Lo sviluppo raggiunto nei più recenti decenni dalle ricerche di storia locale rappresenta ormai, a giusta ragione, un dato di fatto abbastanza evidente e più volte constatato. Numerosi sono stati gli stimoli per questa fioritura, a parte la nuova temperie storiografica. Un ruolo cospicuo è stato certamente svolto dall’influsso, più o meno diretto, delle Università, che hanno coltivato con maggiore attenzione i rapporti con le circostanti realtà locali. Non meno utili, soprattutto sul piano pratico, si sono rivelati i finanziamenti concessi da enti pubblici ed istituti bancari, anche se non si possono sottovalutare i rischi impliciti in questo tipo di mecenatismo. Gli interessi politici, o, in genere, pubblicitari possono infatti (e talvolta è accaduto) interferire pesantemente nella scelta delle opere da promuovere, di solito assecondando le mode correnti o le trattazioni più angustamente municipalistiche. Un altro rischio da non sottovalutare è certo quello della preferenza, troppo spesso evidenziata dai committenti, per le opere di larga divulgazione; ne consegue che diventa sempre più difficile pubblicare studi rigorosamente scientifici, a meno che il successo dell’operazione e la vanità dei promotori non siano in partenza garantiti dal lustro di un autore di chiara fama, come si usa dire. Naturalmente ciò non significa che i problemi connessi alla divulgazione, quanto mai carente in Italia, debbano essere trascurati; ma neppure debbono prevaricare a danno dei settori trainanti del progresso scientifico.
Queste dunque sono, in larga approssimazione, le luci e le ombre riscontrabili in questo specifico settore della ricerca. Non occorre però dimenticare che alla base vi è una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica per i temi connessi alla tutela dei cosiddetti beni culturali ed all’ambiente in genere. Lo scandaloso degrado in cui sono precipitate tante città d’Italia, un tempo note per l’organicità e l’armonia del tessuto urbano; le conseguenze dell’inquinamento ambientale e gli sconvolgimenti causati dagli odierni processi di urbanizzazione provocano, per fortuna, reazioni salutari. Una di queste, certamente tra le più costruttive, è il crescente interesse per la storia cittadina, della propria “piccola patria”, cui ciascuno è unito da memorie personali e familiari.
Questo, chiaramente, non è un fenomeno nuovo; anzi rispecchia in Italia una lunga e gloriosa tradizione, sulle cui motivazioni molti studiosi si sono autorevolmente soffermati. Qui è sufficiente riconoscere che il campo è stato ormai sgombrato da certe ricorrenti borie municipalistiche, da certe ottiche unilaterali e deformanti, dall’ansia infine di esibire glorie e gloriuzze locali, magari inserite pretestuosamente in avvenimenti molto più grandi di loro. Le ricerche di microstoria o le indagini comunque rivolte a circoscritti territori non hanno di per sé nulla di riduttivo, quasi si trattasse di analisi scientificamente dimidiate, ma occupano a giusto titolo un posto di rilievo nel quadro storiografico dei nostri giorni. Naturalmente, l’essenziale è nel metodo e nell’intuito dello studioso, nella sua cultura e nella sua capacità di riscoprire e collocare, in un contesto di organica coerenza, tutte le fonti disponibili. Non vorrei a questo punto incorrere in paragoni anacronistici, ma al mio ricordo di modesto lettore di “storie” si ravviva con esemplare evidenza il fascino di certi scritti crociani, considerati “minori”. Nella sua “Storia del regno di Napoli” (pubblicato in prima edizione nel 1925), Benedetto Croce inseriva ad esempio in appendice due piccole monografie di storia locale abruzzese, dedicate ai “paeselli” di Montenerodomo e di Pescasseroli. E così scriveva nella sua premessa al volume: “In quelle storie di due minuscoli paeselli è dato vedere come in miniatura i tratti medesimi della storia generale, raccontata nella parte principale del volume. Ed esse poi rappresentano in guisa più personale e familiare il legame d’affetto che mi stringe alle fortune di queste regioni, e che i lettori sentiranno in tutto il volume, e giudicheranno, spero, affetto non cieco”.
Non mi sembra fuor di luogo il richiamo a queste pagine ormai lontane nel tempo, ma tuttora vive e feconde. Ne ricaviamo infatti una traccia ancora utile da percorrere, pur con l’aiuto (com’è giusto) di altri esempi e mediante un confronto metodologico sempre aperto e rinnovato, libero da arroccamenti faziosi. In ogni caso, a mio parere, importano soprattutto i risultati. Quelli conseguiti in questo studio di Pasquale Barbangelo, già noto per altre interessanti ricerche di storia locale, sono certamente degni di considerazione e di riflessione.
Egli ha impegnato il meglio delle proprie esperienze e capacità nell’esame scrupoloso delle più antiche testimonianze sulla città di Andria, cogliendo contemporaneamente i nessi con l’evoluzione storica generale, soprattutto per quanto riguarda le zone contigue della Puglia, di Trani e Canosa in particolare. In un certo senso possiamo affermare che si è fatto il punto della situazione, sviscerando senza sotterfugi né ambiguità i nodi irrisolti di ogni singolo problema. Ovviamente si può concordare o dissentire circa le soluzioni di volta in volta proposte; bisogna però riconoscere, e mi sembra il merito maggiore del lavoro compiuto, che esiste una struttura solida e ricca di stimolanti prospettive di ricerca.
Il volume in questione è sostanzialmente articolato in due sezioni principali: Andria prenormanna ed Andria normanna. La scelta del termine di raffronto, appunto la conquista normanna, è giustificata ampiamente dalle risultanze concernenti l’origine della città; tuttavia il periodo antecedente trova opportunamente una sua autonoma ed attenta trattazione. L’analisi dell’epoca prenormanna prende le mosse dagli insediamenti benedettini nella zona, onde Barbangelo deduce la possibilità (anche mediante una minuziosa lettura del territorio) di far risalire la fondazione di un locus Andre almeno agli inizi del secolo X, se non prima, forse addirittura alla seconda metà del secolo VIII. L’esistenza di un villaggio in età bizantina si configura poi, con evidenza, nelle citazioni ricavabili dai privilegi catepanali. A tal proposito mi permetto di osservare che la scarsità delle fonti e l’insufficienza degli studi monografici (nonostante gli indubbi progressi fatti registrare dalla più recente storiografia) non hanno ancora permesso di riscoprire compiutamente la vitalità del periodo bizantino in Puglia, forse per la persistente influenza di interpretazioni ormai superate. L’autore comunque non trascura di rintracciare gli aspetti principali delle condizioni economico-sociali dell’epoca, così come elabora un sintetico profilo della coeva vita religiosa.
La seconda parte dell’opera è dedicata, come si è detto, alla fase normanna di Andria, quando il villaggio diventa ormai città all’interno della contea di Trani. Finisce così coinvolta, spesso in un ruolo di primo piano, nelle tumultuose vicende dell’inquieta feudalità normanna. Barbangelo coglie a tal proposito l’occasione per discutere intorno alla genealogia ed alla prosopografia tradizionale di alcuni dei cosiddetti conti di Andria, in particolar modo di Riccardo e Goffredo, saggiandone la storicità e risistemandone la successione. Le loro personalità, più o meno ricostruibili dal punto di vista politico, sono opportunamente inserite nell’evoluzione generale del regno normanno, sino all’avvento di Enrico VI. Una trattazione molto esauriente è inoltre riservata all’istituzione della sede episcopale di Andria. La questione, come spesso accade in casi del genere, risulta molto controversa ed è difficile districarsi nel coacervo di stratificate e non sempre affidabili documentazioni. Barbangelo vi si impegna con passione e ritiene di collocare le origini del vescovado, con molta probabilità, nel quarto decennio del secolo XII; allo stesso modo riconsidera le testimonianze sul protovescovo Riccardo, che sarebbe stato invece eletto da papa Adriano IV. Il racconto degli eventi riguardanti la classe dominante, ecclesiastica e feudale, non induce tuttavia a trascurare l’esame delle condizioni del popolo, per quello che permettono le fonti coeve ed i raffronti con le situazioni analoghe.
Il volume si conclude con un’appendice di documenti riguardanti Andria medievale; anche se già noti, costituiscono un utile supporto del discorso condotto con tanto zelo. È indubbio, a mio parere, che molti problemi restano aperti, ma si può ritenere che questo libro di Barbangelo costituisca un contributo serio ed utile per le finalità che si propone. All’augurio di poter continuare ad approfondire questi studi, aggiungiamo quindi l’auspicio di estendere la sua trattazione alle vicende successive, non meno interessanti, della storia di Andria.
PASQUALE CORSI
Docente di Storia Bizantina
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università degli Studi di Bari
[da “Andria nel Medioevo”, di P.Barbangelo, tip Guglielmi, 1985, pp.5-8]