Copia
Al Signor Intendente, Presidente del Consiglio Generale degli Ospizii della Provincia di Bari
Andria li 8. Gennaio 1855
Signor Intendente Presidente
Pretende il Comune di Andria il patronato su la Chiesa di Santa Maria di Porta Santa, la quale è di proprietà della Congrega sotto il titolo del Santissimo Nome di Gesù; e pretende di esercitarlo per mezzo del Priore della Cappella di San Riccardo, quinta Dignità del Capitolo Cattedrale.
A distruggere siffatta strana quanto insufficiente pretensione la Congrega rassegna al Rispettabile Consiglio Generale degli Ospizii della Provincia le più umili suppliche in difesa dei sacri immemorabili diritti del Pio Luogo; ed implora il suo alto patrocinio per non soccombere in lotta, che sarebbe ineguale se non stesse per la Congrega tutta la evidenza della ragione.
Per la qual cosa è nostro dovere sottomettere alla sua discrezione non poche importanti osservazioni, ricavate fra le altre fonti da quegli stessi documenti che gli trasmettevamo per il Signor Sindaco di questo Comune, allorché dal nostro Pio Luogo si chiedeva che fosse riconosciuto nel possesso del titolo di Arciconfraternita con l’antichità della sua remotissima fondazione.
Le quali osservazioni sono indiretta a dimostrare di essere insostenibile il dritto di patronato del Comune sulla Chiesa di porta Santa.
Laonde divideremo in due parti questo nostro qualsiasi lavoro, consacrando la prima alla dimostrazione del diritto della Congrega, e la seconda a confutare gli assunti del comune, e del Priore di San Riccardo.
1° Primieramente il su lodato Consiglio Generale scorgerà dalle notizie storiche del Canonico Riccardo D’Urso, che la Chiesa di Porta Santa fu fondata nell’anno 1265, mentre Andria era governata dagli Svevi (1). Questo è pure provato “da quelle due targhe in pietra che s’incontrano nei lati dell’ingresso della Chiesa, o sia nei brachettoni della Porta maggiore, le quali rappresentavano Corrado, e Manfredi, perché la Chiesa fu cominciata a fabbricare sotto Corrado, e terminata sotto Manfredi (2).” Lo stile dell’architettura dell’edificio prova la stessa epoca di fondazione “essendo tutto di gusto Normanno (3)”. La medesima cosa si ripete in altro luogo della stessa storia, in cui si dice “fu del pari opera dello stesso scalpello la Chiesa detta di Porta Santa, come in osservandola hanno convenuto tutti gli Architetti (4).”
Ed è importante cosa vedere tutto ciò che si è detto dal citato Storico armonizzare con quei cadenti ed affumicati avanzi di antica pittura scovati ultimamente dietro l’Altare Maggiore; perlocché si mossero tante persecuzioni a questa Confraternita, ed ai suoi Amministratori. La qual pittura fa fede che ebbe nascimento alla decadenza della Scuola Greca, e segnatamente in quel tempo in cui la vecchia maniera greca di dipingere fu imbastardita dalla capricciosa invenzione dominante nel XII° Secolo, vale a dire verso il 1300, o in quel torno di tempo. Questo ben si scorge dall’Aureola indorata a secco, che riveste la testa dell’Eterno, il quale è dipinto conforme ai tempi, quando la sua figura stranamente concepita, e collocata. Quello poi che pare determinasse l’epoca del dipinto è la forma sferica dell’Aureola; forma non più usata fra i latini dopo il XII°, o XIII° Secolo. Vero è che la Chiesa Latina non ha in verun Concilio assegnato la maniera, e la forma come dipingere la Triade; ma l’uso comune dei Pittori Latini da quell’epoca in poi prova come la simbolica forma triangolare dell’Aureola sia stata uno dei tecnicismi della Chiesa Romana dopo che sperimentò essa gli errori dei Greci.
2.do Che la nostra Chiesa si abbia questa antichissima origine lo prova legalmente il Testamento per atto pubblico di Francesco Primo del Balzo, Duca di Andria, fatto nell’anno 1240; con il quale fra gli altri istituì il seguente legato. “Item lasso alla Chiesa di Santa Maria di Porta Santa once otto per una Messa cantata in fra annum dal Spirituale Direttorio, et da passarse la complementatione (5).”
E compiacciasi qui il Consiglio Generale di osservare che il Testatore poneva l’obbligo al Direttorio Spirituale di cantare la Messa, il quale non poteva essere altro che il rettore Spirituale della Congregazione di Santa Maria dell’Annunziata, la quale è la nostra Confraternita, come si legge nella stessa Storia a pagina 77.
È dimostrata parimente l’antica origine della nostra Chiesa dalla stella a basso rilievo scolpita in pietra, e messa sul muro sinistro della medesima, otto palmi circa sopra il Frontone dell’Altare di san Giovanni di Dio, la quale è lo stemma della famiglia del Balzo. Ora non vi ha alcuno che ignori che gli Stemmi delle case regnanti si allogano nella Città, e negli altri luoghi ad essi soggetti durante il loro dominio, non permettendosi certo nei tempi della loro caduta di porsi dal successore, massima quando fosse rivale. Per la qual cosa se la famiglia del Balzo finì di dominare in Andria verso l’anno 1487, perché Pirro del Balzo stato sconfitto, e morto con gli altri congiurati Baroni da Alfonso d’Aragona (6), lo stemma non può ritenersi allogato nella Chiesa di porta Santa più tardi di quest’epoca. La quale è certo 25, o 35 anni prima del 1512 (7), o come pur si scrive 1522 (8); le quali sono le epoche attribuite alla bolla che questo Priore di San Riccardo, ed il Sindaco presentano come fondamento del loro preteso diritto. Né può ammettersi che Federico d’Aragona, Principe di Altamura e Duca di Andria perché successore di Pirro, per dare un conforto a sua moglie Isabella del Balzo per la uccisione del Padre di Lei, Pirro, vi avesse fatto allocare quello stemma in memoria di suo Suocero; ché nel 1512, in cui dalla detta bolla vuolsi edificata la Chiesa, Andria era sotto il dominio del Gran Capitano Consalvo da Cordova, governandola qual suo Ducato, avuto in dono dal Re Ferdinando il Cattolico, per aver vinto il Regno, e per essere entrato vittorioso in Napoli (9). Né accorda meglio la seconda epoca del 1522, dal perché nell’anno 1515 Consalvo, maritando una sua figliuola ad Aloisio Guevara da Cordova, suo parente, le assegnò in dote il Ducato di Andria; e questi nello stesso anno mandò Consalvo Ernandez della Torres a governarlo (10). E che Andria stesse sotto lo stesso dominio nel 1522 si ricava da che, per odio che Odetto de Fois de Lautrec avea contro il Gran Capitano, perché avesse umiliata la Francia, questo nostro Paese nel 1528 soffrì dai soldati Francesi il sacco, il fuoco, e la strage (11). Quindi se quello stemma non poté porsi nella Chiesa nel 1512, né nel 1522, maggiore difficoltà s’incontrano volendolo opera dei tempi posteriori.
3° Ricavasi dall’altro documento delle regole antiche riformate nel 1568 (12), che la Chiesa di Porta Santa era posseduta dalla nostra Confraternita, come si legge nel primo articolo (13). E rilevasi inoltre dal medesimo che a ciascun fratello era ingiunto l’obbligo di confessarsi ogn’anno nella Festività di Santa Maria di Porta Santa.
Si legga all’articolo XIII° che era ancora dovere dei Fratelli ogni anno nella Festività di Santa Maria di Porta Santa ricorrente nel primo Sabato di Ottobre, e nella Domenica seguente di congregarsi nell’Oratorio di detta Chiesa, attualmente la Sagrestia della Congrega, e con il solito rito farsi la elezione degli Uffiziali, i quali ora sono chiamati Amministratori (14).
Di qui si cavano due importantissime verità: la prima che la Festività di S. Maria di Porta Santa fin dal 1568 celebravasi dalla Nostra Confraternità; la seconda che reputavasi dalla medesima per principale festività anzi per la più solenne da non reggere al paragone la altra di Sª Maria dell’Annunziata, e del SS.mo Nome di Gesù, sebbene pure di rito, perché la Confraternita è sotto il loro patrocinio.
Né si può appostamente giudicare, essendo che a quei due obblighi sanzionati nelle regole con due appositi articoli tutte le antiche Congregazioni più che le moderne adempivano per istituzione nella festività dei loro Santi titolari.
Quindi se sì alta venerazione di culto la nostra Confraternita aveva per Santa Maria di Porta Santa, è d’uopo inferire che Ella la ritenesse per principale Padrona titolare in preferenza della SS.ma Annunziata, e del SS.mo Nome di Gesù (15). Ma siccome il titolo originario della Chiesa era quello stesso di Santa Maria di Porta Santa, così ragion vuole che si ritenga la Confraternita effetto della stessa pietà Cristiana, la quale dava nascimento a questo memorando Tempio, e che essendo Ella nata insieme a questo avea dai Fondatori di esso avuto dritto di dominio, e dovere di esercitarvi il culto Divino (16).
E qui rammentasi ciò che è detto dallo stesso storico D’Urso, che cioè la menzionata Congrega nacque appunto per non fare che fosse mancato al nuovo Tempio il Culto Divino (17). Né temiamo che sia questo un pensiero avventurato, conoscendosi dalla medesima Storia, che concorsero a fondare la Confraternita “tutti i primi del Paese distinti per Nobiltà”, i quali certamente dovettero essere i Fondatori della Chiesa, dovendosi ancora come i più ricchi ritenere (18). Né si può altrimenti pensare, poiché allora si dovrebbe reputare la Università di Andria criminosamente negligente dei proprii e più santi doveri, mentre sappiamo che i nostri solerti Padri sapevano meritare molto dalla Patria, essendo troppo caldi dei loro doveri, e scrupolosamente gelosi dei proprii diritti. Perocché non si saprebbe intendere come mai nell’anno 1568, poco tempo dopo della millantata fondazione del 1512, comecché non vera, giusta la dimostrazione che ne faremo a suo luogo, e che si apparisce fatta con tanta pompa, e con sì stretto rito, presentandosi alla Chiesa il Priore come reggitore del culto divino, avesse la Università, e quello che fa più meraviglia il Priore stesso tollerato da una Confraternita, quivi introdotta come essi vorrebbero per sola Carità Cristiana; anche celebrato la festività della Vergine titolare della Chiesa, laddove spettava alla prima come padrona, o al secondo siccome suo beneficiato. Né questo era picciolo mancamento da non fermare la loro attenzione, anzi era una colpabilità da provocare lo sdegno, ed il rimprovero di tutti i buoni Cittadini, i quali ben potevano ricordare la origine di quel Tempio, alla di cui edificazione con zelo cristiano avevano forse messo a mano e denaro. Perocché questo equivaleva a perdere i proprii diritti, e farli altrui esercitare, se fosse pur vero che quei diritti alla Università spettassero.
4° Il terzo documento del Testamento di Francesco Romentizzi del 1571 (19) prova quello stesso che abbiamo detto della regola; poiché istituendosi erede Universale la Congregazione del SS.mo Nome di Gesù mostra che quella Congrega esistesse da tempo sì antico da essere in cima della opinione de’ fedeli, e meritava preferenza su i congiunti anche in coloro che non vi appartenevano, come era Francesco Romentizzi.
Altrettanto significano le conclusioni antiche, principiando con la formola di apertura “Congregato Capitulo Arciconfraternitatis Sanctissimi Nomnis Jesu, intus Ecclesiam Sanctæ Mariæ de Porta Sancta”. Ciò costituisce atto di possesso continuo, pubblico, libero, a titolo di dominio, non vi, non clam, non precario, Animo Domini; poiché in ogni conclusione è detto “nella Nostra Chiesa di Santa Maria di porta Santa”.
Questo stesso è pure dimostrato dagli stemmi della Confraternita, i quali sono allogati nella Chiesa. Uno vi ha in mezzo del frontone dell’Altare maggiore (20) scolpito a rilievo su pietra, e di antichissima fattura; ed un’altro bellissimo è pure scolpito sul paliotto dello stesso Altare.
E si degni qui il Consiglio Generale di por mente che questo è quello Altare medesimo che trovasi ancora demolito, e che il Priore di San Riccardo, ed il Sindaco stranamente dicono di essere di proprietà del Comune. Questi stemmi poco o nulla discernevasi perché tutto il lavoro di bianca pietra, e pregevole per i fini intagli, e per la marmorea levigatezza era coverto e bruttato da intonaco, per il che l’anno scorso fu da noi demolito, non potendosi altrimenti pulire, per ridurlo a lustro e pregio antico.
5° L’ultimo documento che è la copia della lapide, la quale conservasi in questa Chiesa medesima, dimostra che la Chiesa ingiustamente controversa, essendo nell’anno 1803 annerita e deturpata per il lungo corso dei secoli trascorsi, fu ridotta a migliore e più splendido stato dagli Amministratori dell’Arciconfraternita del SS.mo Nome di Gesù a proprie spese (21): il che significa senza dubbio esercizio di Atti di dominio. E se fosse vero quello che ora il Sindaco di questo Comune, ed il Priore di S. Riccardo pretendono fa davvero meraviglia, come i loro antecessori non si fossero opposti allorché restauravasi il Tempio, o almeno allorché si allogava quivi la lapide, la quale distruggerebbe del tutto qualsiasi dritto loro, se ne avessero. Quelli adunque ritennero questi atti di dominio per pura espressione della verità, non avendo giammai elevato un dubbio sulla legalità di quella opera. Anzi questi stessi la hanno sempre ed ora egualmente reputata, avendo riconosciuto la lapide conforme al fatto; sicché lo stesso Sig.r Sindaco non ha punto dubitato di rimettere a cotesto Consiglio Generale una copia da se stesso legalizzata siccome nostro autentico documento: ciò nell’occasione d’incarico ricevuto dal Consiglio medesimo quando la Congrega reclamava il titolo di Arciconfraternita con la sua antichissima fondazione.
6° Ma non è questo il solo atto di dominio esercitato dal nostro Pio Luogo sulla Chiesa, e lunghissima sarebbe certamente ora la dimostrazione di quanti altri innumerevoli forse da tanti secoli ebbe praticato; ma ci duole moltissimo che tra per la vicenda del lungo tempo trascorso, e per lo incendio del dì 23 marzo del 1799 il nostro Archivio sia poverissimo di carte antiche; fra le quali men che poche conclusioni neppure cronologicamente ordinate ora conserva. E pure da siffatta strettezza di documenti ricaviamo buono appoggio a meglio formare il nostro secolare diritto.
Di fatti nelle Conclusioni antiche si leggono le seguenti proposte fatte dai priori pro tempore, unanimamente approvate dalla Confraternita.
Il dì cinque Novembre del 1699. sotto il Priorato del Magnifico Vincenzo Tafuri “si propone come vi è bisogno di fare un paliotto per l’Altare maggiore di questa Chiesa, una pianeta, un calice, dieci vesti, un banco ed altre cose per servitio di essa Confraternita. Ed intesa detta proposta fu conchiuso da tutti, viva voce, che si faccino tutte le sopradette cose, e siano in ciò deputati il priore, il secondo Assistente, il Prefetto, ed il Percettore, et ita conclusum, et in fidem (Michelangelo de Micco)”.
A dì 23 Maggio 1700 essendo Vincenzo Tafuri Priore si propose “che si devono eliggere li deputati per li beneficii si dovranno fare alla Chiesa: furono eletti il Rev.do D. Michele Morselli, ed il Sig.r Domenico Aurisicchio, uniti al Priore (Notar Menduto Cancelliere)”.
A dì 7. Giugno 1712 essendo Priore Notar Donato Menduto “dippiù si propone ai loro Signori come d’anni tre sono in circa, in tempo del Priorato, e Percettorato delli Sig.i D. Riccardo d’Anelli, e Nicolò Accetto rispettive fu convenuto con Mastro Antonio Masucci, che il medesimo dovesse fare, e lavorare sei candelieri, con altre sei crastelle da metter fiori, ed anche le cornici, così la carta del testo, come del principio et lavabo, e similmente un’altra cornice grande intagliata e perforata per quella mettere intorno dell’imagine Santissima di Maria Sempre Vergine nell’Altare maggiore di questa Venerabile Chiesa di S.ª Maria di Porta Santa, e tutta dell’opera indorarla, e farla di tutta bontà e perfezione, e fu stabilito il prezzo per tutte dette opere per ducati 32., con dovere detto Masucci mettervi lui tutto il bisognevole, come di legnami, fatiche, ed oro, ed in conto di detti ducati 32. Se li diedero di subito ducati 23., ed essendo passato tanto tempo, più volte richiesto non ha curato, né cura perfezionare e consegnare detta opera; che però le Signorie loro risolvino quello intendono fare. Ed intesa detta proposta fu conchiuso a viva voce da tutti, nomine discrepante, che si astringa detto Mastro Antonio Masucci nella Ducal Corte di questa Città di Andria alla perfetione e consegna di detta opera, e farvi tutto quello ne sarà di bisogno in detta causa, per la quale furono eletti per Deputati il Rev.do D. Francesco Cocco, e Sig.r Marino Tafuri con darseli alli medesimi ogni piena ed ampla facoltà, et ita conclusum (Notar Vito Menduto)”.
Il dì 18 Aprile 1724, dal Priore Marino Tafuri “dippiù si propone che nel coretto della nostra Chiesa si ricerca la scala di legname da nuovo per saglire e scendere da quellam saria di bene farsi. Che però ec: fu concluso da tutti che li detti Signori Deputati ut supra descritti abbiano cura di far fare detta scala, e la spesa si somministra da detto nostro Signor Percettore. Come ancora di fare intonacare la parte dei muri interni di detta nostra Chiesa, perché l’altra parte è stata intonacata dalli Padri Buonfratelli, e la spesa si faccia parimente da detto nostro Percettore; dandosi anco per detta causa a detti Signori Deputati la podestà bastante, et ita conclusum (Notar Baldini Cancelliere)”.
Il dì diciassette Febbraio 1728, dal Priore Signor Sebastiano de Micco “si propone come i R.R. P.P. Buonfratelli dell’Ordine di S. Giovanni di Dio di questa Città, abitanti vicino questa nostra Chiesa hanno aperto una porta nel muro per entrare nel nostro Orchesto, seu coro, per udire la Santa Messa, che si celebra in detta nostra Chiesa, coll’asserto e condizione di serrarsi detta porta sempre e quando questa nostra Confraternita vorrà, a spesa di detti R.R. P.P., sopra di che sarebbe di bene stipularsene istrumento pubblico, affinché non si acquista jus alcuno per essi R.R. P.P., per essere li medesimi sempre pronti a stipulare detto istrumento colla detta condizione, ed eligge in ciò i Deputati per intervenire in detto Contratto. Fu conchiuso che si eliggano per Deputati i Signori Riccardo Pincerna, e Michele Zaccaro, in unione al Signor Priore de Micco, per la detta causa con tutta la podestà bastante, et ita conclusum (22) (Notar Baldini Cancelliere)”.
Il dì tredeci Giugno 1731 dal Priore Signor Sebastiano de Micco “si propone ai loro Signori, come dovendosi risarcire il Coretto che è entro questa Chiesa, necessitando un tale beneficio, perciò dicano il loro parere. E fu da tutti viva voce conchiuso, che si faccia quella operazione che necessita, con somministrarsi la spesa dall’odierno Signor Percettore, eligendosi a tale effetto per deputati li sopradetti Signori Friuoli, Caputo, e Pisani, et ita conclusum”.
Il dì 17 Gennaro 1733 dal Priore D. Nicola Colavecchia “si propone dippiù trovandosi sopra il Coretto della nostra Chiesa la porta aperta dai R.R. P.P. Buonfratelli per loro beneficio di ascoltare da sopra la Santa Messa; e perché in ogni futuro tempo detta porta può portare suggezione alla detta nostra Confraternita, conforme il convenuto fatto coi detti R.R. P.P., li medesimi si offersero obbligarsi per istrumento serrarsi la porta suddetta, ad ogni ordine e richiesta di detta nostra Confraternita, affinché col tempo non restata Ella pregiudicata. E perché tale atto non è seguito, intanto dicano le SS. LL. quello li para. Ed intesa detta proposta fu conchiuso da tutti che si procuri la stipula di detta convenzione con detti R.R. P.P., e nel caso da questi si negasse, o si procastinasse tal atto, comparire in giudizio, ed astringerli per far serrare detta Porta, al qual effetto si dà podestà al Signor Colavecchia, a Sig.r Tommaso Tota, li quali come deputati eletti vogliano attendere al tutto, con fare somministrare la spesa vi verrà in caso di lite dal nostro Percettore, et ita conclusum.
Il dì 22 Giugno 1746 dal Priore Signor Nicolantonio Tota “si propone alle Signorie Loro, come il Signor D. Domenico Friuli colle fabriche, che attualmente sta facendo nella sua casa situata attaccata a questa nostra Chiesa di S. Maria di Porta Santa, intende inferire alla sudetta nostra Chiesa molti pregiudizii, che però si fa noto alle Signorie Loro affine d’invigilare e riparare a quelli. Ed intesa detta proposta, è stato da tutti conchiuso a viva voce, che quante volte esso Signor Friuoli coll’erezione di dette fabriche che sta facendo nella detta sua casa recasse minimo pregiudizio a questa nostra Chiesa, si facesse ogni sforzo per impedirlo, a qual’effetto si eliggono per deputati li Signori D. Tommaso Quarto, e D. Sebastiano Catulli, ai quali medesimi si dà tutta la facoltà d’invigilare per detta causa, et quantus opus, comparire in qualunque foro, col fare qualsivoglia istanza per tale impedimento, e tutta la spesa necessaria somministrarsi dall’odierno Percettore della medesima nostra Confraternita, et ita conclusum (Notar Ioseph Antolini Cancelliere)”.
Il dì 17 Dicembre 1753, dal Priore D. Sebastiano Cataldi “si propone come ritrovandosi l’Altare presentaneo della Confraternita nella nostra Chiesa di Porta Santa molto distrutto dall’antichità, e non atto al Divino Culto, che porta ammirazione a chi lo vede, si penserebbe farsi questo Altare nuovo proporzionato, richiedendo così ogni dovere, trattandosi di divino culto, necessitandosi similmente una pianeta di colore per la celebrazione solita di messe in questa Chiesa, ed Altari nostri, si pensa di comprarsene una proporzionata, mentre l’attuale di colore per il lasso di tanti anni è affatto logora, ed inservibile, perciò Loro Signori risolvino. Ed intesa detta proposta fu a viva voce conchiuso da tutti che si faccia nuovamente esso proporzionato altare, e si compri la pianeta di colore in quella maniera che si stimerà più propria e confacente, per trattarsi di culto dovuto al Sommo Iddio; per qual’effetto si eliggono per deputati non solo il sopradetto Signor Priore Cataldi, ma ben’anco il Rev.do Signore D. Domenico Canonico Monterisi, Dottor D. Tommaso Tota Iuniore, e Dottor Fisico D. Onofrio Ciardella, ai quali si dà facoltà bastante, e così fu conchiuso (Notar Gaetano Frisardi Cancelliere)”.
Il giorno 9 Novembre 1803, dal Priore Dottor D. Tommaso Nuzzi “si propone che vi è il più preciso bisogno di restaurarsi l’Oratorio, e Antesagrestia di detta nostra Confraternita, che da più anni trovasi diruto, e profanato dalli attuali Priore, e Padri del Venerabile Ospedale di S. Giovanni di Dio; locché produce irriverenza nella Chiesa, molto più perché una facciata di quella, o sia muro minaccia rovina, ed una porzione della lamia come ava assicurato l’ingegniere Mastro Vincenzo Matera. Ed intesa detta proposta, è stato da tutti a viva voce conchiuso, che tanto maggiormente deve restaurarsi l’Oratorio sudetto per togliere la irriverenza si si commettono in Chiesa, ed impedire che cada quella porzione di muro, e della lamia, a quale oggetto, sono eletti per deputati D. Vincenzo Giorgio, e D. Emmanuele del Giudice, alli quali se li dà la piena facoltà di provedere l’Oratorio sudetto di quello sarà utile e necessario, il tutto però debbono fare e comprare coll’intelligenza del detto Sig.r Priore, ed infine ordinarsine il pagamento all’attuale Percettore D. Benedetto D’Ursi”.
Questi dieci documenti sono pur troppo autentici, perché sistenti in libri originali di antiche Conclusioni, legalizzate secondo il costume e la formola di quei tempi dal Cancelliere della Confraternita, il quale era sempre un famigerato Notaro.
Quindi non si ha dubbio alcuno sulla veracità di quel secolare e continuo esercizio di atti di dominio. Ed in vero la Confraternita nell’anno 1712 fa costruire una grande cornice indorata e perforata per la immagine di Santa Maria di Porta Santa, come tutt’ora comparvasi. Nel 1699 costruisce il palliotto allo stesso Altare; e dopo cinquantaquattro anni, cioè nel 1753 fa nuovo tutto l’altare medesimo. Nel 1700 eseguisce beneficii alla Chiesa, i quali non si descrivono. Nel 1724 fa la scala al Coretto, e lo intonaco alla parte interna della Chiesa; come ancora nel 1731 restaura lo stesso Coretto. Nel 1803 ricostruisce l’Oratorio e l’Antisagrestia con un muro della Chiesa. E tutti questi lavori furono sempre eseguiti a spese dell’erario della Confraternita. E la Università non elevò giammai un lamento su giusti atti di vero dominio, perché avvalorati dai pesi proprii del patrono assoluto, quantunque siano stati fatti pubblici, e ripetuti in ogni tempo, e sotto tutta le amministrazioni Comunali. Ma vi ha quello che più monta, e si è la servitù vietata dalla Confraternita ai P.P. di S. Giovanni di Dio con la conclusione del 1728, ed i mezzi coattivi da lei usati per impedirla del tutto, perché dai P.P. non rispettate le convenzioni; con che per impedire i pregiudizii che il Signor Friuoli stava per recare alla Chiesa, con l’edificare accanto alla medesima nuovi muri. Questo è quanto dalla Conclusione dei dì 17 Gennaro 1733, e dell’altra de 22 Giugno 1746, cosicché provano con lo esercizio della tutela e vigilanza su la Chiesa il patronato esclusivo nella Congrega.
7° Né finisce al 1803 l’esercizio di questi atti a titolo di proprietà; anzi se quelli erano disposti ed eseguiti dai soli Fratelli, o al più con il beneplacito del Vescovo pro tempore, come era allora costume, la quell’epoca in qua hanno avuto luogo con legali approvazioni delle Autorità Ecclesiastiche, ed Amministrative. Le quali con ciò hanno sempreppiù avvalorato alla Confraternita questo diritto, come è provato dai seguenti documenti.
Nello stato discusso ordinato, ed approvato in Napoli, in data del dì 8. Giugno 1805 dal Supremo Tribunale Misto si legge “che per risarcimenti necessarii tanto di fabriche, che di legname delle finestre e porte della Chiesa, ed arredi sacri, e suppellettili, sono fissati ducati cinque a carico della Venerabile Confraternita dei Bianchi, o sia Pio Monte Laicale sotto il titolo del SS.mo Nome di Fesù, eretta nella Chiesa di Santa Maria di Porta Santa”.
In data dei 5. Dicembre 1837 cotesto Consiglio Generale approvava la somma di Ducati 23:20, da prendersi dalle imprevedute di quell’esercizio, a fine d’imbiancarsi la Chiesa del Pio Luogo.
Nel dì 6. Febbraro 1838 lo stesso Consiglio approvava la compra di una porzione di suolo dietro la Chiesa di Porta Santa, mezza fabbrica per aprisi una nuova porta alla Chiesa medesima per la maggiore decenza del culto, e per il maggior comodo della Popolazione. Approvava pure la spesa per l’apertura della porta, per la costruzione di due porte nuove, e per la scrittura di compra. E tutto ciò per ducati 48.21, da prendersi dalla impreveduta dell’anno corrente. Questo si ricava pure dall’atto pubblico stipulato dal defunto Notaro D. Francesco Posso del dì 25 Novembre Mille ottocento trentasette.
Il dì 22 Luglio 1838 il Consiglio degnavasi di partecipare a questo Pio Luogo l’approvazione di S. E. il Ministro dell’Interno in data dei 14 detto n° 2663, per la spesa di ducati 52.50 per fare i parati nuovi a tre Altari nella Chiesa del Pio Luogo, e da prelevarsi dagl’introiti straordinarii del corrente anno.
Il dì 3 Settembre 1839 si approvava dallo stesso Consiglio la spesa di ducati 15:50, da prendersi dalle imprevedute, per lo acquisto dei campanelli necessarii al Culto della Chiesa.
Il dì 11. Aprile 1840 si autorizzava la spesa di ducati 2:50 da prendersi dalla imprevveduta, per colmare e chiudere i tre sepolcri della Chiesa del Pio Luogo.
Il dì 31 Dicembre 1840, si approvava la spesa di ducati cinque, e grana sessantacinque, da prendersi dalla impreveduta per accomodare i tetti, e le grondaie della Chiesa del Pio Luogo.
Il dì 31 Dicembre 1840 si autorizzava l’esito di ducati quattordici e grana ottanta togliendosi dalla impreveduta, per la costruzione nella Chiesa, e Sagrestia di due invetrate del Pio Luogo.
Il dì 15 Gennaro 1842 si autorizzava l’esito di ducati sei, e grana nove, prendendosi dalla impreveduta, per restaurare l’Orchestra su cui era messo l’Organo nella Chiesa del Pio Luogo.
Il dì 8. Marzo 1842, autorizzavasi l’esito di ducati diciotto, e grana quaranta, da togliersi dall’articolo venti dello stato di variazione, e dalla impreveduta. Questa autorizzazione confermasi da sua Eccellenza il Ministro dell’Interno.
Il dì 5 Agosto 1846 fu approvato la spesa di ducati Cinquantanove e grana Sessanta, da prendersi dall’art.° 22, e dalla impreveduta per fornire di parato un’Altare.
Nello stato discusso approvato in Vari da Catasto Consiglio Generale il dì 31. Dicembre 1849, all’art.° 22 è detto “Manutenzione alla Chiesa ad accomodi alla scalinata dell’atrio non ancora fatti ducati quaranta”.
All’articolo 22 dello stesso stato discusso sono destinati ducati centoventi annui per opere nuove al farsi nella Chiesa del Pio Luogo, ma previa particolare approvazione del Consiglio Generale degli Ospizii.
Il dì 22 Marzo 1849 fu approvata la spesa di ducati dieci e grana dodeci, da prendersi dall’articolo 21 destinato alle riparazioni della Chiesa per accomodare la invetriata della medesima.
In data dei 18 Febbraro 1851 il Consiglio comunicò a questo Pio Luogo l’approvazione ministeriale dell’appalto delle restaurazioni necessarie alla tettoia della Chiesa, giusta gli atti di subasta celebrati il dì 28. Ottobre 1849, e diffinitivamente il dì due Novembre 1849, innanzi a questo Sig.r Sindaco D. Riccardo Iannuzzi per la prima, e per la seconda innanzi del Decurione anziano Notar D. Giovanni Latilla.
Il dì 4 Novembre 1851, innanzi il Secondo Eletto Notar D. Riccardo Latilla ebbe luogo l’aggiudicazione diffinitiva ² di Giovanni Caricati à favore della costruzione del pavimento dell’Organo nella Chiesa del Pio Luogo, giusta l’approvazione del consiglio Generale del dì …
Il dì 3 Gennaro 1852 approvavasi la spesa di ducati diciotto, e grana quarantacinque da ricavarsi dall’articolo ventidue dello stato discusso, per accomodare il pavimento alla Chiesa di Porta Santa.
Il dì sette Giugno mille ottocento cinquantatré dallo stesso Consiglio approvavasi l’esito di ducati nove da prendersi dall’articolo assegnato alle riparazioni della Chiesa, ed insieme alla opera nuova, per mettere i cancelli di ferro a due finestre della Chiesa.
Il dì venticinque Marzo del corrente anno mille ottocento cinquantaquattro il Consiglio si degnava partecipare a questo Pio Luogo che il Sig.r Direttore del Real Ministero dell’Interno con ufficio del dì quindici andante erasi compiaciuto di approvare la costruzione della scalinata nell’atrio della Chiesa con la spesa di ducati cento sessantaquattro, e grana quarantasei, cioè ducati novantadue e grana quattro per la scalinata, e ducati sessantadue e grana quarantadue per la inferriata, da prendersi dall’artico[lo] 22 dello stato discusso a ciò destinato.
Nello stato discusso approvato in Bari da cotesto Consiglio il dì 30 Novembre 1854 all’articolo 21 è ammessa la spesa di ducati cinquanta annui, per manutenzione della Chiesa, ed accomodi alla scalinata dell’atrio della Chiesa, previa autorizzazione del Consiglio.
Il Supremo Tribunale Misto adunque, e S. E. il Ministro dell’Interno con appositi stati discussi, ed annuali stati di variazione hanno sempre fissato uno o più articoli di esito per le necessarie restaurazioni, e per la opera nuova occorrente alla Chiesa, indipendentemente dalle frequentissime espropriazioni sullo stesso oggetto ottenute con autorevoli ufficii da Cotesto Consiglio Generale (23).
Se dunque le lodate Autorità hanno reputato per la nostra Confraternita un dovere lo adempire ai pesi della manutenzione, e del maggior lustro della Chiesa, hanno dovuto ritenere per essa non dubbii i diritti di assoluto dominio. Perocché in opposto Ella rimarrebbe malissimo pregiudicata coll’avere speso ingenti somme da sì remotissimi secoli, come tutt’ora sta praticando per la ricostruzione della scalinata nell’atrio della medesima, nella quale o dovrebbe solamente lasciare la memoria di sé per tante opere eseguite, ed uscir fuori, oppure rimanere a pigione con il dolore di vedere ristretto, e molto men che freddo quel culto, il quale ora è caldamente sentito e solertemente esercitato.
Ma gli stessi oppositori dei nostri diritti li hanno sempre ed in sino ad ora riconosciuti, e legalizzati, con lo avere ritenuto per la Confraternita doverose le eseguite opere. E togliamo pure di mezzo quelle, e sono innumerevoli, fatte in economia dagli Amministratori pro tempore, perché così dal Consiglio Generale disposte, potendosi dire di averle ignorate. Non vi sarebbe ragione di discolpa per essi quando alle altre, per le quali prima di porvi mano si ebbe bisogno di solenni atti d’incanto celebrati innanzi allo stesso oppositore Signor Sindaco D. Riccardo Iannuzzi, e dei Signori Padre e Figlio D. Riccardo, e D. Giovanni Latilla; avente qualità il primo di 2.do Eletto, ei il secondo di Decurione anziano. I quali sono pure padre e fratello del Sig.r Priore di S. Riccardo, Canonico D. Vincenzo Latilla. E tutto questo si trova menzionato nei verbali d’incanto, che si conservano nell’Archivio del Pio Luogo.
Quindi se il dritto dell’Università era dalla Confraternita ristretto, o del tutto leso, si devono certo le Superiori Autorità dolere moltissimo di essi, come noi forte ci meravigliamo, perché non si opposero con determinato animo allora. Ma essi stessi autenticarono questi atti dichiarandoli ufficialmente legittimi, per conseguenza deve ammettersi che essi stessi avessero la ferma convinzione di esservi per parte del pio Luogo la ragionevolezza, la giustizia, ed il pieno dritto nell’esercitare assoluto dominio sulla Chiesa.
8° Tutto ciò che si è detto a pro del patronato della Congrega sulla Chiesa è avvalorato dall’immagine in quadro antichissimo della Vergine SS.ma Annunziata, che è la primitiva titolare dello stesso Pio Luogo, il quale è posto da tempo immemorabile sull’Altare maggiore insieme dell’altro quadro pure antico della Vergine sotto il titolo di Santa Maria di porta Santa.
Altro argomento è il Sepolcro dei Confratelli ab immemorabili messo ai piedi dell’Altare maggiore. Al patrono spetta fra i diritti onorifici Sepulcrum in loco intra Ecclesiam honoratiori. E qual sepolcro è chiuso da lapide su cui vedesi in basso rilievo antichissimo lo stemma della Congrega; il che pure va compreso fra i dritti onorifici del patronato: “Insignia item, ac stemmata familiæ, acqie inscriptiones delicendi, ac imponendi.” Gagliardi, de jure patronatus, Cap. 2.do n° 8°, “Et demum honor sepulturæ eo spectat, ut patronatus in honoratiore Ecclesiæ loco sepelliatur”. Cavallari, de jure patronatus, Cap. 18°. E per certo non può darsi per sepolcro luogo più degno che ai piedi dell’ara massima.
Similmente fra i doveri antichi della Congrega vi era quello di confortare e tumulare i condannati a supplizio estremo; e vi era nella Chiesa di Santa Maria di Porta Santa luoco destinato per loro. Ciò risulta dalla regola riformata nel 1568. Attualmente per le nuove disposizioni sovrane, avendo la Congrega costruita una Cappella nel Camposanto ha edificato in quella anche una sepoltura per i condannati nel capo, perché è ancora fra i suoi doveri di tumularli nella propria Chiesa, giusta la regola munita di Regio assenso dal dì 17. Marzo 1777. Or se nella Chiesa di porta Santa vi era la sepoltura pei giustiziati, è questo altro non dispregevole argomento che la Chiesa fosse della Congrega. Né si opponga non essere lapide, o altro segno che distinguesse quel sepolcro, perché nei tempi andati la infamia essendo unita allo estremo supplizio, la carità cristiana vietava che si condannasse all’obbrobrio anche il cenere degli estinti, manifestando con segni esterni il luogo in che riposava.
Questo dominio della Congrega sulla Chiesa è ancora manifestato dall’Archivio di Lei allogato da tempo pure immemorabile dentro a scaffali nel muro sinistro dello stesso Tempio accanto all’altare maggiore; non che dall’unica campana che vi ha sul campanile della Chiesa, la quale si dimostra di assoluta proprietà della Confraternita dallo stemma di lei che vedasi da una parte; e dall’epigrafe latina incisa d’intorno, che è la seguente: “Tempore Priori U. I D. Ioannis Iannuzzi F: A: D: 1785”.
Altro non dubbio argomento della proprietà della Chiesa a favore della Confraternita porgono le regole della Congrega della Morte, fornite di Regio assenso dall’Augusta memoria di Carlo III°; nelle quali si legge quanto siegue: “Capitoli, Regola, e stabilimenti da osservarsi dalla Venerabile Confraternita Estaurita, e Congregazione della Morte eretta nella Chiesa di S. Sebastiano fuori e vicino le mura di questa Città di Andria = Molte persone divote per darsi alla vita Spirituale, avendo nell’anno 1605 esposto il loro desiderio alla Venerabile Confraternita sotto il titolo di Gesù, eretta dentro la Chiesa di Porta Santa, allora fiorente nelle sante opere di Pietà, di essere ammessa in essa per fratelli, e perché molti di Fratelli già aggregati, ed eccessivo il numero dei concorrenti per essere ammessi, si rendea incapace per gli uni e per gli altri la detta Chiesa di Porta Santa, si pensò e determinò dalli Fratelli suddetti di porta Santa di fondare una nuova Congregazione in altra Chiesa coll’istruzione, guida, e direzione di alcuni Fratelli di Gesù. Considerandosi intanto per tale nuova Congregazione commoda e proporzionata la Chiesa che si possedeva da questa Magnifica Università sotto il titolo di S. Sebastiano sita fuori e vicino le dette mura di questa Città, fu a richiesta fata in nome dei Fratelli del Gesù quella dalla sudetta Magnifica Università graziosamente conceduta in pieno Consiglio mediante conclusione emanata ai sedici Luglio dell’anzidetto anno 1605 = Dopo la quale conclusione furono dalla detta Congregazione di Gesù destinati per fondatori D. Giovanni Donato Aybarre con titolo di Rettore, D. Giulio Cesare Volpicello con titolo di primo, e Chierico Riccardo dello Monaco con titolo di secondo assistente. Datosi a questi di vantaggio la facoltà ampla di fondare, istituire, e formare regole e statuti a lor piacere secondo Iddio, e la Gloriosa Vergine l’ispirasse, con la facoltà ancora di eliggere altri nuovi fratelli nella prima radunanza far dovevano in detta Chiesa di S. Sebastiano per l’elezione degli altri Uffiziali soliti delle Congregazioni. Dovendo dopo fatta detta prima elezione in avvenire restare libera l’elezione non meno del Rettore, e delli duo assistenti, che di tutti gli altri soliti Uffiziali alli soli Confratelli di detta nuova congregazione, senza l’intervento, saputa, e consenso delli Fratelli di Gesù= Fu dai suddetti tre soggetti eletti per Rettore ed assistenti accettato con tutta prontezza, ed ubbidienza il di loro ufficio, e peso impostoli, ed alli 23 Luglio di detto anno 1605 si die’ principio a questa nuova Confraternita Estaurita e Congregazione, con assegnarsi tanto da essi, quanto da tutti i nuovi confratelli radunati nella Chiesa di S. Sebastiano alla Congregazione predetta il titolo della Morte, sotto il patrocinio e tutela della Nascita di Nostra Gloriosa Vergine Maria, e dopo si procedé alla elezione degli altri Uffiziali, e si formarono le regole, e stabilimenti della opera pia da esercitarsi in detta Congregazione”.
Ora se la Congregazione di Gesù nel 1605 chiedeva dalla Università di Andria la cessione della Chiesa di S. Sebastiano per fondare quivi la nuova Confraternita a cui dava il titolo della Morte, è d’uopo ritenere che Ella avesse una Chiesa propria per sé, quale era quella di S.ª Maria di Porta Santa, nella quale si ha per fatto che era eretta; altrimenti non saprebbe intendersi perché Ella che si era data tanta cura e sollecitudine ottenendo la indipendenza della Chiesa altrui, avesse trascurato quella della Chiesa in cui da secoli era allogata.
Più ferma dimostrazione di questo dominio si ricava dalle regole munite di Regio assenso dalla Gloria Memoria di Ferdinando V°, in data dei 17. Marzo 1777., perocché nel proemio si dice che questa Confraternita “da tempo antichissimo è eretta nella Chiesa di Porta Santa” il che pure si ripete poco appresso; e nel Capitolo III°, all’articolo degli infermieri parlandosi della tumulazione dei Confratelli si dice “la quale si dovrà fare nella Chiesa di Santa Maria di Porta Santa, Oratorio proprio di detta Confraternita”.
Non ultimo argomento sono le chiavi della Chiesa sempre conservate dal Priore della Congrega, o dal Sagrestano di Lei.
Così facciamo passaggio alla seconda parte del nostro lavoro.
Le loro ragioni per quanto si vocifera sono molte, le quali è nostro debito svolgere dimostrandone la insussistenza.
1° Da prima presentano la così detta bolla di Monsignore Lupicino, assicurandola fatta nel 1512, o nel 1522, poiché non si scrive sempre la stessa cosa come abbiamo detto a pagina 4. [cfr. le sottostanti note n.7 e n.8, che richiamano le istanze del 18 marzo e del 6 aprile 1854]; e dicono che in quell’epoca la Università di Andria fece dimanda a Monsignore Lupicino, che essendo Vescovo di Bisceglie vogliono Vicario Generale del Cardinale Fieschi, asserito Vescovo titolare di Andria, di volere costruire un Tempio accanto alle mura della Città, nel luogo ove era dipinta una immagine miracolosissima della Vergine Santissima, e dedicarlo alla medesima sotto il titolo di Santa Maria di Porta Santa; che il Prelato vi abbia acconsentito, e che siasi eseguito quanto si era chiesto.
Questa bolla che ha l’apparenza di un decreto di Monsignore Lupicino, Vescovo di Bisceglie, e come dicesi Vicario Generale del Cardinale Fieschi, o de Flisco come è detto in latino, ha bisogno di un severo, critico, ed analitico esame, per osservarne il soggetto, non che lo stile, e la lingua che la informano: insomma vuolsi vagliarla con le regole tutte di sana ermeneutica. Perocché con la fiaccola della Storia contemporanea, e della topografia dei luoghi in essa descritti, e da noi ora riconosciuti e paragonati fra loro, possiamo discernere se essa regga allo scrutinio della critica, e così ritenerla o no vera.
In questa carta leggiamo le seguenti parole, le quali contengono il fondamento su cui si basa il ragionamento per sostenere il preteso dritto di patronato della Università di Andria sulla Chiesa di porta Santa:
“Syndicus et Rectores, et Originati ipsius Civitatis Andrie … comparverunt … dicentes qualiter prædicta Universitas, ob maximam devotionem, quam circa Gloriosissimam Imaginem Virginis nuperrime inventam in mœnibus ipsius Civitatis, ubi modo dicitur Ecclesia Porta Sancta, habet non solum populus Andrien, sed alii totius Provinciæ, ob frequentiam miraculorum, quæ meritis ipsius Virginis ibi corruscant, decrevit in eodem loco fundare Ecclesiam, in qua includatur Imago præsens, ut illam construere; quæ fundatio et constructio, ut Sacri Canoni dictant fieri non potest sine ulla dotis assignatione pro victu Rectoris, et luminaribus; idcirco in præsenti dederunt solum ipsius valli, quod est circum circa dictam Imaginem huiusmodi finibus designatam, videlicet juxta venerandam Ecclesiam Beatæ Mariæ de Misericordia, et juxta mœnia ipsius Civitatis, et alios fines; promittendo prout promittunt illam sumptibus suis cum fidelium oblationibus construi facere juxta signatum atrium, cum alterius spatium habere non potuerit, constituendo dotem pro Rectore ipsius Ecclesiæ, et luminaribus annuique reditus ducatorum quindecim …”
Da questo dettato si ha per fermo che la miracolosissima Immagine della Vergine fu trovata sulle mura della Città “nuperrime inventam in mœnibus ipsius Civitatis”: e fu trovata segnatamente in quel luogo che ora chiamasi Chiesa di Porta Santa “ubi modo dicitur Ecclesia Porta Sancta”.
Che per la massima devozione, a cagione dei frequenti miracoli che di questa immagine si aveva non solo il popolo Andriese, ma anche quello di tutta la Provincia, la Università di Andria deliberò di fondare nello stesso luogo ove erasi rinvenuta una Chiesa per allogarla “decrevit in eodem loco fundare Ecclesiam in qua includatur imago præsens”.
Epperò non diede allora la Università altra cosa se non che il suolo dello stesso vallo (che sarebbe lo stesso che dire fosso delle mura), il quale era messo intorno la detta Immagine “idcirco in præsenti dederunt solum ipsius valli, quod est circum circa dictam Imaginem”.
Che questo suolo fu segnato dentro stabili confini, cioè vicino la Venerabile Chiesa di Santa Maria della Misericordia, e vicino le mura della Città, e altri confini “huiusmodi finibus designatam, videlicet juxta Venerandam Ecclesiam Beatæ Mariæ de Misericordia, et juxta mœnia ipsius Civitatis, et alios fines”.
Ora, e nella stessa bolla detta di fondazione si dimostra chiaro, ed evidente la esistenza della Chiesa di Porta Santa, e dall’altra di S.ª Maria della Misericordia, è chiaro che la Chiesa di porta Santa esistesse allora. Più stante la ferma determinazione della Università di Andria di costruire una nuova Chiesa per riporvi quella venerata immagine, è mestieri che il Sig.r Sindaco, ed il Priore di S. Riccardo ci mostrino dove sia messa questa Chiesa; la quale non dev’essere certamente né quella di Porta Santa, né l’altra di Santa Maria della Misericordia, ambedue allora esistenti, e ce la debbono mostrare su quel punto precisamente che è segnato dalla stessa bolla, vale a dire “juxta Venerandam Ecclesiam Beatæ Mariæ de Misericordia, et juxta mœnia ipsius Civitatis”. Ma siccome sopra si è detto che la Gloriosissima Immagine erasi trovata “in mœnibus ipsius Civitatis, ubi modo dicitur Ecclesia Porta Sancta” così determinando sempreppiù la situazione della nuova Chiesa dovrebbe ora trovarsi in punto distinto, e separato dalla Chiesa di Porta Santa, che allora (giova ripeterlo cento volte e sempre) esisteva giusta la pretesa bolla; perciò dovrebbe stare in quello spazio preciso, il quale è tra le segnate mura della Città, accanto alla Chiesa di Porta Santa, ed all’altra di Santa Maria della Misericordia. E perché tutt’i nostri contemporanei ricordano benissimo, che la parete esterna delle mura della Città, la quale guardava il fosso di essa andava a livello del muro esterno e posteriore della Chiesa di porta Santa, come tutt’ora si dimostra dalla così detta scarpa, la quale riveste la parte inferiore di detto muro, così la nuova Chiesa dovrebbe trovarsi nel fossato adiacente alle mura della Città, al dorso, o accanto della esistente antica Chiesa di Santa Maria di Porta Santa, e dell’altra sotto il Titolo di Santa Maria della Misericordia.
E però la bolla non manifesta che la Università di Andria nel dì che si presentò a Monsignore Lupicino avesse già edificata la Chiesa, oppure l’avesse cominciata a edificare, ma intese solamente fare una promessa, come promise di costruirla: “promittendo, prout promittunt illam … construi facere”. Con quell’atto adunque solennizzato innanzi al vescovo non si pronunziò altro dalla Università se non che un desio, un voto, di fare costruire una Chiesa: fu costruita? Quando? Dove? Su ciò la bolla non ha bisogno d’interpretazioni, né di raffinatezza d’ingegno per discernere il senso della parola, ché il dettato è chiaro ed aperto.
Ma vi sono altre ragioni da non rimanere la menoma dubbiezza su questa importantissima verità.
Stabilita la dotazione di ducati quindeci da servire per il vitto del Rettore, e per i lumi (24), si soggiunge che, siccome in questa basilica da costruirsi non può comodamente celebrarsi (cioè non può affatto celebrarsi perché la Chiesa non esistente), ed il Rettore non può gravarso del peso di celebrare, così finché in essa non potrà a luogo ... celebrarsi i detti ducati quindeci si adoperino alla costruzione dell’edificio: “et quia pro nunc in ipsa basilica (25) construenda comode celebrari non potest, et sic Rector præsentandus non graveretur onere celebrandi, quia dicti ducati quindecim quousque celebrari possit cooperto loco in ipsa Basilica non eant ad comodum ipsius Rectoris, sed dispendantur in ipsa fabrica”.
E stabilisce espressamente che concepita appena la Chiesa da avere bisogno delle cure del Rettore, e detti ducati quindeci pervengano in suo potere: “sed postquam illic comode celebrari poterit, et Ecclesia indigebit cura ipsius Rectoris, dicti ducati quindecim perveniant in manus et posse ipsius Rectoris”.
Si manifesterebbe sempreppiù l’anormalità della bolla, se fosse vera, allorché dice che non ostante di esservi per la detta Basilica la sola assegnazione del suolo, e la dotazione, e la speranza della futura costruzione, pure la Università acquistò il dritto di patronato, e di presentazione del beneficiato in forza dei Sacri Canoni (26). E sebbene il dritto la facoltasse, o come Ella dice, il dritto le desse l’obbligo di presentare il Priore a quella Basilica allorché già fosse costruita, pure a fine che i nostri superiori non si facessero prendere da negligenza, fin d’allora presentarono il Venerando Signore Sansonetto Spoletino, non ostante la non eseguita fondazione: “ex quo excepta soli collatione, et dotatione, et spe futuræ constructionis in dicta basilica, acquisivit jus patronatus, et præsentandi ex sacrorum Canonum dispositione, quam jus tenerentur præsentare Priorem ad illam Basilicam jam constructam, tamen ut vis negligentiæ evitetur coram nobis locum tenentibus, ut supra præsentarunt ad illam Venerabilem Dominum Sansonettum Spoletinum … quemcum … instantia in ipsamet fundatione”.
Ed in ultimo promise che costruita la Chiesa con lo aiuto di Dio l’avrebbe fatta consacrare: “promiserunt, et constructa ipsa ecclesia cum Dei adjutorio illam consecrari facere (27)”.
A ritenere vera la bolla, Monsignore Lupicino nel fare il suo decreto maggiormente raffermerebbe che la Università non cominciò giammai a costruire la Chiesa, molto meno l’avea costruita, come fanno fede le stesse sue parole: sebbene si appongano dai fondatori alcuni modi, qualità, o già condizioni, le quali essendo fuori, oltre, o sia contro il Dritto, e non possono apporsi se non nell’atto della fondazione, pure noi la sanzioniamo con il presente decreto, fiduciosi che sortisca l’effetto, come essi si obbligarono di adempire, e che i Cristiani più facilmente s’infervorino a fondare Chiese, e così si aumenti il Culto di Dio “apponuntur per fundantes aliquid modus, qualitates, seu conditiones, quæ essent extra, præter, seu contra jus, qui et quæ apponi non possent nisi in limina fundationis, cum Diocesani Consensu interposuimus, et præsenti nostro decreto firmamus, et quia vel ipsæ conditiones, et modus non obstante quod aliquis ex eis esset contra jus ut supra, nichilominus eorum sortiantur effectum, ut jura ipsa hoc fieri perpromittunt, ut Christi fideles facilius intrantur ad fundandas Ecclesias, et sic cultus divinus augeatur”.
Questi modi, qualità, o sia condizioni che Monsignore Lupicino direbbe di essere fuori, oltre, o sia contro il dritto, e che non possono trovar luogo in somiglianti atti se non quando sia già fondata, o pure sta fondandosi la Chiesa, sono due: la prima di avere la Università presentato il Priore; la seconda di avere Ella acquistato il dritto di patronato su di una gratuita promessa, su di una pura speranza di futura costruzione (28). Questi sono davvero atti contro ogni dritto, perché si stabiliscono su contingenze, su semplici possibilità. In somma con quell’atto la Università avrebbe acquistata il dritto di patronato sul suolo di una strettissima parte di fosso delle mura della Città, e di presentare a questo suolo il Priore. Perocché se altra cosa ora pretendesse avrebbe l’obbligo di dimostrare con scritture pubbliche e con fatti positivi che prima del 1512, o 1522 non esistesse la Chiesa di porta Santa, e ciò in contraddizione della stessa bolla che la dice già esistente, e che fosse stata fondata la nuova chiesa conformemente si prometteva innanzi di Lupicino, e che fosse l’attuale Chiesa di Porta Santa. In contrario noi diremo che rimase sempre, a supporre pur vera la bolla, una speranza, un puro desiderio di fondarla.
E vegga il Consiglio Generale quanta verità vi possa stare nella gratuita assertiva del Signor Sindaco, il quale si fa lecito di dire esservi a tutto adempiuto. Si adempì non altrimenti dalla Università se non che con lo asserire di essersi edificata la Chiesa di porta Santa nel 1512, o nel 1522, mentre quella esisteva allora da circa tre secoli, siccome abbiamo luminosamente provato con lo esame della Chiesa, e dei monumenti suoi, con la Storia Patria, con la tradizione, con il testamento pubblico di Francesco I° del Balzo del 1420, e come si dimostra con la stessa ²bolla ¹voluta di Lupicino. La quale sola pur basterebbe come ora si è visto, e meglio si vedrà fra poco, a dare una solenne mendita a se stessa.
Moltissime pure sarebbero le osservazioni sullo stile, sulla lingua e sulle sconcordanze, tanto più che la data attribuita a quella Cartula coincide col secolo di Leone X° gloria non peritura dell’Italia per le lettere, quando cioè la decoravano i Bembo, i Sadoleto, i Manuzii, e tanti altri valorosi che fiorirono all’ombra benefica del triregno portato da un Medici. A sproposito è del tutto la punteggiatura. Epperò queste sono piccole mende a fronte degli enormi errori che qui appresso vedremo.
La parte che riguarda l’autenticità contiene molte contraddizioni d’istoria, e di cronologia, donde si scorge che l’autore della bolla era del tutto ignorante della Storia Civile e Sacra di Andria, e di quella del Pontificato Romano. Ma prima di entrare in discussione su di ciò importa moltissimo esaminare quanto si legge su i titoli dati al Cardinale Fieschi.
Fa davvero concepire gran sospetto si essere la bolla apocrifa il darsi dell’Eminentissimo al Cardinale Fieschi: “Lupicinus locum tenens pro Reverentissimo Eminentissimo Cardinali de Flisco”; mentre nel 1500 si dava questo titolo ai Principi secolari, ai Consoli, ai Duchi. I Cardinali avevano appena l’illustrissimo (29); e fu nel 1630 che nel Concistoro secreto del dì 10 Giugno, la Santità di Urbano VIII° decretò che l’Eminenza, e l’Eminentissimo d’allora dovesse essere il titolo proprio dei Cardinali, del Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano, e dei tre Arcivescovi di Magonza, di Treviri, e di Colonia siccome elettori del Romano Impero (30); sebbene non andrebbe lontano dal vero l’affermare che Clemente XII° in ricompensa maggiore al terzo genito di Elisabetta Farnese, nominato dalla Santità sua Cardinale, propose che ai Cardinali darebbe il titolo di Eminentissimo in vece di quello d’illustrissimo (31). Sia nell’uno, sia nell’altro modo sempre si trova che si dava al cardinale Fieschi dell’Eminentissimo quando non era stato questo titolo ancora decretato da alcun Pontefice.
Il sospetto maggiormente cresce dicendosi dalla medesima che il Cardinale Fieschi era Vescovo di Andria: “Episcopo ejusdem Civitatis”. L’autore non aveva mai letto alcun scrittore, né alcun istrumento di quei tempi, perché ignorava che dal 1503 al 1515, per dodici anni, tenne la nostra Cattedra Vescovile lo spagniuolo Frate Antonio Roccamoro, il quale fu proposto a Giulio II° dal gran Capitano Consalvo Ernandez de Cordova suo nazionale ed amico, ed allora Duca di Andria (32), come avanti si è detto. A Roccamoro successe Andrea Pastore, nostro concittadino; indi il dì 5 Novembre dal 1516 Simone de Nor (33). E fu nientemeno che dopo la morte di quest’ultimo, cioè nel 1517, che l’Amministrazione della nostra Diocesi fu conferita al Cardinale Niccolò, o Giacomo, secondo alcuni, Fieschi dei Conti di Lavagna, e vescovo di Ostia (34). Questi fu amministratore per pochi mesi, e cedé il Vescovado al suo nipote Giovan Francesco Fieschi, il quale fu vescovo di Andria dal dì 13 Novembre 1517 fino al 1561, e non fu mai Cardinale.
E fa inoltre meraviglia come l’autore nulla sapesse di dritto canonico; ché certo non avrebbe scritto del Cardinale Fieschi vescovo, ma Amministratore della Diocesi di Andria. E nessuno ignora che il Fieschi era già Vescovo di Ostia, e che la simultaneità dei Vescovadi, o di altri beneficii curati è affatto vietata dalle Leggi Canoniche (35). Perciò il Fieschi a un tempo non poteva essere Vescovo di Ostia, e di Andria.
Ma fin qui è ben piccola cosa. Si legge “Datis eadem Civitate Andriæ, die VIII.ª Martii, Nonæ Indictionis, Millesimi quinquagesimi decimo secundo sub Pontificatu SS. D. N. P. Leonis X°, anno ejusdem nono feliciter. Amen.”
Ora si sa che Leone X° non fu assunto alla Cattedra di S. Pietro che nel giorno 11 Marzo 1513; donde si vede che l’autore dell’atto ce lo crea Papa dieci anni prima; poiché l’anno nono del suo Pontificato cadrebbe nel 1521, che fu l’ultimo della sua vita, essendo morto il dì 1° Dicembre 1521. Se poi vogliasi ritenere la data del 1522, secondo la correzione fatta dal Priore di S. Riccardo, Can.co D. Vincenzo Latilla, incontransi maggiori contraddizioni, perché Leone X° era già da un’anno morto, come ora si è detto; a cui successe Adriano VI°, il quale morì nel 1523.
Non meno falsate sono le indizioni; poiché se ammettasi la data del 1512 trovasi che la indizione di quell’anno era decima quinta, e non nona; e se ritengasi l’altra del 1522, la indizione neppure sarà nona, ma decima.
E concediamo pure che il titolo di Eminentissimo dato al Cardinale Fieschi fosse stato da Lupicino graziosamente profferito per attestare al Cardinale maggiori sensi di venerazione, mentre non decretato ancora da alcun Pontefice, rimangono sempre imperdonabili falsità tanto lesive la buona fede, ed il dritto altrui tutte le altre contraddizioni storiche. Le quali sono pur troppo eloquenti da non avere bisogno di altri documenti, e di altre dimostrazioni perché sia questa famigerata bolla solennemente, e senz’alcuna restrizione, dichiarata apocrifa innanzi alla pubblica opinione, ed alle Autorità tutte sì Ecclesiastiche, che Amministrative, e Civili ancora.
Ed in fine è d’uopo pure rapportare ciò che si legge a foglio 26, e 27 del primo volume degli asseriti atti sul Priorato di San Riccardo,
i quali si conservano in quella Curia Vescovile, in piedi di una Copia della voluta bolla; il che è quanto siegue:
“Fidem facio ego Notarius Josephus Simon De Risis de Tranen, præsentem copiam extraxisse a suo proprio originali pergameno
jam præsentata Syndico Civitatis antedictæ (Trani, o Andria ?) sistante aliena autem ect. Concordat ect. In fidem subscripsi ego Joseph Simon,
et meo solito signo signavi requisitus. Semper in signo vinces. F.S.R. Presentata per eundem alieni vigesimum quintum Septembris 1590.
Coram Reverendo Domino, Andrien, cum potestate relaxandi Copiam. In originale bulla adest nomen Notarii, seu scriptoris adhibiti;
sed sola est subscriptio Episcopi. In dicta bulla unica tamen est præsentatio facta a Reverendissimis prædecessoribus, quod est:=
Die VI.ª Martii, decima quinta indictione 1541 comparuit Venerabilis Dominus Sergius Paschalis, Prior Ecclesiæ Sanctæ Mariæ Portæ Sanctæ,
et Illustrissimo Domino Episcopo Jran Francisco Flisco præsentem bullam præsentavit; quæ visa ab eodem Episcopo admissa fuit et recepta,
et in fidem ego Dominus Nicolaus Carolius ejusdem Episcopi Cancellarius, et scriba plenam relationem feci.”
Queste pretese presentate provano più che mai che ben ci avvisavamo di accusar per apocrifa questa bolla. Prima d’ogn’altro si assicura mancare nell’originale la firma del Cancelliere, o Notaro; e non vi ha bolla, o atto, qualsiasi di vescovo senza la sottoscrizione del Cancelliere che è il Notaro della Curia, il quale imprime il carattere di autenticità! In secondo luogo non sappiamo intendere come la presentata cui si attribuisce la data del 1541 si trovi scritta sotto l’altra del 1590. Dunque a salvare l’evidentissimo anacronismo bisognerebbe dire che dopo la presentata del 1590, se fosse vera, si volesse dare notizia di un’altra che sarebbe avvenuta nel 1541. Ma sventuratamente per gli avversarii, e l’una, e l’altra presentata sono false; perocché non avrebbesi potuto presentare nel 1541 una copia estratta nel 1590, essendo l’Uomo padrone di molte cose non del tempo. Non vogliamo indagare come e quando siasi ciò praticato, basta dire che quelle presentate hanno la impronta indelebile della falsità.
Codesta bolla inoltre presenta altro carattere di falsità, avvegnacché primieramente si dice copiata d’un Notaro che si asserisce di Trani, quasi che Andria non fosse una Città cospicua del pari, e provveduta di Notari; secondariamente perché in Trani, o in Andria non vi è stato mai il Notaro Giuseppe Simone de Risis, per quante siano state accurate le ricerche fatte negli elenchi della Camera Notarile della Provincia. Ed aggiungasi perché non è provato che Giovan Francesco Fieschi, a cui si dice presentata l’apocrifa bolla nel 1541, dimorasse allora in Andria, essendo Egli stato in Diocesi soli dieci mesi in due volte durante 48 anni di Vescovado, come si legge a pagina 869 del libro a penna citato nella nota 29.ª [“Relazione delle persecuzioni patite da Monsignore Antonio Franco, Vescovo di Andria, dai 25 Novembre 1603 per tutti li sei Ottobre 1608, composta in Roma per ordine dei Superiori”. … ”].
Se quella bolla fosse vera costituirebbe la erezione in titolo del beneficiato del patronato della Università. Or nel 1795 interrogato il Vescovo di Andria Monsignor Lombardi dalla Real camera di S.ª Chiara su la indole del beneficio in esame, e precisamente se vi fosse erezione in titolo risponde negativamente, e lo dice semplice legato pio. Avrebbe così risposto se quella bolla fosse esistita in Curia? Ed esistendo poteva essere ignorata, o trascurata dal Vescovo Monsignor Lombardi di tanta meritata fama? Che se volesse ritenersi che Egli non ne abbia fatto conto, conoscendone la esistenza, è forza conchiudere che abbia ciò praticato rivvisandone la falsità, e ritenendola apocrifa (36).
Di vantaggio è risaputo che nelle visite vescovili si fa stretta menzione di tutti i beneficii esistenti nella Diocesi, e se ne trascrive la fondazione, la dotazione, la erezione in titolo, la presentazione, ed il possessore. Or in tutti i registri della visita dei Vescovi di Andria si parla del beneficio di Santa Maria della Neve nella Chiesa di porta Santa amministrato dal Priore di S. Riccardo (37), ma non si fa motto né di patronato della Università, o del Comune, né della pretesa bolla di Monsignore Lupicino, mentre era necessario tenerne conto. Unicamente nella visita di Monsignore Ariani del 1697 si dice “visitavit Ecclesiam Beatæ Mariæ Portæ Sanctæ, quod asseritur de jure patronatus Magnificæ Universitatis”. Non avrebbe detto che il patronato fosse semplicemente asserito se da circa un secolo e mezzo prima fosse esistita nella Curia la immaginaria bolla. Tutto dunque cospira a dimostrare apocrifa la tanta millantata bolla.
2do Il secondo documento, in che ripongono maggiore fidanza il Comune, ed il Priore di S. Riccardo di Andria, è la visita di Monsignore Adinolfi del 1711. In questa si legge, che recatosi in Santa Visita quel Vescovo “ad Ecclesiam Sanctæ Mariæ de Porta Santa, in cujus janua ad modum Reverendus Dominus Dominicus Pincerna, tamquam Prior dictæ Ecclesiæ, mediante munus deosculatione aquam lustralem dicto Illustrissimo Domino exibuit, ipsumque ad mentionatam suam Ecclesiam humiliter suscepit”. Più si soggiunge che per una scala di legno ascese all’Oratorio della Congrega, ed ivi rinvenuto il Priore, ed altri Confratelli dispose ec. (38).
Vuolsi dunque dedurre che la Chiesa non appartenesse alla Congrega, esercitandosi gli atti giurisdizionali dal Priore di S. Riccardo; e che la Congrega avesse un’Oratorio in luogo separato dalla Chiesa. Ma questa visita, a tacere per ora ogn’altra cosa, farebbe sorgere un’idea neutra, che cioè padrone ne fosse il Priore di S. Riccardo, non essendo neppure nominata la Università, il che escluderebbe sempre l’assunto del patronato Comunale. Or che cosa fare di questa visita a fronte delle precedenti, e delle successive? Si rammenti quella di Monsignore Ariani, tutto che dica asserito il patronato della Università, ed avremo la confutazione di quanto nella visita di monsignore Adinolfi si legge. In quella si dice, che la Congrega avesse un’Altare, in questa non se ne fa motto. Chi ha mai negato che la Congrega avesse l’Altare maggiore, e l’altro dedicato al SS.mõ Nome di Gesù? E forse i visitatori del 1711 avevano le traveggole per non ravvisare il doppio antico stemma della Congrega sull’Altare maggiore? Come spiegare il contegno dei Confratelli, attendendo che il Vescovo si recasse a visitarli, mentre avrebbero dovuto riceverlo almeno al piede della scala, per la quale si dice Egli asceso sino all’Oratorio, che in realtà era l’antica sacrestia della Congrega? E dunque a supporsi che in quell’epoca il Vescovo, che sa per quale cagione, avesse in uggia la Congrega; senza di che non potremo spiegare la contraddizione di quella con la altra visita, e quel contegno poco urbano di una congrega composta dalle più ragguardevoli famiglie di Andria, come i Volpicella, i Conoscitore, i Tota, i Quarto, i Colavecchia, gli Accetto, ed altri moltissimi. Ma sia che vuolsi di quella visita, non potrà certamente la reticenza usata in rapporto alla Congrega, tacendo degli Altari di lei, e l’assertiva non vera in rapporto alla proprietà della Chiesa che si attribuisce al Priore di S. Riccardo, non veleranno sicuramente ad affievolire gli argomenti di sopra rassegnati dalla Congrega, e che risultano dalla altra visita, non che da innumerevoli monumenti antichi come autentici.
3° Altra ragione del Comune per sostenere il dritto di patronato è ricavata da che “agli stipiti della porta della Chiesa vi è, come dicono, lo stemma Comunale; ed un’altro ve ne ha nell’interno a destra entrando, con la seguente iscrizione: Jus Patronatus Universitatis Civitatis Andriæ A. D: 1573” (39).
Quanto ai leoni scolpiti sulle basi degli stipiti della porta maggiore della Chiesa il Signor Sindaco mal si appone col dichiararli stemmi Comunali, non avendo bene considerato che essi si trovano pure alle basi degli stipiti di molte porte di antiche Città (40); i quali erano posti a significare la esecuzione della giustizia, o la potenza di essa. E se sugli stipiti istessi della porta della Chiesa sono ancora scolpite le teste coronate di Corrado di Manfredi, come sul principio con la storia patria abbiamo dimostrato, i leoni significherebbero che Costoro fossero i Reggitori del Governo, e per conseguenza della giustizia. Oppure perché quel Tempio fosse stato costruito sul luogo dell’antica porta della Città, giusta l’antichissima tradizione consacrata nella Storia succitata, ove poterono stare scolpiti secondo la menzionata usanza i leoni. Ed inoltre non vi ha alcuno che dica che il Castello del Monte sia stato dalla Università di Andria edificato, perché ai lati del portone d’ingresso sono scolpiti o leoni.
Ed ancorché volesse supporsi che quei Leoni fossero lo scudo Comunale, non perciò debba ritenersi che siano ivi segno di patronato; e ciò per molte ragioni. Primieramente è risaputo che lo scudo del patrono si pone nel luogo più eminente (in digniori loco); e nel fatto si ha che sulla porta d’ingresso le due teste coronate sono situate superiormente ai leoni; e nell’interno della Chiesa sullo stesso lato ov’è lo scudo con il Leone vi è pure ed in luogo più eminente l’altro della Casa del Balzo. In secondo luogo uno di questi scudi ha per cimiero un Cappello prelatizio; il che prova non appartenere al Comune, perché Andria non fu mai infeudata alla Chiesa. E dunque a ritenersi che quei leoni fossero ornamento anzi che segno di patronato; e che indicassero piuttosto quella Chiesa formar parte della Città di Andria, e fosse sottoposta alla giurisdizione Vescovile, come chiaramente mostra il Cappello prelatizio, che forma il cimiero dello scudo. se così non fosse, e gli scudi facessero prova di patronato sarebbe questo Regio per la testa dei due Monarchi Svevi scolpite in luogo più eminente sugli stipiti della porta maggiore, o sarebbe appartenente alla famiglia del Balzo, per lo scudo di questa messo in luogo ancora più eminente dentro la Chiesa. Ma estinta la famiglia del Balzo feudataria di Andria, il patronato di Lei si estingue (41); né la famiglia del Balzo succeduta alla feudataria ha mai preteso il patronato; e se chi ora rappresenta quella stirpe più che illustre si facesse a pretenderlo troverebbe la resistenza giustificatissima della Congrega, la quale indipendentemente da quanto abbiamo esposto nella prima, e seconda parte di questo lavoro, avrebbe fatto suo il patronato per prescrizione. Siffatto patronato della Congrega è innegabile per lo scudo di Lei scolpito al sommo ed all’imo dell’ara massima, che per certo è il luogo più nobile e più degno del Tempio. Ciò non potendo essere materia di dubbio, ne segue che tutti gli altri stemmi messi in luogo men degno siano atti di cortesia, o al più indizio di patronato non sulla Chiesa intera, bensì su parte di essa, o sia di taluno fra gli altari minori che vi si comprendono.
Ed eccoci a parlare dell’epigrafe latina di che fa pure tesoro il Comune. Sul muro a destra entrando, ed accanto all’altare dedicato alla Vergine Santissima dei dolori si legge in lapide che non forma parte originaria del muro, ma messa posteriormente (42) “Jus Patronatus Universitatis Civitatis Andriæ A. D: 1573” (43). Cotesta lapide messa ov’è, potrebbe indicare tutto al più patronato particolare sull’ara minore, accanto a cui si vede; poiché se indicasse patronato sulla Chiesa starebbe non in giro ignobile e meno distinto, ma al sommo dell’ara massima, o sull’ingresso della Chiesa. Ciò è di tanta evidenza per chi men che mezzanamente fosse istruito in materia di patronato, che esclude ogni dubbio, e ci crederemmo anzi recare onta alla sapienza del Consiglio, allungando maggiormente la nostra argomentazione.
Che particolare fosse il patronato del Comune su di un altare, risulta dalla Storia patria, dalla tradizione, dalla voce pubblica, dagli atti d’investitura e di possesso degli ultimi Priori di S. Riccardo, e dagli atti di Santa Visita Vescovili.
E primamente la Storia scritta dal Canonico D’Urso assicura che sull’Altare di Santa Maria della Neve è infisso il patronato della Università di Andria, e che questo consiste unicamente nel far prendere su di esso il possesso al Priore della Cappella di S. Riccardo (44). Inoltre non vi ha Cittadino, non vi ha donnicciuola nel nostro Paese che non sappiano dagli Avi, e dai Padri loro, che il Priore di S. Riccardo, come beneficiato del Comune nella Cappella su indicata, tiene il solo dritto nella Chiesa di Porta Santa di prendere la investitura del menzionato beneficio su l’altare della Vergine Santissima della Neve. Tutti i Cittadini sanno dalla uniforme, e costante voce pubblica che questo e non altro è il dritto di patronato del Comune. Tutti sanno che non si sono giammai veduti i rappresentanti del Municipio, o il Priore di S. Riccardo prendere cura della manutenzione del Tempio, o entrarvi dentro per esercitare qualche funzione di culto.
Queste verità, le quali sono la ferma e generale convinzione di tutta la Città, sono compiutamente contrarie alla bolla del 1512, o 1522., e vanno in armonia con la Storia patria.
Noi preghiamo il Consiglio Generale che tenga questa verità per incontroversa, non temendo noi di alcuna mentita da qualsivoglia indagine coscienziosa, che Gli piacerà su di ciò ordinare.
Che sia questo, e non altro il dritto del Comune, e del suo beneficiato lo provano gli stessi atti d’investitura e di possesso degl’ultimi Priori, vale a dire, del Can.co D. Francesco Mita, del Can.co D. Giuseppe Iannuzzi, e del presente, Can.co D. Vincenzo Latilla. Questi atti si conservano nella Curia Vescovile, e nell’Archivio Comunale. Nei primi si fa parola del Priorato di San Riccardo, e non di Santa Maria di Porta Santa; e negl’ultimi si dice che il Priore della Cappella di S. Riccardo ha preso il possesso su l’Altare di S.ª Maria della Neve nella Chiesa di Porta Santa.
Questo stesso è raffermato dagli atti di santa Visita degli ultimi Vescovi.
Nella visita fatta da Monsignore Bolognese nell’anno 1823 alla Chiesa di porta Santa si legge quanto siegue:
“Hæc Ecclesia partim administratur a Fratribus Ordinis Sancti Ioannis De Deo, olim hinc suppressis, et paucis abhinc mensibus revocatis,
partimque a Sodalitate sub titulo Nominis Iesu, e Civibus huius Civitatis collecta. Visitavit Altare maius Sanctæ Mariæ de Porta Sancta sacrum,
in quo solum mandavit ut lapis sacer reponeretur intus mensam, adeo ut unam ... efformant superficiem. Altare in cornu epistolæ
positum est Beatæ Virgini Septem Dolorum sacrum a Sodalitate prædicta administratur, prout administratur etiam aliud maius.
In cornu Evangelii est ara Sancto Ioanni De Deo dicata, quæ a Fratribus curatur. In omnibus omnia dixit tollerabilia.
Omnino autem interdixit una cum officia Sanctæ Mariæ ad Nives altare sub hoc titulo, donec omnia ex integro reficiantur ab eo,
ad quem spectat. Huic Altari infixum est beneficium, quod possidetur a Priori pro tempore Sancti Richardi, quinta Dignittate
huius Ecclesiæ Cathedralis; qupropter inita in Ecclesia Cathedrali possessione Dignitatis,
cum iterum init in prædicto Altari Ioannes Baptista Episcopus Andrien”.
Nel 1830 il Penitenziere, Can.co S. Mariano Cocco, per Ufficio ricevuto da Monsignore Bolognese
fece la Santa Visita alla Chiesa di Porta Santa; e nell’atto, che lasciò scritto, si legge
“che tre Altari erano decentemente ornati; finalmente il quarto, cioè quello che appellasi l’Altare di santa Maria della Neve
è denudato e svestito; ed avendone interrogato il Cappellano mi ha risposto che nella visita antecedente fu interdetto.
Vi è l’organo e la fonte dell’acqua Santa a dritta dell’entrata. La Chiesa è in buono stato. La Congrega ivi esistente
sotto il titolo del Gesù tiene l’obbligo di fare celebrare, come esattamente fa celebrare, nell’Altare Maggiore delle messe
in tutti li Mercoledì del mese, ed in tutte le Domeniche e Feste dell’anno, per li Fratelli e benefattori.
Vi sono due messali. La suddetta Congrega possiede quattro pianete con stola, manipoli, borse, e veli corrispondenti;
delle quali una è di fondo lattino con galloni, a fiori di filo d’oro; l’altra di colore nero con galloni di seta gialla;
e queste per i giorni festivi. Le due altre una cioè di ogni colore, e l’altra nera per uso giornaliero.
Un calice tutto d’argento. Semplicemente ho interdetto due purificatoji, perché di bambacia.
Andria li 23 Aprile 1830. Io Mariano Penitenziere Cocco Visitatore. Visto Can.co Barletta Segretario”.
Il dì 5 Maggio il Canonico D. Felice Regano eseguiva la Santa Visita nella Chiesa di Porta Santa, per incarico ricevuto da Monsignore Cosenza.
“Mio sono recato, dice il citato Visitatore, nella Porta Santa, dove stanno quattro Altari forniti del necessario a potersi celebrare.
L’Altare Maggiore è detto della Madonna della Pietà; quello alla parte del Vangelo di S. Giovanni di Dio; e l’altro alla parte dell’Epistola dell’Addolorata;
l’immediato alla sinistra dell’ingresso è di Santa Maria della Neve; sotto il quale titolo il Priore della Cattedrale vi gode il beneficio.
In sacrestia si conserva il calice ben dorato, e la patena, come pure gli arredi sacri, che sono tutti idonei per lo sacrificio. Canonico Felice Regano”.
Di qui si vede che basterebbero i soli due atti di S. Visita di monsignore Bolognese, e del Canonico D. Felice Regano delegato da Monsignore Cosenza perché non più si dubitasse del dritto del Comune, e del suo beneficiato limitato al solo Altare di santa Maria della Neve. Le loro parole sono precise; e lo fermano stabilmente dicendo il primo “interdixit una cum efficie Sanctæ Mariæ ad Nives altare sub hoc titulo, donec omnia ex integro reficiantur ab eo, ad quem spectat.” Ed a chi spetta? “Huic altari infixum est beneficium quod possidetur a priori pro tempore Sancti Richardi, quinta Dignitate hujus Ecclesiæ Cathedralis”. Spetta dunque, conchiudeva il Vescovo, al Priore di S. Riccardo l’ornare decentemente questo Altare, essendo su di esso infisso il suo beneficio. Altrettanto dice il secondo “l’immediato Altare alla sinistra dell’ingresso è di Santa Maria della Neve, sotto il quale titolo il Priore della Cattedrale vi gode il beneficio”.
E si asserisce che Monsignore Bolognese maggiormente assicura i dritti della Confraternita col dire “Altare in cornu Epistolæ positum est Beatæ Mariæ Septem Dolorum sacrum a Sodalitate sub titulo Nominis Iesu administratur, prout administratur etiam aliud majus.” Di qui meglio si appalesa la irragionevolezza della pretenzione del Sig.r Sindaco, e del Priore di S. Riccardo da che stabilisce avventatamente dritti sull’Altare maggiore. Da prima perché con la conclusione del dì 5 Novembre 1699. si dimostra che la Confraternita fece a sue spese il palliotto, e coll’altra del dì 17 Dicembre 1753. si prova che fece del tutto nuovo lo stesso altare, come ora pure si dimostra dai due stemmi del Pio Luogo scolpiti su pietra e messi, come innanzi è stato detto, uno sul frontone, e l’altro sul suo palliotto. Ed inoltre perché è stato sempre amministrato dalla Confraternita, come lo assicura Monsignore Bolognese. Ed il Can.co Penitenziere Cocco colla Santa Visita fatta per delegazione dello stesso Vescovo maggiormente lo conferma, nella quale è detto “La Congrega ivi esistente sotto il titolo del Gesù tiene l’obbligo di celebrare, come esattamente fa celebrare nell’Altare maggiore delle messe in tutti li Mercoledì del mese, non che in tutte le Domeniche. e Feste dell’anno per li Fratelli e benefattori”.
Quindi non è da dubitare che la sola Confraternita tiene dritto sull’Altare Maggiore, perché ad essa sono ingiunti gli obblighi di Amministrazione di Culto, ed essa vi rappresenta i diritti onorifici ed onerosi inerenti al patronato. E questa è una fedele conseguenza di quei dritti che la medesima si aveva sullo stesso Altare fin dal 1568, allorché nella riforma delle regole si stabiliva che nella Festività di Santa Maria di porta Santa dovesse ogni fratello confessarsi, e dopo tutti congregarsi nella sagrestia per fare la elezione degli Ufficiali. Non avrebbe certamente ciò stabilito se non fosse stata a lei dovuta la celebrazione della Festività; ed a lei dovuto il Culto dell’Altare maggiore, su cui veneravasi la Vergine SS.mã di Santa Maria di Porta Santa. Ma Monsignore Bolognese meglio spiega i dritti della Confraternita dicendo “Hæc Ecclesia partim administratur a Fratribus Ordinis Sancti Ioannis De Deo, partimque a Sodalitate sub titulo Nominis Iesu”. Dunque la Chiesa di porta Santa non è amministrata, afferma il Vescovo, dal beneficiato del Municipio; ed afferma pure che ha il titolo di Priore di S. Riccardo, e non di Porta Santa. E se davvero volesse queste due parti sostenere che ci dica dove è messa la sua sagrestia, dove sono i suoi arredi sacri, dove e quando fa celebrare la messa: Nulla su di ciò troviamo negli Atti di santa Visita degli ultimi Vescovi; ugualmente nulla negli altri dei tempi remoti; Nulla sanno i nostri contemporanei per propria conoscenza, nulla per quella degli Avi. E si rilegga quello che scrive lo stesso Bolognese, ed il suo delegato Signor Cocco; e veggasi con somma meraviglia, e direi forse meglio con molto scandalo l’altare beneficiato della Vergine della Neve abbandonato, lurido, e vestito d’indecente parato al Culto di Dio. E si stupisca che dopo circa sette anni da che l’Illustrissimo Vescovo lo interdiva nel 1823, il Penitenziere Cocco lo trovava ancora svestito nel 1830. Ed allora il Priore di S. Riccardo ove adempiva agli obblighi del beneficio infisso sull’altare di Santa Maria della Neve? Né può dirsi ciò che sarebbe ancora da vituperarsi che non si fosse curato l’Altare, perché non credevasi di essere a questo limitato il suo beneficio; poiché allora non era su di ciò quistione, né dubbio alcuno; né il Priore di S. Riccardo esercitava funzioni di culto in altro Altare messo nella Chiesa di Santa Maria di porta Santa. Questo è pure smentito da che posteriormente si riprese la cura della sua manutenzione; tanto che lo stesso Sig.r Priore Latilla subito che fu investito del beneficio lo restaurò rifacendo a proprie spese la bradella.
Gli atti dunque della Santa Visita sono conformi al risultamento della tradizione, della voce pubblica, degli atti d’investitura, e di possesso degli ultimi Priori di S. Riccardo; e tutti sono armonicamente uniformi alla Storia patria. Valga di suggello a tutto ciò il solenne decreto contenzioso rite et recte renduto dalla Curia Vescovile di Andria con piena cognizione di causa tra la Congrega, ed il Priore di S. Riccardo, ai 10 Aprile 1854; e che ha fatto passaggio in cosa giudicata per difetto di gravame. Per conseguenza il torto sta dalla parte degli avversari.
4° Si oppone pure dal Sig.r Sindaco, che la Università nell’anno 1642, come egli dice dimostrarsi da pubblici atti dei Notai D. Alfonso Gurgo, D. Nicolangelo Facinio, e D. Francescantonio Facinio Pitoggi, accordava ai frati di S. Giovanni di Dio l’uso della Chiesa di porta Santa, per fare compiere le loro particolari funzioni; il che è argomento che il Municipio in quel tempo fosse il proprietario della Chiesa.
Noi non sentiamo l’obbligo di rispettare per documenti ciò che è mera nuda assertiva; quindi sarebbe nel dovere di presentare atti autentici. Dall’altra parte noi gli opponiamo tutti gli atti di esercizio di assoluto dominio che per lo meno fin dal 1568 la Confraternita ha praticato nella Chiesa, siccome innanzi abbiamo dimostrato con le conclusioni antiche, con gli stati discussi dal Supremo Tribunale misto, e di S. E. il Ministro dell’Interno, con approvazioni innumerevoli di cotesto Consiglio Generale, con gli atti di Santa Visita, e col solenne decreto pubblicato nel dì 10 Aprile del corrente anno 1854 testé riferito.
E poniamo pure che sia vero quello che in semplice gratuita assertiva ci si oppone, rimangono sempre più legali ed autentici gli atti di proprietà esercitati dalla Confraternita, perché anteriori e posteriori al 1642., non che continui, secolari, e garantiti da tutte le Autorità si Ecclesiastiche, che Amministrative, e dalla stessa Amministrazione Comunale con gli atti di subasta.
5° Altra ragione per parte del Sig.r Sindaco è che nel 1711 il Priore D. Domenico Antonio Pincerna chiuse la Chiesa, ed impedì che i Frati di S. Giovanni di Dio avessero solennizzata la Festa del loro Protettore, perché si erano accinti ad eseguirla senza permesso di Lui. Vi ebbe luogo giudizio Canonico, ed i Frati ebbero la succombenza.
Queste sono notizie che si meritano la medesima fede delle altre or ora esposte. Il Sig.r Sindaco in vece di dare alle Autorità competenti questa avventurata conoscenza, si aveva l’obbligo di esporre testualmente il processo Canonico cavandolo da autentici atti pubblici, come ancora sarebbe nel dovere di presentare questi o copie legali di essi. In vece di tutto ciò vi ha la sola assertiva.
Ed ammettiamo pure per vero quello che non ancora ha dimostrato sarebbe questo poggiato unicamente sulla millantata bolla del 1512, o 1522, la quale per la cosa detta avanti non può affatto essere ritenuta per legale, anzi deve aversi per un’atto di mala fede, che offende immensamente la dignità dell’Uomo, massima quando sia costituito in pubblici ufficii.
All’incontro noi ricordiamo gli atti di dominio non per una volta, non per un secolo, ma per molti secoli sempre costantemente usati.
6° Si pone pure per ragione che tutti i Priori da Sansonetto Spoletino fino al presente Sig.r Latilla hanno preso il possesso del beneficio nella Chiesa di Porta Santa.
Questo non si conosce dagli atti d’investitura che si conservano nella Curia Vescovile, ma dai Verbali di possesso sistenti nell’Archivio Comunale di questi ultimi Priori, i quali sono D. Francesco Mita, D. Giuseppe Iannuzzi, ed il presente Sig.r Latilla.
E noi aggiungiamo che questo si conosce da qualunque Cittadino; Ma egli avrebbe dovuto essere ingenuo e soggiungere che il dritto del possesso è infisso sul solo Altare della Vergine della Neve; e che questo e non altro è il dritto di patronato del Comune; e che a questo, e non ad altro si riducono tutte le funzioni, e tutte le prerogative che pretende di esercitare il Sig.r Priore di S. Riccardo nella suddetta Chiesa.
Non sentiamo l’obbligo di fare su di ciò nuova dimostrazione, essendoci avanti moltissimo intrattenuti sullo stesso oggetto.
7° Ad avvalorare la difesa il Sig.r Sindaco invoca lo appoggio della bolla del Pontefice Paolo III°, dicendo che la Santità Sua dichiarò il Priore di S.ª Maria di porta Santa di Andria quinta dignità del capitolo Cattedrale; e conservò al Municipio il dritto di presentazione a norma della fondazione.
A foglio 18, e 19 del processo asserito sul Priorato di S. Riccardo sistente nella Curia Vescovile provasi su carta una copia autenticata dal Notaro Ascanio de Micco di Barletta, estratta, come dicesi, da altra copia della stessa Curia. La quale riguarda la bolla spedita, per ordine del Pontefice, da Rainunzio Prete, Cardinale del titolo di S. Angelo, e Penitenziere Maggiore, del dì 27 Giugno anno 13° del Pontificato di Paolo III°.
È diretta detta bolla alla Università, ed ai Cittadini di Andria. Si dice di avere Costoro esposto, che i loro antenati avessero eretta e dotata la Cappella di S. Riccardo nella Chiesa Cattedrale di Andria; che ne avessero acquistato il dritto di presentare il Priore, quinta dignità della medesima Chiesa Cattedrale; che lo stesso Priore nel dì 23 Aprile, giorno dell’invenzione, e nel dì 9 Giugno giorno della morte del Glorioso Santo, si avesse il dritto di solennizzare il vespro, la messa, e le altre funzioni di Culto sull’Altare Maggiore. Costoro dimandavano che tutto fosse roborato dall’approvazione Apostolica, e che alle due chiavi del Tesoro, custodite dall’Arcidiacono, e dall’Arciprete si aggiungesse una terza da conservarsi dal Priore; e che fossero facultati ad alienare tutt’i cerei annui offerti al Santo, e dal prezzo da ritrarsi fare acquisto di ornamenti, o di annue rendite, o di altri beni stabili, per il maggior lustro della Cappella medesima.
Siegue decreto uniforme, vivæ vocis Oraculo, ed in fine è detto
“Vobisque jus patronatus, et præsentandi personam idoneam ad dictum Prioratum, quoties illud vocare contingerit,
actenus consuevistis tenore præsentium, veris existentibus præmissis, per præsentes reservamus et indulgemus ac licentiam
et liberam condedimus facultatem, quod Cappella Hujusmodi nullo unquam tempore, nec loco ordinario sua Sede Apostolica impetrari,
nec conferri possit, nec valeat, irritum quoque et inane quidquid secus contra tenorem præsentium contingerit
quomodo libet obtentari decernimus non obstantibus. Concordat cum bulla originali in pergamena scripta michi Notario Sanctæ Crucis.
Andrien, per Antonium Volpe illius Conservatorem exhibita.”
Da questa precisa e fedele apposizione della bolla di Papa Paolo III° di Santa memoria, senza fermarmi a vagliarne l’autenticità, si comprende che essa non riguarda affatto il dritto di patronato preteso dal Comune sulla Chiesa di porta Santa; ma solo il dritto di presentare il Priore alla Cappella di S. Riccardo nella Chiesa Cattedrale.
Al Sig.r Sindaco adunque col porre questa bolla a sostegno del dritto di patronato Comunale sulla Chiesa di Porta Santa abusa della buona fede, e commette un’errore quasi volontario, il quale è tanto più criminoso in quanto che la dà come autentico documento alle Rispettabili Autorità, che hanno il nobile ufficio di giudicare in questa importantissima controversia.
8° Nessun valore ha la bolla di Clemente XII° spedita per la nomina del Priore di S. Riccardo, D. Domenico Giorgio, perché quella fu chiesta a norma della bolla dimostrata apocrifa di Monsignore Lupicino; ed il Pontefice nel spedirla usò la solita sua formola, che lo toglie di qualunque responsabilità innanzi a Dio ed agli Uomini, la quale è quella “si veris existentibus præmissis”. Essendosi adunque ottenuta ... per la falsità di quella, valerebbe unicamente a provare che questa si fosse foggiata verso la metà del secolo XVIII° senza che renda migliore la ragione del Comune.
9° Si pongono pure per ragioni le dichiarazioni dei Testimoni nella provista dei priori Anelli, e Giorgio; le quali contestano, come egli crede, il patronato in parola.
Sarebbe ridondanza sino alla noia il fare la confutazione di quest’altro argomento, il quale dicasi pure ragione, e che non è altra cosa se non che un ritornello sullo stesso soggetto ora esposto ed oppugnato, sebbene espresso con diverse parole. I Testimonii dovevano certamente dire quello stesso che per il paese facevasi dire, siccome potevano andar pubblicando gli stessi interessati, ed in ciò sempre riposando sull’informe dettato del decreto di Lupicino. D’altronde cotesti Testimoni tutti posteriori alla bolla di Papa Clemente XII°, non possono valere più di quella.
10° Si dice inoltre che abolito il dazio sul vino mosto stabilito per assegnamento al beneficiato giusta la fondazione, la Comunità di Andria assegnò al Priore in sostituzione di quello un fondo Urbano, il quale dà la rendita di ducati venticinque circa, ed un piccolo censo di grana trentasei che corrisponde il Capitolo Cattedrale.
Questo argomento non merita neppure alcuna discussione, perché se questa è una conseguenza delle esposte asserite ragioni, le quali sono state validamente oppugnate, esso cade da sé, e rientra nella destinazione di quelle; e potrebbe quella essere datazione del patronato particolare dell’altare di Santa Maria della Neve.
11° Nel riepilogarsi le confutate ragioni si dice “che dai succennati argomenti si desume chiaramente essere il Comune nel pieno dritto di patronato sulla Chiesa di porta Santa, concorrendovi le circostanze della fondazione, dotazione, ed edificazione volute dai Sacri Canoni, ed avvalorate da bolle Pontificie, e Vescovili, non che contestate da atti Notarili, da pergamene, e da iscrizioni lapidarie”.
Noi all’incontro conchiudiamo che questo preteso dritto di patronato sulla Chiesa di porta Santa, il Comune di Andria non lo può, né lo potrà giammai dimostrare, considerate bene addentro, siccome si è innanzi estesamente provato, le stesse cadute ragioni per esso esposte. Perocché manca la edificazione, e la fondazione della Chiesa, senza di che la dotazione è nulla, e senza effetto. Perché non esistono bolle pontificie, risguardanti quello che egli intende di provare. Perché è apocrifa la bolla Vescovile di lupicino. Perché non vi hanno atti autentici notarili. Perché non esiste alcuna pergamena né nell’Archivio Comunale, né nella Curia Vescovile; essendo tutte le bolle, e gli atti che si sono citati, copia di copia, ed alcuna senza autentica di conosciuto Notaro.
Ed in fine perché la iscrizione lapidaria ed unica di jus patronatus Universitatis Civitatis Andriæ A. D. 1573 si riferisce al dritto che ha sull’altare della Vergine della Neve, e questo consiste solamente nel possesso che sul medesimo fa prendere al Priore di san Riccardo.
12° Si dice ancora che dal tempo in cui la Confraternita uscì dal suo Oratorio privato tenne possesso del solo uso della Chiesa di porta Santa; il che non pregiudica, come egli crede, i dritti del Comune e del beneficiato, non avendo essi giammai a quelli rinunciato. Ma ciò è contrario all’ampia dimostrazione rassegnata di sopra in rapporto al possesso pieno, pubblico, continuo, non interrotto, a titolo di dominio della Congrega, che non può essere invalidato dalla nuda asserita come è questa al pari delle altre.
Il Signor Intendente Presidente, ed il Consiglio Generale vedranno adunque, dopo quello che fin’ora ampiamente si è detto, chiara la dimostrazione di essere di spettanza del Pio Monte di Gesù la Chiesa di santa Maria di Porta Santa, di cui per tanti secoli ha goduto costantemente il possesso a titolo non precario. Di fatti se la proprietà non consiste principalmente che nel possesso; perlocché nel più antico assioma del dritto fu sempre accordata la preferenza al possessore: melior est causa possidentis. Se il fine che si propone il proprietario è quello di possedere: fatto positivo, esterno, continuo, che indica la proprietà che n’è il principale attributo, e ne costituisce la pruova. Se il tempo che senza posa e tutt’ora stabilisce e giustifica il dritto del possessore, e non rispetta alcun altro mezzo che gli uomini abbiano potuto immaginare, per fermare questo dritto. Se la legge protettrice della proprietà vede da una parte il possessore che pacificamente e pubblicamente ha goduto per lungo tempo di tutte le prerogative annesse a questo dritto, e che dall’altra parte s’invoca un titolo di proprietà rimasto senz’alcun effetto, durante lo stesso tempo, eleva allora un dubbio che va deciso a favore del possessore. Quindi il fatto del possesso non è meno positivo del titolo; il titolo senza il possesso non presenta più lo stesso grado di certezza; il possesso smentito dal titolo per la perde parte di sua forza. Questi due generi di pruove rientrano nella classe delle presunzioni. Ma la presunzione favorevole al possessore si accresce col tempo, a proporzione che quella che nasce dal titolo diminuisce. Questa considerazione somministra il solo mezzo che la ragione e l’equità possano approvare; e questo mezzo consiste in ammettere la presunzione che risulta dal possesso; il quale quando ha ricevuto dal tempo una forza sufficiente costituisce da per se un titolo, che non può più vacillare; per cui anche la esistenza di un titolo contrario di proprietà cede alla forza del possesso.
Ed in fine, a tacere che niun titolo vi è per il Comune di Andria per sostenere il dritto di proprietà sulla Chiesa di Porta Santa, la quale esisteva prima del sognato dritto di patronato, come lo dimostra la stessa cartula da cui crede farlo rilevare, si ha per fatto che dal 1806 sino al giorno 13 Marzo 1854, epoca della turbativa causata ad Pio Monte di Gesù per mezzo dell’attuale Priore, Canonico D. Vincenzo Latilla, il Comune medesimo nel procedere alla nomina del Priore in persona del Can.co D. Francesco Mita, e degli altri Priori successivi ha presentato il beneficio per la sola Cappella di S. Riccardo, e non mai per la Chiesa di Porta Santa. Quindi il preteso dritto di patronato ancora che una volta fosse esistito, ciò che è stato innanzi ampiamente impugnato, si trova annientato dal tempo. Cinquant’anni e più di possesso pubblico, pacifico, ed a titolo di proprietà, se altro possesso non avesse questo Pio Monte di Gesù anteriore al 1806, costituiscono la pietra sepolcrale che chiude l’adito alla usurpazione ed alla falsità, dichiarando prescritta la proprietà della Chiesa in favore del Pio Luogo (45).
Che il possesso non dico quadrigennale ma più che secolare esistesse nella Confraternita sulla Chiesa di Santa Maria di Porta Santa risulta dall’ampia raccolta di documenti esposti nella prima parte del presente lavoro.
NOTE
(1) Riccardo D’Urso, Storia di Andria, pag. 77.
(2) Op. cit., pag. 79.
(3) Op. cit., pag. 79.
(4) Op. cit., pag. 59.
(5) Op. cit., pag. 101.
(6) Op. cit., pag. 115.
(7) Istanza del Sig.r Priore di S. Riccardo presentata in Curia Vesc. il dì 18. Marzo 1854.
(8) Altra istanza del medesimo del dì 6. Aprile 1854.
(9) Op. cit., pag. 122.
(10) Op. cit., pag. 123.
(11) Op. cit., pag. 124.
(12)
Queste regole del 1568 provano che la Confraternita esistesse ab antiquo; poiché si legge nel proemio quanto siegue.
“Hebbe principio questa Sancta opera sotto la Religione dei Bianchi, col titolo del Jesus.
Nella Città di Andria, et a ciò che meglio se regolava, ordinarno detti Fratelli, che questa Compagnia,
et Fratellanza se ordinasse, et regolasse sotto certe Regole, Capitali, et Stabilimenti, i quali a ciò che fossero più certi,
e manifesti a tutti, volsero ridurli in scritto ... il dì seguente poi pur radunati insieme detti Fratelli ordinarno
ad uno de’ Fratelli di essa Compagnia che detti Capitoli et Stabilimenti reformatoli alquanto l’avesse possuto,
et sotto brevità redottoli in scritto, et farne un libretto, qual’è questo” Dunque la Congregazione esisteva
“nell’Oratorio et Chiesa di Santa Maria di porta Santa” ed aveva regole prima che si eseguisse la riformazione nel 1568.
È verità storica che tutte le associazioni si stabiliscono e sussistono di fatto, e poscia a misura dell’incremento,
o dell’inconvenienti che sorgono se ne formano le regole, o sia i principii che ne regolano lo andamento;
e da ultimo si riducono in iscrittura perché i successori di coloro che le formarono le apprendessero,
e vi si uniformassero. E però se nel 1568 troviamo riformate le regole della Congrega, è d’uopo conchiudere
che questa esistesse da epoca assai anteriore. Risulta pure da dispacci che molte Congreghe esistessero senza regole;
per il che siffatta esistenza si ritenne di fatto, e non di dritto. (dispacci del detto Maggio 1768,
e del 19 Giugno 1769; di tal che sarebbe grave errore contare la esistenza del Corpo Morale dalla data della regola;
anzi nel secondo dei citati dispacci sul proposito delle regole si dice “che queste riguardano la qualità, e non la esistenza del Corpo”.
(13) “È stabilito a tal Nostra Compagnia venghi in __gumento, il che facilmente può succedere ogni volta, che di noi stessi facciamo lodevole sacrificio che si procuri per ciascuno la reconciliatione dal suo Fratello, che a ciascuno di essi almeno tre volte l’anno debbia confessarse, e recever il Santissimo Sacramento nell’Ordinario dì della Pasca, del Gi____ Santo, nel giorno della Natività di Gesù Benedetto, et nella Festa di Sancta Maria di porta Sancta, Ecclesia deputata per nostro Oratorio.”
(14) “È stato ancora determinato che ogn’anno nella Festività di Sancta Maria di Porta Sancta, che è il primo Sabato di Ottobre, o la Domenica che segue tutti li Fratelli debbiano unirsi, et Congregarsi nella Chiesa predicta et ivi nell’Oratorio far l’elettione per secreto scrutinio di tutti li prenominati Uffittiali, così dal P. Priore, a Conseglieri, come ancora del Correttore, Visitatori di Carcere, et Cancelliero, et Thesoriero, oltreche la Congregatione non sia in manco numero di vinti Fratelli.”
(15) Ciò non altrimenti può intendersi se non perché la Congrega aveva il sentimento della proprietà, o sia la coscienza che quella Chiesa fosse sua, e così rilevasi allora per lo meno in Andria, come costa dalla Sinodo celebrata dal Vescovo Resta nel 1582, ove sotto l’epigrafe “De Capitolaribus Piis Locis, et Confraternitatibus” alla pagina 23 Cap. 2.do si legge “et Administratores Confraternitatum, et Piorum Locorum, singulis annis ab omnibus collegialiter congregatis, in die festivitatis eorum Ecclesiæ, vel quando solent, eligantur”. Ed alla pagina 65 a tergo fra le feste mobili è detto “Dies Sabbathi primi Octobris festivitas Sanctæ Mariæ de Porta Sancta”.
(16) Questo Tempio ricorda una delle più care, e venerate memorie religiose di Andria; avvengacché fosse edificato su la Porta, per la quale S. Riccardo, Protettore della Città, seguendo il Principe degli Apostoli entrava in Andria. Or non saprebbe supporsi, che siffatto Tempio non avesse una Corporazione destinata appositamente a mantenerci il Culto; e quando nemmeno si avrebbe memoria di altra Confraternita, o di Cappellani che vi fossero addetti. Cotesto nostro pensiero è afforzato dalla bolla di Papa Gregorio XIII° del dì 15 Febbraio 1583, sotto l’Anello del Pescatore, dalla quale si da la esistenza nella chiesa di S. Maria di Porta Santa di una Congrega promiscuamente composta di Sacerdoti, e di Laici, e che il Sommo Gerarca l’arricchiva di molte grazie spirituali, e specialmente d’indulgenza plenaria. Questo prova il nostro assunto non solo, sì pure che questa Congrega avesse ben meritato, e quindi che esistesse da tanto tempo, quanto bastava a rendersi commendevole per esercizii di pietà.
(17) D’Urso, Storia di Andria, pagina 77.
(18) Op. cit., pag. 77.
(19) Liber Primus bonorum, Annuum Censuum ec: pag.6.
(20) Questo stemma sull’altare maggiore è il più valido argomento del dominio della Congrega che si prova per stemmata et literas antiquas incisas in lapidibus. Valga per tutti l’autorità di Cesare Lambertini, da Iure patronatus, tit. 1°, part.2, articolo 9, n°3, pag. 200, ove cita moltissime autorità sul proposito. Non si opponga la lapide che dice del patronato del Comune, poiché ne parleremo a suo luogo.
(21) La restaurazione della Chiesa va compresa fra i dritti onerosi del patronato, tanto che ove il padrone soffre che altri il pratichi, perde il patronato, che si trasferisce al restauratore “... inter patroni onera debeat obbligatio dirutam Ecclesiam reedificandi. Antiquus enim patronus jacturam facit juris sui, quoties Ecclesia dirutam, vel inopem, patiatur ut alius reedificat, sic que patronatum in se trasmoveat, atque adquirat.” Ciò risulta non solo dai Canoni, sì pure da decisioni della Rota Romana, e specialmente dalla 405ª renduta sotto la presidenza del Cardinale [Alessandro] Ludovisi, poscia Papa Gregorio XV° Concil. Trident. Ses. XXIª, da reformae. Capit. 7. Gagliardi de Jure Patronatus, Cap. 2, n.11. Cavallari de Jure Patronatus, parag. 6°. Se tutt’altro mancasse basterebbe siffatta restaurazione a far principiare per la Congrega la prescrizione, ma di ciò a suo luogo.
(22) Qual’atto dominicale più importante di questo? Perché i Padri di San Giovanni di Dio impetravano dalla Congrega, e non dalla Università, o dal Priore di S. Riccardo il permesso di tenere precariamente aperta quella porticina? Perché la Congrega e non il Sindaco, o il Priore di S. Riccardo guarantivano la Chiesa da una servitù, esercitando quella tutela tutta propria del patrono? (“Jus onerorum patrono primum attribuit tutelam, et patrocinium Ecclesia, quatenus nil ad detrimenti patiatur) in rebus tam spiritualibus, quam temporalibus” Gagliardi, de Iure Patronatus Cap. 2°, n° 11. “Illud vero oneris patronis incumbit, ut summa vigilantia Ecclesiæ tueantur” Cavallari, de Jure patronatus, paragrafo 17). Di tal che la trascuratezza nello esercizio di quella tutela importasse nientemeno, che la decadenza del patronato.
(23) Or domandiamo noi in che consiste il millantato patronato del Comune su la Chiesa, se pur uno non adempie di quei pesi che ne formano la parte onerosa, e diremmo essenziale? O forse pretenderebbe il Comune di Andria, ed il Priore di S. Riccardo che in grazia di loro si facesse eccezione al diritto Comune limitando il patronato ai diritti utili, ed onorifici, dispensandoli dagli onerosi?
(24) Avrebbe vissuto lautamente quel Rettore con cinque carlini al mese dovendo pure soggiacere all’esito dei lumi!
(25) Si davvero potea chiamarsi Basilica atteso il grande spazio che dovea occupare nel piccolo vallo delle mura, e perché tutta dovea formarsi a spese regie, per ivi dicere jus!
(26) I Canoni negano il patronato a chi non doti sufficientemente la Chiesa da edificarsi; anzi lo negano per la sola edificazione del Tempio: Gagliardi, Cap. 2°, n° 9, e Cap. 5°.
(27) La Chiesa di Porta Santa non presenta segni che per disciplina ecclesiastica provino la consacrazione.
(28) Or domandiamo chi desse a Monsignore Lupicino il potere di derogare ai canoni, ai Concilii, alla disciplina della Chiesa Universale per accordare patronato in contraddizione manifesta, anzi nel divieto positivo del dritto Canonico?
(29) Che da per tutto posteriormente al 1500 si serbasse il sistema di dare l’illustrissimo ai cardinali, conformemente si usava nella stessa Corte di Roma, si ricava da un libro a penna che si conserva nell’Archivio di questo Reverendo Capitolo Cattedrale intitolato “Relazione delle persecuzioni patite da Monsignore Antonio Franco, Vescovo di Andria, dai 25 Novembre 1603 per tutti li sei Ottobre 1608, composta in Roma per ordine dei Superiori”. A pagina 596 si legge “All’Illustrissimo e molto Reverendo Signore come Fratello, si sono molte informationi mandate da Vossignoria contro il Dottor Fabrizio quarto di questa Città, e questi Illustrissimi Signori Cardinali, miei Colleghi hanno risoluto … Roma li 22 Giugno 1607. Il Cardinale Origene”. A pagina 395 vi è una lettera d’ufficio del Consigliere Collaterale D. Luigi Xarava de Castello al cardinale Borghese, e si dice “All’Illustrissimo, e Reverendissimo Senor il Cardinal Borghesio, mi Sir, Roma – l’ufficio comincia così – Conoscendo la potentia … Napoli li 24 Febbraro 1607. D. Luis Xarava de Castello”. A pagina 794 il Cardinale Gallo scrive al signor Vicario di Andria, e dice “Hanno risoluto questi Illustrissimi Cardinali che si ordini … Roma li 21 Marzo 1608. Il Cardinale Gallo.” A pagina 817 il Cardinale Gallo scrive pure “Illustrissimi Signori Cardinali”.
(30) Denoti de Cardinalibus, et legatis, art° 7, sez. 2°.
(31) Cantù, Stor. de Cont. an: pag.
(32) D’Urso, oper. cit., pag. 121.
(33) D’Urso, oper. cit., pag. 121.
(34) D’Urso, oper. cit., pag. 123.
(35) E rammentasi che per lo Canone X° del Concilio di Calcedonia, e per il Canone XV° del Secondo Concilio Niceno, il Capo 3° Ẍ de Clericis non residentibus, e precisamente la Estravagante Exacrabilis, sanzioni ripetute dai Papi Alessandro II°, Gregorio IX°, Innoenzo III°, e da questi tutt’i Concilii Ecumenici, suggellate poi dal S.° Sinodo Tridentino, coi decreti de reformatione nelle sessioni 7.ª e 24.ª, la Chiesa è la Sposa del Vescovo. Ammettere quindi che un’uomo possa essere titolare contemporaneamente di due Chiese Vescovili, importerebbe commettere una Sacra bigamia simultanea.
(36) Il beneficio che si attribuiva quasi come sopra-dotazione al Priore della Cappella di S. Riccardo, per un altare affidato a lui nella Chiesa di Sª Maria di Porta Santa, come vedremo a suo luogo, fu sequestrato dall’Economo Regio nella vacanza per morte del Priore Conoscitore. Il Superiore di costui Priore Accetto ne chiese in Camera Reale il dissequestro, dicendolo legato pio. Il Vescovo fu interrogato, e confermò l’assertiva del petizionario, e sulla relazione del Vescovo, e del Fiscale della Regia Udienza di trani, a 17, Aprile 1795 fu ordinato il dissequestro, imponendosi alla Curia Ecclesiastica di non più spedire bolle d’istituzioni contro la natura de’ beni, e dei legati Pii.
(37) Questo altare fu sospeso come vedremo nella visita di Monsignore Bolognese perché si trovò mancante di tutto: tanta cura ne prendevano i Priori di S. Riccardo!
(38) Anche la visita di Monsignore Adinolfi offre elementi di falsità della bolla di Monsignore Lupicino, poiché se questa fosse in Curia da oltre un secolo e mezzo se ne sarebbe fatto motto, o per lo meno si sarebbe parlato del patronato della Università, anzi che dire quella Chiesa propria (suam) del Priore della Cappella di S. Riccardo.
(39) Nel fatto sugli stipiti della porta d’ingresso della Chiesa e sottoposti alle due teste coronate, in piccolo rilievo, riferite di sopra, si vedono due scudi che presentano ciascuno un Leone rampante coronato, e lo scudo poggia su di un serafino. Entro la Chiesa sul muro laterale a destra entrando si vede un’altro scudo simile su di un’epigrafe latina, della quale parlavamo, e sul muro opposto, cioè quello a sinistra un quarto scudo simile in quanto allo stemma che presenta, ma sormontato da un cappello prelatizio, i di cui fiocchi pendono ai lati dello scudo. Sul muro medesimo vi è in alto lo stemma dei Balzo come innanzi abbiamo riferito.
(40) Sull’antica porta di Trani che dicevasi aurea or demolita eravi pure scolpito un leone rampante e macchiato, che attualmente si conserva in quella Casa Comunale con le molte epigrafi semi-gotiche che decoravano quella porta. In molti siti della stessa Città si vede il Leone. Diremo forse fosse esso lo scudo di trani, mentre questo presenta una torre merlata, un drago, fra i cui artigli una testa di bue? O diremo forse che se quel leone fosse stemma di Andria, questa Città fosse padrona dell’altra? Lo attuale rispettabilissimo Vescovo di Andria ha pure nel suo scudo un leone rampante e coronato, come lo aveva parimenti Monsignore Lombardi, dedurremo forse da questa coincidenza che la famiglia Longobardi, e Lombardi vantassero patronato sulla Chiesa di porta Santa?
(41) “Deficiente omnino familia, vel gente, cui fuisset relictus patronatus Germinianus, aliique post eum opinabantur patronatum extingui, Ecclesiamque ad liberam Episcopi collationem devolvi”. Gagliardi, Cap.11, parag. 27.
(42) Ciò prova pure che la Chiesa esistesse prima di porsi quella lapide.
(43) Se la Università di Andria fosse vero che abbia acquistato il patronato per edificazione, e dotazione nel 1512, o 1522, perché sulla lapide facea scrivere la data 1573? Né dica che allora compivasi la edificazione della Chiesa promessa dalla Università e sperata, giusta la bolla, perché la lapide stessa ed il Leone sovrapposto di scultura men antica dell’altro messo sul muro di rimpetto provano che la Chiesa esistesse prima assai che quella lapide vi s’incastonasse. Tutto dunque è buio e contraddizione.
(44) D’Urso, oper. cit., pag.ª 77.
[dal manoscritto originale “Processo Canonico ed Amministrativo sul diritto di Patronato di Porta Santa”, vol. I, ff. 40r-80r]