Contenuto
Monache Benedettine
di Di Giacinto Borsella (1770-1856)
Una eminente prospettiva con ampia finestra e spaziosa gradinata
annunzia
la magnificenza di questo tempio, sulla porta del quale
si legge la seguente pregevole iscrizione in marmo:
D. O. M.
Quod olim orbi redempti saeculo XIII decurrente
Quinque Andrienses Familiae inter patricias allectae
De Matteo Quarti Fanelli Superboque et Gammarrota
[1] Pecunia sua xenodochium a fundamentis erectum
Santissimae et individuae Trinitati
Divoque Richardo dedicatur
Quodque Temporum vicissitudine
Suis depauperatum redditibus
Anno 1563 Magistratus, Populusque Andriensis
Aere publico pro dignitate Urbis
In ascentium Virginum Cassinentium
Sub regula S.P.Benedicti commutarum novissime
Vetustate corruptum ipsae sanctimoniales Anno
Ab hinc quinginta coepto, et continuato opificio
Priscis aedibus temploque demolitis
Novisque adauctis proprio sumptu in Amphiorum
Ineunte Anno II. Praesulatus Domini Xaverii Palica
Ordinis Caelestinorum ac Patricii Barulitani 1774
Se lice assimigliarsi le Case del Signore a fiori e per isplendidezza
e per delicatezza e per puritade e per olezzo noi diciamo che la Chiesa
delle nostre Benedettine pare una vereconda Violetta tutta adorna di fine bellezze;
ma romite, modeste, poco dicevoli alle ascose Vergini.
Le quali ben ponno allegrarsi, che chiunque metterà piede in questa lor chiesa
gli goderà il cuore di osservare l'architettura la piú elegante,
e doviziosa di fregi tanto ben compartiti e modellati specialmente
nei caprioli dei capitelli. Né ti soddisferanno meno le otto spaziose finestre
che illuminano, sei laterali, e le due messe di fronte, una nella facciata,
e la seconda sul coro. E ti goderan del pari le due grandi gelosie,
una sulla porta e l'altra rimpetto sul coro, oltre le sei minori,
alle spalle, dorate tutte ad oro puro, fregiate di creste rabesche.
Quindi potrebbe chiamarsi a buona ragione il ramaglietto delle nostre chiese.
In metter piede in essa non lascerai di ammirare i due altari minori
alzati di prospetto, ambo di sculto marmo, e di una forma convenevolmente fregiata,
forniti alle spalle con ampli panneggi, aggruppati in nodo nei fianchi,
di color sangue di drago con vaga fimbria giallognola,
tempestati di stelle e di piccoli cuori di nero e giallo.
Le spalliere dei medesimi splendon di tarso con ornati vani e decenti.
Dai due corni degli altari sporgono le teste alate di due serafini.
I paliotti con scudo verde nel mezzo e con croce nel centro splendono leggiadri,
avendo ai fianchi pilastrini di fascette, e di occhiette a diversi colori.
Gli specchi a fianco sono ricinti da ritorte e scanalate cornici
rabbelliti da cartocci e nocche.
Sovraneggia l'altare maggiore per isquisitezza di marmo, e per decorazioni.
Ed eccole: nel mezzo del paliotto ti si offre S. Benedetto col corvo
a lui ministro del pane quotidiano, col pastorale in punta e mitra in piedi.
Nel frontespizio spiccano le virtù teologali in tre statue,
coi rispettivi simboli dell'ancora, della Croce e di una face ardente in mano
della Carità nel mezzo espressa, le quali in aver muto il labbro
sembra che abbian parlanti e vive le fattezze.
Nei corni grandi serafini sostenenti i candelabri, lavori di egregio scalpello
che costarono oltre ducati seimila. Fra gradini che sorgono dalla mensa,
e la fascia che si estende in testa veggonsi degli scudetti con fogliami,
rami di palme messi in croce, non che dei melogranati ben incisi.
E la fascia superiore non cede a questa, terminante con una cornice
a marmo bianco segnata da lineette nere. Ai fianchi in grandi scudi
l'arma di Monsignor Anelli, avendo in testa una corona trapunta da globetti
quasi fossero tante gemme che spiccano infisse nel cerchio di marmo bianco della medesima.
Che tutta la opulenta ricchezza di questo Vescovo trapassato senza eredi,
venne investita per la maggior parte a lustro di questa chiesa,
e ad altre opere di pietà in questa patria.
L'arma esprimesi da un braccio che tiene in pugno un anello.
I fregi di verde antico, di giallo, di nero, cipollino, i cartocci
diversi apposti convenientemente, tutto insomma contribuisce alla bellezza del lavoro.
La portellina della custodia porta rilevata in argento la sfera del sacramento
con quattro teste di Serafini con occhi umili e reverenti verso la stessa.
In quanto alle opere di stucco, in tutta la Chiesa grandeggiano quattro archi
a fascie tra i quali ricorrono rosoni nel mezzo e sequele di foglie,
l'altare maggiore è coperto da volta a cupola vagamente fregiata di lavori diversi.
Sopra i finestroni vi sono delle volte arcuate a vela onde darsi più luce al tempio.
Lo stuccatore di tutti gli ornati fu Domenico Cocatride della Città di Monopoli
fatti nell'anno del Signore 1775, a tenore della leggenda scritta
nell'arco della porta della chiesa.
Ai lati dell'altare mag¬giore sono allogati due comunichini a piramide,
e con cupolette elegantemente fregiati di marmi diversi,
sopra i quali sono rilevati due colombe, che spiccano mirabilmente.
Il pavimento formato di lucidi mattoni, fioriti, ha in mezzo uno scudo grandioso,
che racchiude un pastorale, la mitra, ed un corvo col pane tra il becco
e più una tazza, donde scorgesi una vipera, col motto in cima Pax,
oltre una stella grandiosa a piè dello stesso, ed altro gran fregio sul presbitero.
Alzando quindi lo sguardo ai dipinti dell'eccelsa volta,
ti si para primieramente la Triade, con panneggio di stucco e con fimbrie e con fiocchi pendenti.
In secondo luogo un gran quadro in cui il gran Divo di Norcia,
pontificalmente vestito nel sacrificio della Messa, che celebra in gran pompa,
ciba dell'eucaristico pane i suoi discepoli.
In terzo mentre insegna agli alunni le regole da professare.
Infine quando, siede colla prediletta di lui sorella Scolastica a parco desco,
assistiti da altra monacella, compagna della medesima, e da due fraticelli,
uno dei quali con brocca fra le mani. Tutti i suddetti dipinti forniti di cornici dorate,
vengono recinti da graziosi ornamenti di stucco, che coloriti a verdognolo,
e piombino danno piacevole risalto a quei quadri.
Se vi hanno occhi vaghi di novità graziose o almeno innamorati dalle meraviglie
della Natura, se vi hanno nelle suddette tele dei pregi di appagare il lor desio,
dir potrebbesi con la frase Dantesca, che
La figlia e la nipote all'Avo eterno,
ossia che la natura e l'arte fan gloria al sempiterno facitor del tutto.
Né poi rifulge minor eccellenza nelle due tele degli altari minori.
Il primo dei quali, cinto di marmorea cornice bianca intarsiata con cuoricini neri,
figura Gesù deposto dalla croce, adagiato sulla sacra sindone,
e la Maddalena che attristata colle sparse chiome versa un rivo di pianto;
e la Vergine genuflessa colle braccia prostese impetrita, emaciata,
S. Giovanni percosso dalla più santa tristezza contemplante la ferale tragedia.
La sparutezza della bella faccia di Gestù e tutte le membra del corpo
ricoperte di lividezze dagli strazii sofferti, e quelle sante piaghe,
che sino all'ultimo quadrante pagarono all'oltraggiata giustizia dell'Eterno,
il prezzo delle nostre iniquità, faran ricorrere certamente nell'animo
di chi contempla quelle piaghe le memorande parole d'Isaia:
Ecce vidimus eum non habentem speciem, neque decorem:
aspectus eius in eo non est. Hic peccata nostra portavit, et pro nobis dolet.
Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, cuius livore sanati sumus.
E ancor quelle, che fur dette dell'infelicissima Genitrice.
Spectabat piis oculis Filii vulnera per quae sciebat omnibus futuram redemptionem.
In detta tela veggonsi inoltre scender dall'alto tre Serafini,
che raffermano i loro voli rimirando quella scena miseranda.
Nell'altro quadro ti si mettono avanti gl'occhi i due romiti del Casino
S. Benedetto e S. Scolastica, seduti in alto.
Accanto al primo un angioletto tiene fra le mani la mitra,
ed a pié il corvo sul pastorale. A piè della seconda una Colomba,
che ti sembrerà viva con quelle ali spiegate, S. Mauro col pastorale
é sottoposto ad esso loco, tra S. Geltrude col cuore aperto,
donde spicca il Bambinellò Gesù, e sant'Edita figliuola dell'anglo Re Edgardo,
la quale vagheggia fra le braccia il Bambinello nudo,
e vicino a lei S. Placido. Queste due tele con gli ovati
di S. Francesca Romana, e di S. Sebastiano sona lavori della stessa mano.
Dietro l'altare maggiore grandeggia altro quadro dedicato al Patrono di nostra Provincia
ed a quello di nostra Patria decorato in fronte della SS. Trinità;
questi dipinti se non sono capolavori, certamente son tali,
che meritano non poca lode per la squisitezza dell'espressione,
per la morbidezza e magistero del pennello e del colorito,
tanto ben temperato nell'armonia della luce e delle ombre.
Per tutti i suddetti quadri dir si potrebbe ciò che si rileva
nello stile di Francesco Solimene, che riusciva egualmente in ogni genere,
ad olio e a fresco, in picciolo, e in grande.
Una viva immaginazione, un gusto delicato, un giudizio sicuro
presiedevano alle sue composizioni. Aveva grand'arte di dar movimento alle cose sue,
accoppiava ad un tocco fermo dotto, e libero un colorito fresco e vigoroso,
non men che piacevole. Dipingeva tutto al naturale,
senza troppo assoggettarsi all'antico, per timore, dicea egli,
di non raffreddare il fuoco della sua fantasia.
Questo celeberrimo artista nacque nel 1657 nella città di Nocera di Pagani.
Fu uno di quegli uomini rari, che portano in sè stessi
il germe dei proprii talenti. E niuno fra i pittori suoi contemporanei
riuscì ad accoppiarne in sè tanti ed in così eccellente grado.
Suo padre mediocre pittore, avrebbe voluto incamminarlo per la giurisprudenza;
ma egli sentivasi trascinato dalla inclinazione alla pittura.
Venuto a Napoli di anni diciassette, con la felicità del suo ingegno,
e con l'assiduo studio delle opere di Lanfrango, del Calabrese,
di Pietro da Cortona, del Guido, del Marulli e specialmente di Luca Giordano,
col quale contrasse intima amicizia, si formò un gusto fermo,
che andò sempre perfezionando col continuo esercizio.
Fu alcune volte in Roma a veder i capi d'opera dei grandi Maestri,
e non ne ritornò senza avere di molto arricchito le sue cognizioni.
Ben presto la sua forma si diffuse per tutta Italia,
onde i principi fecero a gara ad esercitare il suo pennello;
ma egli colmo di beni ed onori non volle, mai abbandonare Napoli.
Si vuole che lasciasse un asse di più di trecentomila ducati,
onde arricchì un figlio di Tommaso suo fratello.
Vestì sempre l'abito chiericale, non avendo mai voluto ammogliarsi.
Gli farà sempre onore l'affabilità e l'affettuosa premura
con cui istruiva i suoi numerosi allievi.
La sua casa era una specie di Accademia. Solimene era erudito e gaio.
Divertivasi di poesia, come ne fanno fede molti suoi sonetti.
Recavasi spesso ad un suo casino alla Barra dove divertivasi
il giorno alla caccia, e la sera tenendo concerti ed accademie di musica.
Visse circa novant'anni. Pochi pittori han lasciato tanti monumenti
della loro abilità, come Solimene; ma non meno in Napoli,
che a Montecasino, in Venezia, in Firenze, in Genova, nelle gallerie
di Vienna, di Parigi, di Madrid, di Torino, di Magonza.
Non riuscirà discaro questo articolo desunto dal dizionario
degl'uomini illustri, che tanto rifluisce alla gloria del nostro Regno.
Dopo aver discorso dei quadri di questa chiesa, chiamando
il lettore ad attender per poco alla vita dell'illustre Solimene,
ci facciamo ad osservare le altre cose, che meritano attenzione.
Ci si presentano in prima le statue di S. Benedetto e S. Scolastica.
E chi mai potrebbe degnamente esaltarle? Ben direbbesi
che han fattezze di Paradiso, ove godono le gioie de' comprensori.
Né soddisferà meno la vezzosetta faccia, il prezioso vestire
del bambinello riposto in un armadio, chiuso a chiave,
dentro nicchia di cristallo, bellamente fregiata di marmi scelti,
avendo in cima lo spirito settiforme con ghirlanda di marmo,
tenendo alla sinistra il vessillo dell'umano riscatto,
e la destra atteggiata a benedire.
Sul capo gli splende argenteo diadema con globetto, e crocetta in cima.
In rimirarlo dirai non altro egli è che il prediletto dell'eterno.
A di cui gloria ci piace ripetere la nona strofa del Filicaja
nella canzone 34:
E sol dà lode a lui
Con le feconde, ardenti
Lingue dei raggi sui
L'onda col corso, e col susurro i venti;
L'ama ogni tronco; e quello
Armonioso Augello,
Che va di ramo in ramo
Sembra. pur che lui dica: Io t'amo, io t'amo.
A questa porta vagamente colorita con cornici dorate,
corrisponde un'altra simile, che mette nel Monistero entrambe messe
a piè del presbitero. Una terza porta simile dà l'ingresso alla sagrestia,
e l'ultima rimpetto è finta per fare simmetria,
sopra ognuna si erge una gran testa di fiori a di cui fianchi
veggonsi due Serafini di stucco.
La bigoncia è formata con ingegnoso artificio,
opera di un nostro concittadino Francesco Morano,
decorata di varii fregi, che si estolle dal suolo a piramide
con varie intagliature, avendo nella spalliera il corvo col pane in bocca,
e con lo stemma di S. Benedetto rilevati in noce di cui è formato.
In mezzo al calcavoce splendono i Rai di quell'Amor, che amando crea.
Ma prima di escire piacciati, lettore, volgere lo sguardo
alle due fonti dell'acqua santa, sorrette da festoni di foglie,
ambo di marmo bianco, scanalate bellamente nei labbri,
ornati di spalliere a marmi gialli, rossi, neri e verdognoli,
che ergonsi con accartocciate cornici, come obelischi.
Fermati quindi a leggere le due iscrizioni allogate
sulle riferite fonti contenenti specialmente,
le varie indulgenze concesse a questa chiesa. Ecco la prima:
Pius PP. IV edita bulla hujus sacri cœnobii fundationis
Sub die IV Mensis Maii 1563 ut magis
Paternæ Charitatis suæ erga illud documenta
Præberet indulcenziæ Plenariæ thesaurum in forma
Iubilæi in perpetuum alio brevi elargitur
Omnibus utriusque sexus Fidelibus, qui facta peccatorum
Suorum confessione, ac devote sumpta Eucharistia
Ecclesiam SS. Trinitatis monialium cassinenzium
S. Benedicti Civitatis Andriæ visitaverint
ibique fusis præcibus pro felici statu et conservatione
S. Ecclesiæ oraverint, toties prædictam acquisierint
Indulgentiam, quoties dictam Ecclesiam oratum
Ingressi fuerint a primis Vesperis festivitatis per
Totam octavam SS. Trinitatis inclusive: facultate
Ipsis concessa sibi Confessarium sæcularem, aut
regularem eligendi, suo arbitratu, ab Ordinario
Loci tamen ad probatum; a quo absolvi queant a
quocumque detineantur peccato; valeantque
Commutari vota in alia opera pia, haud tamen
Ultra mare, ad limina Apostolorum S. Iacobi in
Compostoellis, Castitatis et Religionis uti in dicto brevi
clare exaratur. Datum Romæ die VII Mensis
Mai 1563. Anno V Pontificatus sui
La seconda, scritta in stile veramente classico, è la seguente:
D. O. M.
Templum hoc SS.mæ individuæ Trinitati sacrum
Ad hoc fastigium erectum, novamque formam restitutum
exultumque marmoreis sacellis, lapidibus musivis
Marmorato plastico super inducto inauratis cancellis
et testudine picturis exornata pavimento de vernicatis
lateribus strato eius sanctimonialium venerabilis collegio
et Abatissa Domna Heduvigi Totta suppliciter poscentibus
illustrissimus Dominus dom.ni Xaverius
Palica, Congregationis Coelestinorum, Ordinis S. Benedicti
Episcopus Andriæ, Patritius Barolitanus
SS. D.ni nostri prælatus domesticus solioque pontifici assistens
solemni ritu et pompa consecrarit
IV Nona iunias MDCCLXXVI
In fronte della prima di queste iscrizioni v'è lo stemma
del Patriarca Cassinese e nella seconda quello di Mons. Palica.
Quindi a ciò non ti negar portar l'occhio allo squisito scompartimento
degli stucchi, che illustrano anch'essi questo tempio.
La mano dell'artefice rilevasi dalla iscrizione apposta
sull'arco interno della porta. in questi termini,
io Domenico Cocatrida della città di Monopoli feci A. D. 1775.
Nella sagrestia sonovi due urne munite di cristalli,
e dentro Gesù con la canna esposta a' dileggi della perfida turba,
e quando portossi ad orare nell'orto degli ulivi.
Ambo presentano raffinatezza d'ingegno e di arte,
mentre furono sculte dall'andriese Brudaglio.
E quivi pure osserverai una conca stirata di marmo giallognolo del paese,
sottoposta ad una spalliera di marmi.
A questo Monistero dovizioso oltremodo, non manca il campanile
a due ordini con balaustre, e gelosie alla finestra e culmine a tulipano,
avendo in punta il corvo colla pagnotta fra il becco.
Tanto la costruzione di questo, che della facciata, e del Monistero
tutto venne diretto dall'ingegnere Saverio Raimondo di Andria,
marito di una mia zia materna.
E se il luogo concorre a render pregevoli le case, le ville,
i palagi, le regie, le Chiese, può ben gloriarsi questa Casa Religiosa
di avere un tempio isolato col Monistero in un punto eminente e nobile,
accanto la Cattedrale, e poco lungi dal grandioso palazzo ducale.
Nel frontespizio del portone, tutto di pietra eccellentemente fregiato,
che introduce nel monistero, spicca oh quanto cara la statuetta di S. Benedetto,
lo stemma del Vescovo Angelo Florio, che mette fuori una vacca con un fiore
e quello della Università. Nel primo è scritto:
«Angelus Florius Episcopus Andriensis» nel secondo
«Andria non minus fidelis quam benigna».
I lavori descritti con gli altri che adornano il portone,
vennero fatti dal ridetto Nicolantonio Brudaglio,
a dritta di questi fregi è messo 1'impresa di S. Benedetto,
e a sinistra quello della città.
A tutto ciò si arroge il cumulo di Argenterie e delle sacre suppellettili
inservienti all'altare nei dì festivi, come pianete di broccato
con doppii galloni d'oro, tonacelle, e piviali, aggiungendosi
gli incensieri, le sotto coppe, i bacini, i boccali, i candelieri,
le carte di gloria, e due grandi lampadi sospese ai due corni dell'altare,
ed i ricchi calici.
La regola di S. Benedetto tanto lodata, aveva per iscopo
di far prevalere la vita attiva alla contemplativa come più utile al prossimo.
Da questa congregazione nacque quella dei Maurini,
tanto rinomata per l'arte di verificar le date,
e per la storia letteraria della Francia.
Ad essi son dovuti il Glossario della Latinità del Medioevo;
e gli Acta Sanctorum di Sario.
L'occidente adottò generalmente l'opera di S. Benedetto,
che provvedeva alla Religione, ed all'incivilimento.
Perché di tutte le iscrizioni morali del Medioevo niuno contrastò,
con più felice successo di questa alla barbarie che venne ad invadere
l'occidente al principio del secolo XIV.
Difatti coi loro lavori e col loro esempio i discepoli di S. Benedetto
diedero le migliori lezioni di ordine, di economia, d'istruzione,
e di dissodamento di terreni incolti che potessero ricevere
le barbare nazioni. I suoi primi discepoli Placido e Mauro
furono accolti dalla Sicilia e dalla Francia, come egli fu accolto in Italia.
[integralmente tratto dal libro “
Andria Sacra” di Giacinto Borsella, edito a
cura di Raffaele Sgarra per i tipi di Francesco Rosignoli, 1918,
pagg. 227-238]
[1]
Facciamo qui osservare che il palazzo di questa nobile famiglia
esiste tuttavia sibben diruto nel largo della corte,
sul di cui portone vi è lo stemma di un mazzuolo,
ossia martello con cui gli scalpellini lavorano.
Non azzarderebbe molto chi sospettasse che i maggiori di tal famiglia
stati siano statuarii.