dell’Ing. Riccardo Ruotolo
Il giorno 2 dicembre 2015 mi sono recato sui luoghi di lavoro per documentare lo stato degli stessi ed ho potuto eseguire due scatti fotografici (Foto 70 - 71)..
Foto -70- Restauro dell’esedra; Foto -71- Grotta delle rose: fase di restauro della parete di fondo.
L’ultimazione delle opere di restauro è avvenuta in data 23 dicembre 2015 e poco tempo dopo la Ditta “Rossana Allegri”, come mi aveva promesso il 2 dicembre, mi ha fatto pervenire copia di due sue relazioni, già trasmesse al Comune di Andria, così intitolate: “Il Ninfeo” e “Le Grotte”.
Nella prima relazione sono descritti gli apparati murari e lo stato di conservazione prima del restauro nel Ninfeo, tutte le fasi dell’intervento, i metodi di pulitura e di consolidamento dell’Edicola, della lastra di pietra con la scena pastorale e della nicchia centrale; il tutto corredato da una esauriente documentazione fotografica (anche se di piccolo formato) che attesta lo stato dei luoghi prima e dopo il restauro.
Nella seconda relazione si descrivono lo stato di conservazione delle due Grotte: quella piccola senza dipinti e la Grotta delle rose; poi si descrivono gli interventi eseguiti, i metodi di pulitura e consolidamento delle pareti affrescate [26], i test di riconversione della biacca [27], le tecniche esecutive e i pigmenti utilizzati, le puliture e i ritocchi.
Molto ricca è la documentazione fotografica allegata sia dello stato dei luoghi iniziali sia delle pareti e del soffitto restaurati, , anche se di piccolo formato.
Avendo seguito passo passo tutta la fase progettuale, quella amministrativa e quella dei lavori, nella prima decade del febbraio 2016 mi sono recato varie volte sul posto, e con la collaborazione dell’agostiniano Padre Antonino, che mi ha sempre permesso l’accesso alla “Grotta delle rose”, ho documentato quanto realizzato dalla Ditta Rossana Allegri esecutrice dei restauri.
Ho documentato quanto realizzato, con una serie di fotografie che vanno confrontate con quelle da me scattate prima di ogni restauro. La Foto 72 dell’esedra affrescata va confrontata con le Foto 52 - 53; tutto il giardino parietato dei frati Agostiniani, una volta ripulito dalle erbacce, nel gennaio 2016 si presentava come nella Foto 73 che va confrontata con la Foto 51.
Foto -72- L’esedra restaurata; Foto -53- Particolare dell'esedra prima del restauro.
Foto -73- Intera particella n. 16 dopo il restauro della parete di fondo dell’esedra, degli ingressi alle due grotte e la pulitura del terreno - confronto con l'ante-restauro.
Quando sono entrato nella “Grotta delle rose”, la pulizia dei dipinti sulle pareti e la vivacità del soffitto, il tutto contornato dalla roccia viva della calcarenite fossilifera, mi ha nuovamente affascinato regalandomi una diffusa sensazione di bellezza: le pareti sembravano rivestite di stoffe di seta, a fasce con decorazioni floreali stilizzate che prima del restauro era difficile vedere, il soffitto era come un prato, o meglio come un manto cosparso di rose, come quello di una Madonna, semplice e nello stesso tempo affascinante.
Le Foto dalla 74 alla 84 vanno confrontate con le Foto dalla 56 alla 62 scattate prima del restauro.
Foto -74- La Grotta delle rose restaurata. Foto del febbraio 2016 confrontata con la Foto 56 prima del restauro.
Guardando attentamente tutto l’insieme ho avuto l’impressione di essere in un ambiente di stile “rococò” dell’inizio del Settecento, però, molto sobrio e delicato, come mi suggeriva il soffitto. Mi sono tornati in mente gli interrogativi della prima visita alla Grotta: quando è stata dipinta? A che cosa doveva serviva questo piccolo ambiente così bello? Quale la funzione della piccola grotta accanto?
Foto -75- La Grotta delle rose restaurata. Foto del febbraio 2016 confrontata con la Foto 57 prima del restauro.
Lo stile delle decorazioni, come innanzi detto, ci fanno pensare che la Grotta sia stata scavata e dipinta nel Settecento, quando fu scoperto il blu di Prussia che, però, si cominciò ad usare nella seconda metà del Settecento, come afferma la restauratrice Allegri nella sua Relazione finale: “la presenza del “blu di Prussia” è stata accertata a mezzo dell’analisi microstratigrafica eseguita sui campioni prelevati”. Il tecnico Geologo dott.ssa Caterina Stea nella sua Relazione Scientifica dice che “Il blu di Prussia è stato in questo caso utilizzato come pigmento, cioè granelli di materiale insolubile inseriti nella fase disperdente (medium)”.
Oggi esistono sulla parete destra e su quella sinistra due panche ricavate nella calcarenite fossilifera (all’inizio forse doveva esserci una panca anche sulla parete di fondo) subito sotto la fascia decorativa inferiore tutt’ora esistente al di sotto delle pitture parietali: la presenza delle panche fa pensare ad una seduta per i Monaci Benedettini che probabilmente, mi piace credere, in questo luogo si riunivano per leggere e riflettere sui testi sacri e dedicarsi alla contemplazione, cioè alla “profonda concentrazione della mente nella meditazione di cose divine o spirituali, per elevazione dell’anima”.
Foto -76- Parete di fondo della Grotta delle rose dopo il restauro, confrontata con la Foto 58 prima del restauro.
Foto -77 e 78: Grotta delle rose: soffitto restaurato, confrontate con la Foto 59 prima del restauro.
Foto -79-80-81 Le rose del soffitto ed altri fiori dopo il restauro.
Foto -82-83-84 Le rose ed altri fiori dopo il restauro.
La Grotta accanto a quella delle rose non è dipinta, è un piccolo vano scavato nella calcarenite, “con le pareti che vanno restringendosi verso il soffitto” e, per la presenza di due nicchie ricavate sulla parete di fondo, a guisa di ripiani, probabilmente era un luogo di servizio per la “Grotta delle rose”, dove era possibile conservare libri e lucerne; i piccoli fori quadrangolari sulla parete di sinistra di questa grotta fanno pensare a delle assi conficcate nel muro per sostegno di mensole di legno su cui poggiare contenitori di vario genere.
Non riesco a dare una funzione né alla buca quadrangolare esistente sul piano del pavimento sotto la parete di sinistra né all’incavo che è presente al di sopra di questa buca, come se fosse una nicchia per contenere un manufatto (Foto 85).
Foto -85- Particolari sulla parete di sinistra della Grotta delle rose.
Nei Doc. 86 - 87 sono raffigurati in modo stilizzato i disegni delle pitture delle pareti e le rose del soffitto con altri fiori.
Doc. -86- Disegno delle fasce sulle pareti. - Doc. -87- Disegno delle rose del soffitto e degli altri fiori.
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Le risposte ai quesiti che mi ero posto quando sono entrato per la prima volta nella “Grotta delle rose”, come innanzi detto penso di averle trovate.
Il luogo sarà stato realizzato e dipinto nella seconda metà del Settecento, quando il blu di Prussia fu alla portata dei pittori per la larga diffusione che in quell’epoca ebbe questo colore nei dipinti della Grotta.
Probabilmente la sua funzione era quella di avere un posto isolato e protetto nella Valle di Santa Margherita dove ritirarsi per la meditazione, distinto ma vicino alla Grotta della Madonna che era assiduamente frequentata dai devoti e fedeli provenienti da tutto il Regno di Napoli. Stando seduti sulle panche della Grotta, senza la presenza di alcuna porta di chiusura, i Monaci Benedettini, nel silenzio della Valle, potevano ascoltare le voci della natura e potevano vedere l’ingresso della Chiesa inferiore del Santuario che si trova direttamente di fronte, a soli una cinquantina di metri (Foto 88) e, se la porta di tale Chiesa era aperta, potevano vedere anche l’immagine della Madonna.
Foto -88- Vista della Chiesa inferiore dall’interno della Grotta delle rose.
Anche quando sono entrato nella Grotta dopo il restauro ed ho alzato lo sguardo, mi sono fatto conquistare dalla presenza dei bellissimi fiori di rosa, con le loro tonalità color pastello, immagini quasi sfumate, fiori fluttuanti sul soffitto.
Perché dipingere un cielo pieno di rose?
Sappiamo che la rosa è prima di tutto un “fiore madre di vita” e ad essa, come simbolo, sono attribuiti molti significati. Come fiore rappresenta la bellezza dei giardini, la sua forma, i suoi colori, il suo profumo, la fanno simbolo di eleganza e purezza. Sappiamo che nel Medioevo “alle Vergini era riservato l’uso della rosa come simbolo di purezza”. I pittori cominciarono a rappresentarla nei loro quadri e gli architetti a raffigurarla con i “Rosoni” disposti in bella mostra sulle facciate delle cattedrali. Il bocciolo chiuso “incarnava la castità femminile”, mentre il fiore sbocciato “rappresentava la bellezza giovanile”.
Nella iconografia cristiana la rosa, o meglio, un giardino di rose “è assunto per indicare il Paradiso”, ma anche “passione e morte” come il sangue di Cristo morto sulla croce, ed anche “resurrezione”.
I Monaci Benedettini per onorare la Vergine dei Miracoli, preferirono rappresentarla simbolicamente non come “un cielo trapunto di stelle”, ma come un prato cosparso di rose: del resto, la rosa è un simbolo benedettino.
Fin dal Medioevo la Madonna fu definita “Rosa Mystica” nel giardino del Paradiso e San Domenico Guzman, il presbitero spagnolo fondatore dell’Ordine dei frati predicatori nel XIII secolo, diceva “Le preghiere dei mortali salgono alla Madonna in forma di rose e ne discendono piene di grazie”. La dizione “Rosa Mystica ora pro nobis” è un’invocazione inserita nella “Litania Lauretana”.
La rosa è stata sempre considerata la “regina dei fiori”, il “fiore perfetto” per forma, colori, profumo e tutto ciò è stato trasferito alla Vergine Maria che possiede “al massimo grado tutto ciò che rappresenta la perfezione”.
La preghiera più recitata da noi cattolici è “il Rosario” che si lega alla visione di un giardino di rose, roseto con un grande significato; i tre misteri “gaudiosi, dolorosi e gloriosi compongono 150 Ave Maria”, quanti sono i salmi: ogni ave Maria è una rosa offerta alla Madonna. San Bernardo di Chiaravalle già nel XII secolo nei suoi sermoni, oltre a chiamare la Madonna “Stella del mattino”, spesso affermava che “Maria è stata una rosa”.
Nella simbologia cristiana la Madonna è anche “rosa senza spine”, cioè vergine che concepisce “senza peccato originale”.
Maggio, quando i roseti sono pieni di rose fiorite, è considerato il mese della Madonna, perché la rosa è il fiore mariano per eccellenza.
Mons. Emanuele Merra nella sua opera “Monografie andriesi”, edita a Bologna il 1906, nel capitolo XXXVIII intitolato “La Madonna dei Miracoli d’Andria”, a pagina 421 così scrive: “Il 10 marzo 1876, compivansi tre secoli, da che la veneranda Immagine di Maria veniva prodigiosamente ritrovata….Andria volle in si fausta ricorrenza dare un novello attestato di filiale e sentito affetto alla sua beneamata Patrona……Andria divisò rizzarle una statua d’argento…..Sopra un magnifico trono d’argento, elegantemente cesellato, e decorato, nei vari fregi, si vede maestosamente seduta la Vergine dei Miracoli di Andria, ….che stringe nella mano destra una bella rosa d’oro, dono del Canonico della Cattedrale D. Francesco Tannoia”.
Alla luce di queste piccole considerazioni a tutti note, si comprende come i Monaci Benedettini abbiano voluto che il cielo del loro luogo di preghiere fosse come un roseto, con profumo di paradiso.
Per oltre due secoli e mezzo queste pitture ci sono state negate: non ho riscontrato alcuna loro traccia in tutte le pubblicazioni che parlano del Santuario della Madonna dei Miracoli a partire dall’ “Inventio”. Come innanzi riferito, la prima traccia resa pubblica dell’esistenza di una Grotta dipinta, con sul soffitto tante rose sparse, come quelle che un tempo si gettavano dai balconi quando passava la processione della Madonna dell’Altomare, è quella citata nella pubblicazione di Montepulciano e Zito del 1999.
I dipinti della Grotta delle rose ci attestano anche la bravura degli artisti che li hanno eseguiti e rappresentano anche un frammento di storia della vita dei Monaci Benedettini che hanno costruito e custodito il grandioso Santuario della Madonna d’Andria, che ha contribuito a far conoscere il nostro territorio a tanti fedeli provenienti anche da lontano e a tanti illustri viaggiatori come l’Abate Giovanbattista Pacichelli.
Ancora oggi questa grotta suscita stupore, come a me è successo e spero succeda a chi leggerà questa cronaca.
Quando per la prima volta ho guardato le fasce dipinte sulle pareti della Grotta, mi è venuta in mente l’arte di dipingere le travi dei sottotetti delle Cattedrali e Chiese nel pieno e basso medioevo: alcuni noti esempi di pitture policrome sulle facce delle travi di sottotetti sono quelli delle Cattedrali di Bari e di Noto. Trattandosi di travi, generalmente a sezione quadrata, con le facce di larghezza tra i 15 e i 30 centimetri, le pitture policrome hanno forma di fasce e i motivi sono spesso floreali, simili a quelli delle fasce delle pareti della Grotta delle rose (Doc. 89) [28].
Un’ultima considerazione viene subito alla mente: poiché la Grotta delle rose si trova sull’altra sponda della Lama, come facevano i Monaci a raggiungerla? Guardando attentamente lo stato attuale dei luoghi, come riprodotto nell’immagine della Foto 90, si nota che sulla sponda sinistra della Lama ci sono i ruderi di un arco: sono i resti di un ponte con volta a botte, che permetteva al Monaci ed ai pellegrini di passare dalla sponda destra, dove si trova la grande Basilica a quella sinistra dove si trovano la parete Ninfeo con la cisterna retrostante (come afferma Padre Antonino ) e la Grotta delle rose.
Foto -90- La freccia indica la spalla di un arco: è il rudere dell’antico ponte di collegamento tra le due sponde della Lama.
Nella Foto 91 la traccia di un arco è più evidente: ciò che resta di un grande ponte che un tempo serviva a collegare le due sponde della Lama permettendo lo scavalcamento del torrente e, contemporaneamente la possibilità di avere difronte alla Chiesa inferiore, la prima ad essere costruita, uno slargo idoneo a contenere i numerosi fedeli che continuamente venivano a visitare la Madonna.
Foto -91- Particolare del rudere dell’antico ponte.
Note
[26] Il consolidamento delle pareti e del soffitto è stato effettuato con malta da iniezione PLM-A che è un composto a base di sole Calci Naturali, esenti da sali efflorescibili, miscelate con selezioni di inerti e specifici additivi modificatori delle proprietà di contrasto delle deformazioni sotto l’azione di forze esterne, dei corpi solidi, e in particolare dello scorrimento dei fluidi. E’ una malta che si usa con iniezioni e per le sue particolari proprietà è usata per il consolidamento di affreschi e pitture murali in genere staccati dal supporto murario, a cui si desideri conferire caratteristiche di aggrappo.
[27] La biacca è una sostanza colorante, di colore bianco, in passato a base di carbonato basico di piombo per cui soggetta all’annerimento; oggi è usata la biacca bianca a base di ossido di zinco.
[28] L’immagine 89 è tratta dalla pubblicazione della dott.ssa Clara Gelao, Dirigente titolare del Servizio Pinacoteca provinciale di Bari, dal titolo “Tecta depicta di chiese medievali pugliesi” edita da Grafica Safra, Bari