RABBI, quis peccavit, hic, aut parentes eius, ut cœcus, nasceretur?√[1]
Scrive San Giovanne Evangelista, che gli Apostoli havendo veduto il cieco nato illuminato in Gierusalemme,
spinti d’un dubbioso pensiero, chiedeno à Christo la causa di quella cecità, se fosse venuta forse per sua,
ò per l’altrui colpa, che’l più delle volte manda Iddio le avversità per gli peccati.
Ma il Signore che provede al tutto insegnando loro i sacri misterij di Dio, gli risponde.
Neque hic peccavit neque parentes eius (cioè perche gli fosse occorsa tale cecità) sed ut manifestentur opera Dei in illo.
Così un curioso investigatore de’ divini giuditij, potria forse non senza ragionevole pensiero chieder la causa
d’un così mirabile scoprimento della sopra detta Imagine: Al quale si potrebbe dar forse la medesima risposta,
cioè Ut manifestẽtur opera Dei in illo.
Due sono le operationi, quali il benignissimo Iddio opera in ver di noi miseri peccatori soccorrendo à due nostre miserie:
cioè una nell’Anima, per la colpa, qual’ella hà commesso, e l’altra nel corpo, per la pena, qual ne segue per la colpa.
Per manifestar adunque il Signore queste due sue opere verso l’anima, & Corpo nostro, hà voluto far manifesta
questa miracolosa Effigie della sua santissima Madre, cominciando dal corpo, qual n’è sì caro nel mondo,
acciò così ne allettasse alla salute dell’Anima, la qual n’hà dato per restituirgliela con quella candidezza, nella quale l’hà creata.
E perche trovava prima la colpa in questa Valle, e Grotta, poiche non era più habitata da quei Santi Romiti,
& dall’altre persone spirituali, e religiose, che recitavano le lodi à Dio in sì picciol tempio, ma da ladri,
da fuorausciti, & d’assassini, che rubbavano, & ferivano, & tal’hora uccidevano, & altri simili misfatti
ne’ poveri passaggieri commettevano, & à chiunque della Città veniva nelle sue vigne, giardini, possessioni,
& altri simili luoghi, d’intorno detta Valle nel coltivargli, e cavarne i desiati frutti, erano cagione di porre
in abbandono ogni cosa per sicuro scampo della vita, la quale à molti è più cara che’ beni tutti di fortuna,
siccome veggiamo; √[2]
talche si poteva giustamente chiamar Valle di sceleratezze, e di miserie, e da grotta
da prima dedicata per tempio, e casa di Dio, e di orationi, non casa di negocij (come fecero i Farisei,
& altri, lor seguaci, per lo che furono dal Signore nostro discacciati dal Tempio di Gierusalemme)
ma ricetto, & maggione di huomini si scelerati, divenne.
La puzzolenza delle sceleratezze, e perversità de’ quali era tanto abominevole, che dir se ne poteva.
Clamor Sodomorum, & Gomorreorum multiplicatus est, & peccatum eorum aggravatum est nimis;
√[3]
per lo che mandando Iddio per sua giusta vendetta, il fuoco, e solfore sopra loro; gli ridusse in cenere
insieme con le loro Città, & terre. E parimẽte al tempo del giusto Noè havea detto avanti.
Videns Deus quòd multa malitia hominũ esset in terra, & cuncta cogitatio cordis intenta esset
ad malũ omni tempore: Delebo (inquit) hominem, quem creavi à facie terræ.
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Il che, come leggiamo, e crediamo n’avvenne poi: imperoche mandando dalle nuvole la pioggia à largo fiume
per lo spatio di quaranta giorni, e notti, sommerse il corpo di que’ infelici dẽtro l’acque;
& l’anime (dice San Girolamo) tra’ flagelli non si pentirono delle sue colpe;
& Iddio ne gl’eterni fuochi dell’abbisso le traboccò eternamente.
Ma altrimẽti occorse à gli empi habitatori di quella Valle Andriese: imperoche, bẽche fossero stati compagni
di cotesti nel peccare, non piacque però alla divina benignità, che gli fossero anco compagni nel castigo.
Et avvenga che l’Effigie della Regina del Cielo, in detta Grotta come un Sole tra le tenebre, come un giglio
tra le spine stava ascosa, è da credere, che pregasse il suo Unigenito figliuolo, ch’usasse quivi la sua misericordia,
havẽdo l’occhio della pietà verso questi buoni Andriesi, che di ciò non haveano colpa.
E così insieme insieme, Ubi abundavit delictum (secondo la dottrina dell’Apostolo) superabundavit, & gratia:
√[5]
perche, se per avanti questa Grotta era luogo, dove si operavano tanti errori, e misfatti, hora è tale,
che quivi si scarrica la sarcina de’ peccati, e si lavano le sozzure dell’anime per la confessione à i piedi
di Confessori; e di quegli in si gran numero da diverse parti del mondo non pur di questa Provincia, e del Regno tutto,
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(come oggi con chiara isperiẽza proviamo) che bene spesso à certi tempi dell’anno, si confessano,
e communi in detta Chiesa le migliaia de’ devoti fideli il giorno.
Questa adũque è la prima opera divina (come è detto di sopra) verso le anime nostre in questa Valle:
& è tãto grãde la bontà di Dio verbo questa sua humana (benche indegna) creatura, per allettarci
à sì benigna opera, qual egli fà verso noi, per gli suoi divini, & occulti giudicij, manda diversi pericoli, infermità,
& afflizioni, & altre miserie di questa frale, & caduca vita ne’ corpi de’ mortali, de’ vicini,
e de’ lontani paesi: acciò invocando l’aiuto, & 1’intercessione della Madre, ch’è fontana di pietà,
Maria Santissima, detta de’ Miracoli d’Andria, siano da tali, e tãte oppressioni, e travagli liberati;
e così succede in fatti: imperoche non così presto è ella Santissima Vergine con cordial devotione chiamata,
che impetra dal suo Unigenito Figliuolo quanto ella giustamente vuole. E ben dice di ciò per Esaia
il Signore Tunc invocabis, & Dominus exaudiet; clamabis, & dicet ecce ad sum.
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Queste due son adunque le opere, quali Iddio nell’anima, e nel corpo de’ suoi fedeli fa in questa Valle,
& Grotta cioè il donare la perfetta salute allo spirito, & la sanità al corpo.
Laonde non senza stupore potrebbemo col Profeta di qste opere divine in questo santo luogo dire:
Quam magnificata sunt opera tua Domine; omnia in sapientia fecisti, impleta est terra possessione tua.
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Con gran sapienza la divina providẽza volle render chiaro questo sì mirabile scuoprimento, à farlo predire
quasi per profetico spirito: imperòche quindici anni prima venendo à morte un Frate Angelo Lellis di Bitonte
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dell’ordine di San Francesco de’ Conventuali di molta autorità, e dottrina, essendo stato più volte
in officij gravi della Religione, & in specieltà Cãcelliero della Provincia di Puglia:
passato poi da questa vita, tra gli altri libri, e spoglie, ch’egli lasciò in Bitonte al suo Convento,
dentro un suo quinterno fù trovata dal Reverendo Padre Maestro Christoforo Palmiero di Montepeloso Cõmissario,
ò come hò udito, Provinciale del medesimo ordine, nella Provincia di Puglia, una cartolina antichissima scritta
in lettere latine in questa forma Ibis Andriam: & inde versus Occidentem ibis ad Ecclesiam antiquam,
dictam, de Sancta Margharita in lamis, ubi inveniens duas portas, unam Austrum, alteram versus Aquilonem.
Ingredere portam verfus Austrum, & quære sinistrorsum, & invenies magnum thesaurum.
La quale cartolina il detto Maestro Christoforo la diede ad uno de’ suoi frati chiamato fra Donato de Magistris
d’Andria nel convẽto di san Francesco; acciò vedesse di trovare il thesoro, qual si persuadeva fosse materiale d’oro,
ò d’argento, ò d’altre gioie, secondo il comune uso del parlare, non intendendo il senso misterioso di detto
polizino come sogliono essere le parole profetiche nelle sacre lettere: e così in fatti è seguito
da sì maraviglioso ritrovamento di questo grande, & spirituale tesoro.
Imperoche doppo che il sopradetto Fra Donato mostrò il polizino al Reverendo D. Prospero Ricca Sacerdote
della Chiesa maggiore di detta Città, & à molti altri Religiosi, e secolari, quali ciò hanno poi manifestato:
finalmente si risolse esso fra Donato mandare un suo fratello chiamato Mastro Natale de Magistris alla detta Grotta,
per trovare quel tesoro, che si credeva. Il quale andandovi, e vedendola così alpestre, & orrida,
quanto all’esteriore, ma devota, & spirituale, per esser Chiesa, nella quale era depinta
questa gloriosa Imagine della Madre di Dio; atterritosi se ne tornò ad Andria.
Ma di là poi à pochi giorni, volẽdo egli di nuovo tentare dì cavare in terra, accompagnatosi con Maestro Riccardo Sgarri,
& un altro secolare, e con Fra Diasparo Guindola dell’Ordine di Santo Agostino, tutti quattro d’Andria:
ne sentirono la pena; imperoche (come eglino di propria bocca hãno referito) entrando tutti insieme,
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e non vedendo huomo alcuno, ne furono molto ben battuti, e maltrattati. Il che non può altro giudicarsi, salvo
che sia stato operato da i Demonij, forse come ministri della divina Giuslitia. Sicome si legge esser occorso
(per divina permissione, benche in altra guisa) à San Girolamo, à Santo Antonio, al patientissimo Giobbe,
& ad altri servi di Dio, in prova della lor invincevole pacienza, & augmento di gloria: ma à quelli
(come s’è detto) ciò permesse Iddio forse per mortificare la loro licentiosa importunità: poi che non sovveniva loro
quel che disse il Signore à Mosè quando gli apparve nel roveto in forma d’una lucida fiamma, dicendo:
Moyses, Moyses ne appropinques huc, solve calciamentum de pedibus tuis: locus, in quo stas, terra sancta est.
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Così à punto bene spesso intraviene per diabolica soggestione à gli huomini avari, & insatievoli come più volte
habbiamo veduto con isperienza, che in diverse Cappelle, ò Chiese, ò in altri luoghi pij, hanno cavato
quei sacrati terreni, destrutto gli altari, guaste l’Imagini de i Santi, ruinate le mura dove stavano depinti,
e fatti questi, ò altri simili sacrilegij, & rimasi poi sono stati in burla, & inganno.
Appare dunque tutto questo successo del detto polizino per imformatione tolta nella Corte Vescovale Andriese,
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di ordine del Reverendissimo Monsignor Luca Antonio Resta, Vescovo di detta Città, e diocese dechiarata per relatione
da’ RR. SS. e PP. Don Prospero Ricca, Fra Donato de Magistris, e di Mastro Christoforo Palmieri di Mõte Peloso
sotto li 7 di Luglio 1592. posti nel registro del processo de’ Miracoli al fol. 3 cõservato nell’Archivio del Monasterio.
Il medesimo quasi era occorso per avãti nell’anno del Signore 1451. che passando di felice memoria l’illustrissimo
Signor Don Francesco di Balsamo Duca d’Andria per questa Valle in compagnia d’altri Gentil’huomini,
& della sua corte, tra’ quali era un’ huomo detto mastro Andrione, d’Andria, il quale visse infino alla decrepita
d’anni cento, e l’have riferito poi ad altri Cittadini Andriesi, cioè a mastro Gio: Andrea Speciale, à Mastro Pirro d’Aquino,
à Mastro Gio: Antonio Abbate fabricatore, & à Mastro Alessandro d’Oria sarto; appare per informatione tolta
nella su detta Corte Vescovale per loro depositione à dì 7. Luglio, 1592. Il detto lllustrissimo signor Duca disse
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queste formate parole, cioè. Quì dentro la Grotta, v’è un grandissimo tesoro, e beato colui,
che vi si troverà nello scoprirsi di quello. Il che detto si partirono tutti.
E così con isperienza habbiamo veduto à tempi nostri: impercioche hà scoperto à noi la divina pietà questo celeste tesoro,
dal quale potria à punto intẽdersi, quel che’l Santo Mosè promise à que’ popoli d’Israele nell’insegnargli la divina legge dicendo.
Aperiet Dominus thesaurum optimum: cælum.
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E qual più pretioso tesoro havrebbe possuto trovarsi in questa Grotta sacra, che il fonte di pietà verso l’humano genere
Maria Vergine, alla cui intercessione fa Iddio le sue opere, il quale è non solo spirituale, ma anco corporale?
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Spirituale è prima veramente, per la conversione de’ peccatori, poi che qui risorgono di morte dell’anima, all’eterna vita,
per lo timore filiale congiunto con l’Amore, che haveano in ver di Dio nostro Padre. Divitia salutis sapientia,
& scientia (disse Isaia) timor Domini ipse thesaurus eius.
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Et è ancora quel tesoro corporale, che quivi s’acquista:
imperoche non solo ricevono la sanità, e sono liberati d’altri affanni, e pericoli, quei che invocano la gloriosa Regina del Cielo
in questo luogo, ma inoltre apportano prima eglino grandi elemosine à Reverẽdi Padri, & ad altri ministri,
che di tal luogo hanno cura, e ne receveno poi loro stessi il guiderdone essendo quivi albergati con grandissima carità.
& i poveri specialmente bisognofi pasciuti, & vestiti: talche e gli uni, & gli altri n’acquistano cento
per uno in questo mondo (come dice l’Evangelista S.Marco)
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e nell’altro poi la vita eterna in premio, e mercede.
Laonde à fabricare tal tesoro ne essorta il Salvarore, dicendo.
Vendite quæ possidetis, & date eleemosynam: facite vobis sacculos, qui non veterascunt, thesaurum non deficientẽ
in cælis, quò fur non appropiat, neque tinea corrũpit: Ubi enim thesaurus vester est, ibi & cor vestrum erit.
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Il ritrovamento adunque di questo tesoro, non solo (come s’è detto) fù quasi per profetico spirito predetto, e per iscrittura,
e per bocca del buono, e prudente Duca d’Andria detto di sopra: ma anco con nuove, & disusate apparitioni fù rivelato:
Imperoche per alcuni mesi avanti del ritrovamento; vi era in Andria un huomo di bonissima vita, e di costumi,
d’essempio chiamato Mastro Gian Antonio di Tucchio d’Andria di età di anni 70. in circa, dell’arte di far le Carra:
costui solea alle volte andare à visitare questa devota (benche alpestre) Grotta: & essendo in casa sua in Andria
(come egli ha, poi raccõtato ad altri suoi amici, da’ quali noi per tradizione habbiamo inteso, & appare anco
per relatione fatta à gli atti della sopradetta corte Vescovale del Reverendissimo Don Luca Fiesco per lo passato
Vescovo d’Andria i 14. di Giugno, nell’Anno 1576. & al registro del processo al foglio 79.)
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in più notti tra’l sonno e’l vigliare gli apparve una bellissima donna vestita di bianco che le diceva per ogni volta,
che gli appareva, ch’andasse ad accendere una lampa (non più ciò per l’adietro avvenuto) a quella grotticella,
che stava a canto della Grotta di Santa Margherita verso Tramontana, in honor suo. Questo huomo da bene dubitando
di qualche diabolico inganno, di patir qualche disaggio, come havea inteso per fama esser occorso à que sopradetti,
che tentarono cavare’l tesoro; dissimulava tali apparimenti. Ma finalmente stando in letto una notte precedente
al fatto, sentì picchiarsi l’uscio di sua casa, talmẽte che destatosi dal sonno, andò ad aprirlo:
& vidde non già in sonno (come prima) ma vegliãdo la stessa Donna col medesimo habito, come l’era in sonno apparsa;
& illustrando l’aria co’ suoi celesti raggi, senza’ltro parlare gli faceva cenno verbo la strada,
ch’andava à detta Valle: & ella poi disparve. Delche stupito, gli sovvennero tutte le precedenti cose vedute,
& menando quel resto di notte senza dormire: ben di mattino poi andò à trovare un gentil’huomo suo compare,
Aniballe Palambino d’Andria; e racontò gli il fatto sì che disposero di metter’in essecutione il tutto.
Mà non effendo costoro sì solleciti ad esseguire il divino volere: essa Regina del Cielo con più chiara, e mirabile sembianza
volle eccitare detto Aniballe à sì santa, e giovevole opera. Imperoche (come appare per informatione tolta nella corte Vescovale
del Reverendissimo Monsignor Don Luca Fiesco Vescovo all’hora d’Andria a 14. di Giugno nel 1576.) in una delle notti
verso il fine del Mese di Febraio l’anno 1576. esso Anniballe Palombino sognandosi gli pareva vedere, che egli stava
dentro la Grotta, e Chiesa detta di sopra, dove era depinta la Imagine della gloriosa Vergine Maria co’l Redentor del mondo
nelle braccia: e che esso andava con le ginocchia, e lingua per terra di detta Grotta, piãgendo e lagrimando amaramente,
& arrivato, che fù avanti la sopradetta santa imagine di Nostra Signora, essa Beatissima Madre, di Dio,
così depinta nel muro miracolosamente parlando gli diceva. Qual gratia voi tu da me?
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tra questo mentre destato dal sonno, si trovò con gli occhi pieni di lagrime: fino alla seguente mattina,
e levandosi dal letto, gli fù chiesto dalle sue dõne di casa, che cosa havea egli havuto la notte, poiche
dirottamente pianto havea: e dai prieghi di quelle mosso distintamẽte il successo raccontò.
Stupiti tutti di sì mirabile apparimẽto, partitosi subito esso Aniballe di casa, andò à ritrovare il sopradetto Mastro Gio:
Antonio Tucchio suo compare; e manifestandogli la sua visione: da poi che hebbero molto ben fatto tra se affettuoso,
e divoto favellare, riscontrãdo gli apparimenti d’amendue; si risolsero esseguire quanto Iddio, e la gloriosa Madre palesato haveano.
Talche mettẽdo in ordine una lampada, l’oglio, & lo stoppino à 10 del seguente mese di Marzo del medesimo anno 1576,
che fù giorno di Sabbato, accopiatisi insieme, conducendo seco un figliuolo di anni sette in circa, chiamato Giulio di Torrito
servidore d’esso Aniballe, andarono alla Valle, & entrando nella prima, e maggiore Grotta dedicata à santa Margherita,
trovando, quasi del tutto otturato quell’arco, per lo quale si entrava alla seconda, e minore Grotta verso Tramontana,
per la gran copia de’ sterpi, e spine, & altri arboscelli selvaggi, anzi di pietre rovinate dalla sommità della Grotta,
di modo che perciò era impedito il calle, che non senza grandissima difficultà si entrava d’una grotta all’altra:
ma operato in tanto sino, che si fecero facile la strada, & finalmente entrarono nella desiderata Grotta,
minore alquanto della prima, & havendo trovato la maravigliosa, e sacra Imagine della Beatissima Vergine,
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poste le ginocchia à terra d’avanti; salutando christianamẽte con la solita preghiera lei; & il gratioso Bãbino
nelle materne braccia, con molta divotione accesero la lampada, che seco haveano portato, mettẽdola sopra quel picciolo altare,
che le stava avanti, e poi partitisi si ne tornarono ad Andria, con proposito di seguir l’impresa, &
di continouare d’allumar la lampada per gli seguenti Sabbati, come da essa Nostra Signora era loro stato ordinato.
Ma non potendo esso Mastro Gian’ Antonio attenderci essendo povero, commise il negocio ad Aniballe suo cõpare, meno bisognoso,
& isfacendato, che l’imprese, & lo seguì quasi infino all’ultimo Sabbato, che fù à 19. del mese di Maggio.
Mà perche non era ancora manifesto à pieno il voler di Dio: volle egli, che fosse adempito con più chiaro segno tal miracoloso ritrovamento:
imperoche permise la divina providẽza, che’l detto Aniballe si scordasse della lampada nel seguente Sabbato, quale fù à 26.
del medemo mese, & essendo andato à Corato, terra sette miglia di là discosta, & tornandosene il Martedì seguente,
nel Sabbato, che fù al 30. di Maggio, vidde Gio. Antonio il suo compare, & gli chiese, s’havea adempito la cura commessagli
d’allumar la lampada il Sabbato. All’hora Aniballe con gran rossore accusatosi della sua negligenza, gli rispose,
che’l sabbato da venire non mancherebbe della dovuta promessa.
Avvenne poi nell’anno 1576. Inditione iiij. al primo Sabbato à 2. di Giugno:
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sendo sommo Pontefice Gregorio XIII. l’anno iiij.
del suo Pontificato; essendo coronato Imperator de’ Romani Rodolfo d’Austria: regnante Filippo II.
& essendo ornato di corona, & di titolo Ducale della Città d’Andria
l’Illustrissimo Signor III.
Duca Don Fabritio Carafa: nel tempo, ch’era Vescovo il Reverendissimo Don Luca Fiesco: furono dalla divina,
& celestiale virtù inspirati i sopradetti nel dì del Sabbato i Maestri Gio. Antonio, & Aniballe,
d’andare ad allumare la lampada. La onde scontratisi la mattina à buonissima hora, di commune volere dalla grotta di sopra detta,
se ne vennero & quivi entrati insieme (dico nella prima, che guata verso mezzo giorno) e d’indi volendo entrare
nella seconda verbo Tramontana, viddero che vi era luce dentro, & tutti ammirati vi entrarono, & andati verbo l’Altare,
trovarono la lampada, come se all’hora accesa fosse stata, la quale dava via più splendore, che altre volte soleva,
essendo, non già d’humana (corne credere si puote) ma d’Angelica mano allumata, & haveano già passati quindici giorni.
Così adunque amen due i sopradetti, stupiti sopra’l miracoloso spettacolo, non pur ammirati, guardandosi l’uno l’altro
con la maggior riverẽza, e divotione, che fare si possa, poggiando le ginocchia in terra, & con lagrime
alzando gli occhi alla santissima Madre di Dio (la cui effigie stava nel sopradetto luogo depinta) gridarono
con raddoppiati gridi Misericordia, & la salutarono devotissimamente. Et poscia il miracolo, d’allegrezza spirituale ripieni,
la volta d’Andria tornando, à ciascuno, che si faceva loro all’incontro, & à tutta la Città manifestarono.