di Giuseppe Aurelio Lauria (1805-1879)
Qual sia stato Alfonso d’Aragona, e qual civile benefico governo avesse fatto del popolo Napoletano, non c’è storico del nostro regno il qual non ne abbia serbata memoria; e pare veramente, che dopo aver narrato angosciosamente dei flagelli della guerra della successione della seconda Giovanna, e pria di accingersi, mal suo grado, a rammentar quelli della sollevazion rovinosa dei Baroni, si piaccia ogni scrittore di storia patria a soffermarsi, a spaziarsi, a confortarsi, rammemorando la lunga gloriosa pace, le brevi avventurose guerre, le utili riforme, il lusso della corte, la magnificenza dei signori, la prosperità delle industrie rurali, il felice progresso delle lettere e delle arti, che rendettero illustri i ventidue anni del regno del primo Sovrano della stirpe Aragonese.
Il quale, dopo aver vinto l’audace Marchese di Cotrone [dal 1928 chiamata Crotone] che eraglisi inconsultamente levato contro nelle Calabrie, e dopo aver difeso il Pontefice contro i Sforzeschi nelle Marche, diè valido soccorso al suo amico Filippo di Milano contro i Veneziani, e con buon successo combattette i Fiorentini loro alleati; diè poscia soccorso di navi, e di danaro al Castriota Scanderberg per la difesa dal Turco; debellò i Malatesta di Rimini; e fece aspra guerra ai Genovesi indarno ajutati dalle armi Francesi.
Ma molto più glorioso ed illustre fu il regno di Re Alfonso pel civile governo che egli fece del suo Stato; perocché oltre allo aver riformato per bene l’amministrazione municipale, sovvenendola di utili statuti, allo aver provveduto ad una nuova divisione delle provincie, migliorando la condizione del censimento, istituì novelli tribunali e magistrati, fu quasi il creatore della pastorizia per le leggi e i regolamenti del Tavoliere di Puglia; protesse le lettere, diè favore alle scienze, decorò la città di monumenti, ornò la Reggia di statue e dipinture, fu liberale nei doni, magnifico nelle feste, splendido nei conviti: fu giusto, clemente, fu con tutti cortese e grazioso; tal fece infine benigno e paternal governo de’ suoi popoli che ne rimarrà sempre la memoria, e sarà sempre un egregio modello a proporre al buon talento dei principi che abbiano la nobile c salutare ambizione del pubblico bene.
Ora in mezzo alle gravi cure del regno, ed agli ardui pensieri della guerra, trovava Alfonso modesta ricreazione nello andarsene soletto cavalcando per le suburbane campagne, e, lunghesso le sponde del golfo: e più che ogni altra strada, gratissima eragli quella della Torre del Greco, che allor dicevasi Retina.
E montando un suo bel cavallo andaluso di pel nero, come narra il cronista, andavasene di frequente a diporto, e senza seguito di baroni e di servidorame, verso le verdeggianti pendici Vesuviane; e spesso avveniva che incogliendogli notte lungi da Napoli, dimandasse ricovero, e rimanesse a dormire nella casa del Castellano della Torre del Greco.
Ma quelle visite divenner tanto frequenti, e così spesso studiavasi Alfonso che le tenebre il sorprendessero in que’ luoghi, e sì preziosi doni faceva egli recare in quel Castello, da mostrar chiaramente, essere ivi qualche cosa che molto a cuore gli stesse.
Avea egli veduta la bellissima figliuola del castellano, Lucrezia d’Alagno, da quel giorno che la vide, aveane perduta la pace; e l’amava ardentissimamente, e per lei avrebbe voluto dar tutto al mondo. E spesso quella cara giovanetta venivagli al fianco in ameni ragionamenti lungo la riva del mare; e spesso a cena gli cantava, accompagnandosi d’un liuto, una storia d’amore degli Arabi di Granata, o dell’amoroso Soldano di Soria [=Siria]; ed Alfonso ne diveniva più e più sempre invaghito; e le amene campagne Vesuviane eran divenute per Alfonso quasi pari a quelle di Gnido e di Citera.
Per molto tempo ritornò il re nel Castello della Torre, ed anche una volta vi convocò a parlamento i baroni. Ma non consentendogli le cure dello Stato lo allontanarsi così spesso da Napoli, e vivendo lontano dalla Regina sua moglie, la quale per infermità o per elezione, erasene sempre rimasta in Ispagna, si risolvette a menar seco in Castelnuovo la sua cara Lucrezia, ed assegnatole quivi un magnifico alloggio, le ordinò e dispose un trattamento da regina. E non ben pago di vederla onorata e pregiata da tutti i signori e le dame della sua Corte, facevale dono di molte ricche terre, e floridi stati, fra quali Venosa, Cajazzo, Marigliano ed Ischia.
Né era solo Alfonso ad amarla; ché tutta la sua Corte, e specialmente le Dame, deposta la invidia e la gelosia, eransi invaghite e andavan prese della sua bellezza, delle sue grazie, della sua benevolenza, del suo ingegno, e soprattutto della sua rarissima modestia. E non deve quindi destar maraviglia il vedere che Alfonso bramasse, ed ogni modo studiasse per farla sua moglie, caldamente scrivendone e mandando messaggi a Papa Callisto, perché ratificasse il ripudio della infeconda sua consorte Maria di Castiglia, consentendogli le nozze della sua bene amata Lucrezia.
Or nel settembre del 1449, risanato da grave infermità che lo avea messo in fin di vita, volle Alfonso ricrear lo spirito e rinfrancar le forze del corpo nello esercizio della caccia. E perché non inutili riuscissero al bene dello Stato i suoi stessi piaceri, condusse seco i ministri e consiglieri del trono. Per tal fine ei se ne venne dapprima in Capitanata con tutta intera sua Corte, e con la bella Lucrezia d’Alagno.
In Foggia ove dimorò alquanti giorni «fece parare reti che — come dice il cronista — tennero 18 miglia, e fu fatta una caccia nobilissima, dove furono presi tanti cervi che se ne mandarono 400 a salare per i castelli di Trani e Barletta, oltre a quelli che il Re donò ai corteggiani ed ai vassalli.»
Passò indi a Barletta ed a Trani, e fu, dovunque, accolto, più che con magnificenza, con devozione ed amor singolare. E per ultimo se ne venne ad Andria e al Castello del Monte, per procurare alla sua cara Lucrezia il piacere della caccia col falcone.
Tutti i signori della sua splendida Corte, seguirono, come dissi, Alfonso in quel viaggio, e con questi vennero pure Ercole e Sigismondo di Este, Giovanni Aurispo, Antonio Panormita, con molti altri dotti uomini di que’ tempi, de’ quali era egli il protettore e l’amico. Venne con lui la bella Margherita Orsino marchesana di Copertino, la quale pria di andare sposa in Sicilia al marchese Ventimiglia, volle veder la sorella Sancia duchessa di Andria. Venne il principe Ferdinando duca di Calabria, pel quale avea Alfonso, non senza difficoltà, accordate le nozze con la ricca nipote del principe di Taranto Isabella di Chiaromonte, già pria promessa dal zio allo Imperatore di Costantinopoli. E per tal caso trovaronsi congiunte nel Castello del Monte le tre sorelle Margherita, Isabella, e Sancia, alle quali sì diversa sorte andava il Cielo serbando.
Era in quel tempo nel suo massimo splendore il Castello del Monte, né mai fino allora di sì gran lusso di arredi ed eleganza di ornati erasi visto brillare. Di molte bandiere di principi erano adornate le torri e i merli del Castello; ma una ve n’era fra tante che sventolava sulla Porta maggiore del palagio, là qual non era di casa Aragona, né avea stemma di Principe od arma di Barone; eppur non ebbevi e non vi sarà mai la più bella e la più nobile tra quante mostraron finora la loro faccia ai raggi del sole, e agitano le loro pieghe al soffio de’ venti.
Un libro aperto ne formava la insegna; e voleva per essa Alfonso significare; (come scrive il Colennuccio) [1] dover essere la scienza che provien da libri lo scopo principale dello studio del principe; né di più florida e gloriosa dominazione potere e dovere egli superbire quanto di quella della scienza.
La giocondità delle feste, le luminarie, e i banchetti, e, più che tutto ciò, la deliziosa caccia col falcone, che per più giorni fè lieti gli ospiti di Castromonte, resero quella dimora oltremodo piacevole e cara.
In condizione propriamente di regina era in quel tempo Lucrezia d’Alagno, né per qualsifosse più possente regina al mondo avrebbe usata Alfonso più cavalleresca cortesia, e più amabile galanteria quanto mostronne a questa bella dama dei suoi ultimi amori, alla quale avea consacrato quel viaggio, quelle feste, e que’ piaceri di Castromonte.
Ma pur tra le nozze, le cacce e gli amori inoperosa non stette l’alta mente di Alfonso, perocché fu quivi ch’egli trattava di pace coi legali della Veneta Repubblica, e di qui disponeva ed inviava i promessi soccorsi di navi e di armati a Giorgio Castriota Scanderberg.
Ritornato in Napoli a novelle feste con singolar magnificenza Alfonso riceveva ed ospitava lo Imperator Federico e la sua corte, e per lo piacer della sua Lucrezia, ordinò pure una giostra alla Selleria, dove tra le altre magnificenze fu ammirato che tutta la strada era coperta di panno. Ma 1a occupazione di Costantinopoli fatta in quest’anno dai Turchi, e l’orribile tremuoto che distrusse indi a poco molte città del regno e spense più che trentamila uomini, cangiarono in lutto le feste, e detter funesto presagio della morte di Re Alfonso, che avvenne nell’anno seguente.
[Tratto da: Giuseppe Aurelio Lauria, “Il Castello del Monte, in Terra di Bari - Studi e Pensieri ”, Tip. Raffaele Avallone, Napoli, 1861, pp. 95-102]
NOTE