Lo studio per il risanamento e la difesa dall’umidità del Santuario della Madonna dell’Altomare in Andria (Bari) [1] ha costituito premessa per la rivisitazione delle vicende del Santuario e quindi per il progetto di sistemazione dei reperti emersi da quelle dimenticate vicende.
La chiesa della Madonna dell’Altomare è un antico luogo di culto, sviluppatosi con l’aggregazione di più grotte e nel contempo partecipe di un sistema di insediamenti [2] rupestri dislocati lungo la traiettoria di una ormai irriconoscibile gravina. Fra quegli antichi insediamenti rupestri assurti alla notorietà e divenuti mete di pellegrinaggi va ricordato anche il Santuario della Madonna dei Miracoli, o Madonna d’Andria che, con quello dell’Altomare presenta qualche affinità [3].
L’evento miracoloso (1598) che vide illesa una bimba caduta in una cisterna piena d’acqua attivò una devozione, e quella cisterna, con altre vicende e successive trasformazioni divenne luogo di culto di notevole richiamo: si diffuse la venerazione per la Madonna dell’Altomare e quindi il toponimo.
Alla data del miracolo non solo non si aveva più cognizione della cripta rupestre, quale dismesso luogo di culto, ma questa era fuori dalle mura che racchiudevano la città di Andria [4].
L’apparato decorativo delle antiche grotte, della Madonna dell’Altomare laddove ancora esiste, pur nella sua frammentarietà, è certamente anteriore al XVI sec. [5] e quindi agli eventi che hanno determinato la conversione dalla cripta rupestre al successivo edificio sacro.
Sotto l’aspetto geologico la zona è costituita da un esteso banco di calcareniti di notevole potenza, da cui si estrae vano blocchi di tufo. L’estrazione del tufo avveniva in cave a campana per cui l’asportazione del materiale lasciava caverne particolari, le cui pareti, variamente articolate, sono segnate dalle caratteristiche incisioni equidistanti e parallele, corrispondenti, ad un tempo, allo spessore di un blocco di tufo ed alla traccia dell’utensile adoperato per estrarlo.
Queste cavità, prodotte dall’estrazione del tufo, si collegano e si fondono con altre cavità naturali, caratterizzanti la struttura geologica del banco roccioso. L’ampiezza ditali grotte s’è prestata, nel tempo ad ospitare le più svariate funzioni connesse alla antropizzazione: fosse per riporre derrate, cisterne per raccolta di acque meteoriche, rifugi, sepolture, ed infine luoghi di raccoglimento e di preghiera, come si può constatare dai residui affreschi.
Le vicende del Santuario dell’Altomare, fra cronaca e storia, documentano una lenta e continua trasformazione, passando da una condizione di natura ad una di architettura.
La fanciulla caduta nel pozzo e rimasta illesa raccontò la visione di una Signora che le fece compagnia e la cui immagine era raffigurata in alto sulla parete della cisterna; questa fu prosciugata, fu ricavata nella roccia una prima scala che partendo dal piano di campagna conduceva ad una quota da cui era possibile ammirare l’immagine affrescata [6].
L’attribuzione degli affreschi al «pennello greco», espressione ricorrente nella storiografia locale, è corredata al toponimo di catacomba di S. Sofia, appellativo con cui si indicò il sito in data anteriore all’evento miracoloso.
Dovette trattarsi di un luogo di culto di dimensioni molto modeste: grotte dalla configurazione irregolare circoscrivibili in un rettangolo di circa m 8,00 x 16,00 e con impiantito e pareti di tufo, come è emerso dalle tracce che erano coperte dal pavimento attualmente rimosso. Sui lati lunghi dalla prima parte del rettangolo si notano porzioni residue di antiche caverne ed in alcune di esse, a destra e a sinistra, si scorgono brani di affreschi, talvolta a più strati.
La rimozione del pavimento, a quadroni, ha evidenziato la traccia di tre pilastri di roccia tufacea, di varia forma e sezione, segati quasi tutti alla medesima quota 0,92 - 0,93 - 0,97; tangente ai bordi dei tre tronchi di pilastri si apre una vasca circolare del diametro di circa m 4,50 profonda circa m 1,20 a forma di catino e completamente rivestita con un impasto di coccio pesto a frammenti grossolani.
[fotogrammi di una cineripresa durante il restauro 1986-1989]
La posizione della vasca, e la presenza dell’affresco di un santo vescovo, sulla concavità della residua grotta adiacente, lasciano pensare all’originario impianto di un luogo di culto formato, quanto meno, da due ambienti tra loro comunicanti. Il piano di calpestio di questo primo luogo di culto doveva essere ad una quota media di m -1,60 [7].
La vasca è risultata priva dell’ugello di scarico ma piena di frammenti fittili acroni di anfore.
Nel 1656 una violenta pestilenza causò numerose perdite umane, e l’antica caverna fu utilizzata come sepoltura comune [8]. Il tempo non cancellò il ricordo del luogo di culto ed a seguito di altro evento miracoloso si riaccese la devozione e l’antica grotta tornò a richiamare folle di fedeli (1657) [9].
Il sentimento religioso e l’affluenza dei devoti sollecitarono una diversa sistemazione della grotta: questa fu pavimentata, ad una quota più alta della precedente [10]; dalla parete si staccò l’affresco della sacra immagine e la si compose su un altare appositamente costruito a sinistra dello smonto della scala. La nuova posizione dell’altare, di cui è stata rinvenuta traccia, avrebbe reso visibile l’immagine della Madonna ad un maggior numero di fedeli [11].
L’obiettivo di una maggiore capienza e di una migliore visibilità poteva essere soddisfatto accorpando gli spazi delle singole caverne e quindi eliminando quei diaframmi - pilastri di cui son rimaste le ricordate tracce. I pilastri affiorano all’altezza del secondo pavimento.
La dimensione del Santuario si rivelò ancora insufficiente a contenere le folle che, nell’arco di due secoli, continuavano ad accrescere. Si decise l’ampliamento affidando il progetto e la direzione dei lavori all’architetto Federico Santacroce, prestigioso esponente della cultura neoclassica in terra di Bari [12]. I lavori iniziarono il 3 maggio 1875 e furono conclusi nel dicembre del 1877. «È necessario sapersi, scrive il Mari, che la Chiesa dell’Altomare fu cominciata e fu condotta a termine senza alcun reddito fisso» [13].
Allo stesso copione si sono rigorosamente attenuti il Rettore ed il Parroco per i lavori attualmente ancora in corso (marzo 1992) [14].
Il Santacroce propose e realizzò il prolungamento, da 16 a 22 metri, della navata esistente, costruendo due serie speculari di quattro fornici conclusi da archi a tutto sesto e ritmati da coppie di paraste corinzie. Sugli archi corre una svelta trabeazione su cui si imposta una volta a botte lunettata.
La prima coppia di fornici simmetrici presenta una profondità maggiore di quella delle successive coppie; in queste ultime i piedritti degli archi si trovano immediatamente a ridosso delle pareti delle grotte e talvolta sono ricavati sagomando il banco roccioso. Le irregolarità delle retrostanti pareti. delle caverne furono schermate da setti di muratura determinando involontarie intercapedini senza ricircolo d’aria, con accumulo di umidità, insorgenza di muffe e conseguente degrado dei, brani di affresco.
La maggiore profondità dei primi fornici, simmetrici, ha fatto intravedere a qualcuno l’intenzione di una pianta a croce latina [15]. Allo stesso periodo appartiene la realizzazione della prima sacrestia sul lato orientale della chiesa e sull’allineamento della prima ed unica scalinata, sino al 1877. In una fase immediatamente successiva alla trasformazione della grotta in aula si provvide, ad opera di altri benefattori, a far costruire il Cappellone «dedicato a S. Giuseppe con una facciata a stile moderno. Venne aperta un’altra gradinata, che è quella che dal Cappellone scende diritta nel Santuario, dirimpetto alla Madonna» [16].
La costruzione del Cappellone di S. Giuseppe e dell’altra scalinata trascende le esigenze della mera funzionalità per proporsi quale ricetto del Santuario, filtro fra spazio urbano e luogo di culto.
La modesta facciata ai piedi della contigua e sovrastante chiesa del Carmine [17] conclude senza armonizzarsi, lo schermo scenografico che si presenta a chi percorre lo spazio imbutiforme definito dalle cortine della strada del Carmine, in lieve ascesa. Uno stretto portale compreso fra due coppie di piatte paraste ioniche ravvicinate, montate su un alto basamento, segna l’ingresso al ricetto del Santuario. In questo ambiente si riconosce l’abile soluzione che dissimula lo sfalsamento fra l’asse del portare e quello della scalinata. Analogo dispositivo il Santacroce aveva realizzato qualche anno prima (1872) nel foyer del teatro Curci in Barletta [18]. La modesta configurazione della facciata ed il suo incerto raccordo alla sovrastante Chiesa del Carmine non lascia prevedere l’articolazione dello spazio interno trattato quasi come un ambiente di compensazione: fra esterno ed interno, fra spazi a quote differenti. Il solo elemento di accademico richiamo fra facciata e pareti interne della chiesa è dato dalla dimensione e sagoma delle basi egualmente slanciate, in pietra di Trani martellinata, su cui si impostano le lesene.
La ricorrenza del terzo centenario del miracolo (1898) fu celebrata con una ulteriore opera: la costruzione, progettata nel decennio precedente del presbiterio e dell’abside. Sull’asse della navata furono guadagnati gli spazi di altre antiche cave di tufo. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all’ingegnere Beniamino Margiotta-Gramsci.
Il nuovo spazio presbiteriale fu articolato con un elegante accorgimento che ha risolto la sistemazione dell’abside ed il raccordo alla navata: infatti secondo i vertici di un esagono si elevano, da alti basamenti, colonne su cui si scaricano archi a pieno centro, al sistema di archi si raccorda un tamburo cilindrico su cui si imposta la cupola conclusa da una lanterna: in questo spazio si eleva l’altare con l’immagine della Madonna dell’Altomare. Il passaggio fra presbiterio e navata è mediato da una esedra che si articola in tre fornici, di cui quello centrale è partecipe dell’impianto esagonale, e gli altri due si raccordano alle pareti. Il semicatino che si imposta su questa trasparente esedra è scompartito in tre settori sui quali si svolge la raffigurazione del miracolo interpretata dal pittore foggiano Raffaele Affaitati nel 1898.
Il lento e continuo processo di trasformazione dalle grotte alla fabbrica, ha dovuto sempre scontrarsi con l’aggressione dall’umidità. Il tentativo di una bonifica in tal senso, con la rimozione del pavimento, nel 1913 rimise in luce quei brani di affreschi che erano stati occultati dai diaframmi murari costruiti come fondale ai fornici [19]. NeI 1943 per esigenze di funzionalità e forse per attivare un ricircolo d’aria fu scavata una galleria, sul lato orientale della chiesa che congiunge l’antica all’attuale sacrestia retrostante l’altare.
Il Santuario della Madonna dell’Altomare è stato non solo oggetto di successivi ampliamenti ma anche di iniziative mirate alla difesa dall’aggressione dell’umidità. Rispetto alle precedenti soluzioni, piuttosto empiriche, s’è inteso attualmente ricercare le possibili cause di quell’aggressione con una analisi sistematica, degli ambienti contaminati, e rilevare, quantitativamente e qualitativamente, il contenuto d’acqua. Con una strumentazione a lettura immediata e con l’analisi in laboratorio dei campioni prelevati è stata infatti evidenziata una aggressione, attiva e violenta, dovuta ad alimentazioni umide assai diversificate [20]. Sono emerse infiltrazioni dalla copertura, dal riempimento dei rinfianchi delle volte, ed infine una diffusa umidità di risalita capillare, alimentata spesso da acque inquinate come può evincersi dai dati riportati in tabella [21].
L’espansione urbana nella quale è rimasta inserita l’antica cisterna non ha certo migliorato le condizioni di salubrità dell’attuale complesso che potrebbe, tuttavia, essere meglio tutelato da un disciplinato smaltimento di acque bianche e nere provvedendo, per queste ultime, al convogliamento in una efficiente rete fognante.
Altro aspetto del degrado è fornito dalle condizioni del microclima interno, peculiare e caratteristico di tutti i locali interrati [22]. Un rilievo in ambienti con differenti condizioni di esposizione e di quota, della temperatura, dell’umidità relativa, dell’aria secca e del peso specifico dell’aria, eseguito in un mese caldo ha confermato la impossibilità di ricambiare l’aria solo attraverso le aperture alte esistenti e sfocianti sul tetto, ovvero attraverso lo scalone e relativo atrio superiore [23].
Sulla scorta delle valutazioni storico-critiche, dei dati rilevati ed interpretati, delle considerazioni economiche e non finanziarie, s’è impostato il progetto decidendo di rifare il manto di copertura e la relativa impermeabilizzazione, di asportare il materiale di riempimento dei rinfianchi delle volte e di sostituirlo [24], di prevedere infine un riscaldamento radiante a pavimento [25]. La scelta di un sistema misto di alimentazione con collettori solari e gas metano ha condotto verso imprevedibili rinvenimenti, evidenziando, ancora una volta, come ogni progetto di restauro deve adeguarsi a ciò che riemerge e che documenta la storia; ne consegue che la conservazione comporta un progetto complementare ai passaggi della storia. L’attivazione della ventilazione attraverso lo svuotamento del materiale di riempimento del cunicolo che fiancheggia la navata, a confine con la chiesa del Carmine, ha riportato in luce piccole tombe probabilmente del periodo delle epidemie se si pensa che fra i resti mortali c’era un leggero strato di calce.
Sé constatato che la rimozione del pavimento della navata ha evidenziato le varie fasi di aggregazione delle caverne, gli spazi gradatamente guadagnati ed inglobati nell’attuale complesso monumentale.
La vasca tangente ai bordi dei tronchi di pilastri, la tomba sotto l’altare della chiesa sistemata nel 1657, gli affreschi logorati dall’umidità, altri che proseguivano al disotto del livello del pavimento, sono tracce di argomenti da proporre in un progetto di conservazione inteso quale predisposizione di accorgimenti mirati a trasmettere un passato al futuro, o, quanto meno a diffondere ai presente la consapevolezza di quelle dimenticate vicende.
Le botole protette dalle lastre di cristallo, lo spazio dell’ipogeo ispezionabile, il giunto di dilatazione fra solai con differente supporto, il riporto delle sagome dei sottostanti pilastri recisi sono altrettanti segni che trasferiscono, annotati su un unico piano, quello del pavimento, gli appunti lasciati nel tempo da secoli di storia.
S. Montorio, Zodiaco Mariano, Roma, 1711.
R. D’Urso, Storia della città di Andria alla sua origine fino al corrente anno 1841, Napoli, 1842.
R. Mari, Il Santuario di Maria SS. dell’Altomare in Andria, Andria, 1889.
E. Merra, Monografie andriesi, vol. II, Bologna, 1906.
M. Agresti, Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi (dalla origine fino all’anno 1911). vol. I/1911, vol. II, Andria, 1912.
G. Borsella, Andria sacra, Andria, 1918.
G. Ruotolo, Ricordo di Andria sacra, Molfetta, 1963.
M. Civita, Il Teatro Curci ed il suo restauro, Bari, 1978.
R. Loconte, Andria la mia città, Molfetta, 1978.
Fonti - Archivio di Stato di Bari Archivio Soprintendenza per i Beni AA.AA.AA. e SS. della Puglia - Bari.
[1] L’incarico risale al 1985. lI monumento era aggredito da ogni forma di umidità: pertanto proposi di affidare la soluzione di questo aspetto all’Ing. Ippolito Massari. Da questa collaborazione derivò un proficuo scambio di esperienze.
[2] In agro di Andria vi sono diversi insediamenti rupestri: due di questi sono assurti alla notorietà di frequentati luoghi di cullo per il rinvenimento dell’immagine della Madonna: la Madonna dell’Altomare (1598) e la Madonna dei Miracoli (1574). Gli eventi si verificarono nel periodo successivo al Concilio di Trento (1545-63). Le superstiti raffigurazioni dipinte sul banco tufaceo hanno caratteristiche cromatiche, formali ed espressive simili.
[3] Un banco di calcareniti di consistente estensione e potenza caratterizza una fascia di territorio, parallela alla costa, che interessa Andria, Canosa, Barletta. Cfr. V. Cotecchia, Corta geolitologico ad orientamento geotecnico della Puglia. Bari.
[4] Cfr. R. D’Urso, p. 18: ”Nelle nostre urbiche adiacenze quello speco, dove al presente avvi la chiese di S. Maria di Altomare, e specialmente quella caverna nella valle di S. Margherita, e tante altre...”
[5] Ibidem, p. 142: ”Fu allora che Monsignor Vescovo D. Vincenzo Basso fece aprire a fianco una grata, la quale protratta al basso, e poi aperlavi una bocca, immise nel fondo di esso. Si osservò la parete, ed in effetti vi fu trovata una Immagine della Vergine dipinta come in Alto Mare a motivo delle segnature dell’acqua. Non mancarono le oblazioni dei fedeli, le quali servirono a ridurre a forma di chiesa quella Cisterna: ed erettosi un Altare sono la sacra pittura di pennello Greco, incominciò sin d’allora il suo culto, che dura tuttavia.”
[6] lbidem, p. 141: “Nella distanza da questa Città circa cento passi, accanto al Convento del Carmine, o sia al nuovo Seminario, eravi anticamente la Chiesa di S. Sofia. Questa poi ridotta in un’ampia cisterna, era occupata dall’acqua molto più della metà”.
[7] Sotto la scala è stato rinvenuto un brano pavimentale in coccio pesto a quota -1.60.
[8] Cfr. R. Mari. p. 20: ”Ne furono riempite (di cadaveri) a ribocco sette cisterne nelle adiacenze del Carmine...”.
[9] Ibidem, p. 21.
[10]
Esistono tracce, evidenti ed evidenziate, di questo livello pavimentale definito
da un brano di mattoni di argilla cotta (mattoni di Canosa) in corrispondenza
dell’altare e del piano medio dei tre tronchi di pilastri.
La differenza di quota fra questo livello pavimentale e quello documentato dal
brano di cocciopesto è di circa cm. 80: in questo banco sono stati rinvenuti
numerosi resti mortali, appartenuti verosimilmente al periodo della peste in cui
la grotta fu utilizzata per sepolcro comune.
[11] Cfr. P S. Montorio, p. 572: “È perché la miracolosa Effigie stava dirimpetto alla porta, per la quale entravasi nella cistema, per maggior comodo fù diligentemente segato il muro, e trasportata la Sacra Pittura ad un Altare, o Cappellina accomodata nella parte sinistra”.
[12] Cfr. M. Civita, p. 69. nota 18.
[13] Cfr. R. Mari, op. cit.
[14] La Rettoria del Santuario è affidata a don Giuseppe Lomuscio e la Parrocchia a don Michele Massaro.
[15] Cfr. R. Mari. op. cit., p. 33 (La Chiesa ha) “la forma di una croce latina della lunghezza di m 21.00 e della larghezza di m. 10. Anche l’antica scala fu rifatta con spaziosi gradini, frammezzati da un pianerottolo che mena in Sagrestia…”.
[16] ibidern, p. 36.
[17] ibidem, p. 37.
[18] Cfr. M. Civita, op. cit.
[19] È del 29
aprile 1913 una corrispondenza fra l’ispettore onorario degli Scavi e Monumenti
Cav. Giuseppe Ceci al Soprintendente ai Monumenti della Puglia e del Molise ing.
V. Cremona a proposito del rinvenimento degli affreschi. Nella lettera si legge:
“Nelle vicinanze della Chiesa del Carmine era un’antica grotta, coeva
probabilmente alle altre di S. Maria dei Miracoli, di S. Croce, di Cristo della
Misericordia che si trovano in questo territorio. in tempo non conosciuto fu
ridotta a cisterna ma tornò al culto nel 1598, quando essendo caduta nell’acqua
una fanciulla fu salvata in modo che sembrò miracoloso. Allora fu richiamata
l’attenzione su di una immagine della Vergine, di fattura bizantina, che
staccata coll’intonaco dalla roccia ora si osserva sull’altare maggiore.
Presentemente eseguendosi alcuni lavori di ampliamento è tornata in luce parte
dell’antica grotta e con essa frammenti di affreschi che a me sembrano del sec.
XV. Ben conservata è l’immagine di una Maria Addolorata.
Il cappellano lascerà in vista le pitture scoverte, ma sarebbe bene di
assicurare la buona conservazione con cera o altro che la S.V. saprà
consigliare.
Profitterà della venuta qui dell’ispettore Vinaccia per fargli osservare le
pitture onde possa riferire più ampiamente alla SV. lll.ma della loro importanza
e della necessità di intervenire per la manutenzione. Con ossequio”. Firmato:
l’ispettore onorario Giuseppe Ceci, (Bari, Archivio della soprintendenza per i
Beni AA.AA.AA. della Puglia).
[20] Cfr. lng. Ippolito Massari, Studio per il risanamento e la difesa dall’umidità del Santuario dello Madonna d’Altomare in Andria. Roma. 21 nov. 1985 (dattiloscritto) p. 1.
[21] Ibidem.
[22] lbidem, p. 2
[23] Ibidem. p. 3 - Dati igrometrici rilevati il giorno 17/7/85 alle ore 11.30 circa.
[24] Ibidem. pp. 5: “asportare tutto il materiale fradicio dei rinfianchi, rimpiazzandolo con calcestruzzo alveolare composto con argilla espansa 8/13 e calce (1 Ql/m3). Per facilitare l’impasto e limitare l’acqua utilizzare fluidificanti specifici”.
[25] lbidem, pp.
9-10. Per la chiesa si prevede un riscaldamento radiante a pavimento; con
emissione specifica di 40 Kcal/m2h. aumentabile a 100-120 Kcal/m2h
nei mesi invernali se il riscaldamento viene destinato alle persone...
I serpentini annegati nel pavimento potranno essere alimentati da un generatore
di acqua calda. ovvero con un sistema misto: pannelli solari per il periodo
primaverile-estivo integrati con un generatore per il riscaldamento invernale
delle persone... Con la soluzione mista dunque é necessaria una superficie
totale di collettori solari alquanto estesa: m2
70 circa”.
La struttura del solaio è stata progettata e diretta dal dr. ing. Riccardo
Ruotolo.
Tutti i lavori di restauro sono stati appaltati dall’impresa Antonio Calvi che
qui ringrazio, per l’accuratezza esecutiva e l’impegno delle sue qualificate
maestranze.