Il 12 maggio 1989 il nostro vescovo Mons. Raffaele Calabro ha presieduto una solenne concelebrazione alla presenza di una immensa folla di fedeli, per riaprire al culto il Santuario di Maria SS. Dell’Altomare.
La chiesa dell’Altomare affonda le sue radici nei tempi; la zona in cui è sito questo tempio è caratterizzato da grotte scavate nella roccia calcarea, materiale molto usato a quell’epoca per le costruzioni. Un tempo, l’estrazione del tufo avveniva in cave a campana e non a cielo libero per cui l’asportazione del materiale lasciava sul luogo particolari cavità. [1]
In epoca a noi ignota la cava, su cui oggi sorge il Santuario, fu adibita a luogo di culto: lo testimoniano i bellissimi affreschi (in corso di restauro) che ancora ornano alcune pareti dell’antica grotta e molti altri affreschi purtroppo scomparsi. Gli affreschi ancora recuperabili sono databili al 1400 circa.
Dalle testimonianze storiche risulta che, venuto meno il culto, la grotta divenne cisterna per la riserva d’acqua piovana.
Il sabato di pentecoste nel 1598 venne smarrita una bambina di quattro anni, che fu ritrovata, tre giorni dopo, martedì dopo pentecoste, nella cisterna, sana e salva. La fanciulla affermò di essere stata salvata da una “Signora”. I soccorritori notarono, infatti, sulla parete un’immagine “di pennello greco” che denominarono “Madonna dell’Altomare” perché tale sembrava a motivo dei giochi di luce che si formavano nella cisterna.
Iniziò subito un pellegrinaggio di fedeli, anche dai paesi vicini, per cui fu scavata una scala di fronte all’immagine, scala venuta alla luce durante i lavori di restauro. La devozione durò poco tempo: in data 1656 la peste mieté molte vittime nella città di Andria: 14000 furono i morti tra i 22000 abitanti del tempo. Così, il luogo di culto mariano diventò fossa comune per la sepoltura degli appestati.
In seguito, in data imprecisata, certamente però nel ‘700, viene riscoperta la devozione alla Madonna dell’Altomare e risistemata in modo nuovo la cripta. Una bambina gravemente ammalata, unta con l’olio della lampada della Madonna, che una donna continuava religiosamente a tenere desta, ritrovò la salute.
Nel 1875, con il progetto dell’architetto Federico Santacroce (progettista della facciata della Cattedrale [2] e della facciata del teatro Curci di Barletta) e con le offerte spontanee dei fedeli, si dà inizio alla costruzione dell’attuale chiesa di stile neoclassico, che viene aperta al culto nel 1877. Vengono però in tal modo distrutte molte tracce dell’antica cripta, compresi molti affreschi.
Il Santuario è sempre stato nel cuore del popolo andriese; molti sono coloro che nel corso dei secoli ne hanno avuto cura, eppure la chiesa risentiva dell’usura del tempo.
Infatti, per la sua particolare struttura, questa chiesa è soggetta ad un male difficilmente curabile, quello che può essere chiamato “l’effetto pozzo”. L’umidità rende inabitabile questo luogo, poiché, alle infiltrazioni d’acqua dall’alto – dovute ad una cattiva manutenzione del terrazzo – si aggiungono le infiltrazioni delle pareti laterali (a destra, a confine con il cortile della Chiesa del Carmine). Il problema è aggravato dalla condensa che si forma per lo scarto termico tra la temperatura esterna ed il microclima interno.
In piena collaborazione con il vescovo mons. Giuseppe La nave, sin dal 1980 si iniziò a valutare seriamente lo stato dei luoghi e si giunse alla decisione di avviare un serio lavoro di ristrutturazione.
Fu perciò invitato l’architetto Mauro Civita, docente di restauro presso la facoltà di Architettura di Pescara, perché studiasse a fondo l’ambiente. Dopo lunghe e attente riflessioni fu chiesta la consulenza del prof. ing. Ippolito Massari, di Roma, specializzato nei risanamenti dei muri. Si giunse così a studiare tutto l’ambiente con la misurazione dei vari gradi di umidità di ogni parete e l’analisi dei materiali. Eseguiti i rilievi, redatto un dettagliato progetto tecnico ed ottenute le relative autorizzazioni ad eseguire le opere, il 21 luglio 1986, con i risparmi dovuti alle offerte dei fedeli, si diede inizio ai lavori.
Durante il 1986 sono state eseguite le opere previste nel cortile del seminario e sul terrazzo; nel gennaio 1987 sono iniziati i lavori in chiesa, ma durante lo snellimento del pavimento si è avuta la gradita ed onerosa sorpresa: a circa 60 cm sotto il livello pavimentale sono state rinvenute tracce del vecchio pavimento in cotto di Canosa databile al ‘700, poi l’intero pezzo che oggi appare sotto il rettangolo di vetro, insieme al limite della vecchia cripta.
Continuando gli scavi, sono emersi tre tronchi di pilastri scolpiti nella roccia tufacea; perciò si prese la decisione di sbancare tutto il terreno umido per giungere alla roccia.
È venuto così alla luce l’antico pavimento in coccio pesto di data incerta. Al centro dei tre pilastri è stata rinvenuta una conca profonda circa tre metri: non sappiamo quale funzione avesse nella vecchia struttura. Un antico battistero per immersione, una semplice cavità della cisterna? Le ipotesi sono ancora da valutare.
Dopo gli scavi si è proceduto alla ricostruzione dei luoghi per riportare il sito al livello pavimentale attuale. Sono stati perciò costruiti 25 micropilastri in ferro sui quali posa un solaio in cemento armato.
Nel solaio è stato installato il sistema di riscaldamento mediante una serpentina di rame alimentata dai pannelli solari nel periodo primavera – estate - autunno e da una caldaia a gas metano durante l’inverno. Sono stati rifatti, come previsto, gli impianti elettrico, fonico, idrico – fognante e si è provveduto alla realizzazione dei servizi igienici per i pellegrini.
A tutto il Santuario è stato restituito il suo antico volto, completamente rinnovato: sono stati messi in luce gli elementi dell’antica cripta e riportati ad una linea pulita ed aristocratica quelli dell’ottocento. In particolare, sono state riscoperte in piena efficienza le due scale in pietra massello. Con l’aiuto della più avanzata tecnologia è stato reso confortevole tutto l’ambiente della chiesa e dei locali adiacenti.
I lavori sono durati tre anni e saranno completati con il restauro statico e non solo estetico della facciata e con la ristrutturazione del vestibolo.
Nei dieci anni di lavoro nel Santuario, il restauro è stato solo l’aspetto materiale: l’obiettivo principale è stato sempre di natura pastorale.
Si è avuto cura di rendere alla devozione alla Madonna il carattere di vera fede cristologica attraverso una catechesi sistematica. I numerosi fedeli che frequentano il Santuario ogni martedì hanno imparato a mettere il Cristo al centro del loro pellegrinaggio spirituale. L’omelia tenuta durante ogni messa invita alla riflessione sui testi biblici, che la liturgia del giorno presenta.
Anche la processione del martedì dopo pentecoste, che annovera migliaia di fedeli, sta assumendo sempre più il carattere di una vera manifestazione di fede, grazie anche all’ausilio dei mezzi tecnici a disposizione: oltre venti auto con autoradio e amplificazione diffondono la Parola di Dio, preghiere e messaggi lungo tutto il percorso.
I fedeli con il loro generoso apporto ci hanno sostenuto e, ne siamo certi, la provvidenza non mancherà di sostenerci sempre nel nostro lavoro pastorale e materiale.
[1]
Le grotte erano anche di origine naturale. Non erano profonde. Per renderle
abitabili si costruivano davanti ad esse ambienti più ampi. Basta visitare gli
interrati della città antica. Un esempio chiaro si trova nelle
parti sotterranee
di Sant’Anna a ponte Giulio (Via De Excelsis).
Nei pressi della Madonna dell’Altomare, grotte naturali, rese più profonde
dall’intervento dell’uomo, sono state residenze di eremiti; poi di comunità
brasiliane (intorno a Santa Croce, a Gesù Misericordia,
nella valle dell’inferno alla Madonna dei Miracoli). Erano grotte diventate
celle per monaci; grotte adattate ad ambienti di uso comunitario, a cappelle
sempre affrescate. Proprio da queste grotte nel ‘500 furono portate via diverse
Madonne. Si tagliava l’intero blocco di tufo su cui si trovava la icona, lo si
ingabbiava in una struttura di legno per meglio salvaguardare l’affresco e lo si
trasferiva nella cappella designata. Un esempio classico è quello di Mater
Gratiae che si trova nei pressi di S. Domenico, ove, demolito il tufo che
incorniciava l’immagine, è apparsa la gabbia di legno con cui fu trasferita.
Così fu della Madonna di Tramoggia. E così anche della Madonna dell’Altomare.
[2] La facciata della Cattedrale fu realizzata prima (1850) dietro ordinazione del grande vescovo Cosenza e servì da modello per la facciata del teatro di Barletta.