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Chiesa dell’Annunziata
di Giacinto Borsella (1770-1856)
[Elaborazione elettr. del colore su foto d'archivio]
La nave di questa chiesa è bastantemente ampia, e lunga, ove si entra per una gran porta.
Anticamente ne aveva due altre a fianco, oggi chiuse a sesto acuto.
Nella prospettiva si osserva una finestra rotondata ad otto facce sul gusto gotico.
L’architrave ha una fascia lavorata a foggia della lettera N.,
come se fosse un dentellato, scanalato, il di cui cornicione sporge un palmo in forma triangolare.
Entrando in chiesa, per questa gran porta, tutta di pietra viva ti si presentano
ai fianchi due fonti ovate bislunghe per l’acqua benedetta, di marmo del paese e con festoni sottoposti.
A sinistra leggesi nel muro una lapide del tenor seguente.
Exigum hunc sibi tumulum
Frater Iohannes de Bosni
a
Tertii minorum Ordinis
Soli tamen optavit
A. D. MDXXX
Obiit die XX Novembris MDXXIV
Soli tamen optavit, volle cioè che quel sepolcro fosse di sè solo,
particolare per lui soltanto. Soggiace il Suo ritratto di monaco,
tenendo in mano un bastone dei viandanti, armato di pungiglione in punta,
per difesa contro i ladri e gli animali nocivi. Ha le mani a croce sul petto.
Tiene l’impresa di due volpi, non quella dei Volpicelli, in cui venivano scolpite
due volpi coi volpicini, famiglie entrambi nobili di questa città, forse
per li buoni vincoli di amicizia, che passavano fra il defunto con le stesse.
Vuole la tradizione che costui stato fosse figlio del Re di Bosnia
provincia della Turchia Europea.
Due altari a destra e sinistra sono situati dirimpetto.
Sul primo è dipinto la Concezione con veste bianca fiorata d’oro, e manto azzurro cupo,
che dalle spalle scende ondeggiante fino ai talloni, lo Spirito Santo le sta in testa
splendente di raggi. È ricinta di serafini, in atto di aprire una cortina velluto chermisi.
Le soggiacciono altri, chi con ispecchio, chi con giglio, chi con ramo di alloro,
chi di rose, e chi di palma. Ai di Lei santi piè la luna bicornuta.
In fondo sorgono vive fiammelle per aver debellato col suo potere gli spiriti d’Averno.
In due nastri poi leggonsi queste parole: Nondum erant abissi, etiam concepta eram.
In cima a questo quadro un altro del Creatore, in forma di venerando veglio,
con prolissa canizie al mento, e un globo alla destra come il dipingeva il Raffaello,
in atto di chiamare dal nulla all’essere tutto il creato. Ora a proposito di questa tela,
diremo, che Raffaello Sanzio, nato nel 1483 può considerarsi fra quelli della sua arte
come Omero tra i Poeti. Apprese sotto il Perugino, e ben presto il superò.
In Firenze studiò i cartoni del Vinci, del Michelangelo, destinati per quel pubblico Palazzo.
Venuto a Roma da Bramante famoso architetto, e suo zio, fu presentato a Papa Giulio II,
il quale lo ammise alla sua amicizia, e gli diede molto da travagliare nel Vaticano.
La prima opera di Raffaello in Roma fu la scuola di Atene, ove si vedono
i più grandi uomini in atto di sputare sopra tutte le umane scienze.
Opera la di cui ricca composizione sorprende ed incanta. Da Michelangelo
l’urbinate attinse in parte quella fierezza e quella elevatezza,
che formano il distintivo carattere del Buonarotti; qualità che affansi
allo stile dell’Allighieri. Dopo la morte di Giulio II entrò in grazia
di Leone X gran protettore degli ingegni, e delle arti.
La trasfigurazione di nostro Signore sul Taborre meritamente riguardasi
come il capolavoro di tale Artefice. Il Bembo gli fece il seguente epitaffio.
Ille hic est Raphael timuit quo sospite vicini
Rerum magna Parens, et moriente mori.
Una immaginazione feconda, una ben intesa e semplice composizione,
una bella scelta, molta correzione nel disegno, grazia e nobiltà nelle figure,
finezza nei pensieri, naturalezza nelle abitudini, tali sono i tratti
ai quali si può riconoscere la maggior parte delle sue opere.
Secondo l’Algarotti il pittore, nelle sue imitazioni ha da proporsi d’ingannar l’occhio,
appagar l’intelletto, e muovere il cuore. La conversazione dell’Ariosto,
suo particolare amico di molti altri begli spiriti, servì ed accrescere
il brio e la sua vivace fantasia. Non potendo uguagliare Michelangelo
nel disegno adottò una maniera nuova più graziosa, che piacque più,
essendo accompagnata da tutti gli ornamenti e da tutte le convenienze della pittura.
Il suo pennello era morbido e pastoso.
Il ridetto quadro del Creatore è chiuso da ampia cornice frastagliata di foglie,
luccicante di finissima doratura, onde più rispettabile si rende.
L’altare tutto a spalliere di legno, accanto pilastri con capitelli e basi,
oltre una gran fascia attaccata al muro rabescata di fiori,
e frutta che termina con cornicione ritorto.
Due colonne anche rabescate fina al piedistallo, spiralmente intrecciate
di pampinosi rami, situate nei fianchi, elevansi fino al quadro.
Le dorature sul verde, di cui tutto l’orlato è colorito, riescono più risaltanti.
L’architrave largo tre palmi splende per li diversi fregi,
e sull’apice dei capitelli poggiano due altri cornicioni come scudi,
alle basi delle ridette colonne son rilevati due rosoni.
Questo frontespizio a buon conto presenta due ordini di architettura.
Sulla mensola dell’altare espongosi due gradini, ove allogansi,
le palme e i candelieri e vi sono sculti degli angioletti alati.
L’altro altare in tutto conforme al già descritto, è messo di rimpetto.
Il quadro offre lo sponsalizio della Vergine, S. Giuseppe le porge la mano
presente il vecchio Simeone. Sul capo degli sposi la Divina Colomba.
Lo sposo indossa veste verdastra, e ferraiolo giallo, avendo nella sinistra
la sua mazza fiorita. La Vergine porta in testa un lino bianco,
il di cui lembo cade sugli omeri. S. Elisabetta ha pure il capo coperto
di bianco lino, a foggia di cuffia di notte. La sposa è abbigliata
con veste rossa, e manto cilestre. Portan nei piedi pianelle con nastri
intrecciati sino alla polpa della gamba.
Il vecchio Simeone con lunga barba bianca è decorato di mitra bicorne
all’uso dei sommi Sacerdoti. Veste camice bianco, con sopra tunica di verde chiaro,
aperta nella parte d’avanti, donde appare che il soppanno sia di scarlatto.
In petto l’Efod. I piedi son coperti di sandali scarlattini. A sinistra
vi è S. Vito, con tre cani di vario pelo. Ha una veste sino al ginocchio,
color legnino e sopraveste verdastra, e stringe una croce.
Apparisce un colonnato di tempio ove seguì il santo connubio, ornato
di cortine aperte, e ravvolte, onde scoprirsi quella santa cerimonia.
Questo quadro è inferiore al primo di merito,di un epoca più recente.
In cima si vede la visita di S. Elisabetta a Maria. Accanto S. Giuseppe,
e S. Gioacchino, la Vergine veste come sopra, e S. Elisabetta con una veste
color di malva. S. Giuseppe con soprabito scarlattino e sottabito legnino.
S. Gioacchino con vestimento ceruleo, e mantello cinericcio.
Questo dipinto è lavoro di pennello d’altra scuola più cospicua.
Sopra questo altare è eretta una statua di S. Lucia.
Adiacente è messa la cappella del SS. con balaustra di breccia a pilastri,
con bastoni di ferro, ornati di borchie di ottone. La custodia è di legno
che vien cinta di quattro colonnette ritorte, la di cui portellina
porta lo stemma del Sacramento in similoro, con lo spirito settiforme in cima.
Ha la forma di un obelisco cinto di gradini e basi per poggiarvi fiori,
candelieri, statuette. E due statuette sono allogate intorno di S. Pietro e S. Paolo,
che distinguonsi, per le chiavi che l’uno ha nelle mani e per la spada
che impugna il secondo. Sussieguono delle cariatidi, come Sirene con ritorte code.
Termina la piramide con cornice e faccia dentellata sopra un ornato di foglie.
La suddetta piramide colorata verde dorata nei freggi, e nelle orlature.
Un angioletto inoltre è messo sopra la custodia e due altri a fianco.
Come ognun vede, eran questi i lavori di mezzi tempi della Chiesa,
nelle quali non erasi ancora introdotto il gusto dei marmi, che al dì d’oggi
le nobilitano. Su questo vetusto altare è inalberata una croce con Gesù morto,
scultura di pregio. Accanto al muro di questa cappella leggesi questa lapida.
D. O. M.
Francisco Romonditio quod pia munificentia
ab anno MDCLXXIII,
testamento reliquit
ut huius sacri Colleggii ad aram SS. Sacramenti
pro perenni
lampadis lumine, et cerae comsumptione
Andriae Universitas,
cui poecuniam suam crediderat,
quotannis ducatos sex
pubblicis redditibus
et vectigalibus solveret
ei quod eius votis ut perpetuo fieret satis
Sindycus
et Magistratus publici instrumenti ad stipulavere
ab anno MDCLXIX cautum fecerunt
Capitulares monumentum hoc gratitudinis ergo posuerunt.
[NDR]
In attacco a questa cappella vi è un altare ad onore della gran diva del cielo
dipinta a fresco nel muro. Il ritratto è custodito da cristallo.
E qui ad onore della religione fà mestiere non trasandarsi il portento più che strepitoso,
avvenuto nel marzo dell’anno 1495 quando Carlo di Francia era già in Napoli.
Trovandosi questa città custodita da un presidio di Francesi, dessi soleano in alcune ore
divertirsi al giuoco, alcun di loro perduto avendo tutta la moneta, che aveva,
montò in tal furore, che con la sua mano armata, dietro le più orribili imprecazioni
avventossi contro quella sacra immagine, accanto la quale giocava.
La madre del Verbo era dipinta fuori la porta della Chiesa con le mani conserte
in atto di contemplare il di lei figlio ligato alla colonna. Ma non appena
che fu da quel sacrilego colpita, che tosto una delle sue mani, staccossi,
onde farsi scudo all’occhio destro, che era stato colpito e l’altra rimase ferma.
Gli spettatori compresi da santo orrore, ne fecero tosto avvertito il pubblico,
sino a che compilatosi il processo, videsi quel sacrilego pendere dal patibolo.
Il muro dov’era effigiata la immagine venne con tutta cautela distaccato
con tutto l’intonaco, ed introdotto in chiesa onde se le eresse dal Comune
quell’altare in pietra istoriato nel frontispizio con fini geroglifici in pietra
[1].
L’ultima relazione di tal ver miracolo fu scritta da Monsignor Triveri
Vescovo di Andria 1603 [errata: Triveri fu vescovo di Andria dal 1692 al 1696
e la relazione è nella Visita Pastorale del 21 Novembre 1694] la quale leggevasi tuttavia.
Per chi ignora la voce, e il significato della parola ieroglifico,
diciamo che dinota intaglio sacro; nome che si appropria puranche a figure di animali,
di piante, ed altri oggetti materiali, che si scolpivano sugli obelischi,
in prospettiva alla porta dei templi sulle are, ed altri luoghi chepperò
presso gli Egizii era una sorta di scrittura ideografica.
Presa una volta la via dell’immaginativa, si va a simboli, a segni topici,
in cui si pone una cosa per un’altra, per analogia, per significanza vera, o composta.
Cosi un occhio su di uno scettro, spiega il regio potere della vigilanza,
il serpente che divora la coda palesa il giro del tempo che passa nel suo rivolgimento incessante.
Alle spalliere di questo altare sono allogati due genii alati l’uno con la croce,
e l’altro col cuore fiammante di carità nelle mani. In fondo del primo gradino
della mensa due teste di fiori avendo nella base due scimmie sì nell’uno,
che nell’altro lato; nel mezzo foglie conserte.
Nella fascia del secondo gradino Gesù esce da Gerusalemme accompagnato dalla turba
e dai militi a piedi e a cavallo portando bandiere spiegate.
In prosieguo egli porta la croce e termina colla vista del calvario, sul quale,
sono rizzati due croci, e la terza si prepara da due Giudei addetti al lavoro.
Alla base tanti scherzi rilevati a cancelli ed altre capricciose figure come ghirigori.
La fascia del primo pilastro comincia con due dragoni alati, con lunghe ritorte code,
sopra gli stessi Canefore con frutta, quindi puttino con due colombe.
Ne segue un altro fra due cavalli sfrenati, sussieguono a destra e sinistra
due altri draghi con code rabescate ad arco cinte di foglie.
Nella fascia del secondo pilastro due Pegasi, e al disopra due draghi alati
e nel mezzo un cane col capo in giù portando in bocca una torta a sfera ed ai fianchi
due maschere tragiche con nastri pendenti. Più in su, due genii tra i quali
uno scherzo di frondi ne vengono altri due divisi da due teste di fiori,
e da colombe che si baciano. Sotto il capitello due scimmie ed in cima un serafino alato.
Ma, si gran cose ad uguagliar col canto. Chi mi dà voce, chi mi dà stile che basti ? (Tosti Canzone 29 ).
Se la base del primo pilastro incomincia come si è detto con due Dragoni alati,
quella del secondo comincia con due colonnette striate fornite di piedistalli
e capitelli avendo nel mezzo un satiro con lunghe aguzze orecchie.
Quindi succedono due genii che uniti lottan fra loro, appresto due puttini
con altro che cavalca un drago, sotto un capitello due colombe che formano manichi
di altre teste di fiori.
In cima un serafino con ali spiegate nella faccia dei due pilastri adiacenti,
avendo l’altare due ordini di pilastri che raddoppiansi,
mostrasi una maschera tragica ed a fianco due draghi alati.
Appresso superiormente due genii nel mezzo una sfera e disco con puttino
cavalcato su destriero. Due altri genii seduti ed altre teste di fiori con serpi attorti.
Più sopra altro Genio che tiene la mano distesa sopra un leone in modo da renderlo
sicuro con altro a fianco. In fine altro genio sottoposto a due scimmie.
In cima al quadro della Vergine la testa di un grand’Angelo con ali spiegate
e a destra un cavallo alato con coda rabescata, ed a sinistra vaga sirena.
Ma ben sorprenderà chiunque farassi a mirare il gran dipinto in tela affisso
in mezzo della soffitta quantunque per l’altezza non fosse discernibile nelle più minute parti.
Rifulge la gran Diva Maria, ritta in cima, la cui testa brilla fra il triplice splendore
di luce, e di bellezza, e della più soave espressione. Ella tiene le mani giunte
verso il Cielo in atto di rendere grazie all’Eterno, per vedersi francata
dal peccato originale che ogni altra creatura nascendo contrae, ricadendo
coi primi progenitori sotto la dura schiavitù di Lucifero, dopo aver gustato il vietato pomo.
A dritta e sinistra della Vergine osservansi dei Serafini, due dei quali,
tengon lo giglio e lo specchio, e gli altri la palma e la rosa.
Dei nastri spiegati portan queste leggende
“Nondum erant abyssi et ego iam concoepta eram. Ipsa conteret caput tuum.
Si dixerimus quoniam peccatum non habemus ipsi nos seducimus.„
Sotto a’ di lei piedi si eleva l’albero fatale, avendo accanto Lucifero cornuto
in forma di uomo, con ben lunga coda attorta a quel tronco.
Adamo ed Eva nudi sono da catena avvinti ai rami. E catenati pur veggonsi
il condottiere del popolo ebreo tenendo in mano le tavole della Legge,
il re Profeta coll’arpa, e quel coronato suo figlio, che lasciò dubitare,
se più tesori di sapienza, o di terrene dovizie posseduto abbia
dalla munificenza del Creatore ed altri antichi Padri.
Egli è tale il pregio di questa tela, che raccomandasi da sè senza bisogno
di elogio e sembra esserne opera del pennello stesso che ritrasse
il quadro della Concezione da noi descritto di sopra vedendosene troppo chiaramente
l’analogia dello stile delle immagini, delle forme, del colorito.
Sul presbitero osservasi altro dipinto della Vergine in atto di orare,
cui presentasi il celeste messaggiere con le parole.
Spiritus Sanctus superveniet in te. Cui la pia umilmente risponde.
Ecce ancilla Domini fiat mihi secundum Verbum tuum.
Sul pavimento del presbitero si scorge sculta la effigie di Carlo Albanese
antico patrizio di nostra Patria, che lasciò i suoi averi al capitolo tumulato
conseguentemente in questa Chiesa. Egli è vestito da militare Spagnolo con zazzera,
mustacchi e becco. L’abito è succinto, le falde giungono al ginocchio,
con bottoniera al petto alle maniche ed ai calzoni avendo una cintura
annodata che gli pende, col capo scoperto, e piè calzati pure alla Spagnola.
Sull’avello leggonsi questi versi.
Nomine vir magnum, Lector, cognomine purus
Perlege num factis maior utroque fuit.
Carolus Albanesi coeli templa peroptans,
Largitur templo quas comulavit opes
Columna hic templi vivat sic marmore dignus
Dignus quem Clerus sic meminisse vetit
Anno Domini 1712
Lo stemma di questo gentiluomo porta due pini con lione rampante nel tronco d’uno di essi.
In faccia al muro quest’altra iscrizione
[2]:
D. O. M.
Clemente XI S. P. Carlo III Rege Cattolico
Illustrissimus et reverendissimus Nicolaus Adinolfi
Neapolitanus Episcopus Andrien
In honorem beatissime Virginis Mariae Annuntiatae
Antiquam hanc Collegiatam solemni ritu consecravit
Dominica die XVII Iunii MDCCXIII
Nel pavimento leggesi una lapide sepolcrale a caratteri gotici della famiglia Camerota
distinta per nobiltà nella nostra patria, si osserva inoltre a fianco
dell’altare maggiore una figura di castello con culmine, a forma di obelisco,
intorniato da graziosa fascia di acanto, o vite pampinosa sino all’apice
con l’epoca del 1490 allusivo questo emblema all’altro nobile casato Campanile.
La fonte dell’acqua santa in cornu Evangelii dell’altare maggiore porta gli stemmi
del Duca del Balzo, nè mancano in questa chiesa gli altri della casa di Spagna,
o Aragonese. Si entra in questa chiesa anche per una portella che corrisponde all’altare maggiore.
Nell’antiporto vi si vede una volta a cordone in forma di spicchio, volte
che spesseggiano nelle nostre cappelle. L’arco dell’entrata a sesto acuto
è sostenuto da due colonne di pietra con capitello ornato di varie foglie.
Ma ciò non è tutto. Sopra il quadro havvi l’immagine del Battista,
vestito con pelliccia, quadretto di tutta legiadria per le sue fattezze.
L’architrave ha un cornicione sporto a triangolo dentellato di figura isoscele.
Tutto il suddetto ornato è mirabilmente intagliato con sopraffini lavori.
Ed è ben sapersi, che tali geroglifici erano tutti indorati,
osservandosi ancora le tracce della doratura. Questo altare ornato bellamente
sul gusto gotico venne eretto a spese della Università, in memoria del prodigio
che avvenne e gli atti correlativi esistono nell’archivio vescovile.
Altro altare è messo rimpetto a questo, che ha un quadro dedicato all’Annunziata,
che sta in cima di esso, cui stan sottoposti gli Apostoli, S. Giacomo, S. Filippo.
Alla base il carcere del Purgatorio, le di cui anime con le mani alzate
implorano soccorso alle loro pene. A piè del padrone del Regno le teste
di due vezzosi serafini. In fronte dell’esposto quadro un dipinto pregevole
di Gesù disteso sopra bianco lino, ai di cui santi piedi brucia un cerio
rimpetto la dolente madre, e al capezzale S. Giovanni.
Questo altare pure formato di pietra viva, merita del pari attenzione.
Quattro colonne il fiancheggiano, due a dritta e due a manca, ritorte a spire,
sulle quali si avviticchiano tralci pampinosi. Tra pampini veggonsi degli uccelli,
dei puttini in varie attitudini, delle ridette colonne due poggiano sull’altare,
le altre in terra, fornite tutte di capitelli e piedistalli. Nelle mostre delle basi
di queste seconde osservasi una cariatide con chiocciola ai piedi, ed una testa di fiori,
e nell’altra base un dragone che giace sopra un uomo, che il tiene soggiogato,
con adunco becco sul collo. Accanto un genio che ha in mano un ramo con foglie
da cui spunta una rosa. Il quadro dell’altare oltre di essere cinto da cornice dorata,
è ricinto da altra fascia larga rabescata con foglie e frutta.
Sotto l’architrave scorniciato e dentellato sono rilevati due angioletti
ed in mezzo un Serafino alato. Sopra il secondo quadro Gesù fornito di dorata cornice,
vedesi la testa del Padre eterno, ed in cima lo Spirito Santo.
Finalmente sopra i cornicioni dei capitelli seggono due serafini.
La credenza dell’altare maggiore è formata di noce, e di buona noce anche il coro,
con teste di fiori in cima. Ha sedici stalli superiori ed in mezzo quello del Priore,
unica dignità del Capitolo e dodici inferiori. È fatto a parallelogramma,
e nei sedili superiori sonovi dei fregi dorati per ogni stallo.
La fonte dell’acqua santa eretta sul presbitero in forma di calice tiene
gli stemmi dei Bauci e della casa di Spagna.
[Elaborazione elettr. su foto d'archivio anni "60]
Accanto si vede una cappella
sacra alla Vergine dell’Incoronata, come si vede dal dipinto.
La volta è formata a cordoni a spicchio, Nel pavimento della gran nave
leggesi lapide sepolcrale dell’Illustre famiglia Camerota, e in un angolo
del presbitero in faccia al muro si vede incisa una volpe per qualche tumulo
che questo casato aveva.
Quindi veniamo a far parola dell’ampio cappellone, che osservasi
in questa antica Chiesa dedicata alla Vergine, la quale sta dipinta
in gran quadro sull’altare a di lei onore eretto, di S. Sabino e S. Gaetano Tiene.
Ivi leggesi questa iscrizione.
D. O. M.
Altare hoc Immaculatae
Semper Virgini Mariae
Divo Sabino Episcopo et Caietano
Privilegiatum quotidianum
Pro animabus Fidelium Defunctorum
Ex indulto
SS. Domini Leonis
P. P. XII de die VI
Mensis Martii
MDCCCXIV
Il surriferito quadro dell’altare rappresenta la Vergine, in atto di affidare
nelle purissime nani di S. Gaetano in abito pretile con collana, l’abitino.
Varii Angioli corteggian la Diva. Sotto la Diva S. Sabino abbigliato
pontificalmente con mitra, e pastorale. Egli ha un libro aperto nelle mani,
in cui è scritto: Peto Donnine, ut quiescat ira tua,
et esto placabilis super nequitiam populi tui.
Vicino un angelo con sottocoppa, e tazza, donde sorge vipera maculata
con lingua trifulca. Nel muro vi è una copia del gran quadro di S. Tommaso,
in atto che immette il dito nel seno Santissimo del Divin Maestro.
Inoltre nei muri opposti sonovi due nicchie. Nell’una conservasi l’olio
di S. Sebastiano e nell’altra nulla, ma che anticamente contenea l’Ecce Homo
che il capitolo in lasciar questa chiesa, condusse nell’altra di S. Agostino.
Questo ripostiglio ha larga cornice tutta dorata, con corona soprapposta,
e fregi dentellati, non senza rabeschi. Al disotto avvi una testa
di un angelo alato, oltre due altri che sostengono l’anzidetta corona.
La doratura così lucida sembra essere stata opera di fresca data.
Nel pavimento del Cappellone vi si osserva una fossa su cui è scritto.
D. O. M.
Sepulcrum
Fratrum Sororumque
Venerabilis Confraternitatis
Immacolatae Conceptionis
Anno Domini 1737
Restauratum.
1805
Sopra la porta della sagrestia dei fratelli, è eretta una tabella nella quale spicca
la Vergine SS. con due fratelli vestiti di sacco che divotamente le porgon preci.
Dentro un altare con un gran quadro dove è dipinto l’Apostolo che per la forza
dello stile assunse lo stemma del Leone che gli giace appresso, non che S. Rocco.
Mostra questo quadro la sua antichità anche nella cornice di legno,
dentellata rabescata, con globetto tramisti.
Le due fonti dell’acqua santa
messe ai due fianchi della porta, ànno per sostegno le cariatidi.
Per ultimo il lettore alzerà lo sguardo al campanile composto di dura pietra ruvida,
formato da tre archi a sesto acuto, due dei quali paralleli, il terzo messo a cavalcione.
Manca la terza campana che i preti fecero togliere per allogarla nella nuova chiesa,
che occuparono. E' veramente bizzarra la costruzione dello stesso,
ed è ben solida, mentre i pilastri son ben riquadrati e forti.
[integralmente tratto dal libro “
Andria Sacra” di Giacinto Borsella, edito a
cura di Raffaele Sgarra per i tipi di Francesco Rosignoli, 1918,
pagg. 257-270]
NOTE
[NDR]
Il testo trascritto dal Borsella è molto impreciso; dovrebbe invece essere il seguente:
D. O. M.
Francisco Romonditio Quod Pia Munificēta
Ab Anno: CIƆCLXXIII Testamento reliquit
Ut Hujus Sacri Collegii Ad Aram SS: Sacramenti
Pro Perenni Lampadis Lumine Et Ceræ Comsumsione
Andriæ Universitas Cui Pecuniam Suam Crediderat
Quotannis Ducatos Sex
Ex Publicis Redditibus et Vectigalibus Solveret
Et Quod Eius Votis ut Perpetuo Fieret satis
Syndicus et Magistratus Publici Instrumēti Adstipne.
Ab Anno: CIƆCLXXIX Cautum Fecerunt
Capitulares Monumeum. Hoc Gratitudinis Ergo Posuere
[1]
Specioso non poco era il gastigo che inffliggeasi a chi bestemmiava nei tempi di mezzo,
come rapporta il Muratori.
Tomo I delle antichità Italiane Dispensa 20.
La podestà, del luogo, si dice, facea situare in una corbella il bestemmiatore,
il quale veniva più volte sommerso nell’acqua di pozzo, o di fiume, o di mare;
tanto se bestemmiato avesse Dio, la Vergine gli altri santi, quante volte pagar
non avesse potuto cento scudi. E questa era chiamata pena dell’acqua,
ed era comune a ruffiani, ed alle meretrici.
[2]
In testa di questa iscrizione vedesi lo stemma di due sbarre orizzontali, e due stelle in cima.