dell’Ing. Riccardo Ruotolo
Molto interessante e di portata internazionale è la scoperta che Fabio Colonna [7] fece nei primi anni del Seicento nella Valle di Santa Margherita.
Discendente da una nobile famiglia napoletana (a sua volta discendente dalla famiglia romana di un importante cardinale) Fabio Colonna fin dalla giovane età ebbe una educazione raffinata, soprattutto nel linguaggio, atteso che suo padre era un letterato e amante delle arti; questa raffinatezza la si riscontra anche nelle sue opere scientifiche di botanica e soprattutto in quelle in cui si occupa delle conchiglie fossili.
Nel 1606 pubblicò in Roma l’opera “Ekphrasis” che porta nel nome proprio il significato di ”descrivere con eleganza” ed anche “designare un oggetto inanimato con un nome definendo e descrivendo”; infatti, in quest’opera gli oggetti dei suoi studi: piante e fossili, non solo sono descritti dettagliatamente e sobriamente, ma anche disegnati nei minimi particolari. Dopo il 1606 venne in Puglia perché nominato Governatore della città di Cerignola dove, tra l’altro, fece “raccolta di tutte quell’erbe che allignano in quel suolo, e le aggiunse alla sua opera della Bottanica” come scrive Teodoro Kiriatti, dottore di filosofia e medicina, nella sua opera “Memorie istoriche di Cerignola” pubblicata a Napoli il 1785.
In questo periodo Fabio Colonna si ammalò gravemente e, avendo avuto notizia dei molti miracoli che aveva fatto la Madonna trovata dipinta in una grotta di Andria, pregò la stessa che gli concedesse la grazia della guarigione. Dopo la guarigione volle venire in Andria per ringraziare la Madonna della grazia ricevuta e rimase molto colpito da due cose: la grandezza della Chiesa ancora in fase di costruzione [8] e la bellezza della sottostante “Valle di Santa Margherita in lamis”, sia dal punto di vista botanico sia da quello geologico.
Il Colonna visitò e ispezionò attentamente i fianchi della Valle con le sue grotte, raccolse numerosi fossili presenti nella calcarenite ed ebbe la fortuna di trovare frammenti ed anche il corpo intero di una conchiglia fossile mai conosciuta prima di allora. La studiò attentamente, la disegnò nei minimi particolari e le diede un nome, chiamandola nel gergo naturalistico: “Concha rarior Anomia vertice rostrato”, che può essere così tradotto “rara Conchiglia Irregolare (Asimmetrica) dal vertice a forma di rostro” (Doc.-8-). Si tratta di un Brachiopode (conchiglia bivalve di numerose forme) di cui i brachiopodi attuali sono i discendenti; generalmente vive attaccata agli scogli o immersa nella sabbia e “attualmente si conoscono più di 260 specie viventi, mentre molto di più erano le specie fossili” come si legge nei libri specifici di malacologia.
Doc. -8- Disegno di Fabio Colonna della ”Concha anomia vertice rostrato”.
Tornato a Roma, nel 1616 il Colonna pubblicò sotto l’egida dei Lincei (perché nel 1612 per i suoi meriti scientifici era entrato a far parte della prestigiosa Accademia) l’opera “Ekphrasis altera”, cioè il secondo volume e/o la seconda parte dell’opera del 1606. Alla fine di questo secondo volume inserì un’appendice che chiamò “Minus Cognitorum pars altera” composta da due saggi che, successivamente, furono anche stampati separatamente considerata la loro grande valenza scientifica. Nel primo saggio, comunemente chiamato “Purpura” (anche se il titolo completo è piuttosto lungo), sono descritti dettagliatamente i molluschi da cui i romani ricavavano la famosa tintura, saggio molto ricco di disegni di conchiglie eseguiti personalmente; nel secondo, dal nome “Glossopetris Dissertatio”, il Colonna parla e analizza i reperti fossili pietrificati, cuneiformi, di appartenenza al mondo degli animali.
Proprio nel saggio “Purpura”, molto apprezzato dai naturalisti europei per la sua precisione tanto che lo si considerò come saggio guida nel settore dello studio delle conchiglie fossili, il Colonna descrive dettagliatamente la conchiglia scoperta nella Valle di S. Margherita e fedelmente la disegna sia dal lato esterno che da quello interno.
Nel secolo successivo il naturalista Carlo Linnèo [9] nel mettere ordine alla classificazione scientifica di tutte le specie sia viventi che vissute nel passato e fossilizzatesi, cambiò il nome alla conchiglia scoperta dal Colonna da “Concha Anomia” a “Anomia Terebratula”. Dopo un ventennio, nel 1776, il naturalista danese Otto Friedrich Muller rinominò molti gruppi di animali sconosciuti sia viventi che fossili ed anche quello dell’Anomia Terebratula che prese il nome definitivo di “Terebratula terebratula”.
Mi sono chiesto perché questo nome ripetuto due volte? Se si approfondisce l’argomento, è facile constatare che tutti gli organismi animali o vegetali, viventi o fossili, nella classificazione scientifica mondiale sono individuati con un doppio nome latino: il primo nome rappresenta il “genere”, il secondo la “specie” di appartenenza; il nome del “genere”, cioè generico, è scritto con l’iniziale maiuscola, quello della “specie”, cioè specifico, va scritto con l’iniziale minuscola. Però, per individuare al completo un organismo, la sua classificazione comprende: il doppio nome scientifico latino, come prima si è detto, il nome dell’autore che per primo definì e descrisse la specie seguito dall’anno in cui fu pubblicata per la prima volta la descrizione dell’organismo, e a seguire ancora si scrivono i nomi della “famiglia”, dell’ “ordine”, della “classe”, del “sottotipo” e del “tipo”. A volte, però, gli studiosi assegnano al fossile lo stesso nome sia per il “genere” sia per la “specie”, con l’unica differenza che il nome generico è scritto con l’iniziale maiuscola. È il caso del fossile integro (perché essendo un fossile marino del “tipo” brachiopode bivalve, la conchiglia ha favorito la sua conservazione allo stato fossile) scoperto da Fabio Colonna a cui, nella ristrutturazione di alcune parti della nomenclatura degli organismi viventi e fossili effettuata dal danese Otto Friedrich Muller nel 1776, fu dato il nome definitivo di “Terebratula terebratula”.
Ho ritenuto opportuno dilungarmi un poco sulla vita e sulle opere del naturalista e botanico Fabio Colonna sia per evidenziare le qualità di questo scienziato, molto famoso, apprezzato e studiato in tutta l’Europa a partire dal Seicento fino a tutto il Novecento, sia per la sua scoperta del fossile “Concha rarior Anomia vertice rostrato” che ha fatto sì che la Lama di Santa Margherita e il Santuario della Madonna dei Miracoli di Andria fossero conosciuti in tutta Europa e citati nei trattati scientifici di conchiliologia.
Nell’anno 2000 Alessandro Ottaviani dell’Università di Cagliari, membro del Dipartimento di Pedagogia, Psicologia e filosofia dell’Area di Scienze storiche e storia della Scienza, nella sua opera “Il fascino indiscreto delle nature ancipiti: un saggio della «Istoria naturale» fra Sei e Settecento”, a proposito del Colonna così di esprime: “Alle modalità di formazione del guscio dei testacei Colonna nel 1606 e ancor di più nel «Purpura» del 1616 dedicherà osservazioni di una raffinatezza non riscontrabile in autori coevi” [10].
ll Colonna ha sempre goduto della stima degli studiosi, tanto che hanno osato paragonarlo a Carlo Linneo, il più grande di sempre nel campo dello studio e classificazione delle specie viventi e fossili.
In Andria pochissimi conoscevano la scoperta del Colonna fino a quando Riccardo Ottavio Spagnoletti [11], in un articolo pubblicato il 24 dicembre 1892 sul quindicinale tranese “Rassegna Pugliese” e intitolato “Una nota inedita dell’Arciprete Giovene di Molfetta” , così si esprime: “ Fabio fu creduto essere d’Andria dagli studi da lui fatti…nella Valle di S. Maria dei Miracoli ch’è a ponente Andria, dove ora sorge la Colonia Agricola Provinciale Umberto I”. Riferisce che l’arciprete, in una sua nota, asserisce che Fabio Colonna aveva scritto un’operetta in cui si descrive una conchiglia denominata Concha rarior Anomia da lui trovata nella Valle “Sotto la Chiesa di S. Maria, volgarmente detta la Madonna d’Andria”.
L’esemplare rinvenuto da Fabio Colonna all’inizio del Seicento è andato perduto e, nel ramo della scienza, poiché tutto dev’essere sempre documentato e/o documentabile, controllabile e verificabile da chiunque, non avere a disposizione il reperto originale induce lo studioso a dubitare. Ma l’onestà e la rettitudine di Fabio Colonna non è mai stata messa in dubbio, tanto che al fossile da lui trovato e non più reperibile, la sua specie non fu cancellata ma fu sostituita con soltanto il nome “Valle della Madonna dei Miracoli – Andria – Puglia –Italy” senza il reperto.
Alla fine del Novecento, la professoressa Emma Taddei Ruggiero del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Napoli “Federico II” e gli studiosi Massimo Caldara e Oronzo Simone del Dipartimento di Geologia e Geofisica del Campus Universitario di Bari si posero l’obiettivo, testo di Fabio Colonna alla mano, di rintracciare il luogo dove lo scienziato napoletano del Seicento aveva trovato il fossile, poi scomparso.
Nel 1998 questi studiosi vennero in Andria ed effettuarono varie ricognizioni nella Valle di Santa Margherita alla ricerca del luogo in cui il Colonna aveva scoperto la “Concha Anomia vertice rostrato” e come prima indagine verificarono e stabilirono che i terreni del luogo si erano formati in età compresa tra il Miocene e il Pleistocene, quando il genere Terebratula si estinse “a causa del raffreddamento dei mari del Mediterraneo”, e che la natura geologica del terreno dove era stato rinvenuto il reperto fossile era quella della calcarenite di Gravina. Certo, già tutto questo si conosceva ma, come prima detto, uno studioso che deve effettuare una verifica accurata, deve sempre cominciare dall’inizio, perché non deve trascurare nessun elemento.
I ricercatori M. Caldara e O. Simone, grazie ai disegni ed alle descrizioni del Colonna, riuscirono a rintracciare il luogo dove lo studioso napoletano aveva trovato la sua “Concha Anomia vertice rostrato” e raccolsero diversi campioni che vennero accuratamente analizzati, fotografati e di cui furono redatte le schede scientifiche. Questi campioni furono portati al Museo di Storia Naturale di Londra e nella scheda compilata dai ricercatori, relativa alla Terebratula terebratula rintracciata nella Lama di S. Margherita, è precisato che l’esemplare è quello “Tipo”, chiamato “Neotipo”, a cui tutti gli altri devono fare riferimento ed inoltre, nella scheda è inserita anche una mappa del territorio della Madonna dei Miracoli con le indicazioni delle zone geologiche (Doc. -9-).
Doc. -9- Mappa geologica della zona Nord-Ovest di Andria.
La mappa individua sei zone geologiche nel territorio intorno al Santuario, e
precisamente: A: Depositi alluvionali dell’Olocene. B: Depositi alluvionali a terrazze
del Pleistocene. C: Depositi marini a terrazze del Pleistocene. D: Formazioni di
calcarenite di Gravina del Pliocene superiore. E: Formazione di Calcare di Bari del
basso Cretaceo. F: Località del Colonna. G: Affioramento dove è stato raccolto il neotipo di Terebratula.
Inoltre, sempre nella scheda conservata nel museo londinese si legge che “la località
Tipo per il neotipo di Terebratula terebratula è adiacente alla chiesa di Santa
Maria dei Miracoli di Andria, nella formazione Calcarenite di Gravina, di età superiore
del Pliocene”; ed ancora, che “l’esemplare selezionato come neotipo proviene
da sotto un piccolo strapiombo a circa 200 metri dalla chiesa”, in un posto di difficile accesso.
Nell’anno 2001 i due ricercatori italiani hanno pubblicato un saggio scientifico dal titolo “la lunga e complessa storia geologica e nomenclaturale della Terebratula terebratula”. Il corposo studio è stato pubblicato nel “Bulletin of the Natural History Museum” di Londra, Geology Series, ISSN 0968-0462, Vol. 57, n.2, pagg da 83 a 162; in questo saggio è contenuta sia la mappa del Doc. 9, sia una fotografia degli esemplari ritrovati nella Lama di S. Margherita e depositati nel prestigioso museo inglese, foto che però è coperta da copyright.
Da appassionato di fotografia, avendo preso contatti con il Museo di Storia Naturale di Londra, ho ottenuto l’indirizzo del database fotografico inglese proprietario delle foto scattate dai ricercatori italiani ed ho acquistato sia la copia del Documento 9, sia due foto originali dei ricercatori italiani, e precisamente: la Foto -10- che ritrae il sito nella Lama della Valle di Santa Margherita dove furono ritrovati nel 1998 tre esemplari di Terebratula terebratula identici a quello scoperto da Fabio Colonna, e la Foto -11- che ritrae gli esemplari depositati e conservati nel Museo londinese.
Foto -10- Lama Santa Margherita: grotta dove furono rinvenuti nel 1998 dai ricercatori italiani gli esemplari di Terebratula terebratula
identici a quello scoperto da Fabio Colonna.
Foto -11-Immagine originale delle Terebratule trovate nella Lama di S. Margherita
e depositate al museo geologico di Londra
I ricercatori M. Caldara e O. Simone autori del saggio, il 22 marzo 1998 avevano dato il nome di “Neotype” (Neotipo) all’esemplare integro che avevano estratto dalla Calcarenite di Gravina presso la grotta visitata dal Colonna nella Lama di Santa Margherita perché non si trattava del primitivo originale ma di un fossile perfettamente uguale. Con riferimento alla fotografia (Foto 11), si riportano le descrizioni della scheda scientifica dei reperti fossili delle Terebratule terebratule rinvenute nella Località “Madonna d’Andria Church, Andria, Bari, A few 100 metres south of Madonna d’Andria Church, Andria, near Bari”, come depositata nel “Natural History Museum” di Londra.
Le descrizioni inserite nella specifica scheda sono:
Come hanno precisato i ricercatori, i campioni fossili generalmente sono riempiti di calcarenite bianca, dura e “moderatamente cementata” come sono gli esemplari 6 e 7.
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In attuazione della Legge Regionale 4 dicembre 2009, n.33 “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico”, la Regione Puglia nel 2013, nell’ambito della “Ricognizione e verifica dei geositi e delle emergenze geologiche della Regione Puglia”, ha realizzato una scheda dedicata al prezioso reperto fossile Terebratula terebratula rinvenuto in Andria e, contemporaneamente, fornisce anche dati geomorfologici della Lama di Santa Margherita. Nella scheda si legge “Il sito di lama Santa Margherita, il primo in cui sono state fatte osservazioni su fossili della specie Terebratula terebratula , è l’unico luogo di riferimento per futuri studi su questa specie e sulle specie sorelle appartenenti al genere Terebratula sparse per il mondo. Data l’antichità dei primi studi sul brachiopode, la località è da considerarsi parte del patrimonio italiano della storia della scienza”.
La scheda così continua: “Poiché l’esemplare originario era andato perduto”, si rese necessario “intraprendere degli studi con lo scopo di accertare la validità della specie secondo quanto stabilito dal Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica (ICZN); in pratica, fu ritenuto necessario individuare il luogo del primo ritrovamento e raccogliere nuovi esemplari per costituire una 'serie tipo', cioè un insieme di esemplari rappresentativi della specie, tra cui l’individuo formalmente portatore del nome scientifico. Con il «De purpura» alla mano fu possibile, nel 1993, ritrovare il luogo esatto visitato dal naturalista più di 350 anni prima. L’esito delle ricerche fu il definitivo accertamento della validità della specie Terebratula terebratula. L’insieme degli esemplari rappresentativi della specie, raccolti nel 1993 e nel 1998, fanno ora parte delle collezioni del Natural History Museum di Londra”.
La scheda così termina:
Altri tipi di vincolo territoriale che il P.P.T.R. pone per la Valle di S. Margherita sono: “Vincolo paleontologico x Giacimento paleontologico storico e definizione aree di rispetto: ad est e ad ovest, i limiti dell’area di interesse coincidono con il ciglio della scarpata che delimita il solco erosivo; a nord e a sud i limiti coincidono per lo più con quelli catastali”.
Fino a questa data (anno 2013), come si è prima detto solo pochi addetti ai lavori conoscevano quest’argomento e tanto meno la notizia che la Lama di Santa Margherita e la conchiglia fossile qui trovata avessero dato un gran contributo di conoscenza, a livello europeo, sia della Valle sia del Santuario della Madonna dei Miracoli sia della città di Andria.
Nel 2017, e precisamente il 27 giugno, il naturalista andriese Nicola Montepulciano ha pubblicato un esauriente articolo ripreso dai media locali, in cui illustra tutti i passaggi, a partire dalla scoperta di Fabio Colonna, che hanno segnato la diffusione a livello scientifico della conchiglia Terebratula terebratula asserendo che “la Valle di S. Margherita, la località del primitivo ritrovamento, è l’unico luogo al mondo di riferimento per ulteriori studi su questa specie e altre simili”, e conclude con amarezza la sua nota dicendo che “Se dovessero tornare gli studiosi stranieri di geologia che visitarono ancora nel 1993 e 1998 la Lama per ulteriori studi, ci maledirebbero e disprezzerebbero per come l’abbiamo ridotta”.
C’è anche, e soprattutto, da ringraziare l’insegnante Sabino Di Tommaso [12], ideatore, realizzatore e direttore dell’interessantissimo sito web di straordinario spessore culturale “ANDRIARTE”, che nell’anno 2017 ha dato ampio spazio alla conchiglia fossile scoperta nella Valle di Santa Margherita.
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Quando nelle zone carsiche con grotte e inghiottitoi c’è la presenza dell’acqua di un torrente, di un fiumiciattolo anche stagionale, lì nascono spontanei insediamenti umani, prima in grotte, poi in capanne sopra i cigli della Lama.
Ad Andria è proprio nei luoghi con fenomeni carsici che si trovano i primi antichi insediamenti umani, riuniti anche in villaggi, numerosi e diffusi sui versanti Sud-Ovest della città, a partire dal punto alto del Gelso – piazza Catuma e a scendere verso Pendio San Lorenzo, via De Anellis e via Giannotti, via Corrado IV di Svevia e via Federico II, via Ponte Giulio, via Flavio De Excelsis, via Flavio Giugno e via Porta la Barra, e poi, via Fornaci che scende fino al letto dell’antico “flumen Aveldium”.
Gli storici locali, a partire dalla fine del Settecento, menzionano alcuni piccoli insediamenti presenti in queste zone, denominati Casalino, San Ciriaco, Borghello, Grotte di Sant’Andrea, San Lorenzo e Pantano; le grotte di questi luoghi inizialmente furono utilizzate come rifugi e abitazione, poi come stalle e laboratori; oggi sono abbandonate, chiuse, demolite. Invece, nel resto della città verso Barletta, Trani e Corato, il terreno è pianeggiante e il fenomeno carsico nelle zone tufacee è scarsamente presente; lungo queste direttrici, a partire dalla periferia della città, la consistenza del terreno si fa più compatta perché si entra, geologicamente parlando, nella zona dei calcari del Cretaceo.
Tutta la zona della Valle di Santa Margherita, come si è detto innanzi, appartiene al periodo Pliocenico-Pleistocenico, ed essendo il terreno di tipo tufaceo, poroso e facile ad assorbire acqua, lungo i fianchi della valle il fenomeno carsico ha prodotto innumerevoli caverne, grotte e camminamenti sotterranei. Pertanto, nella zona del Santuario della Madonna d’Andria dove la Lama è più profonda, la presenza delle grotte ha favorito in tempi lontani la possibilità di alloggio per l’uomo, che ha ampliato gli anfratti, dato che il terreno non era duro da lavorare. Abbiamo testimonianza sia della presenza di un villaggio denominato Cicaglia (la Valle di Santa Margherita si trova in contrada Cicaglia), storicamente attestata nella pergamena dell’anno 843 pubblicata da Arcangelo di Gioacchino Prologo “Le carte che si conservano nell’Archivio della Cattedrale della città di Trani, dal secolo IX al 1266” [13], sia di diversi altri villaggi ubicati sempre in zone carsiche come quello di Trimoggia.
La presenza di dipinti sulle pareti delle grotte lungo i fianchi della Valle di S. Margherita è dimostrazione di frequentazione umana di quei luoghi e generalmente, dove si è formato un insediamento in epoca paleocristiana, anche se piccolo, lì è stato allestito e/o costruito un ambiente dove pregare e svolgere funzioni religiose; questi ambienti, com’è nella tradizione cristiana, sono sempre arricchiti con dipinti di Santi, della Madonna, di Gesù Cristo e di episodi evangelici e biblici. Tutto ciò è avvenuto nella Grotta per eccellenza della Valle di Santa Margherita, quella della Madonna dei Miracoli, nella grotta del Santuario della Madonna dell’Altomare e in quella della Chiesa di Cristo Misericordia e, in modo eccezionale, nella Chiesa di Santa Croce, tutti luoghi ubicati in zone carsiche, che nel basso Medioevo sono diventati importanti luoghi di culto.
È nota la storia legata alla scoperta dell’immagine della Vergine con il Bambino nella grotta della Madonna d’Andria dove, in epoca più antica, esisteva già una grotta-chiesa dedicata a Santa Margherita d’Antiochia, vergine e martire del terzo secolo, venerata sia dalla Chiesa cattolica sia da quella ortodossa. In Italia il culto verso la Santa si fa risalire intorno all’anno mille e forse, proprio in quell’epoca, probabilmente fu dipinta la sua immagine nella grotta e la Valle prese il nome di Santa Margherita.
Non è tema di questo lavoro la scoperta dell’immagine della Madonna con il Bambino, né delle altre immagini dipinte nella grotta del Santuario; qui di seguito, invece, si parla della “Valle di Santa Margherita in Lamys” come l’hanno descritta gli storici, e della “Grotta delle Rose” che è una grotta della Valle, piccola, ma tutta dipinta.
Note
[7] Fabio Colonna, naturalista e botanico di fama internazionale, nacque a Napoli il 1567 ed ivi morì il 1640.
[8] Fabio Colonna, a propostio del Santuario della Madonna dei Miracoli, così si esprime: “..Ecclesia quidem illa magnis donis, et miraculorum signis ornatur, nec non sumptuosa structura ipsa Ecclesia, et Monasterium”
[9] Carlo Linneo (nome italiano) (1707 – 1778) ì fu uno scienziato naturalista e botanico svedese di fama mondiale. Organizzò scientificamente tutti gli organismi viventi e fossili in precisi schemi a partire dalla specie e poi il genere, la famiglia, ecc., realizzando il cosiddetto “Systema naturae” .
[10] Lo studioso Alessandro Ottaviani, in un suo articolo pubblicato nel GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Casa Editrice Le Lettere – Firenze - fascicolo II di maggio – agosto 2017, intitolato “Fra diluvio noaico e fuochi sotterranei. Note sulla fortuna sei – settecentesca di Fabio Colonna” così definisce Fabio Colonna: “Botanico, insettologista, conchiliologo, io non saprei qual altro additare che più si accosti a Linneo nell’acume dell’ingegno, in un giusto e sicuro discernimento nell’afferrare i caratteri della specie, nell’esattezza delle descrizioni, e nel doppio talento di occuparsi pazientemente delle particolarità più minute e di sapersi sollevare a viste filosofiche e generali. Egli fu il primo ad individuare con fedeltà e con precisione le differenze particolari dei testacei, e quello che è più, a distinguere i tratti di analogia che li avvicinano e che costituiscono i generi, facendo della conchiliologia quanto aveva il Cesalpino (medico e botanico aretino del Cinquecento) felicemente tentato nella botanica. Rispetto ai testacei fossili, egli si trattiene segnatamente su quelli delle colline di Andria nella Puglia”.
[11] Riccardo Ottavio Spagnoletti, Andria 27-10-1829 – Bari 6-11-1892, possidente e storico, è ricordato in Andria soprattutto per il saggio storico intitolato: “Lagnoni e Santa Croce – in Andria. Investigazioni”; pubblicato in Bari dallo Stabilimento Tipografico Meridione nel 1892.
[12] Sabino Di Tommaso, insegnante, con il suo sito web ANDRIARTE svolge una “concreta azione di sviluppo e valorizzazione della storia della città di Andria e del suo patrimonio artistico”. Navigando nel suo sito ci si immerge nello studio del patrimonio culturale della nostra città, fatto con un cospicuo patrimonio documentale, con interpretazioni autentiche, con moltissime immagini e con la passione di chi crede nel grande valore della storia e tiene sempre viva la memoria del passato su cui abbiamo costruito la nostra identità.
[13] Arcangelo di Gioacchino Prologo: “Le carte che si conservano nell’Archivio della Cattedrale della città di Trani, dal secolo IX al 1266” Pergamena dell’anno 843. Editore VECCHI – Trani. Il testo latino della pergamena è riportato nell’opera di Mons. Emanuele Merra “Monografie Andriesi” Volume I, pagina 283 – Tipografia Mareggiani, Bologna 1906.