Capitolo IV

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo IV

(anni 1194-1268)

Sommario:
Dominio dei Normanni:
Normanni Conti di Andria: Il conte Riccardo:
Traslazione dei Preti di Trimoggia in Andria: Goffredo II, conte di Andria, indi Riccardo II, poi vittima di un prete tranese: il Conte Ruggiero e la sua infelice morte, per vile tradimento: I Barbarossa di Casa Hohenstaufer e termine della dominazione Normanna:
La nostra città ed il nostro Capitolo debbono ai Normanni il loro lustro e rinomanza: Notizie precise del nostro Capitolo all’epoca dei Normanni:
Documenti di quell’epoca e loro autenticità.


Non crediamo poter cadere sotto censura, per esserci alquanto dilungati, nel Capo precedente, nella narrazione degli avvenimenti politici, che precedettero l’epoca normanna, quando si consideri che, a quella narrazione, ci spinse la necessità di scagionarci dalle accuse della critica storica, la quale, profittando del buio, che avvolse la nostra Chiesa, in quell’epoca funesta (per la mancata provvista della sede vescovile), ha voluto negarle poi l’onore dell’antichità, dandole uno strappo di 7 secoli di esistenza.
Ed, ora dimandiamo pur venia ai nostri lettori, se torniamo ad occuparci ancora dei fatti politici di quel tempo, e dei Normanni. È da questi prodi cavalieri, che la nostra istoria esce dai laberinti e, a dir del Poeta tosco, batte a vol più sublime aura sicura. L’opera dei Normanni manda grandi sprazzi di luce sulla nostra città, e sul nostro Capitolo; per cui fa mestieri occuparci ancora di essi.
Questi figli del mare, per quanto arditi ed audaci, per altrettanto erano liberali e benefattori. Abbandonata la lor terra matrigna, e messi fuori della legge dura del majorascato [1], con la spada e col senno cercavano essi una nuova patria. E la nostra Italia benignamente li accolse; e la Puglia, in preferenza, deve ad essi la sua grandezza; la nostra città la sua rinomanza; la nostra Chiesa, il nostro Capitolo il loro lustro, come, a suo tempo, diremo.
Durante la Signoria Normanna, molti Greci, erano ancora sparsi per la Puglia. I Normanni ne tollerarono l’esercizio delle loro pratiche religiose, ma favorivano sommamente i cattolici romani. È perciò, che si videro, gli uni e gli altri, avere Vescovi, Sacerdoti e Chiese di diverso rito.
I Normanni erano in ottimo rapporto col Pontefice Romano; e Roberto Guiscardo, nel 1059, stipulò un trattato con Papa Nicolò II, in lotta allora coll’antipapa Benedetto X, per cui ottenne il titolo di Duca di Puglia e di Calabria, nonché di futuro Duca di Sicilia per grazia di Dio e di S. Pietro [2].
Figlio di secondo letto di Guiscardo fu Boemondo, il quale, all’appello di Urbano II (che nel Concilio di Melfi bandì la Tregua di Dio, fra i discordi Conti Normanni, e proclamò, nel Concilio di Clermont, la Crociata in Terra Santa contro il Musulmano), volenteroso si unì ai primi guerrieri crocesegnati di Francia, segnandosi il petto della Croce rossa all’omero destro. A lui si unì Tancredi, figlio di Ruggiero, con altri 500 cavalieri, ai quali tennero dietro molti altri Normanni ed indigeni, in numero di oltre a settemila, come Papa Urbano II ne scriveva all’Imperatore Alessio Comneno. (Petri Diaconi: Contin - Leon: - Ostiens: Chron - Monast - Cassinens. Lib. IV. Cap. XI [3].
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Presso i normanni l’eredità andava tutta in favore dei primogeniti; ond’è che gli altri figli cercavano la loro fortuna nelle guerresche imprese.
[2] Si accusano i Papi del medio evo, d’essersi eretti protettori del dominio straniero in Italia, per impedirne la nazionalità! Ma il fatto e la storia stanno là a dimostrare la costante opposizione dei Papi alla Signoria straniera; sebbene, per ottenere ciò, abbiano fatto ricorso ad altri stranieri, come sempre si è praticato da Narsete a Cavour! A tal fine i Papi rinnovarono l’impero occidentale con Carlo Magno. E, quando i successivi imperatori tradussero quell’alto dominio in Signoria, i Papi vi opposero allora i Normanni, ai quali investirono il regno di Puglia e di Sicilia. Difatti, Innocenzo III favorì l’Imperatore Ottone, qual capo dei Guelfi, facendosi giurare obbedienza e sommissione come a Sovrano. Ma, quando vide che Ottone attentò ai possessi della S. Sede, e seguì egli pure l’esempio degli Imperatori Germanici (di ridurre, cioè, ereditaria la corona d’Italia) allora Innocenzo gli si pose contro, ed Ottone fu combattuto colle scomuniche e colle armi del Pontefice, divenuto protettore dell’erede ghibellino. Ed Ottone, dové rinsavire, tanto che, venuto a morte, chiese di un certosino, che accogliesse la sua confessione; e, quando ottenne gli si portasse il Viatico, alla presenza di sua famiglia, di molti ecclesiastici e di alquanti nobili, inginocchiatosi seminudo al suolo, ordinava che tutti i presenti ed i suoi servi lo battessero con verghe e lo calpestassero, recitando il Miserere, mentre egli, colla morente voce, ripeteva: Battete più forte questo miserabile peccatore!, giurando a Dio, che se lo conservasse in vita, si conformerebbe pienamente ai voleri del Papa. … Cosi moriva Ottone, l’antecessore ed emulo di Federico II Barbarossa, dopo 20 anni di regno! Di simili fatti è piena la storia, che sta lì a dimostrare, come i Papi non furono mai nemici della nazionalità italiana; ma che si valsero del braccio straniero solo a tener lontani gli stranieri, che volevansi rendere Signori dell’Italia!
[3] Il prode Boemondo morì in Antiochia nell’anno 1110. Il suo corpo fu trasportato in Italia e seppellito in Canosa di Puglia (vedi Giannone Lib. X pag. 105).

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Ed ora torniamo ai nostri Normanni, Conti di Andria, per riprendere il filo della nostra istoria.
Secondo narra Leone Ostiense [4], questi Normanni, di tutte le città conquistate, ne fecero fra loro la ripartizione in dodici distretti, assegnando a Guglielmo la città di Ascoli, a Dragone Venosa, ad Arnolino Lavello, ad Ugo Monopoli, a Rodolfo Canne, a Gualtiero Civitade, a Rodolfo di Betena S. Arcangelo, a Tristano Montepeloso, ad Erveo Trigento, ad Aschettino Acerenza, a Roffredo Minervino, a Pietro Trani.
Pietro, o Pietrone [5], e Gualtiero erano figli del d’Amico [6]. Questo Pietrone, dopo le vittorie riportate sui Greci, presso l’Ofanto, ebbe per contea la città di Trani [7], essendo ancora sotto la dominazione d’oriente, aspettando però il momento di poter espugnare la città ed impadronirsi di essa. Pose perciò sue tende nelle campagne vicine, ed assoldò molti campagnoli delle terre limitrofe, come Barletta, Andria, Corato e Bisceglie, che trasformò poscia in città, ben munite di mura e di forti, secondo il computo del Di Meo, nel 1042.
Di questa trasformazione, o meglio fortificazione, della città di Andria, il Poeta Guglielmo il Pugliese, prese un granchio a secco, che dette poi occasione ad altri, per dire che Andria fosse stata fondata e costruita dal Normanno Pietro! … Ma, della fantastica asserzione del poeta Pugliese, ne abbiamo già abbastanza parlato nel Capo I di quest’opera, dove abbiamo dimostrato, che Pietro Normanno non costruì la nostra città, ma solamente la munì di fortificazioni e di mura, secondo era l’abitudine dei Normanni, di munire, cioè, le città conquistate di mura e fortezze, come riferisce la Cronaca Vulturnense: castella ex villis ædificare coeperunt, quibus ex locorum vocabulis nomina indiderunt [8]. Ed Andria già nel 1059, secondo riferisce l’Aimè [9], era cinta di mura [10].
Pietrone aspirava ad essere il capo dei normanni, venuti in Italia; ma a lui prevalsero i suoi cugini Umfredo, Roberto e Ruggiero, figli di Tancredi, conte d’Altavilla, da cui ebbero origine i primi Re di Puglia e di Sicilia. Morto Umfredo nel 1056, Roberto, detto il Guiscardo [11] assunse la sovranità sull’Italia meridionale e la Sicilia, affidando la Calabria al fratello Ruggiero.
Pietrone, però, gli ribellò Melfi, e si preparava ribellargli tutta la Puglia, quando, giunto il Guiscardo da Calabria col suo formidabile esercito, i Melfensi, impauriti, discacciarono Pietrone, il quale fuggì prima Cisterna, e di là in Andria, dove fu completamente disfatto, e dové, quindi, sottomettersi al suo cugino vincitore [12]. Papa Nicolò II, in un Concilio, tenutosi a Melfi, riconobbe il dominio di Roberto Guiscardo, il quale, nel 1059, prese il titolo di Duca.
Pietrone morì nell’aprile del 1063 [13], lasciando due figli, Goffredo e Pietro II. Goffredo morì ancor giovane, lasciando un figlio a nome Riccardo [14]. Pietro II, a nome del nipote Riccardo, ancor pupillo, s’insignorì di Taranto, e nel 1072 si ribellò allo zio, il Duca Guiscardo, che combatteva in Sicilia contro i Saraceni.
Resosi padrone di Palermo, il Duca Guiscardo scese in Puglia ed assediò suo nipote Pietro II in Trani, dove il povero Pietro, dopo 15 giorni fu costretto dai tranesi ad arrendersi, fuggendo in Andria; e qui, dopo sanguinosa battaglia, fu fatto prigioniero.
Ma, ottenuto il perdono dallo zio, riebbe Andria, Bisceglie e Corato, ritenendo a sè, il Duca Guiscardo, la città di Trani.
Nella primavera del 1077 [15] il Duca Roberto Guiscardo entrò vittorioso in Salerno, mettendo termine ai principati dei Longobardi, nell’Italia meridionale.
Pietro II, resosi ancor baldanzoso, nel 1078 nuovamente insorse contro lo zio Guiscardo, e riuscì a riconquistare Trani. Ma vistosi poscia a mal partito, chiese ed ottenne nuovamente perdono dallo zio, il quale, unitamente alle altre terre, gli restituì Trani ed il Castello d’Alneto.
NOTE   
[4] Nel libro II, pag. 67.
[5] Detto dai Cronisti del tempo Pietrone, per le sue erculee fattezze.
[6] Leo Ost. (Certg): Filii Amici Gualtierus et Petrones.
[7] Amato, II, 28.
[8] Chron. vulturnense, Lib. II, presso il Muratori, Rer. Ital. scriptores: Tom. I. Par. II.
[9] Histoire de li Normant, Lib. IV, pag. 506.
[10] Andria, in quel, tempo, era munita di mura e di antemura, con 12 torrioni, situati ad una data distanza. A porta del Castello eravi un baluardo, che serviva per la principale difesa della città. Di tutti questi presidii non esiste più alcun vestigio.
[11] Guiscardo, nella lingua originaria dei normanni, significa astuto.
[12] Aimé, Histoire de li Normant, lib. IV, 5 e 6.
[13] Chron. Brev. Norm.
[14] Questo è quel Riccardo, che ebbe per moglie la contessa Emma (morta nel 1069), come dalla colonna (avanzo del tumulo di detta contessa), rinvenuta nella Cattedrale di Andria nel Gennaio del 1779, nello scoprire il pilastro, che sosteneva l’antico pergamo.
[15] In quest’anno avvenne l’umiliazione di Enrico IV a Canossa, ai Piedi di Papa Gregorio VII. (Ildebrando).

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Ed ora fermiamoci ai Normanni, che furon Conti di Andria, a cominciare da Pietrone fino a Ruggiero, che fu l’ultimo ed il più illustre di tutti.
Essi furono Pietro I o Pietrone; Goffredo I e Pietro II, figli di lui; Riccardo I; Goffredo II; Riccardo II e Ruggiero.
Il Du Frenne [16] riporta ancora un terzo Goffredo, come ultimo conte normanno di Andria. Ma, quello, ha dovuto essere evidentemente un equivoco, giacché, quattro anni dopo la morte di Ruggiero, avvenuta nel 1190, il reame era già nelle mani di Arrigo di Hohenstaufer, figlio di Federico I Barbarossa di Svevia.
Dei primi tre Conti normanni, (Pietrone, Geffredo I e Pietro II, suoi figli), abbiam fatto già parola. Del conte Riccardo I si ha notizia in un istrumento in pergamena dell’anno 1094. conservato nell’Archivio della Cattedrale di Melfi, dal quale risulta che Ruggiero, Duca di Puglia, residente in Melfi, donava a quella Chiesa un podere suburbano, nel qual istrumento figura, come testimone, fra gli altri, il Conte Riccardo di Andria [17].
Ai tempi di questo Conte Riccardo cominciamo ad aver notizie precise del nostro Capitolo Cattedrale, in occasione della venuta in Andria, dei Preti di Trimoggia (piccolo villaggio, messo verso l’ovest, a circa due chilometri distante dalla città), sotto il Vescovado di Mons. Desidio [18].
In quel villaggio esisteva un’antica Chiesa, dedicata a S. Maria di Trimoggia. In questa Chiesa, sino all’undicesimo secolo, risiedeva un Collegio di Preti (con a capo un Sacerdote, che nomavasi Preposto) ai quali era affidata la cura delle anime, sotto la dipendenza e giurisdizione del Vescovo di Andria. A causa delle continue incursioni dei barbari, quei Preti chiesero ed ottennero dal Vescovo Desidio di trasferirsi in Andria, città allora popolosa e ben munita, per opera dei conti normanni, che la dominavano. Il Vescovo Desidio, a non pregiudicare i diritti del Capitolo Cattedrale, prima di accogliere in Andria quei Preti, ed aggregarli al Clero della città, volle stabilire delle condizioni e dei patti, facendo redigere un pubblico istrumento, nel quale, da una parte intervennero l’Arcidiacono della Cattedrale, certo Antonius, l’Arciprete Desiderius e tutti gli altri Sacerdoti e Diaconi, dei quali sventuratamente non si fanno i nomi, e dall’altra il Preposto Tarquinius, Raphael, Ioannis, Paulus, Ladislaus e gli altri Preti di S. Maria di Trimoggia [19].
Usciti da Trimoggia [20] quei Preti, il Villaggio venne distrutto, probabilmente da altri Normanni, che, dalla Basilicata, discendevano nelle nostre Contrade a rapinare [21].
La Chiesa però rimase in piedi, sotto la dipendenza dei medesimi Preti di Trimoggia, i quali stabilitisi in Andria, costruirono quasi una nuova Chiesa, che intitolarono al grande taumaturgo di Mira, S. Nicola.
Al Conte normanno Riccardo successe un secondo Goffredo, il quale, nel 1118, ottenne pure la Signoria di Barletta. Di questo Goffredo II si ha notizia nella storia di Bari del Petroni (Vol. I. Lib. I. Cap. IX, pag. 233-239), per una circostanza luttuosa, in cui si trovò impigliato il povero Arcivescovo di Bari, Mons. Risone.
In quell’epoca due fazioni dilaniavano Bari; l’una capitanata dall’Arcivescovo Risone e Grimaldo Guaragna, detto l’alfaranite; l’altra da Pietro di Giovinazzo, insinuato da suo cugino Argiro. I primi dicevano di sostenere gl’interessi della vedova Costanza, e del figlio di Boemondo, i secondi ne impugnavano il loro dominio. Accadde che Argiro, messosi in agguato presso la Chiesa del Beato Quirino (messa fra Canne e Barletta), donde sapeva che sarebbe passato detto Arcivescovo, nel ritorno da Canosa a Bari, proditoriamente l’uccise.
Mentre l’omicida davasi alla fuga, per divina Provvidenza, s’incontrò nelle schiere di Goffredo, Conte di Andria, dalle quali fu catturato e condotto a Barletta, ove, il dì seguente, fu impiccato.
Di questo Goffredo II si ha pure notizia per la lega fatta con Tan credi di Conversano, Grimaldo di Bari e Roberto di Capua, auspice il Papa Onorio II, contro Ruggiero II, Conte di Sicilia, il quale, pretendendo i diritti del defunto Duca Guglielmo, si fe’ incoronare Re, nel Na-tale del 1130, dall’antipapa Anacleto, che contendeva la Sede Pontificia ad Innocenzo II, (successo ad Onorio, morto a 14 Febbraio di quest’anno 1130).
Intanto Ruggiero, ottenuta la corona di Re nel 1132, mosse guerra al nostro Conte Goffredo, togliendogli gran parte delle terre di sua Signoria. Né valse a Goffredo ritentarne la prova, sperando nell’aiuto di Lotario Imperatore, che trovavasi allora in Roma, giacché, ritornato Lotario in Alemagna, Ruggiero, invelenito contro Goffredo e gli altri ribelli, nell’anno seguente 1133 ritornò in Puglia ed occupò Acquatella, Barletta (appartenente al nostro Goffredo), Corato, Minervino, Grottola ed altre terre. Fece diroccare le torri di Bari e di Trani; le mura di Bisceglie; distrusse Ascoli, divise Troia in varii casali; pose ferro e fuoco in tutta la regione pugliese, e mando cattivo in Sicilia il nostro Conte Goffredo [22].
Però, nel 1137, l’Imperatore Lotario, indotto da Innocenzo II, scese in Italia a fiaccare il potere di Ruggiero e, dopo aver soggiogato Abruzzi, a dì 8 Maggio di quel medesimo anno, entrò, con poderoso esercito, in Puglia, impossessandosi di Siponto e del Gargano, indi di Trani e Bari, finalmente di tutta la Puglia. Ma Ruggiero, concigliatosi col Papa Innocenzo II, riebbe poi quasi tutte le città pugliesi.
Ruggiero morì in Palermo nel Febbraio del 1154 [23].
Non sappiamo qual fine avesse fatto il nostro Conte Goffredo, cattivo in Sicilia. Di lui, che fu pure Signore di Monteverde, si ha anche notizia in un istrumento dell’anno 1145, conservato nell’Archivio della Chiesa di Nazaret in Barletta, dal quale risulta, che detto Conte Goffredo fece donazione di alcuni beni di Monteverde al Vescovo di quella città, chiamato Mario [24].
A Goffredo II, successe Riccardo II nella Contea d’Andria.
Questo Riccardo morì vittima di un perfido prete di Trani. Ed ecco in qual modo. Guglielmo I, detto il Malo, figlio del Re Ruggiero II, era salito sul trono di Sicilia, alla morte del padre. Roberto, Conte di Loritello, cugino di Guglielmo, erasi messo a capo della rivolta in Puglia, per rovesciare un tal Majone di Bari, malvagio consigliere di Guglielmo il Malo, e per indi togliere il dominio al medesimo Guglielmo. Appoggiato da Federico I Barbarossa, allora eletto Re d’Alemagna, e da Emanuello Comneno, Imperadore di Costantinopoli, non che da Papa Adriano IV, dai Pisani, e da gran parte dei Baroni fuoriusciti, Roberto di Loritello, nel 1155, riuscì a riavere il Principato di Capua, di cui n’era stato spogliato, e le terre del Contado di Montella, di Avellino, di Serino, di Atripalda e di altre città della Puglia. Contemporaneamente i Greci Bizantini, capitanati da Paleologo Cominato e Giovanni Ducas, s’impossessarono di Brindisi e di Bari, indi di Giovinazzo e di Trani. Andria e Barletta, sotto la Signoria del Conte Riccardo, si tennero invece fedeli al Re Guglielmo il Malo, disponendo di buon numero di fanti e cavalli. Mentre una parte di questo esercito, affrontava il nemico in Trani, Giovanni Ducas la pose in fuga, obbligandola a riparare nelle mura di Andria [25]. Il povero Conte Riccardo, non vedendosi più sicuro in Barletta, con buon numero di suoi militi, riprese la via di Andria. per mettersi in salvo. Lungo la via s’incontrò col Ducas, contro il quale attaccò virile combattimento. Era sul punto di riportarne la vittoria, quando un vile prete tranese gli lanciò con tale veemenza un sasso, da fratturargli una gamba, obbligandolo a cadere di sella. Sopraffatto dai suoi nemici, fu barbaramente trucidato [26], ed i suoi militi messi in fuga. Dopo tale disfatta Andria si dette ai vincitori.
Intanto, nell’anno seguente, 1156, Re Guglielmo, con forte esercito, calò in Sicilia, impadronendosi di Brindisi; indi, fatti prigionieri i Greci Capitani e parecchi Baroni ribelli, passò a Bari, distruggendo, in punizione, tutti i pubblici e privati edificii, ad eccezione delle Chiese. Strinse in Benevento il Papa Adriano, obbligandolo a dargli l’investitura del reame [27]. Morto, intanto, Re Guglielmo (7 Maggio 1166), suo figlio Guglielmo II, sotto la reggenza della Madre, Margherita di Novara, fe’ ritornare nel regno la pace, restituendo a tutti le terre tolte dal padre, concedendo vasti possedimenti alla Chiesa, favorendo tutti i suoi sudditi. Talchè il giovine Re fu chiamato Guglielmo il Buono, in antitesi del padre, che chiamavasi Guglielmo il Malo.
Frattanto, Federico Barbarossa d’Alemagna già combatteva in Lombardia, e distoglieva il Re Guglielmo dal sostenere le parti del Papa, allora Alessandro III (1159-1181). Il nostro Conte Ruggiero, succeduto nella Contea di Andria a Riccardo II, unitosi a Tancredi, Conte di Lecce, nel 1176, capitanò l’esercito appulo-siculo, tenendo fronte all’esercito del Barbarossa, condotto da un tal Cristiano, Arcivescovo di Magonza [28]. Ma il Barbarossa, a dì 29 maggio di quel medesimo anno (1176) a Legnano, ebbe tale una sconfitta, che tosto mandò suoi ambasciatori a Papa Alessandro, per ottenere la pace coi Longobardi e col Re Guglielmo.
Il nostro valoroso Conte Ruggiero di Andria, con Romualdo Guarna, Arcivescovo di Salerno, nel 1177, fu mandato a Venezia dal Re Guglielmo, per scortare sette Galee, inviate ad accompagnare il Pontefice, da Viesti del Gargano [29], per trattare, a nome del Re, coi legati dei Comuni Lombardi, col Papa e coll’Imperatore Barbarossa una equa conciliazione, che facesse scomparire i dissidii nella cristianità, e mettesse termine alle lotte nell’Italia settentrionale. Ed a Venezia fu conchiuso un trattato di pace, nel quale gran parte ebbe il nostro conte Ruggiero, il quale, tornato a Palermo coll’Arcivescovo Guarna, si ebbe grandi feste ed accoglienza dalla corte e dal Re Guglielmo. Dopo di che il valoroso Conte Ruggiero tornò in Andria, coronato d’allori.
In questo frattempo avvenne che Costanza, zia di Re Guglielmo, postuma figlia del Re Ruggiero, suo avo, nel 1186 andò sposa ad Arrigo VI di Svevia, figlio dell’Imperator Federico I Barbarossa. Tre anni dopo questo matrimonio, Re Guglielmo il Buono, moriva, nella giovine età di anni 36, senza lasciar prole [30]. Sicché Costanza rimaneva l’unica superstite dei legittimi discendenti del Normanno Re Ruggiero II, fondatore della monarchia di Sicilia e Puglia. Perché il Reame dei Normanni non cadesse nelle mani dell’Alemanno Arrigo Barbarossa, marito di Costanza, fu dato a Tancredi (figlio naturale del Duca Ruggiero). Ciò spiacque a molti Baroni ed Ufficiali della corona, e, sopra tutti, spiacque al nostro Conte Ruggiero di Andria, che era Gran Contestabile e Gran Giustiziere del defunto Re Guglielmo, e che ambiva, pur lui, a quella corona, passata sul capo di Tancredi nel 1190. Unitosi, perciò, ai nemici di Tancredi, prese a congiurare contro costui, ma ne riportò la peggio. Uscito dal castello di Ascoli di Puglia (dove erasi rifugiato) per venire ad un abboccamento col suo rivale, il Conte Normanno Riccardo della Cerra (cognato del Re Tancredi), da un gruppo di militi, messi in agguato, venne barbaramente decapitato [31].
Morto Ruggiero [32], Roberto di Calagio, suo figlio, per tre anni, si tenne chiuso nel fortilizio di S. Agata. Ma, finalmente, dovette pur soggiacere alla crudeltà di Re Tancredi, e seguì la sorte del disgraziato suo padre. Con Ruggiero, e col figlio Roberto si estinse la stirpe dei Conti Normanni di Andria, cominciata con Pietrone e terminata con Ruggiero.
Intanto, morto Tancredi, nell’anno 1193, a questi succedette nel Regno suo figlio Guglielmo III, sotto la tutela di sua madre Sibilla. Profittando di questo evento, Arrigo, figlio del Barbarossa, venne di Germania, in Italia, a vendicare i diritti di sua moglie Costanza, im-possessandosi della Puglia. Avuto nelle mani il giovinetto Guglielmo, lo fece evirare, inviandolo, con la madre Sibilla e con le sorelle, Albina e Mandonia, prigioniero in Germania. S’ impossessò pure di tutte le città della Puglia, trucidando molti Baroni e Prelati, a lui ribelli, tra i quali il Vescovo di Trani, che favoriva i feudatarii.
Così ebbe termine la dominazione Normanna, cui successe quella Sveva.
NOTE   
[16] Carlo Du Frenne, Annotazioni all’Alessiade di Anna Comneno, Lib. V. Indice genealogico.
[17] Il Durso dice [a pag. 49 della "Storia di Andria"] d’aver attinto da un processo, conservato nell’Archivio della R. Camera di Napoli, del 1065, che questo conte Riccardo concedeva ai frati Bantini di poter girare per i luoghi di loro dominio, e fabbricarvi anche Chiese. Il Durso però fa questo Riccardo secondogenito di Pietro I, o Petrone, cui dice assegnò Andria, riserbando Trani al Primogenito Pietro II.
[18] Questo Vescovo era ignoto all’Ughelli ed a quanti hanno riportata la Cronologia dei Vescovi di Andria.
[19] Dalle carte dell’Archivio Capitolare.
[20] Trimoggia par che rimonti ai tempi bassi. Di questo villaggio, come degli altri due, S. Pantaleo e Cicaglia, messi pure nel contado di Andria, si hanno notizie in un antico documento del 843, conservato nell’Archivio della Metropolitana di Trani, riprodotto dal Prologo (Le carte che si conservano nell’Archivio del Capitolo Metropolitano della città di Trani, docum. 2, pag. 24). In esso si parla di una donazione, fatta nel 843 alla Chiesa di S. Maria di Trimoggia, da un tal Lazzaro, figlio di Adriano da Trimoggia (Adrian de Tremodie), e di un’altra donazione, fatta nel medesimo anno al Diacono Arrioaldo, Rettore della Chiesa in S. Pantaleone, consistente in una vigna, messa in contrada Arene, e propriamente quella che avea da poco comprata da un certo Giovanni, figlio di Anselmo de Cicalio, per suffragare l’anima di suo figlio defunto dotti hioannis.
[21] A poca distanza da Trimoggia si vede un profondo e largo burrone, o fossato, detto presentemente Gurgo. Non sappiamo se quel vasto cavo faceva parte di detto villaggio, e se la sua ruina debba attribuirsi alla mano dell’uomo, o all’opera della natura. Vi sono alle falde di esso alcune grotte, in una delle quali si manteneva il culto all’Arcangelo S. Michele, del quale si vedono gli avanzi di un antico affresco; ciò che farebbe credere fosse un dì appartenuto al Villaggio poscia distrutto. Ma più probabilmente quel vasto cavo ha dovuto esser stato prodotto da qualche forte terremoto, o dallo scolo delle piene di torrenziali piogge, discendenti dai vicini monti delle Murgie. E ciò spiegherebbe il none di Gurgo (ossia gorgo) dato a quel vasto fossato, a causa delle piene, che, fiottando coi profondi ed indomabili gorghi, abbian dato il nome a quel sito, al dir di Dante: o per tremuoto o per sostegno manco (Inferno canto 12). Potrebbe pure darsi che il nome, gurgo, venga dalla antica famiglia Gurgo, una volta esistita in Andria.
[22] Vedi Alexan: Telesin: De rebus gest. Rogerii: Sicil. Reg., Lib. II, caput XVIII; XXI; XXXIII; XXXIV a LII. (questo autore fu contemporaneo di Ruggiero).
[23] Capecelatro, Istoria di Napoli, Vol. I, Lib. I.
[24] Durso: Storia d’Andria, pag. 58.
[25] loannes Cinnami: Hist. Lib. IV n. IV; His. Bizant. Scriptor., Tom. XI.
[26] Ioannes Cinnami: Hist. loc. cit.
[27] Capecelatro: Istoria di Napoli, Tom. I. Cap. II.; Giannone, Hist. Civ. Tom. III, Lib. XII § I e II; Romualdi Salernitano, Chron.
[28] Capecelatro: ibidem, Lib. III, pag. 16.
[29] Romualdo Salernitano, Cronaca; Capecelatro, Istor. di Nap., Tom. I, Lib. III.
[30] Riccardo da S. Germano, ad ann. 1190, Chron.
[31] Ricc. da S. Germano, ibidem; Muratori, Ann. d’Ital. anno 1190; Giannone, Vol. II. lib. XIV, pag. 312.
[32] Fu Ruggiero di fortezze gigantesche, come dice Pietro d’Eboli: ille gigas (Pietro d’Eboli, adversa et diversa etc.)

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Ai Conti Normanni la nostra città ed il nostro Capitolo devono il loro lustro e la loro rinomanza. Difatti, ad essi devesi la fortificazione e l’ingrandimento della nostra città, come abbiamo dimostrato innanzi; ai medesimi devesi la costruzione della nostra primitiva Chiesa, sovrapposta all’antica Cripta, come lo stile gotico e barbara ce lo dimostra; ai medesimi conti normanni devesi la costruzione del campanile del Duomo, opera insigne d’arte. Fu Riccardo I, conte normanno, che, circa l’anno 1069, ingrandì l’antica Chiesa, aggiungendovi le navate, Difatti, nel togliere l’intonico dal pilastro, su cui poggiava la bigongia (nel 1779), fu scoperta una colonna di marmo, che faceva parte del tumulo, ivi eretto alla Contessa Emma, figlia di Gottifredo, Conte di Conversano, e moglie di Riccardo I, conte di Andria. Su quella colonna si osservava una croce e si vedevano incisi i seguenti esametri:
«Non timet ærumna, talem sibi Virgo columnam
Fabricat in cælis, gaude Comitissa fidelis
Vir tibi Richardus, tu Conjux nobis Emma
Ille velut Nardus, tu sicut splendida Gemma»
Con l’indizione dell’anno 1069 [33].
Ai tempi dei Normanni fu pure costruita la meravigliosa campana, detta della Madonna, la quale, prima che fosse stata rifusa ed ingrandita (nel 1400), portava la seguente iscrizione: Mentem Sanctam, spontaneam, honorem Deo, ac Virgini, et patriæ liberationem: Pantaleon fecit: Anno Domini MCXI [34].
Ai Conti Normanni devesi pure la primitiva Chiesa di Porta Santa in Andria; il palazzo Ducale (oggi proprietà dei Signori Conti Spagnoletti - Zeuli) e quel Palazzo, messo a piedi della strada, detta il Pendio, di cui si ammira il magnifico portone d’entrata, una volta proprietà del Capitolo Cattedrale.
E, non solamente della Chiesa, ma anche del nostro Capitolo si hanno pure notizie precise dall’epoca dei Normanni, e propriamente nell’anno 1104, ai tempi del Conte Riccardo e del Vescovo Desidio, di cui abbiamo già fatto parola innanzi, a proposito del trasferimento dei Preti di Trimoggia nella Chiesa di S. Nicola in Andria.
In questa occasione fu redatto un pubblico istrumento, nel quale intervennero tutti i componenti il nostro Capitolo Cattedrale di allora, i rappresentanti della città, e tutti i Preti di Trimoggia. In quell’istrumento si fa menzione di tutti i patti e condizioni, circa i rispettivi di-ritti degl’intervenuti, e van segnati i nomi, da noi già riportati innanzi, dei capitolari che sottoscrissero quell’istrumento, del quale, per brevità, qui ne omettiamo il contenuto, dovendone poi parlare in seguito, a proposito delle varie e secolari cause, suscitate fra i due sopradetti Capitoli.
Quel documento va sotto il titolo: Concessio Episcopi Desidii anno 1104 facta ad favorem Præsbiterorum S. Mariæ de Trimoggia pro translatione Ecclesiæ S. Nicolai Pontificis, cum onere solvendi denarios octo Sedi Episcopali quolibet anno, in gratiam susceptorum, et agnoscendi in primariam Ecclesiam Cathedralem, eique præstandi obedientiam, titulum et obsequium etc.
Un altro documento, pure dell’epoca dei Normanni, ci parla di una prima controversia insorta fra i Preti di Trimoggia, già stabilitisi in Andria, ed il nostro Capitolo, sotto il Vescovado di Mons, Ilderico, del 1126. Esso consiste in un mandato di detto Vescovo Ilderico, il quale fa severo rimprovero ai Preti di Trimoggia, per esser venuti meno ai patti ed alle condizioni, stabilite nel precedente istrumento del 1104 (sotto il Vescovo Desidio), usurpando, quei Preti, alcuni diritti della Cattedrale, nell’aver amministrato il Sacramento della estrema unzione, e nell’aver dato sepoltura, nella lor Chiesa, ad un tal Feliciano. Per cui il Vescovo Ilderico, informato dall’Arcidiacono della Cattedrale, Lambertus, e dall’Arciprete, Riccardus, notificò il detto mandato, con minacce di pene pecuniarie e di censure canoniche, contro quei Preti tragressori [35]. Ecco il mandato:
«Ego Ildericus Dei gratia Epus civitatis Andriæ mando Præposito, coeterisque Præsbyteris et Diaconibus prædictæ Ecclesiæ S. Nicolai, ne audeant in futurum, aut quilibet eorum præsumat aliquid innovare, innovarique, administrarique, et seppelire facere contra formam, et figuram prædictæ concessionis, sed liberum si Præposito, et coeteris communem Animarum Curam in Fonte Baptismali habere, potestatemque baptizandi, et recipiendi Clericos pro permanentia ejusdem Ecclesiæ, pulsandique campanas, tam in Divinis, coeterisque festivitatibus, antequam sonent in prædicta nostra Episcopali Ecclesia, quam pro mortuis ad eorum lares accedere, ipsosque in eorum Coemeteriis sepellire, Crucem, Ceroferarios, et Turibulum portare, eisdemque Sacra Chrisma sive alicujus muneris requisitione concedatur; idque sub poena mille obulorum, et excommunicationis Domino Nostro Honorio respective mandamus, dictamque Nostram Ecclesiam primariam esse agnoscant, eidem obedientiam, titulum, et obsequium præstent. Quæ omnia fuerunt notificata Præposito et coeteris dictæ Ecclesiæ, qui nihil de præmissis et contra præmissa prætendere dixerunt. Sed præscriptum mandatum, observare omni futuro tempore promiserunt. quod in firmum, stabilemque permanere habeat, et debeat;
- Tabellioni notandum commissi mea personaturaque manu subscriptum anno Incarnationis Dominicae 1126, mense Septembris secundum Andriam Indictione quarta. In cujus rei monumentum Ego Tabularius Herminius
- Filiosto Andrien: præsens documentum exaravi, testesque mea manu subscripsi in præsentia dd. Episcopi et personatum, ac D. Albutii Iudicis.»

Ego Ildericus Dei gratia Episcopus hoc signo subscripsi
Ego Lambertus Archi – firmo
Ego Richardus Archi presbyter – sudscripsi
Ego Tarquinius Præpositus accepto scripta et firmo
Ladislaus Præsbyter probat, acceptatque mandata
Albutius Iudex Andriæ
Ego Rogerius testis sum
Ego Roderigus, testis
Ego Feudolus Testis

- Adest signum pendens ex Bergameno.

Questi due documenti valgono ancora a riconfermare la nostra opinione che, cioè, all’epoca dei Normanni, Andria era già una città ben costituita, dove affluivano gli abitanti dei circonvicini villaggi, per mettersi al sicuro dalle invasioni dei barbari; e che la sede vescovile trovavasi già istituita in quell’epoca, e che il nostro Capitolo era in pieno vigore, avendo il suo Arcidiacono, il suo Arciprete ed un gran numero di Capitolari.
NOTE   
[33] Il Durso, nella sua Storia di Andria (pag. 50) scrive che «la suddetta colonna venne strappata da quell’antico sito e si lasciò negletta in chiesa, e propriamente sul pavimento al di sotto della Cantoria», ma poscia fu fatta trasportare nel palazzo Ducale per farla esaminare dall’arcivescovo di Nazaret, Mons. Mastrilli, uomo versatissimo nella numismatica ed archeologia, il quale, venuto a visitare il nostro Duca Carafa, si compiacque esaminare quella colonna, confermando, che essa apparteneva all’epoca dei Normanni, e si riferiva al conte Riccardo.
la lapide fotografata nel 1971 nella tenuta Spagnoletti di S. Domenico
[la lapide oggi in Cattedrale, fotografata nel 1971 nella tenuta [ducale] S.Domenico degli Spagnoletti;
foto Dino Di Leo, dalla sua tesi di laurea sulle origini di Andria]
[34] Il Durso (nella sua Storia d’Andria, pag. 55) dice che questa Campana fosse stata costruita per un voto fatto alla Vergine, dopo aver liberata la città di Andria «da un maligno aereo influsso, il quale faceva strage alla rinfusa su ogni ceto di persone, e specialmente sulle donne incinte. Al dire del medesimo Durso, questo Capitolo Cattedrale riscuoteva ducati sei all’anno dal Comune, che servivano per l’uso di una veste di grosso sajo, che ad essa compana si adattava in tempo di verno e per difenderla dalle nevi e dai geli, e per significarle un rispetto.»
[35] Le prime battaglie (delle quali ne tesseremo la dolorosa istoria nel corso di quest’opera) fra il nostro Capitolo Cattedrale e la Collegiata Insigne di S. Nicola cominciarono sin dal 1126, cioè dopo 22 anni dalla istallazione della Collegiata da Trimoggia in Andria.

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Ma la critica, vedendo spuntarsi le sue armi di fronte a questi irrefragabili documenti, ricorre al solito argomento, del tutto negare e tutto dichiarare apocrifo. Ed apocrifi furono detti i due summenzionati documenti dei Vescovi Desidio ed Ilderico (del 1124 e 1126), dai moderni zelanti, seguaci della critica storica. Ma, a loro confusione, sta il fatto, che, nel 1328, fu stipulata una concordia fra il nostro Capitolo e quello di S. Nicola, per notar Nicolaus De Notorio (eodem titulo Notarius), nella quale, auspice il Vescovo Mons, Domenico Egidio, si convenne, di chiamare il Capitolo Collegiale di S. Nicola a coadiuvare la Cattedrale, nell’esercizio della Cura delle anime, atteso il numero eccessivo degli abitanti (contava allora Andria 25 mila anime, come rilevasi dal detto istrumento). Ora, in questo istrumento di concordia, si fa appunto menzione dei due documenti suddetti (quello del 1104 del Vescovo Desidio, e l’altro del 1126 del Vescovo Ilderico). Dunque non furono ritenuti apocrifi quei due documenti nel 1328!
Ma i zelanti della critica storica, col solito sistema di voler tutto demolire, quando vogliono sostenere le proprie opinioni, hanno dichiarato anche apocrifo quest’istrumento di concordia del 1328. E noi non mancheremo anche qui di sbugiardarli, presentando un altro documento del 1446, il quale richiama quello del 1327, e quelli del 1104 e del 1126! … Esso fu redatto dal Notar Franciscus Caputi De Civitate Andriæ a dì 21 Agosto 1446, auspici il Vescovo Mons. Dondei e Francesco II Del Balzo, Duca di Andria in quel tempo. Questo documento riflette una nuova concordia, stipulata fra il Capitolo della Cattedrale e la Collegiata di S. Nicola, per nuove liti insorte in riguardo alla Coadiutoria, che la Collegiata di S. Nicola esercitava cum plenitudine juris, contrariamente a quello che erasi stabilito nel 1328. Questo documento vien riportato nel libro delle cause sostenute fra i detti Capitoli presso i Tribunali ecclesiastici di Roma ed i tribunali civili di Napoli [36]. Sarà apocrifo pure questo documento del 1446? … Ed allora chiameremo in sussidio l’altro successivo del 1631, (redatto per le rinnovate liti fra i due Capitoli suddetti), il quale si riferisce ai precedenti documenti del 1446, del 1328, del 1126 e del 1104. Che, se questo sapesse pure di apocrifomania, per i zelanti della critica storica, riporteremo allora tutte le sentenze dei suaccennati tribunali, emesse nelle successive ed innumerevoli cause, che furon sostenute, lungo il corso di sette secoli, dai due Capitoli, nelle quali, scalarmente, da secolo in secolo, si fa menzione dei suddetti documenti, i quali metton capo a quello del 1104.
Ma sonovi ancora argomenti di tal natura, innanzi a cui la critica storica deve assolutamente cedere le armi, e riconoscere l’autenticità di quei documenti, specialmente di quello del 1328, che, unitamente all’altro del 1126, disgraziatamente andò perduto nelle fiamme dell’incendio, che distrusse il nostro archivio nel 1799. Che questo documento esisteva nel nostro archivio, ne fan fede parecchi Vescovi, precedenti all’epoca dell’incendio del 1799. Così Mons. Gian Paolo Torti (1718 - 1723), in una relazione al S. Concilio: Iuste per Cathedralem prætenditur ut ipsius Curæ exercitium penes ipsam solam Cathedralem restringatur, ut erat prius, stante diminutione numeri animarum quo civitas Andrien constabat tempore concessionis dictæ Collegiatæ in anno 1328 [37], ut ex instrumento in Archivio hujus Cathedralis existente, patet vigore pacti appositi in dicto instrumento [38].
Ciò conferma il successore Mons. Pietro Paolo Torti (1724 - 1726) nella visita ad sacra limina, ove dice, che Andria, nel 1328, contava 24 mila anime, come risulta, dallo istrumento di concordia di quel medesimo anno [39].
Il Vescovo De Anellis (1743 – 1756), nella causa che si agitava fra i detti Capitoli, citò i Preti della Collegiata di S. Nicola, a prendere cognizione di quell’ istrumento del 1328, che diceva conservarsi nell’Archivio della Cattedrale. Ma, resisi contumaci i Niccolini, il Vescovo De Anellis, in presenza di tre pubblici notai, i Magnifici Sebastiano Cristiano, Giov. Lorenzo Topputi e Francesco Marziani, lo fe’ estrarre dall’Archivio, per trasmetterlo alla S. Congregazione del Concilio in Roma [40], attestando che quell’istrumento ob temporis antiquitatem difficile, imo impossibile esse certas Cellulas minime scriptas, sed solum signatas legere ac intelligere [41]. Però, trasmesso alla S. Congregazione quel documento, dopo un diligente ed accurato studio di esso, il Capitolo di S. Nicola fu condannato all’osservanza di quanto in quell’ istrumento del 1328 era prescritto [42].
E ciò prova l’esistenza di quel documento e la sua autenticità, che, per altro, richiama i due precedenti (quello del 1126 e l’altro del 1104) [43], dai quali risulta, in conseguenza, che, ai tempi dei Normanni, già esisteva il nostro Capitolo, e che la Sede vescovile non è istituzione posteriore al secolo decimosecondo, come i Bollandisti, e tutti i loro seguaci, vanno asserendo. E questo fia suggel ch’ogni uomo sganni!
NOTE   
[36] Archivio capitolare, Libro delle cause del 1763, pag. 5-8.
[37] La Cattedrale, nel 1720, volle richiamare la concessione, fatta alla Collegiata di S. Nicola, della Coadiutoria, perché il numero delle anime, che, nel tempo di detta concessione (nel 1328), era di 25 mila, nel 1720 erasi ridotto a poco più di undeci mila.
[38] Archivio capitolare: libro citato.
[39] Loc. cit.
[40] Archivio capitolare, loc. cit.
[41] Loc. cit.
[42] Archivio capitolare, loc. cit.
[43] Ciò prova che il documento del 1104 non è apocrifo, come si è sognato asserire qualche scrittore moderno.

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.IV, pagg.87-100]