dell’Ing. Riccardo Ruotolo
Continuando nella descrizione della Valle fatta dagli storici, il di Franco [ Libro I, cap. IV] così continua nella sua opera:
Il racconto dell’Inventio che fa il di Franco fu poi ripreso da tutti gli storici dell’Ottocento e Novecento. Si riporta qui di seguito tale racconto perchè affascinante.
All’inizio, quando secondo il di Franco nelle grotte della Valle si stabilirono alcune “persone spirituali a vita anacorese ed eremitica”, la Valle era “non men dilettevole che fruttifera”, poi, quando “per la malignità di perversi, da quei buoi e sancti huomini spogliata”, la Valle cambia totalmente aspetto e diventa covo “infelice di scellerati, di ladri ed assassini”. Una volta scoperta l’immagine della Madonna e iniziato il flusso di devoti da Andria e dalle città limitrofe dove era giunta voce di miracolose grazie ricevute (come la guarigione di Fabio Colonna avvenuta nei primi anni del Seicento e di cui si è detto innanzi), per “occulti ed imperscrutabili giudizi” la divina Provvidenza, volle che la Valle “divenisse tutta bella, fruttifera e gioconda”. Null’altro si dice della Valle, né della sua vegetazione, delle colture, né dell’uso del terreno.
È interessante e significativa la successione di connotati attribuiti alla Valle: fino a quando ci sono gli anacoreti, dediti alla preghiera ed alla contemplazione, la Valle è dilettevole e fruttifera; scacciati gli eremiti, essa diventa covo di scellerati, ladri e assassini; una volta scoperta l’immagine della Madonna, ritorna ad essere “tutta bella, fruttifera e gioconda”. Tutti gli storici che dopo il di Franco si sono succeduti nel tempo, quando hanno parlato del Santuario della Madonna dei Miracoli, hanno attinto dal di Franco e condiviso le sue considerazioni sulla Valle.
Così continua la traslitterazione del manoscritto del di Franco fatta da Padre Antonino.
L’immagine della Madonna è “dipinta alla greca” come affermano gli storici e gli studiosi, ed è avvolta in un mantello come nell’iconografia classica, mantello che viene chiamato “Maphorion”, che significa portato sulla spalla, su cui sono raffigurate delle stelle, simbolo della verginità. In grembo la Vergine tiene il Bambinello che stringe il libro sacro con la mano sinistra mentre con la mano destra sembra benedire chi lo guarda. Ai lati della testa della Madonna ci sono due scudi perlinati, senza alcuna iscrizione; anche intorno alla testa della Madonna ed a quella del Bambinello ci sono delle aureole perlinate.
La parte della grotta con l’immagine di Santa Margherita rappresenta l’antica Chiesa rupestre, mentre l’immagine della Madonna la cui Inventio avvenne il 10 marzo 1576 è la parte che trovasi a sinistra dell’immagine di S. Margherita. Nel disegno riportato a pag. 58, da me rielaborato su rilievo originale dell’ing. N. Milella, è segnata l’ipotesi dello stato dei luoghi al momento della scoperta della immagine della Madonna dei Miracoli.
Foto della Madonna nel suo speco, eseguita nell’anno 1930.
Sulla parete destra dell’antica Chiesa di S. Margherita è dipinto San Nicola, ancora facilmente riconoscibile, ai cui lati sono dipinte scene significative della sua vita. Come si può osservare nella foto qui di seguito riprodotta, il Santo è vestito con i paramenti orientali caratteristici della chiesa ortodossa; ben visibili sono la stola bianca decorata con croci, il mantello lungo fino ai piedi, il capo scoperto e l’aureola perlinata.
Dipinto di San Nicola. Sulla destra sono raffigurate due scene: il padre che dorme mentre
il Santo lo visita nel sogno e le tre figlie che, grazie al dono del Santo, potettero sposarsi..
San Nicola era nato in Turchia da genitori greci, fu Vescovo di Myra e il suo culto è molto diffuso nell’Italia meridionale nelle cui Chiese è molto rappresentato, anche con gli avvenimenti più significativi della sua vita, avvolti nella leggenda, come quella delle tre fanciulle dipinte nella Grotta della Madonna dei Miracoli, in alto, sulla destra di San Nicola.
Accanto al Santo si vede in alto un uomo che dorme, mentre, sotto sono raffigurate tre fanciulle. La leggenda racconta che in una famiglia povera dell’Asia Minore un padre per poter sopravvivere pensò di far prostituire le sue tre figlie anche se ancora ragazzine. San Nicola di notte, mentre l’uomo dormiva fece cadere al suo fianco tre sacchetti pieni di oro, diventate poi “palle di oro”; al risveglio l’uomo fu sorpreso e contento, così le figlie potettero avere una dote e sposarsi. E’ per questo che San Nicola è anche il protettore dei bambini e porta loro dei doni.
Il dipinto di Santa Margherita è quasi illeggibile perché molto deteriorato. Il culto della vergine di Antiochia, molto presente nell’antica Grecia, si diffuse in Puglia soprattutto nel Medioevo.
Dipinto di Santa Margherita. Particolare del vestito di Santa Margherita..
Vergine e martire, probabilmente vittima della persecuzione dell’Imperatore romano Diocleziano, si era dedicata completamente al Dio cristiano tanto che rifiutò di sposarsi e per questo fu decapitata all’età di soli 15 anni. Probabilmente il suo culto giunse nell’Italia meridionale perché portato dai monaci perseguitati nell’Asia Minore e fuggiti in Italia. Fu annoverata dalla Chiesa tra i 14 “Santi ausiliatori” (sono Santi molto invocati dai cristiani in occasione di gravi malattie, soprattutto le febbri malariche) ed è anche protettrice delle partorienti.
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Anche il Prevosto Pastore [17], primo grande storico andriese, che sul finire del Settecento ha raccontato la storia dell’”Inventio” della Vergine dei Miracoli nella sua opera manoscritta “Origine, erezione e stato della Colleggiata Parocchiale Chiesa di San Nicola” di Andria, ha attinto alle notizie del di Franco oltre ai documenti conservati nella Curia Vescovile.
Sebbene in quest’opera nulla si dice della Lama, se ne riporta qui di seguito un passo perché si tratta della prima traslitterazione del manoscritto del Prevosto Pastore, effettuata dall’insegnante Sabino di Tommaso che merita tutta la nostra stima e gratitudine per aver fatto conoscere in modo leggibile la prima storia che riguarda la città di Andria, e perché aggiunge valida documentazione alle notizie del di Franco.
Racconta il Pastore che S. Pio V aveva nominato “Vescovo di Andria nell’anno 1566 D. Luca de’ Fieschi, Conte di Lavagna nel Genovisato, Nipote forsi del defunto D. Gianfrancesco, nel di’ 30 Gennaro. In qual mese di quest’anno giunto egli fosse in Andria ci va’ ignoto….Nel corso de’ primi dieci anni di residenza in questa Chiesa non v’a’ cosa alcuna da notarsi: avvenne bensì nell’anno 1576, che due cittadini furon degnati di scoprire in una antica, e dirupata Grotta, sita al declivio, della Valle chiamata S. Margherita in Lamis, una Immagine della Vergine SS. Col Bambino Gesù in grembo, dipinta alla Greca in faccia del muro, la quale si appalesò loro con un prodiggio. Ciò venuto a notizia del Vescovo, volle egli accertarsene col suo accesso: e ritrovato vero quanto se li riferì, pensò di metterla in maggior veneraz.e, si che crebbe in modo, che si diffamò per tutto il Regno ed oltre, asegno che quel luogo in breve tempo divenne un’emporio di ricchezze per le oblazioni, ed offerte ch’ivi si portavano da fedeli, e cittadini ed esteri, e per lo sterminato numero de’ miracoli, ch’ivi si opravano per intercessione della gloriosiss.a Vergine: tal che dal Sommo Pontefice Gregorio XIII appellata venne col titolo di S. Maria de’ Miracoli d’Andria in una sua Bolla spedita a.d. 13 Genn.o 1580, e colla quale il pred.o Pontefice cofirmò la religion Cassinese in d.a Chiesa, chiamata ad abitarla, e coltivarla dal Duca Fabrizio, dal Vescovo D. Luca de’ Fiechi, e dall’Universita, coll’intervento de capi del Clero per darli il consenso: come espressam.e apparisce da un pubblico stromento per mano del Notaio D. Gianbattista Petusi sotto il dì 20 Aprile 1581. Munito di testimonj, e di tutti gl’altri intervenuti, fra quali si notano, D. Fabbio Quarti Arciprete della Cattedral Chiesa di Andria, e D. Gian Vincenzo Petusi Preposito della Colleggiata di San Nicola di Trimoggi, D. Agostino Fortunato, ed altri. Tutta la storia di tall’invenzione, il suo aumento, e lo stato in cui si pose la chiesa, e la Religione Cassinese in questa Badia rilevar si può da chi ne tien piacere in un libro intitolato. Storia di S. Maria de’ Miracoli di Andria, composto dal Sacerdote D. Giovanni Franchi da Catania, stampato in Napoli da Tarquinio Longo 1606”.
Come appare evidente, il Prevosto Pastore non si lascia suggestionare da leggende e fatti non provati circa il rinvenimento dell’immagine della Madonna dipinta in una grotta della Lama, né si avventura nel definire la Valle prima come indemoniata e poi come fertilissima. Il Pastore, per questa storia, si basa esclusivamente su documenti da lui stesso visionati, prima che gli stessi fossero distrutti nell’anno 1799, quando la città di Andria ha perduto la maggior parte del patrimonio storico documentale che custodiva nei suoi archivi, a causa dell’incendio dell’archivio della Cattedrale ad opera dei francesi nell’eccidio del 23 marzo 1799.
Invece i frati Agostiniani, a cui nell’Ottocento fu affidata la cura del Santuario, nel riproporre la storia del ritrovamento dell’immagine sacra, a proposito della Valle si rifanno quasi pedissequamente al racconto un po’ fantasioso del di Franco.
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Lo storico Riccardo D’Urso, canonico della Chiesa Cattedrale di Andria, nella sua “Storia della città di Andria” pubblicata in Napoli il 1842 dalla Tipografia Varana, racconta l’Invenzione dell’immagine della Madonna dei Miracoli e nel riferire del primo tentativo di scoprire il “Magnum Thesaurum”, giusto quanto il frate Conventuale di S. Francesco chiamato Angelo de Lellis di Bitonto aveva scritto in una sua cartella, finisce con chiamare “indemoniata” la Valle.
Nel capitolo III della sua Storia il D’Urso così scrive: “Come rilevasi dal processo di questa invenzione, alla morte di un Conventuale di S. Francesco chiamato Angelo de Lellis di Bitonto, si trovò un cartoccio gelosamente custodito in un cassettino, nel quale erano scritte le seguenti parole «Ibis Andriam, et inde versus occidentem ibis ad Ecclesiam antiquam, dictam de Sancta Margherita in Lamys, ubi inveniens duas portas, unam Austrum, alteram Aquilonem versus: ingredere portam versus Austrum, et quare sinistrorsum, et reperies Magnum Thesaurum». Questa cartella caduta nelle mani di quel Provinciale, che dimorava in Bitonto, chiamato il Padre Maestro Cristoforo Palmieri di Montepeloso, venne da lui segretamente conservata come polizza, e carta da Banco. Elassi pochi giorni, non sapendo a chi meglio affidare il segreto, chiama a se’ Frate Donato de Magistris, persona di tutta la sua fiducia, a lui gelosamente commette l’esecuzione del fatto; e lo istruisce sul modo da tenere, dietro lo scoprimento del tesoro. Ma tacendo qui tante altre circostanze, e tediose lungherie, dico solo col poeta: Auri sacra fames, quid non mortalia pectora cogis? e conchiudo che questa missione ebbe il suo effetto. Ma mentre questo frate con altri due stava praticando lo scavo in quella Grotta; di repente la fiaccola si spegne; ed essi si sentono da tutti i lati acremente percossi. Tra lo spavento e le battiture eglino si urtano, e riurtano a vicenda; finalmente barellando in quella congerie di materiali, potettero a stenti rintracciarne la bocca di uscita. Questo avvenimento si rese di pubblica ragione, e quella Valle rimase all’intutto derelitta, chiamandosi poi la Valle Indemoniata”.
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A questo punto Padre Antonio di Jorio riferisce un evento documentato.
“Volgendo l’anno 1561, nella Città di Bitonto venne a morte un Religioso
dell’Ordine de’ Minori Conventuali per nome P. Angelo de’ Lellis, Uomo, per quel
che ne disse la fama, illustre per natali, per dottrina, e per qualità religiose. Nello
spoglio uso a farsi ai Religiosi moribondi, tra gli altri oggetti di Lui che caddero in
mano del Provinciale P.M. Cristoforo Palmieri da Montepiloso dimorante in quel
Monastero, vi fu un cartellino antico gelosamente custodito, il quale conteneva
scritto il linguaggio latino le seguenti parole: «Anderai in Andria, e quindi ti porterai
verso Occidente all’antica Chiesa di S. Margherita nella Valle, ove troverai due
porte, l’una sita verso l’Austro e l’altra verso l’Aquilone: entra nella parte australe,
cerca alla tua sinistra e rinverrai un grandissimo tesoro.» ….In fine, impaziente
di farne l’acquisto, con premura richiesta dall’importanza dell’affare, comunicò
il gran segreto ad un Religioso suo suddito e confidente chiamato F. Donato de
Magistris Cittadino Andriese, ed affidandogli il negozio della ricerca del tesoro
mentovato, raccomandandogli col più vivo entusiasmo, e tenendolo per avvertito
del modo onde condursi dopo che l’avesse scoperto….. ma però non valse a dargli
energia per superar solo tutti gli ostacoli che vi rinvenne, col trovarne l’esteriore
orrido, alpestre, e quasi inaccessibile. Per la qual cosa, tornossene di bel nuovo in
Città a raccogliere amici collaboratori, e fra tre che ne prescelse, fi fu un Religioso
Agostiniano detto P. Diaspero Guindola. … Superati gli ostacoli esteriori, penetrarono
nel derelitto Santuario, e senza degnar d’uno sguardo quelle mura e né
le sacre immagini che l’adornavano, né la Vergine che brillava sul rustico altare,
ricercò il luogo delle sue speranze, e si diede con tutto calore a fare gli scavamenti
richiesti. Ma che? Ad un tratto si vide con stupore assalita da un diluvio di sferzate
a dritta ed a sinistra da una mano invisibile, e sconcertata in guisa dello spavento
e dal dolore, che a sommo stento potè darsi alla fuga ed uscire in salvo. …Se ne
diffuse la notizia con celerità, e il risultamento fu un gran timore impresso in tutti
gli animi, tanto che la Valle si disse Valle indemoniata e se ne fuggiva la vista, non
altrimenti che se il Demonio vi avesse fermato il suo soggiorno”.
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Il Padre Cosma Lo Jodice, agostiniano, ha scritto una storia del Santuario denominata “S. M. de’ Miracoli di Andria – Cenno storico”, edita in Napoli nello Stabilimento Tipografico di Salvatore Marchese il 1888; anche in quest’opera sia la città di Andria sia la Valle sono ricordate in forma romanzata. L’autore incolpa i Saraceni, soldati di Federico II di Svevia, come soggetti persecutori dei cristiani anacoreti che abitavano nella fiorente Valle, la cui forzata dipartita fece piombare la Lama in un degrado pauroso, covo di scellerati ladroni che la resero indemoniata.
“Andria città antica come le prische memorie e la opinione de’ presenti pare che vogliono….Due chilometri vicin di essa verso ponente è una valle da solerte lavoro posta tutta a coltura. Ivi, col più vago vedere, che occhio possa gustare, tra i ben disciplinati vigneti ed oliveti spesseggia il mandorlo, che col suo fiore dal dolce incarnato sorride alla primavera che s’avanza; ivi fiammeggia il fiore del melo-grano, biondeggiano tra il verde lustrante delle frondi le pere, le persiche, i susini; ivi i fichi saporosi e delicati ed altre maniere assai d’alberi fruttiferi”.
Il racconto di Padre Lo Jodice così continua:
“Anticamente quella valle era chiamata «Lama di S. Margherita», nome venutole da una immagine della santa
martire dipinta sulle mura della più vasta delle grotte che si profondano fra quelle
coste. Ora è detta «della Madonna».
Federico 2° Hohenstaufen possedeva sull’agro andriese magnifico castello,
che tiensi da lui edificato, dalla posizione detto «Del Monte», dove di frequente
tornava a stare. I soldati saraceni, che seguivanlo, tanto vessarono gli Eremiti
della Valle di S. Margherita, che li obbligarono abbandonare loro pacifiche celle.
La sacra Grotta, poco o niente fu più oltre frequentata, gli spinai la cinsero, rotolanti
massi di scommesse pietre ne preclusero l’adito, più non fu nota che qual
nascondiglio di facinorosi, o scellerati ladroni, che lè convenivano per occultare
loro nequizie. Tosto la Valle acquistò per pubblica fama rinomanza nefanda di indemoniata,
quasichè ivi il demonio tenesse sua sede”.
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Mons. Emmanuele Merra, nella sua fondamentale e storica opera “MONOGRAFIE ANDRIESI” – Vol. II, Tipografia Mareggiani – Bologna 1906, a proposito dell’“Inventio” della Madonna dei Miracoli si rifà totalmente a quanto raccontato dal D’Urso, non aggiungendo nulla se non l’ipotesi che la Lama della Valle S. Margherita non è altro che l’antico “flumen Aveldium” della Tabula Peutingeriana, ipotesi peraltro non corretta perché, come attestato dalla carta idrogeologica della Regione Puglia – territorio della BAT, la Lama della Valle di S. Margherita era un affluente dell’antico “flumen Aveldium” [18]. Sulla stessa linea del Merra è il Canonico Michele Agresti: anch’egli nella sua opera storica “Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi” – Tip. Rossignoli – Andria 1912, si rifà totalmente al Merra e al D’urso.
Padre Ferriello sposa la leggenda che furono i Saraceni, che Federico II aveva
portato con sé nella nostra Puglia quando fece costruire Castel del Monte, a
scacciare gli eremiti dalla Valle di Santa Margherita, e così si esprime:
“Però mentre il munifico Hohenstaufen edificava, il di lui seguito, da veri soldati saraceni,
distruggeva. La masnada dalle unghie adunche non risparmiò i buoni terrazzani di
Cicaglia, e molto meno i pacifici eremiti. Il pio luogo divenne ben presto un cumulo
di macerie e un nido di facinoroso da metter orrore solo a ricordarlo”.
Riferendo poi della predizione del P. Angelo De Lellis di Bitonto: “entra nella porta australe, cerca alla tua sinistra e troverai un gran tesoro”, parla dei signori che si recarono alla grotta per rintracciare “il gran tesoro” che pensavano fosse oro e non trovandolo furono sferzati e percossi da mani invisibili “sì da ridurli malconci. Tremanti a verga a verga per la paura ed avviliti dal dolore, riuscirono dopo sì solenne lezione, appena appena a guadagnare la via di uscita. In memoria del giusto castigo inflitto agli avidi ricercatori dell’oro, fu denominato quel luogo: VALLE INDEMONIATA”.
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Il barese Mons. Luigi Michele de Palma, professore ordinario di storia della
Chiesa antica e medievale nella Facoltà di Teologia presso la Pontificia Università
Lateranense, nel suo saggio “Origini medievali di un santuario mariano. L’inventio
di S. Maria dei Miracoli ad Andria”
[19]
raccoglie in veste critica tutti i messaggi simbolici di cui abbiamo dato notizia leggendo
le storie degli autori innanzi menzionati e, a proposito della Valle, così riassume le descrizioni fatte
a partire dal 1606:
“La narrazione della genesi del santuario riflette uno schema prefissato, secondo
cui all’originaria innocenza (la florida Valle abitata dagli eremiti - anacoreti)
subentra la perdizione (la Valle “indemoniata”, ricettacolo di peccatori e infestata
da ladroni) per poi approdare alla redenzione (quando la Valle, per la luce accesa
“d’Angelica mano” diventa Valle della grazia e dei miracoli e Valle rigenerata e
popolata di devoti)”.
Afferma il de Palma: “Nel latino classico «lama» ha significato di «pozzanghera,
stagno, palude», mentre nel latino medievale significa «terreno alluvionale
in pendio o in bassura (Du Cange)»; nel dialetto pugliese lama sta ad indicare
un avvallamento, un terreno sottoposto e in pendenza. Bisogna però, distinguere
i piccoli declivi, i poderi in depressione, dalle più estese solcature longitudinali,
antichi alvei torrentizi, che hanno o avevano sbocchi al mare.
Scavate originariamente dalle acque piovane, le lame persero col tempo importanza idrografica per
la corrosione del mantello argilloso che rivestiva calcari e tufi, ma divennero, in
compenso, aree di attrazione agricola per la fecondità della roccia brulla calcarea.”
È questa una definizione abbastanza puntuale, applicabile alla lama della
nostra Valle che, perduto il mantello argilloso, ha messo in evidenza il manto calcareo
che è stato attaccato e inciso profondamente dalle acque piovane sviluppando
un carsismo diffuso.
Continua il de Palma “Le ragioni della scelta di adibire a santuario un ambiente rupestre vanno ricercate nel substrato culturale, in quel portato di sacralità che la grotta, intesa soprattutto nel senso naturale, ha acquisito fin dall’epoca arcaica”. Questo perché una cavità nascosta, magari illuminata solo dall’alto, “Evoca l’utero materno, il conflitto fra luce e tenebre, fra il bene e il male, fra la vita e la morte, fra ignoranza e conoscenza, fra Dio e satana. In essa si compiono riti iniziatici e per molte civiltà è il luogo di nascita di divinità”. Si potrebbero inserire in questo contesto anche le laure di Santa Croce e di Cristo Misericordia che sono anch’esse grotte scavate nella roccia calcarenitica plio-pleistocenica ricca di conchiglie bivalve fossili e vicinissime all’alveo dell’antico “flumen Aveldium”.
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Prima di lasciare il sito del Santuario desidero fare un’ulteriore approfondimento circa la frase del di Franco che narra: “dalla parte orientale verso la Città suddetta d’Andri vi si porge avanti agli occhi un ricchissimo Tempio fondato sopra quattro ampie mura di pietra viva lavorati nelle tre parti di fuori verso la Valle e dei lati a ponta di diamante con un spaciosissimo vestibulo avante le tre porte nella quale è fabbricata una gran cisterna copiosa di freschissim’acque per dar ristoro ai lassi pellegrini ed altri forastieri quali d’ogni tempo vengono in gran frequensa a visitar detta Chiesa”
Padre Antonino ritiene che la cisterna che trovasi interrata subito a ridosso della Chiesa inferiore non è quella citata dal di Franco; è convinto, invece, che la cisterna addossata alla facciata esterna della Chiesa inferiore e sottoposta ad essa, altro non è che una Chiesa in grotta, ancor più antica di quella inferiore, scavata nella roccia e poi, successivamente all’Inventio della Madonna, ampliata e trasformata in cisterna. Inoltre, ritiene che la cisterna di cui parla il di Franco è quella che trovasi sull’altra sponda della Lama, quella di sinistra, subito dietro la “parete ninfeo” di cui si parlerà in seguito.
Secondo Padre Antonino questa più antica Chiesa è il “quarto livello delle fabbriche del Santuario” e cita la relazione preliminare che il Prof. Arch. Mauro Civita scrisse quando fu incaricato del restauro del pregevole controsoffitto della Basilica Superiore.
Così si esprime il Prof. Civita nella sua relazione, quando parla del giardino retrostante la Chiesa inferiore: “Al disotto di questo giardino (parla del giardino – orto che si trova subito dopo la facciata esterna della Cappella di San Giuseppe nella Chiesa inferiore) si sviluppa, ben visibile, un ambiente di notevoli dimensioni, interno ad una cavità naturale, rinforzato dalla costruzione di una volta a botte cinghiata e dotato di residui affreschi. Questo ambiente, - al quarto livello -, si svolge longitudinalmente lungo il percorso di una suggestiva gravina, interessandola per un segmento” (Doc. -12bis-).
Con riferimento al disegno redatto dall’architetto Vincenzo Zito (sezione longitudinale del Santuario e della Lama) e riportato a pag. 87 della citata pubblicazione “La Lama di Santa Margherita e il Santuario della Madonna dei Miracoli”, si completa lo stesso segnando i quattro livelli del complesso basilicale, come citati dalla relazione Civita.
Doc. -12 bis- Sezione longitudinale del complesso basilicale Madonna dei Miracoli
e della Lama di S. Margherita (disegno dell’architetto Vincenzo Zito).
Personalmente non condivido questa ipotesi, che mi sembra molto azzardata, non fosse altro che il pavimento di questa cisterna (quella a ridosso della Chiesa inferiore e ad essa sottoposta) trovasi a quota inferiore (circa un metro e cinquanta centimetri) rispetto al fondo della Lama, che è ben individuato dal cunicolo costruito nel secolo scorso quando fu realizzato il muraglione di divisione, nel mezzo della Lama, tra la proprietà della Provincia e quella del Comune da sempre gestita dal Santuario; il cunicolo che giace al fondo della Lama serviva a far defluire a valle le acque meteoriche che nei periodi di piena invadevano la zona della Lama di proprietà della Provincia.
Come giustificare la presenza di una Chiesa rupestre con il pavimento ad di sotto della quota del fondo della Lama? Se così fosse, quest’ambiente sarebbe stato sempre pieno d’acqua; invece avrebbe senso la presenza non di una Chiesa ma di una cisterna che, avendo il fondo più basso di quello della Lama, sarebbe sempre provvista di acqua. Quelle che il Civita ed il Giovannetti chiamano “residui pittorici ancora presenti” possono essere effetto di alterazioni e degrado degli intonaci dovuti a Biodeteriogeni, affioramento di macchie, assorbimento differenziato dell’umidità, movimenti dell’acqua e cristallizzazioni varie.
Si riportano qui di seguito diverse immagine della suddetta cisterna.
Il pavimento della cisterna trovasi tre metri al di sotto del terreno presente all’imboccatura.
Sulla destra il cunicolo di collegamento tra i due tronconi in cui fu divisa la Lama. - Interno della cisterna
Pavimento della cisterna in basole di pietra calcarea - Intonaco degradato delle pareti della cisterna
Note
[17] Il Prevosto Giovanni Pastore, canonico della Colleggiata di San Nicola (Colleggiata ha lo stesso significato di Capitolo; fu così chiamato l’insieme dei canonici di San Nicola per distinguersi dai canonici della Chiesa Cattedrale che costituivano il Capitolo Cattedrale), nacque il 21 gennaio 1715 è morì nel 1806 all’età di 91 anni mesi 2 e giorni 21, come scritto a margine del suo manoscritto che Sabino di Tommaso, con un pregevole lavoro di traslitterazione, ha pubblicato sul suo sito Andriarte.
[18] Nella mia pubblicazione “ Andria, escursione nel territorio” del settembre anno 2021 è riportata una vasta documentazione sul fiume Aveldium e suoi affluenti.
[19] Il saggio di Mons. Luigi Michele de Palma, docente di Sacra Teologia e Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense – Roma, è riportato nel volume “La Madonna d’Andria – Studi sul santuario di S. Maria dei Miracoli” AA.VV. edito da “Grafiche Guglielmi” – Andria 2008.