dell’Ing. Riccardo Ruotolo
La caratteristica geologica più rilevante nella Valle è certamente il carsismo. Guardando con attenzione lo stralcio della carta geologica riguardante il territorio andriese (Doc. - 4-) notiamo che il terreno di fondazione dell’intera città di Andria (lo sviluppo della città rappresentata è quello degli anni 1954-1955), precisamente quelli della zona Sud fin quasi sotto Monte Faraone e della zona Ovest fino alla Madonna dei Miracoli, è costituito da depositi marini caratterizzati da sabbie più o meno compattate e da “calcareniti grossolane con fossili lamellibranchi di facies litorale” del periodo Pleistocenico; invece, la zona che inizia proprio dalla Lama di Santa Margerita e si spinge verso Barletta, è costituita da “Calcareniti (tufi) giallastre, più o meno cementate” ricche di fossili (coralli, ricci di mare, ostriche, terebratule e in genere molluschi bivalvi di varie specie), le cui caratteristiche fisiche sono quelle ricavate sperimentalmente dal prof. M. Salvati.
Il fenomeno carsico nell’abitato di Andria è localizzato soprattutto lungo i pendii. Infatti Andria antica è stata fondata sui fianchi Sud-Ovest di un rialzo del terreno che ha il suo culmine nella zona del Gelso, di Porta Castello e di piazza Catuma da cui, poi, scende di quota lungo i pendii verso il Casalino, le Chiese di San Domenico e San Nicola, verso via Attimonelli e Pendio San Lorenzo, per giungere al rione Grotte a Porta detta di S. Andrea. In tutte queste zone degradanti verso l’alveo dell’antico “flumen Aveldium” è diffuso il fenomeno carsico: ne sono testimonianza le numerose grotte naturali, i camminamenti sotterranei ricavati nel banco tufaceo e gli inghiottitoi.
È noto che la Puglia è ricca di zone plio-pleistoceniche con affioramenti di rocce solubili, essenzialmente di natura carbonatica, per cui è molto esteso il fenomeno che possiamo chiamare “dissoluzione carsica”; non è il carsismo per fessurazione (che normalmente si origina in zone profonde in modo anche macro), ma un carsismo che si sviluppa in zone superficiali permeabili, di spessore non superiore ad una ventina di metri, formate da strati calcarenitici che poggiano sui banchi calcarei del cretacico.
Nella Valle di Santa Margherita certamente scorreva un torrentello; si ha notizia che fino agli anni Quaranta dello scorso secolo, nel periodo invernale scorreva l’acqua nel fondo e ne è testimonianza anche nella Carta Idrogeomorfologica della Regione Puglia (Doc. -5-) in cui è evidenziato in azzurro il percorso del fiume “Aveldium” e con freccette rosse il torrentello della Lama di Santa Margherita.
Doc. -5- Carta idrogeomorfologica del nostro territorio – Regione Puglia.
Nel segmento sesto della Tabula Peutingeriana [3] (Doc. -6-), e precisamente nella zona del Nord barese, sono raffigurati sia il fiume Ofanto sia il “flumen Aveldium” il quale, nato dalle colline delle nostre Murge, scorreva nel territorio andriese e sfociava nel mare Adriatico tra Bardulos (Barletta) e Turenum (Trani) [4].
Doc. -6- Porzione del Segmento VI della Tabula Peutingeriana.
Mons. Emanuele Merra [5] nelle sua opera “Monografie andriesi” parlando della Valle di Santa Margherita così si esprimeva: “In antichissimi tempi un mormorante torrentello la irrigava, onde latinamente fu chiamata Lama, che suona fossa di fiumi. Nella tavola del Peutinger, sulla via Egnazia trovasi segnato un fiume o torrente chiamato Aveldio, che sboccava nell’Adriatico, tra Bardulum et Turenum. In essa tavola si vede un Oppido, situato nel luogo, dove ora è Andria, e l’Aveldio, che, come dice Forges Davanzati (memorie della Società Pontaniana T. I. fol.2, 308 e 309) scorreva presso del monistero di Santa Maria dei Miracoli di Andria, ove si osserva il letto d’un torrente, che sembra proprio un alveo di fiume. In conferma dell’esistenza dell’Aveldio, in una carta che si conserva in Montecassino, con la data del 1021, si fa menzione d’un ruscelletto, che scorreva per una vigna deserta, appartenente a quel monistero, nel territorio di Andria, forse avanzo dell’antico Aveldio”. È evidente l’errore temporale fatto dal Merra: il ruscelletto citato nel 1021 non poteva essere nella vigna del monastero dei Benedettini che si affaccia sulla Lama della Valle di Santa Margherita considerato che esso fu realizzato tra il XVII e il XVIII secolo; il ruscelletto è da ubicare in altra località, nei pressi di Castel del Monte, dove i Benedettini avevano un podere e un’Abbazia.
Oggi sappiamo invece, che il torrentello che scorreva nella Lama di Santa Margherita era un piccolo affluente del “flumen Aveldium”, che si immetteva nella Lama del Tuono, come chiaramente si evince osservando la Carta Idrogeomorfologica della Puglia – zona di Andria (Doc. – 5 –), in cui il percorso dell’Aveldium è stato evidenziato con frecce blu e quello del suddetto antico “torrentello” con freccette rosse.
Doc. -7- Carta idrologica del nostro territorio.
Tavola del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale
Nel Doc. -7- (stralcio di una tavola grafica del Nuovo Piano Paesaggistico della Regione Puglia (PPTR) ho evidenziato sia il percorso del “flumen Aveldium” sia quello del torrente della Lama di S. Margherita che, in prossimità della località Grotte Stompagnate, si immette nell’Aveldium, attuale Gran Canale Ciappetta Camaggio [6].
La Lama della Valle Santa Margherita ha origine nel territorio tra la collina di Monte Faraone e quella di Monte Santa Barbara e, con andamento perpendicolare alla costa adriatica, attraversa le contrade di Capo d’acqua, Santa Maria di Trimoggia, Oliva Rotonda, Madonna dei Miracoli, Torre della Guardia, Tufarelle e Grotte Stompagnate in territorio di Barletta dove, con una decisa svolta a destra si immette nel Gran Canale Ciappetta Camaggio che scorre nell’alveo dell’antico “flumen Aveldium” della Tabula Peutingeriana.
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Il Geologo andriese Riccardo Losito, nella pubblicazione dal titolo “La Lama
di Santa Margherita ed il Santuario della Madonna dei Miracoli” pubblicato a cura
di Nicola Montepulciano e Vincenzo Zito nel 1999, così si esprime: “La lama S.
Margherita è larga sino a 50 metri (le sommità dei due versanti sono distanti anche
fino a 200 metri) e segue un percorso con direzione N-S, costeggiando lungo
il suo medio tratto, il Santuario della Madonna de Miracoli, ove raggiunge la profondità
massima di circa 25 m.
Lungo i versanti della struttura carsica, affiorano diffusamente i depositi
sabbiosi cementati del Pliocene, noti nella letteratura geologica col nome di «Calcareniti
di Gravina» e comunemente chiamati tufi. Si tratta di rocce bioclastiche di
colore giallastro, prevalentemente sabbiose, variamente cementate e riccamente fossilifere”.
Qui sotto una foto, da me scattata, della parete di fronte al Santuario, sul versante sinistro della Lama, accanto alla “Grotta delle rose” di cui si parlerà in seguito.
Scrive la dott.ssa Annalisa Lomuscio nel suo saggio contenuto nella su citata
pubblicazione, a proposito delle grotte di cui sono ricchi i versanti della Lama:
“Molteplici dati, provenienti da documenti, dalla toponomastica e dalle indagini
sul campo, provano l’esistenza, nell’agro di Andria, di una vasta rete di insediamenti
in rupe dalla duplice destinazione, monastica e civile. La presenza nella nostra
zona di numerose lame, nonché di fenomeni carsici (grotte e doline) rappresenta
una condizione che, certamente, favorì l’insediamento di gruppi umani e di
un’economia di caccia e raccolta fin dal Paleolitico”.
Poi continua: “Fino ad ora, le esplorazioni condotte lungo la lama hanno
consentito di individuare dodici grotte, sette sul costone Ovest e cinque su quello
Est”. Se però si percorrono i due costoni della Lama in tutta la loro lunghezza, le
grotte che si incontrano sono più di venti, alcune ancora naturali, altre modificate dall’uomo.
Grotta sul versante Sud della Lama, formata da due ambienti come modificata dall’uomo.
Nella foto in alto l’ingresso della grotta, in quella in basso i due ambienti con varie nicchie.
Altra grotta sul versante Sud: ingresso con tracce di muratura per riquadrarlo;
nicchie squadrate a forma di giacigli; ambiente voltato.
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Grotta del versante Sud utilizzata come “Grotta del presepe vivente”
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Altra grotta del versante Sud: in alto l’ingresso poco accessibile, in basso il vano utilizzato come deposito
Note
[3] La Tabula Peutingeriana è la più antica carta stradale completa del mondo conosciuto dai Romani. E’ stata realizzata al tempo dell’Impero ma a noi è pervenuta solo una copia medievale che ora è conservata nella Biblioteca Nazionale di Vienna. E’ un documento molto studiato dagli storici e dagli archeologi perché di grandissimo valore documentale per quanto in essa è rappresentato. Di questo documento, e in particolar modo di quella sua parte individuata come “Segmento VI” che riguarda tra l’altro la Puglia settentrionale e la via Traiana, se ne parla diffusamente nella mia pubblicazione “ANDRIA – Escursione nel territorio” edita nel 2021..
[4] Riccardo Ruotolo: “Andria - Escursione nel territorio”. Edito da Grafiche Guglielmi – Andria, ottobre 2021.
[5] .Mons. Emanuele Merra: “Monografie andriesi” Vol. II, pag. 459. Tipografia e Libreria Mareggiani, Bologna 1906.
[6] Il Doc. -7- è stato ricavato dalla carta idrogeomorfologica della Regione Puglia e precisamente dall’unione dei fogli n. 423 Barletta, n. 424 Molfetta, n. 436 Minervino Murge e n. 437 Corato. La carta idrogeomorfologica del nostro territorio offre la visione completa sia di tutte le lame che lo attraversano e del loro andamento perpendicolare alla costa adriatica sia della natura geologica del territorio e, in particolar modo, quello della città di Andria e della sua zona Ovest: calcareniti più o meno cementate (tufi) e depositi alluvionali pleistocenici.