217]

NOTA dell'editore
Armando Perotti, il noto e lodatissimo autore del Libro dei Canti, abbandonate le Muse, che pure gli furono sempre tanto benigne, si occupa da qualche tempo di archeologia, e sotto la rubrica Bari ignota va pubblicando sui giornali baresi articoli di cronaca antica che si fanno leggere con grande curiosità e diletto. Uno di questi articoli, cui ha dato argomento uno studio del chiaro professore e paleografo Francesco Nitti, canonico di S. Nicola, pubblicato nella Puglia Tecnica, è appunto quello che noi riproduciamo dal Figaro di Bari del 4 agosto, sia perché è pieno d’interesse anche per noi, sia perché con esso ci piace ricordare in queste colonne i nomi de’ due giovani e valorosi scrittori, che non furono e non sono del tutto estranei alla Rassegna, quelli cioè di Francesco Nitti e di Armando Perotti.
La Direzione