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Acquaforte di Castel del Monte del 1860 circa

Il Castello del Monte
in Terra di Bari

Studi e pensieri

di Giuseppe Aurelio Lauria (1805-1879)


III.
Il Castello

Profittando della configurazione del monte, il quale, come dissi, sorge a mo’ di piramide dalle sottostanti convalli, ben s’avvisava l’architetto di innalzar quell’ augusto palagio, prolungando, per così dire, la sommità del monte con quella sua sublime costruzione. Per modo che ben più grande, e più alto esso apparisce da lungi, conquistando, la mercè di ottico inganno, grande una parte della elevazione del monte sul quale si asside, e del qual sembra ed è veramente la corona.

Quadrilatero nol fece, perocché malagevolmente sarebbevisi prestata la estrema forma del monte, e di non bella apparenza sarebbe riuscito al guardarlo da lungi e da basso, per quell’occultarsi di una parte sì grande della fabbrica, coperta dal prolungamento del lato vicino. E nemmeno fecelo circolare; ché ne avrebbe scapitato in vaghezza, assumendo una apparenza di torre da fortificazion militare, ovver di prigione. Disegnollo invece ottangolare, e ad ogni angolo innestò una torre esagonale, la qual nascondeva due de’ lati nella fabbrica, ed elevavasi leggiadramente merlata su i prossimi lati del Castello.

Uguali ed affatto simili son le otto facciate; senonché solo i quattro lati che rispondono ai venti cardinali hanno esterni finestroni. E nel lato poi che guarda l’oriente trovasi la porta d’ingresso magnifica di ampiezza, di disegno, di marmi, leggiadra di forme, di proporzioni, di ornati; costituente di per sé sola una maraviglia di perfezione architettonica.

La elevazione del Castello supera i 400 metri; la spessezza delle mura va oltre ai 28; sicché per grandezza e per solidità poche costruzioni star possono alla pari di questa.

Da qualunque lato tu guardi il Castello ti vengon veduti quattro delle sue torri; da qualunque angolo lo miri ti vengono innanzi due de’ suoi lati; e per tal modo la varietà delle rette e delle curve quella delle ombre, e dei chiari costituiscono un insieme mirabile di architettonica euritmia che ti mette nell’animo un senso di piacere indicibile.

I finestroni soprattutto, a puro sesto acuto, scompartiti in tre vani da interposte trigemine colonnette marmoree, ed ornate di rosoni a piccoli trafori, offrono il più vago innesto della gotica alla moresca architettura; e ti lascian vagante il pensiero tra i profumi de’ giardini dell’Oriente e la solennità delle foreste del Settentrione.

La solidità predomina in tutte le parti di cotesto grandioso edifizio; ma a quella solidità si accoppia tanto ingegnosamente la leggiadria e la grazia, che non sai propriamente discernere se esso sia più forte che bello, ovver più bello che forte, comunque tu debba confessare essere esso e bello e forte in grado eminente.

In due uguali piani, l’uno all’altro soprastante, dividesi il Castello, ed ha nel mezzo un’ampia corte, la qual seguendo la esterna forma dell’edifizio è pur essa ottangolare; ha quattro grandi porte che guardano ai quattro venti; [1] e da queste porte si penetra in quattro delle otto sale del piano inferiore — E quelle otto sale, nelle quali i due soprastanti piani ugualmente dividonsi, seguon pur esse la forma esteriore dell’edifizio, ed han però l’interno lato rispondente alla corte e più prossimo al centro, men grande de’ due laterali, e di quello rispondente all’esterno. Cionondimeno assai men grande apparisce la differenza di quel ch’ella è veramente, la mercè di ben calcolato artifizio di simmetriche proporzioni; né senza molta attenzione tu potresti avvedertene.

Grandi colonne di marmo rosso stanno ai quattro angoli delle sale del primo piano, e da ognun dei loro moreschi capitelli partono tre segmenti di arco in pietra bianca marmorea; un de’ quali va a congiungersi agli altri nel centro della concavità della volta, terminando in un rosone di elegante magistero, e gli altri due divergendo a destra e a manca, vanno pure ad incontrare sotto la stessa volta quelli che partono dai lati circostanti, formando con essi un vaghissimo disegno ed aggiungendo solidità di sostegno a quella enorme massa di marmorea costruzione.

A dar poi luce ai saloni del piano terreno vedonsi praticato nella enorme spessezza delle interne muraglie altissimi finestroni, a mo’ di spiragli, che sporgono nella corte, a lati convergenti, ed hanno contorni graziosi di eleganti intagli in pietra bianca e rossa.

Buon giudizio formar non possiamo intorno alla destinazione di quelle otto sale terrene; perocché troppo nobili ci sembrano per crederle addette ad uso di scuderie e di cucine. Ma pur veggendo in quattro di esse gli enormi cammini a prolungate cappe che danno nella corte, e riflettendo alla magnificenza affatto regale, anzi orientale di tutte le parti di cotesto grandioso edifizio, facilmente dobbiam lasciarci andare alla credenza che le scuderie, le cucine, e le altre men nobili commodità della casa non fossero allogate tra le singolari magnificenze di che risplendono quelle sale e quelle torri del primo piano del Castello.

Ognuna di quelle sale ha ingresso in una delle otto torri, che già descrissi nella parte esteriore; ma per due di esse solamente si ascende al piano superiore. Nelle altre sei che non hanno scale, e servono a commodo del piano terreno trovansi elegantissime stanze e riparati salotti che prendon lume dagli esterni spiragli della rocca; ed è ben ragion che credasi essere essi destinati ad alloggio dei familiari ed a tutti gli altri usi della domestica vita degli abitatori del Castello. Purtuttavolta son così eleganti quelle stanzine di finissimi intagli e di leggiadri cupolini, di rabescate cornicette, di ben modulati archetti, che, come dissi, stentereste a persuadervi, essere state esse addette a men che nobili usi.

Sono scale a forma di lumaca quelle che conducono per lo interno delle due torri al piano superiore; dan luogo al commodo passaggio di due persone e vengono illuminate da capaci spiragli, a forma di balestriere che guardano nell’esterno. La struttura poi ed il magistero di quelle scale son propriamente mirabili per solidità ed artifizio architettonico; imperocché vedonsi da un sol blocco di bianchissimo travertino cavati i scalini triangolari, la loro appendice laterale, che si allarga incastonandosi nella circolare parete, ed il prolungamento del loro centrale sostegno. La esattezza poi di uguaglianza quasi geometrica di quei massi, la unione e congegnazione delle varie parti di essi, e la elezione della pietra son tali pregi che servir potrebbero di modello all’arte moderna.

Né diversamente han potuto esser costruite quelle scale se non simultaneamente, e quasi di getto, quasi a stampa, con le circolari pareti delle torri; avvegnaché, come dissi, ogni gradino contribuisce con la sua larga appendice alla formazione della torre. Ond’è che scabrosità alcuna non vedi nei massi, scabrosità non trovi nelle loro commessioni, ma invece un finito, un levigato, una perfezione di uniformità, che piace all’occhio, e dà ragione della durata sì lunga di quel solido edifizio.

La stessa forma e le medesime parti presenta il piano superiore; se non che in eleganza e leggiadria di molto lo vince ed avvanza. In otto saloni rispondenti agli inferiori e serbanti però la forma e le proporzioni di quelli, egualmente dividesi il secondo piano, e di uno in un altro si comunica per porte non ampie, ma elegantemente decorate di intagli in marmo.

Quattro sale han finestroni che sporgono nello esterno, ed han camini sull’opposto lato, e quattro han veroni sulla corte, ed han camini al lato di contro — Ogni angolo di quelle sale presenta, incastonata nel muro una colonna trigemina, a basamento e capitello unico; ed il marmo di quelle colonne è sì bianco e trasparente che lo diresti purissimo alabastro — Né so dire quanto sia vago il moresco disegno di que’ fiorali capitelli, e di quegli intagliati basamenti; e bene è da considerare come leggiadramente quel colonnato risaltasse sul marmo men chiaro, e venato di che tutte le pareti dei saloni eran rivestite, e che ora appena in poche parti ancor si conserva.

I quattro camini con le oblongate loro cappe sono in pietra bianca contornati di marmo colorito, con ai lati due grandi credenze in porfido incavate nel muro — E di marmo elegantemente modellati son benanche i sedili che corrono intorno a tutte le pareti delle sale di questo magnifico appartamento.

La volta poi di queste sale era tutta in mosaico, siccome ne fa fede uno storico, il qual sullo scorcio del passato secolo visitò il Castello — Di quel musaico non rimane vestigio, ma ben si può argomentare che nemmen questa vaghezza architettonica di stil moresco mancasse al nostro edifizio.

Da quattro delle otto torri circostanti si ascende sul tetto, e questo è anch’esso in bianca pietra di taglio, e serba la forma leggiermente nel mezzo acuminata, che dicesi a spina. Un muricciuolo, che continua la centinatura ed innestasi ai merli delle torri, impedisce all’acqua piovana di scorrere lungo le esterne pareti; ed accoltala la fa scorrere in quattro vasti serbatoi messi nell’interno delle torri, donde fresca e purificata traevasi per gli usi della vita. Ed un altro simile muricciuolo accoglie quelle che si versan nella parte interna, facendole fluire per appositi condotti in un ampia cisterna ch’è nel centro della corte.

E questa cisterna continua a riempirsi, e conserva fresche e abbondanti le acque piovane, e dopo sei secoli serve ancora al pristino scopo della sua costruzione, e l’acqua che voi vi bevete, è pur quella che preparava il Leone di Svevia, fatto industre artefice di quello stupendo palagio.

E per ultimo nella sommità delle torri si trovano capaci e commodi casellini, dove allogavansi i falconi, e dove albergavano i falconieri — A quella elevazione, all’aria aperta dei cieli, alla vista di un sì vasto orizzonte, in mezzo all’imperversar d’austro e di borea, trovar doveansi quelle fiere e i loro ministri nell’elemento lor proprio, e nel sito più acconcio al nobile loro esercizio. E molti ancora sono i falconetti, e i nibbi che or si hanno scelto ricovero in quelle aeree stanze e roteando si agirano intorno al castello; e comunque non siano più di quella antica famiglia che vi educavano i falconieri di Federico, comunque non addestrati al modo de’ loro antenati, essi continuano le guerre e le stragi di quelli, e mantengono ancor viva la memoria de’ falconi di Svevia.

Magnifica, come dissi, e propriamente regale, nell’insieme ed in ogni sua parte apparisce la costruzione dei due appartamenti del Castello, sia che ne guardiate la materia, sia che ne osserviate la forma. Il marmo, il porfido, il granito, il mosaico, le colonne, i cornicioni, gl’intagli, i camini, le finestre, tutto è qui solido, svelto, elegante; tutto è grandioso grazioso gentile. E sol che il vostro talento immaginativo e lo studio retrospettivo giunga a restaurare con la mente queste sublimi rovine, decorandone le sale di ricchi arredi e principesca suppellettile, popolandole di mansuefatte fiere, riempiendole di armonie musicali, ed allegrandole di conviviali festini; e voi vi troverete un ricordo delle favolose dimore dei benefici geni e delle amorose fate delle Arabe leggende dei novellieri dell’Oriente — vi vedrete venire innanzi spontanea una memoria vivissima della Cavalleria che levasi in fiore, fortificandosi del nuovo pregio tribuito alle donne, delle lettere che cominciano a dilettar poetando per istruire e incivilire ragionando, e dell’ingentilirsi e quasi rigenerarsi delle famiglie dei conquistatori per trarre poi a civil condizione i popoli ancor frementi, ma pure impotenti al sottrarsi alla loro dominazione.

La trifora sul lato Nord - Disegno di Bernich del 1902      Sala inferiore, part. - Disegno di Bernich del 1898
[Trifora sul lato Nord e Sala inferiore, part. - Disegni di Bernich del 1902 e 1898]

Tutto quel che qui vedete e le belle fantasime che ne evocate ritragge di que’ tempi avventurosi, ne’ quali sorgevano nelle Spagne la Cattedrale di Cordova, e l’Alhambra di Granata, ed in Germania rizzavansi al cielo le immense Cattedrali, coi loro lunghi e svelti campanili, ed elevavansi nelle Fiandre le magnifiche Case de’ Comuni: di quei tempi, ne’ quali sul severo gusto Gotico innestavasi l’elegante costruzione degli Arabi; e da quella vaghissima congiunzione sorgeva l’ordine Moresco, il più svelto, grazioso e leggiadro di quanti l’arte serbi memoria. La vita coi misteri della famiglia degli uomini di que’ tempi vien quasi rivelata da quelle costruzioni, siccome il carattere, e i costumi di quegli uomini danno la illustrazione di quelle fabbriche — Non altrimenti che le case dell’antica Pompeja ci istruiscono della vita privata di que’ popoli scomparsi; ed i costumi degli antichi Baroni della Germania ci spiegano i modi e le ragioni de’ loro Castelli — Imperocché c’è qualche cosa nella dimora che l’uomo si costruisce, che, come del guscio della lumaca, rivela, per la sua forma esteriore, le interiori fattezze del suo animo, le private consuetudini della sua vita.

Pregio e per avventura il più singolare di questo Castello è la ampiezza e varietà delle scene che di lassù si prospettano. Vedi a borea la lunga sublime giogaja del boscoso Gargano che nel mar si distende; e giù giù disgradando si perde verso la Sipontina palude. Velli la immensa conca delle cerulee onde dell’Adriatico, ed allorquando la serenità dell’aere tel consente, discopri taluna delle isole delle opposte terre Illiriche. Vedi sulla marina costa Barletta, Trani, Bisceglia, Molfetta, Giovenazzo, Bari; e disseminati nel piano a te soggetto, Andria, Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto; campanili e cupole, torri e castelli, case e palagi, vigne e oliveti, orti e giardini; una varietà di forme, di linee, di colori propriamente leggiadra, e ricreante, che ti mette la gioja nel cuore, il sorriso sulle labbra, e ti apre l’animo al respiro della contentezza.

Qui i doni della natura sopravvanzano le fatiche e perfino il desiderio degli uomini; e per quanta esser possa la solerzia dell’agricoltore, involontariamente siam tratti ad accusarlo d’ignavia, considerando il dippiù che cavar potrebbe dalla feracità genesiaca d’un terreno, che acconcio per ogni verso si presta a qualunque specie di agraria produzione — Cerere, Bacco, Vertunno, Pomona non si mostrarono qui men benefici della olivifera Minerva, e la fragranza della vita vegetativa dell’Appula Flora soavemente all’olfatto si apprende, e di non usata voluttà ci ricrea. Oh non aveva egli buona ragione il magno Federico a prediligere questa terra tanto sorrisa da ogni buon Dio?

Fresca per refrigeranti brezze marine è quassù la estiva stagione, mite il verno per la esposizion del colle ai raggi del sol meriggiano. Ma allorquando destasi l’ira di Borea, e i torbidi flutti del mar d’Adria solleva; eo quando dalle Epirote coste vengon furibondi i negri imbriferi nuvoloni, tremenda voce qui assume la procella, che urla, sibila, mugge, sbuffa; che ad ogni istante minaccia di schiantare il Castello dalle sue fondamenta; ma pur l’animo ti comprende di una sublime nordica poesia, diversa sì ma non men forte e possente di quella de’ bei giorni di ciel sereno, ed aer tranquillo.

A’ tempi poi di Federico, quando di fitta boscaglia eran coperti i clivi e le valli di questa regione; quando di verdi piante era ammantato il dorso delle Murgie; e di ameni ruscelli e limpide fonti era abbellita la silvana leggiadria dei campi, ben può farsi ragione della giocondità di quella dimora per gli ospiti dcl Castello; i quali tra il garrir degli uccelli, l’olezzo delle piante, il tepore dell’aere e la vastità dell’orizzonte ne avean ricreati tutti i sensi dell’animo.

Qui, come già dissi, ogni mollezza della vita d’Oriente ritrovava l’Imperatore; la delizia dei tepidi lavacri in marmoree vasche lavorate, la voluttà delle danze lascive, e la soavità dei canti amorosi delle Arabe Odalische; qui i dolci meriggiani riposi sopra molli tappeti di Soria [=Siria]; qui l’allegria dei conviviali festini; e qui i giuochi delle mansuefatte fiere che per le vaste sale si aggiravano saltellando. Qui la robusta vita dell’uom del Settentrione cacciatore di cervi e cinghiali, domator di cavalli, istancabile in ogni corporale esercizio, destro nello armeggiare, tenace nella fatica, spregiante i pericoli, il dubbioso diritto alla efficace forza soggettante — E qui pure, nella quiete dei boschi, in sublime stanza montana, il nobile studio del principe Legislatore, le benefiche cure del riformatore, il qual moltissime utili istituzioni creava e tutte le vigenti migliorava ed ordinava.

Qui infine la divina poesia da nuove muse ispirata, ed a nuovi accenti informata, una non pria tentata strada alle Italiane menti schiudeva, che i duri costumi ingentiliva, la ferrea durezza degli animi ammolliva, e preparava le nuove glorie dell’antica patria dei canti e delle armonie — Andate e trovate una stanza più acconcia di questa all’indole e ai costumi di Federico!

In questo Castello più volte convennero a parlamento i baroni del Regno fedeli alla causa di Svevia, che in que’ tempi, e con quel principe a me sempre apparve causa di indipendente autonomia Italiana.

E le ardue quistioni d’impero che l’arrogante improntitudine pontificale faceva feconde di incessanti querele, qui vennero esaminate e discusse con Pier delle Vigne, Taddeo da Sessa, e Bartolommeo da Capua, e con gli altri molti uomini politici, de’ quali era sì splendida copia nella corte di Federico. E la tradizione popolare, ancor vigente in Andria, mostra anche oggi nella chiave d’un arco del cortile un frammento d’una statua sedente, nella qual dicesi e credesi raffigurato il gran cancelliere Messer Pietro delle Vigne.

resti di statua equestre sulla porta di NO del cortile      resti di statua equestre sulla porta di NO del cortile
[resti di statua equestre sulla porta di NO del cortile - foto Sabino Di Tommaso . Nicola Nemore]

Da questo Castello prendon data parecchie delle Costituzioni Imperiali, e molte lettere ai principi della Cristianità, scritte in nome di Federico dal suo fedel Segretario. L’Apud Castrum Montis che in quelle si legge, c’è argomento del piacer di Federico a godersi le delizie di quella dimora anche durante la stagione ibernale.

E qui veniva a disfogar suo sdegno contro l’avverso destino, e l’insania degli uomini, dopo la Parmense rotta, e la distruzione della sua Vittoria. E qui pure, nauseato della insidiosa incessante indomabile perfidia ponteficale, riedeva a prender consiglio coi suoi Baroni, per distogliere e far vani gli effetti del Lionese Concilio, che, opprimendolo d’ingiusta scomunica, della imperiale dignità avealo dispogliato.

Tutto qui rammenta Federico, tutto qui parla del Leone di Svevia, e della travagliata sua vita. Le sue virtù, i suoi vizi, la sua gloria, le sue sciagure, spontanee ti vengono al pensiero, allorché guardi questo Castello, e per le sue sale ti aggiri.

E se la balorda incuria degli uomini e la edace mano del tempo non avesser qui esercitato il consueto lor giuoco di distruzione, tu ben potresti, dopo sei secoli, ammirar quasi nella sua prisca eleganza la leggiadra magnificenza di questa regal costruzione, tanto solidi e tegnenti, e durevoli sono gli elementi de’ quali si compone.

Che se le curiose cronache di Ricordano Malaspina [2] e Riccardo da S. Germano avrai avute fra le mani; se le lettere di Pier delle Vigne, e le Imperiali Costituzioni avrai studiate; se infine la erudita opera del Roumer sulla Casa d’Hoenstauffen avrai percorsa, oh come ti parrà più interessante questo Castello, nel quale una sì gran parte della sua vita trascorse Federico secondo!

E qui benanche presso Andria dove morivano ed eran sepolte le due sue mogli, Jolanda Regina di Gerusalemme ed Isabella d’Inghilterra, avrebbe bramato chiudere anch’egli gli occhi alla luce; e nel Castello or discomparso di Fiorentino presso Lucera, dove, rotto dalle sciagure, ancor giovane miseramente trapassava, forse il suo sguardo non senza angoscia volgevasi verso levante, a ricercar bramoso le ben scernibili forme del suo Castello del Monte, dove trovò sempre pace l’agitato suo spirito, tra i suoi fedeli Andriani, in mezzo ai boschi di questa amena regione.


[Tratto da: Giuseppe Aurelio Lauria, “Il Castello del Monte, in Terra di Bari - Studi e Pensieri ”, Tip. Raffaele Avallone, Napoli, 1861, pp. 29-43]


NOTE

[1] Come ho scritto nella premessa di questa trascrizione, bisogna tener presente che il Lauria è molto impreciso (spesso erra) nella descrizione delle varie strutture del castello; ad esempio, le porte esistenti nella corte centrale sono tre e non quattro come lui qui scrive.

[2] Il cronista Malaspini (del sec. XIII) che scrisse la Storia fiorentina, e non Malaspina.