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Acquaforte di Castel del Monte del 1860 circa

Il Castello del Monte
in Terra di Bari

Studi e pensieri

di Giuseppe Aurelio Lauria (1805-1879)


Idea del Libro

Al viaggiatore, il quale, percorse le sterminate pianure della Capitanata, s’innoltra, lunghesso le sponde dell’Adriatico, nelle terre del Barese, si presenta, appena traghettato il passo dell’Ofanto, a destra della strada, una lontana non ardua collina, coronata il vertice da un antico Castello. A Barletta gli è quasi di fronte, a Trani e a Bisceglia gli vien di lato, a Giovenazzo se lo lascia alle spalle, a Bari nol perde di vista, c fino oltre a Montrone gli è sempre presente. Che se, venendo dagli oliveti di Terra d’Otranto, percorra il viaggiatore l’amenissima strada che congiunge Canneto a Canosa, da Palo, da Bitonto, da Terlizzi, da Ruvo, sempre più distinto si fa quel colle, e più scernibile il suo Castello; infino a che giunto a Corato e ad Andria, ne discopre le torri, ne ammira l’altezza, ne vagheggia l’elegante struttura.

Quel Castello è quasi un compagno di viaggio; e il Genio tutelare della regione Peucezia; e pel pilota che naviga pel torbido flutto del Mar d’Adria, è il primo indizio di terra, è il solo punto culminante che scorgasi ad ostro, epperò prima letizia di toccare o mai la desiata sponda della non ancor visibile contrada.

Quel Castello non toglie nome dal suo fondatore, nol prende da vicina città, né da Santo Protettore, ma ricevelo da un monte anche esso anomalo, epperò chiamasi Castello del Monte.

Quel Castello ebbe una gioconda puerizia, un’agitata adolescenza, e tutta una vita storica di fausti e luttuosi eventi; ed ora si gode la pace della vecchiezza, che cinge di edera le estreme sue forme, e consola di pietose nenie i giorni estremi della sua esistenza.

Quel Castello vide entrare ed uscire dalla alta sua porta Svevi ed Angioini, Ungheri, e Francesi, Romani e Spagnuoli: vide nelle ampie sue sale assisi a marmorei seggi or incliti principi, virtuosissime dame, generosi guerrieri, insigni porporati, e ora truculenti tiranni, feroci soldati, barbari conquistatori, ambiziosi signori. Fu casa di caccia, fu fortezza, fu prigione, fu palazzo di delizie, fu asilo di banditi. Ed ora dà ricovero ad un umile mugnajo, e dà ricetto agli armenti di incuriosì pastori.

Oh come agevolmente da quelle vecchie torri, e da quelle profanate sale cavar si potrebbe la storia non che delle Puglie, dello intero reame di Napoli, e quanto leggiadramente evocare le eroiche fantasime di che fu già popolato questo Castello, e vedersi venire innanzi le liete, e le tristi vicende della travagliata nostra regione!

Eppure pochi, anzi rarissimi sono i viaggiatori, i quali dalla maestra strada allontanandosi, se ne vadano a visitar quel Castello ancor bellissimo; che tutta intera domina la Terra di Bari, e tra le sue rovine

«Sorge maestro ancor dell’arte antica».

A siffatto pensiero avevo l’animo rivolto quando per la terza fiata io mi recai ad ammirare quella sublime costruzione; e ne venni in intendimento di descrivere, desumendone elementi da quel che ne rimane, la prisca condizione di quel Castello, e di raccogliere, e porre in ordinata sequenza tutte le memorie dei fatti quivi avvenuti. Fra non molto, dissi a me medesimo, l’edace tempo, c la distruggitrice mano dell’uomo perverranno a far discomparire le preziose vestigie di questo Alhambra delle Puglie. E perché non mi ingegnerò io a serbarne memoria, descrivendone, il meglio che io sappia, i particolari? Parvemi cotesta un’opera santa c pietosa; epperò volentieroso vi posi la non tarda mano.

Mi rivolsi a quanti Autori antichi e nuovi, trattarono storie Napolitane, rovistai Archivi, ricercai manoscritti, e dopo lungo studio pervenni, non a scriver la storia del Castello del Monte, ma a raccogliere e porre cronologicamente in ordine tutte le memorie dei fatti che ebbero a teatro questo luogo.

Cominciando dagli storici che narraron di Federico II, e di Re Manfredi, il Malaspina, il Renber, Paolo Diacono, con le lettere di Pier delle Vigne, il Diurnale di Matteo Spinello, e la Dissertazione di Monsignor Davanzati, percorsi le Cronache di S.ª Sofia, la Cavense, la Cassinese, il Malaterra, il Bella pianta. Ne venni poscia al Muratori, al Costanzo, al Capecelatro, all’Ughello, al Pontano, al Colenuccio, al Rosco, al Troylo, al Della Guardia, al Giannone, al Giustiniani; e non senza profitto mi vennero alle mani il Thesaurum anecdotorum dcl Martin, e per ultimo la bella Monografia del Dùrso della città di Andria — Citare i documenti, indicare i volumi, designar le pagine per dar credito alle mie parole mi parve superbo corredo a modesto lavoro, nel quale non la storia già, ma o riflessioni su fatti storici universalmente noti, ovvero aneddoti storici poco bramosi di giustificazione io me ne andai descrivendo. Ed oltreacciò son troppi i libri, e i manoscritti che avrei a citare perché io bon rischiassi di darne molestia a’ miei leggitori.

Un’altra avvertenza debbo pur fare a chi mi legge ed è questa. Assai sovente — e forse troppo oltre i termini del convenevole — io feci parlar coloro che posi in iscena in queste pagine: indagando ed immaginando, quel che essi avrebber potuto e dovuto pensare e dire, bastando a me quello che ai solenni storici è bastato, la verosimiglianza.

Se altri volesse imputarmi questo ad errore, io bramo che valgamene a scusa, se non a ragione, lo amor grande che sempre ebbi, ed ho pel Padovano scrittore delle Romane Istorie, il qual tanto si piacque di porre sulle labbra dei Consoli, dei Generali, de’ Tribuni, e di tutti coloro che operaron le grandi cose che elevaron Roma a regina del mondo, non quel che essi dissero, quello bensì che, a suo senno, avrebber potuto, ovver dovuto dire.

E da ciò vedasi perché io chiamai questo lavoro Studi, e Pensieri, e non mica Storia del Castello del Monte.

Valgami il buon proposito a farmi benevolo il Lettore, e se all’utilità che possono recare queste descrizioni s’accoppiasse alcun diletto, io avrei fatto lieti i miei voti, e benedetta la industre fatica.


[Tratto da: Giuseppe Aurelio Lauria, “Il Castello del Monte, in Terra di Bari - Studi e Pensieri”, Tip. Raffaele Avallone, Napoli, 1861, pp. 3-8]