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Acquaforte di Castel del Monte del 1860 circa

Il Castello del Monte
in Terra di Bari

Studi e pensieri

di Giuseppe Aurelio Lauria (1805-1879)


XIII.
Il Castello del Monte feudo del Gran Capitano

Al partir di Federico da Napoli rimaneva ancora rinchiuso dentro Taranto il figliuol suo Ferdinando duca di Calabria e principe di Taranto. Il conte di Potenza Giovanni Guevara, ed il cavalier Gerosolimitano fra Leonardo Alessi eran suoi consiglieri; ed a non lasciarsi abbattere dalle calamità esortandolo, gli infondevan nell’animo coraggio a difender quella generosa città, serbando al ciel rizzata, ed all’aure sventolante quell’ultima bandiera Aragonese; più a simbolo di protesta del torto patito che a speranza di successo di una causa, più che disperata, perduta.

Ma di stimoli veramente non avea mestieri l’animoso giovanetto; che valorosa¬mente resisteva alla sopravanzante forza degli assalitori; e senza buoni ed onorevoli patti protestava non volere egli rendere la terra, primo de’ quali patti era quello della facoltà di andarsene con tutti i suoi dove meglio gli talentasse, seco recando armi e sostanze.

E Gonsalvo, il qual temeva non avesse Taranto a divenire nucleo di agglomerazione di partigiani di casa Aragona; non avessero i Veneziani di Trani, e di Monopoli a giuocargli il mal giuoco di assistere il principe a tentar qualche disperata fazione; e per ultimo non essendo ben sicuro, per la nota mobilità del francese carattere, che Ludovico persistesse nei suoi primi pensieri, non dubitò di promettere al giovin principe una piena adesione ai proposti patti. — Spregiator della fede ripetutamente pruovato, non trovava Gonsalvo agevolmente credenza presso gli assediati; epperò, a riuscir nello scopo di trarre nella rete delle sue inique versuzie il mal cauto, e troppo confidente giovanetto, e i virtuosi suoi consiglieri, propose e pronto si disse a giurar sull’Ostia eucaristica la osservanza del patto della assoluta libertà del principe e de’ suoi seguaci. Incautamente cedettero gli assediati, e si tenner sicuri della osservanza dei patti, chiamato Iddio vindice dello spergiuro. Laonde un altare fu eretto innanzi alle Tarantine mura, ed alla presenza di tutta l’oste Spagnuola, e sotto gli occhi degli abitanti della assediala città, dopo aver devotamente assistito al santo sacrifizio, e tenendo l’Ostia consacrata fra le dita, profferì Gonsalvo con alta e sonora voce il solenne giuramento di rispettare la libertà del giovin duca di Calabria, ajutandolo, se così ad esso Principe piacesse, a recarsi in Francia verso il padre Federico. — Le porte della città furon tosto dischiuse, e Gonsalvo tutto lieto d’esser riuscito nello inganno, fe porre le mani addosso al principe, e carico di catene lo fece imbarcare e condurre in Ispagna, dove di cruccio e di dolore miseramente anzi tempo morì.

Ecco quale era colui, al quale i contemporanei e perfino la posterità non dubitò di dare il nome di Grande! — Povera Isabella Del Balzo, quale dovette esser mai il dolor tuo allorché nella terra straniera ti giunse il triste annunzio della cattività e poscia della morte del tuo amatissimo figliuolo! — Ma riforniamo a Castromonte.

Acre disputa era insorta fra i dispogliatori dell’ultimo Aragonese intorno alla divisione delle usurpate terre Napolitane. Per patto, dovean le Puglie cedere ai Spagnuoli, ma i Francesi niegavano di render Corato, Bitonto, Canosa, e Cerignola, perocché dicevano avere quelle terre conquistato in lor nome il conte Camillo da Corato, e Rinaldo Barbiniano, fuorusciti Napoletani, partigiani, che furono entrambi di Carlo VIII. — E nemmen Foggia volevan rendere, siccome quella che dava con la sua dogana delle pecore la più ricca entrata erariale. — Dal contender delle parole si venne in breve alla logica delle armi, e n’ebber la meglio i Francesi capitanati dal Nemours; ed ai Spagnuoli rimasero solamente Barletta ed Andria con Castel del Monte. Sicché dentro Barletta stavasi rinchiuso Gonsalvo attendendo dal mare soldati o vettovaglia; e fuori Barletta l’oste Francese era accampata. I Veneziani neutrali occupavan Trani, e il suo castello. —

La oziosità frattanto del lungo assedio, la noja di tenere il campo senza venire a giornata, la superbia spagnuola fatta intollerabile per le loro recenti vittorie sui Mori, e per le conquiste Americane, la spavalderia Francese temeraria ed arrogante, la volpina astuzia Veneziana, che dal soffiar nel fuoco per trame suo pro non ristava, detter luogo tra gli assedianti e gli assediati a parole di oltraggi, che poi trascorsero a parole di disfida; sicché in breve ne vennero a prender campo, a scegliere armi, a sorteggiare i campioni, a stabilire un abbattimento che definisse da qual delle due osti Francese o Spagnuola stesse più gran valore, perizia maggiore nello armeggiare e combattere. - Furono undici da ambe le parli i tenitori del campo; detter campo franco i Veneti provveditori sotto le mura di Trani; Nemours e Gonsalvo elessero i giudici del campo. — Dai due eserciti, dalle città vicine immenso concorso di signori e di popolo convennero a goder di quello insolito spettacolo, che le storie contemporanee narrano essere stato meravigliosamente dilettevole. — Per più che sei ore si combattette, senza potersi scorgere vantaggio tra que’ valorosi campioni. Stupivano i spettatori considerando alla fatica del muover le braccia sotto tanta gravezza di armi, e la perizia somma ammiravano dei combattenti nelle difese e nelle offese. Ai Spagnuoli dicesi sarebbe rimasta la vittoria, se quattro dei Francesi non gliela avessero intercetta; i quali essendo a piedi con gli stocchi in pugno, fattosi un bastione de’ loro cavalli morti, con tanta arte e bravura menaron le mani e si difesero che fu mirabil cosa e non mai più veduta, e fu quello provvido e ingegnoso divisamento; perocché volendo i Spagnuoli correr loro addosso, i cavalli si ricusavano di appressarsi spaventati da’ cavalli morti, sui quali eran sospinti dai cavalieri. — Cuoprì la notte l’esito di quell’abbattimento, dichiarandosi se non vittoriosi, degnissimi di vittoria tutti i pugnanti campioni.

Un altro duello ebbe ancor luogo indi a poco fra il valoroso Bajardo, e lo Spagnuolo duca di Sotomajor. Ragion del duello, l’avarizia dello Spagnuolo nelle sue smodate pretensioni pe’ riscatti de’ prigionieri e la intolleranza del Francese per le jattanze, e millanterie dell’orgoglioso Castigliano; modi, lo stocco e il pugnale; esito, la morte del Sotomajor.

Venne per ultimo, e fu il più bello e il più nobile lo abbattimento fra i tredici Italiani, e i tredici Francesi che ebbe luogo proprio ai piedi di Castel del Monte in un campo fra Andria e Corato, dove ancor sorge una memore colonna. — Nel quale abbattimento sia che guardi la santa ragione onde mosse, il primato del valor guerriero, sia che rammenti le troppe note luminosissime pruove dell’Italiana virtù, sia che consideri la pienezza del buon successo delle armi d’Italia, ne verrai per fermo in questa sentenza, che giammai di spettacolo più bello più nobile e più grato si godette dalle alte torri di Castel del Monte.

Fu quel combattimento quasi presagio del declinar della fortuna delle armi Francesi nelle Puglie e nel regno. — Imperocché avendo indi a poco abusato, lor secondo rea usanza, della occupazione di Castellaneta, rubando, stuprando, incendiando, gli abitanti di quella povera città animosamente e disperatamente insorsero a suon di campana, e li cacciarono a furia dalla terra. — Accorse, inconsultamente lasciando Barletta, il Nemours, e fecevi mala pruova; ché ne fu anche egli espulso con perdita non lieve di soldati. E della sua assenza profittando Gonsalvo, uscì di Barletta, prese di assalto Ruvo, fece ricca preda di seicento cavalli, e trasse seco prigioni molti signori Francesi, tra’ quali il borioso capitano Lapelisse.

Ma ecco ormai giunta l’ora fatale della aborrita dominazion Francese nelle Puglie, e nelle Calabrie; ecco giunto il termine dell’acre contesa fra le due straniere genti che di stragi avean funestate queste belle regioni. E dissi bene l’ora; perocché di un’ora sola del medesimo giorno ebber mestieri i capitani Spagnuoli per isconfiggere ed espeller diffinitivamente dal regno i Francesi.

Nel venerdì del 28 aprile 1503 il conte di Andrada recentemente arrivato da Cartagena a Messina con 5000 fanti e buon nerbo di cavalieri, e poi passato in Calabria a prender sotto il suo comando tutta l’oste spagnuola, venne a giornata coi Francesi capitanati dal D’Aubignì presso Seminara già campo funestato, otto anni prima dalla sconfitta di Gonsalvo, ed or prossimo a divenir teatro della vendetta, e della vittoria delle armi di Spagna.

Di strani e singolari elementi componevansi le due osti nemiche; né c’era stato fino a quel dì esempio d’una miscela di combattenti sì diversi di nazione, di lingua, di fede, di costumi, di armi, di civiltà; in questo solamente simili e concordi che largo stipendio, e pingue bottino avessero a cavare dai loro capitani e dalle terre dei vinti. C’erano Spagnuoli, Francesi, Scozzesi, Svizzeri, Savojardi, Guasconi; c’erano lanzi Tedeschi, armigeri Italiani: e sopra essi, e tra essi il ferino istinto che l’uom sospinge a distruggere l’uomo, e la insaziabile sete anelante alla preda.

Poco più di un’ora durò quel furioso sanguinosissimo scontro dei due eserciti nemici; né più decisamente avversa erasi mai dimostrata la fortuna alle armi di Francia, sì grande fu la mortalità dei soldati Francesi, cosi numerosi i prigioni, tanto scompigliata e vergognosa la fuga!

E nello stesso giorno, quasi all’ora medesima, uscito Gonsalvo da Barletta e giunto alla Cerignola seppe così bene avvantaggiarsi della giacenza dei luoghi, pervenne ad ispirar tanta fede di sicura vittoria nei suoi, e con sì fine arte, e sì chiaro giudizio si avvalse degli errori di avventatezza, e di imprevidenza del suo avversario, che in men di un’ora, ucciso il Nemours, e messi in precipitosa fuga i Francesi, rimase padrone incontestabile del campo, ed a Ferdinando il Cattolico diede il nobile conquisto dell’intero regno di Napoli.

Fu per questa splendida e profittevole vittoria molto dal suo re commendato, ed onorato il gran capitano e n’ebbe in premio molte terre e signoria, tra le quali Andria, e Castel del Monte. E per tal modo compissi il quinto passaggio di dominazione di Castromonte, che da regal condizione discese a quella di possession baronale.


[Tratto da: Giuseppe Aurelio Lauria, “Il Castello del Monte, in Terra di Bari - Studi e Pensieri ”, Tip. Raffaele Avallone, Napoli, 1861, pp. 166-173]