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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I
di Michele Agresti (1852-1916)
Capo XII
(anni 1632-1691)
Dietro il trasloco di Mons. Strozzi, dal medesimo Papa Urbano VIII, a dì 25 aprile del 1632, veniva preconizzato Vescovo di Andria
Fra Felice Franceschini di Cassia, Ministro Generale dei Minori Conventuali. Fu Mons. Franceschini uomo di santa vita e di singolare dottrina.
Nel medesimo anno di sua venuta in Andria, una nuova e più strepitosa contesa si accese fra il Capitolo della Cattedrale e la Collegiata
di S. Nicola, per riguardo all’assistenza al Vescovo, quando funziona fuori della Cattedrale; se possa, cioè,
essere assistito da altri Ecclesiastici, che non siano i Cattedralisti.
Essendo andato il Vescovo Franceschini a funzionare nella Chiesa di S. Nicola, i Preti di quella Collegiata vollero essi assistere il Vescovo,
non consentendo che v’intervenissero i Preti della Cattedrale, coi quali erano in continue liti. I Cattedralisti, conoscendo
che simile vertenza erasi agitata fra la Cattedrale Tolesina e la Collegiata di S. Martino. di quella medesima diocesi,
e che già la S. Congregazione dei Riti, con decreto del 20 luglio 1630
[1],
aveva definita tale controversia a favore della Cattedrale,
domandarono alla medesima S. Congregazione l’applicazione di quel medesimo decreto per la Chiesa di Andria. E la S. Congregazione,
con Rescritto del 15 Dicembre 1632, or-dinava quanto siegue:
Congregatio censuit, omnes functiones, quæ fiunt per Episcopum sive in Collegiata S. Nicolai et aliis Ecclesiis ejusdem Civitatis,
esse faciendas cum assistentia Canonicorum Cathedralis, et non aliorum, et ita servari mandavit hac die XV X.bris 1632
[2].
C. E.pus Patritius Cardin. Præfectus. Julius Rospiliosius Secretarius.
Dolenti i Niccolini di questo decreto della S. Congregazione dei Riti, che toglieva ad essi la facoltà di poter assistere il Vescovo,
quando funzionava nella loro Chiesa, ripresero, con più ardore, le altre liti, che già si agitavano nei tribunali di Roma e di Napoli, circa i diritti parrocchiali
[3].
La buona e pia Duchessa donna Emilia Carata, moglie di Fabrizio III, e madre del Duca d’allora Carlo Carafa, dolente di tanto scandalo,
che davano alla città i due Capitoli, con le continue contese, che portavano, per conseguenza, anche gravi dispendii
e rancori fra i rispettivi partigiani, volle interporre l’opera sua pacificatrice.
Profittando della residenza in Andria dell’ottimo Cappuccino, Padre Mattia da Napoli, il quale predicava, con gran frutto,
la quaresima di quell’anno nella Chiesa di S. Nicola, affidò a lui l’onorevole incarico di metter pace fra i due Capitoli contendenti,
auspice la medesima Duchessa. Il buon Padre, presi gli opportuni accordi col Vescovo Franceschini, tanto seppe insinuarsi
nell’animo dei contendenti, che gl’indusse a formulare un pubblico istrumento di Concordia, rogato dal Notar Francesco Giacomo Petusi,
in data 21 aprile 1634, in virtù del quale si conveniva, da ambo le parti: di rimettere ogni vertenza nelle mani della Duchessa
e del detto P. Mattia, dichiarandoli
arbitri assoluti nello stabilire tutte quelle condizioni, che credessero opportune
ed efficaci a troncare ogni ulteriore controversia; ben convinti, che quelle controversie erano occasione di scandalo al popolo
e di rancori tra i cittadini; promettendo, per l’avvenire, di vivere sempre nella pace e nella concordia, qual si conviene
ad ecclesiastici e ministri del Santuario,
cum non conveniat discordias adesse inter fratres et in Sacris constitutos
[4].
In virtù di tale arbitrato, la pia Duchessa ed il P. Mattia, unitamente al Vescovo Franceschini, stabilirono le seguenti condizioni di concordia:
-
che il Capitolo di S. Nicola potesse seppellire tutti quelli che morivano ab intestato, usque ad quintam generationem inclusive;
che avessero, però, la sepoltura in detta Chiesa, cominciando dal Fondatore per linea retta; obbligandosi il Capitolo
di S. Nicola di dar nota dei sepolcri esistenti nella loro Chiesa;
-
che il Capitolo di S. Nicola, nell’associare i cadaveri, potesse inalberare la Croce della Confraternita del Santissimo,
esistente in detta Chiesa, ed associare i cadaveri dei confratelli e consorelle seppelliendi in detta Chiesa tantum;
-
che, per riguardo all’amministrazione del Santo Viatico nil innovatur di ciò che fu precedentemente stabilito fra i due Capitoli
-
che, per riguardo ai bollettini e cartelle delle confessioni
[5],
restava autorizzato a poterli dispensare anche il Capitolo di S. Nicola; però, nei soli giorni, in cui era stato solito dispensarli;
-
che, intervenendo anche i Preti della Cattedrale con quelli di S. Nicola, ad associare i cadaveri, ai Niccolini appartenenti,
i Cattedralisti dovessero prendere eguale porzione dei Niccolini, dedotta però la quarta funeraria pel Vescovo;
-
che i Preti di S. Nicola potessero assistere il Vescovo, quando si recasse a celebrare od a funzionare nella Chiesa di S. Nicola
[6];
-
che il Capitolo della Cattedrale mantenesse tutte le prerogative, come per lo passato, e che i Preti di S. Nicola pagassero
alla Cattedrale li 16 cavalli per ciascun morto, secondo il solito, in attestato della Matricità;
-
che si rinunziasse a tutte le liti pendenti, sia civili che ecclesiastiche, sia criminali che miste
[7].
Questa sentenza arbitrale fu pienamente accolta dai due Capitoli contendenti, i quali fecero redigere un pubblico istrumento,
pel medesimo Notar Petusi, a dì 31 ottobre del 1634, nel quale, dopo i più sentiti ringraziamenti agli Illustri e Benemeriti Arbitri
(la Duchessa Carafa ed il P. Mattia da Napoli), i due Capitoli si obbligavano reciprocamente ad una penale di ducati cinquecento,
per chi avesse contravvenuto a qualunque articolo di quella sentenza arbitrale.
Dopo tale concordia, così bene auspicata dalla Duchessa Carafa, dal Vescovo Franceschini e dal benemerito P. Mattia, e così bene accolta
dai due Capitoli contendenti e dall’intiera cittadinanza, pareva che la pace dovesse regnare eterna e sincera fra i due Capitoli.
Vana speranza! Non passarono che tre anni appena, e nel 1637, una nuova e più fiera lite si accese fra i Niccolini ed i Cattedralisti,
per aver quelli, abusivamente e contro le convenzioni stabilite, tumulato nella loro Chiesa il cadavere dell’Arciprete di Cerignola
(morto in Andria), del quale il Capitolo della Cattedrale ne richiese la dovuta restituzione.
Di qui nuove liti, nuovi rancori, nuovi scandali.
Ci dispensiamo dal riprodurre queste nuove liti, dovendo pur troppo occuparci, in seguito, di altri e più accentuati dissidii fra questi due Capitoli rivali
[8].
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1]
Ecco il decreto, emanato per la Chiesa Tolesina, del quale conservasi copia autentica nell’Archivio capitolare:
Eminentissimo et R.mo D. Cardinali Gætano referenti controversiam inter Canonicos Cathedralis ed Canonicos Collegiatæ S. Martini,
videlicet quando Episcopus solemniter celebrat in dicta Collegiata, ad quos pertineat adsistentia Episcopo circa functiones
ecclesiasticas, Sacra Congregatio censuit omnes functiones quæ fiant per Episcopum sive in Cathedrali, sive in Collegiatis
suæ Dioecesis esse faciendas cum adsistentia Canonicorum Cathedralis, et non aliorum.
Et ita servari mandavit die 20 Iulii 1630. I. Rospiliosius Secretarius.
[2]
Nel 1732 nuove contese nacquero tra i Cattedralisti e i Nicolini su tale quistione; ed il Capitolo della Cattedrale,
con atto del Notar Menduni di Corato, esibì al Capitolo di S. Nicola copia legale di quel decreto.
Nel 1872, essendo Vescovo Mons. Galdi, nuovamente i Niccolini contrastarono quel dritto ai Cattedralisti, e questi,
con atto del 3 ottobre di detto anno, esibì a quelli nuova copia di quel decreto. Queste copie esistono nell’Archivio Capitolare.
[3]
Nel 1633, per Notar Bellapianta, fu stipulato un pubblico istrumento fra il Clero, Capitolo Cattedrale e tutti gli ordini religiosi
esistenti in Andria, nel quale si conveniva che, in virtù dei decreti già emanati dalla S. Congregazione dei Riti, tutti i Preti,
i Canonici delle Collegiate ed i Regolari, nell’associare i cadaveri dovessero procedere tutti sotto l’unica Croce della Cattedrale,
il di cui Parroco doveva sempre intervenire in quelle associazioni.
[4]
Dal
libro delle cause, Archivio Capitolare.
[5]
Questi
bollettini e cartelle delle confessioni si dispensavano per l’adempimento del precetto pasquale.
[6]
Questo articolo, però, era in opposizione al decreto della S. Congregazione dei Riti del 15 dicembre 1632, del quale abbiamo testé fatto menzione.
[7]
Queste condizioni portano le firme del Vescovo Franceschini, della Duchessa D. Emilia Carafa e del P. Mattia da Napoli, (vedi
libro delle cause: archivio capitolare).
[8]
Chi volesse averne cognizione, legga il
libro delle cause, depositato nell’Archivio Capitolare.
*
* *
Sotto il Vescovato di Mons. Franceschini furono introdotti in Andria i Religiosi di S. Giovanni di Dio, chiamati i Fatebene-fratelli.
Questi benemeriti Religiosi furono adibiti all’assistenza dello Spedale della Misericordia, ch’era messo accanto alla Chiesa di Porta Santa;
obbligandosi l’Università di Andria di corrisponder loro, annualmente, la somma di ducati quattrocento. Questi ottimi Religiosi
durarono in Andria sino al 1809, quando il Governo Napoleonico venne a strapparci tanti benemeriti religiosi, che formavano
la ricchezza morale e materiale della nostra città!
Mons. Franceschini morì nel 1641
[9].
Egli fu seppellito nella Cappella di S. Riccardo (messa nel Duomo), dove, ancor vivente,
vi avea fatto costruire il suo sepolcro, come si apprende dalla lapide, che lo ricorda.
FELIX FRANCESCHINUS
EPISCOPUS ANDRIENSIS
SEPULCRUM HOC SIBI VIVUS PRÆPARAVIT
ANNO MDCXXX
OBIIT DIE XII MENSIS IULII MDCXLI
Al Vescovo Franceschini successe Mons. Ascanio Cassiano di Monreale, Canonico di S. Giovanni Laterano in Roma, preconizzato da Papa Urbano VIII, a dì 19 Novembre 1641.
Mons. Casciano fu assai benemerito della nostra Chiesa e del nostro Capitolo. Egli aveva in mente di rifare il Duomo da nuovo,
ed avrebbe effettuato il suo pensiero, se non gli fossero venute meno le forze, avendo già speso oltre a diecimila ducati
per la costruzione del magnifico Coro, tutto di noce, che forma, tuttora, l’ammirazione universale. La costruzione del Coro
fu completata nel 165o, come rilevasi dalla iscrizione, messa a pié del lato sinistro di esso, di fronte alla porticina
in cornu Epistolæ, dove è segnato il nome del Vescovo Cassiano e l’anno 1650, in cui fu collaudato.
Autore di quel Coro fu il valoroso artefice Scipione Infante di Bagnoli, come rilevasi dalla iscrizione, messa a piè del lato opposto di esso Coro:
Magister Infante Scipio a Balineo (Bagnuoli)
in principato ultra faciebat. Fece ornare, anche a sue spese,
il Vescovo Cassiano, le pareti del Coro, con pregevoli dipinti, rappresentanti fatti biblici. Quanto al Duomo,
ne fece rifare tutta la prospettiva e l’atrio, che in origine era coperto
[10],
facendo demolire i brachettoni, che minacciavano rovina. Fe pure Mons. Cassiano ingrandire i finestroni,
per dare maggiore aria e luce alla Chiesa; e, a sue spese, ricostruì il Battisterio
[11].
Fu largo nella beneficenza, in quei tempi disastrosi, nei quali i popoli erano ammiseriti dalle infinite gabelle.
NOTE
[9]
Cappelletti, loc. cit.
[10]
Quest’atrio fu poi, in seguito, abbattuto; e poscia novellamente ricoperto, a spese del Vescovo Cosenza, come a suo tempo diremo.
[11]
Questo Battisterio fu poi rifatto a spese del medesimo Vescovo Cosenza.
*
* *
Era difatti, in quell’epoca, il nostro Reame sotto la dominazione spagnuola. Un malcontento regnava nei popoli, per la cupidigia
dei Viceré e dei Ministri. Filippo IV viveva nella Spagna e non conosceva i lamenti dei suoi vassalli del regno napolitano;
onde gravi tumulti proruppero nel reame, a causa delle numerose gabelle su ogni genere di commestibili.
A dì 11 febbraio del 1646 entrava Viceré in Napoli D. Rodrigo Pouz de Leon, Duca d’Arcos. Visto lo stato miserando
delle popolazioni, ad onta che il Reame trovavasi in grande bisogno di denaro, pure, anzicchè imporre nuovi balzelli,
erasi dato tutt’uomo alle economie e ad alleggerire i popoli dalle tante imposte precedenti. Ma, essendo il Reame di Napoli
minacciato da nuove invasioni di Francesi, fu giuocoforza imporre nuove tasse, e colpire di balzelli fino le frutta!
Indignato il popolo di questo balzello sulle frutta, che, specialmente nelle città del mezzogiorno, formano quasi
l’unico pasto della gente povera, nei mesi estivi, cominciò a tumultuare. Ne approfittò l’ardito giovane pesciaiuolo
Tommaso Aniello d’Amalfi, detto comunemente Masaniello, il quale si pose a capo di tutti i malcontenti,
per promuovere una rivolta nel Reame di Napoli.
Avvenne che, nel Luglio del 1647, un contadino di Pozzuoli, costretto a pagare la gabella d’entrata in Napoli d’un cesto di fichi freschi,
ostinatamente vi si rifiutò; e, preso dall’ira, versò per terra quel cesto di fichi, calpestandoli maledettamente sulla pubblica via!
Fu questa la scintilla, che destò la gran fiamma della rivoluzione, la quale scoppiò in Napoli, furibonda, feroce, sotto il comando
del famoso pesciaiuolo Masaniello! … In un istante l’incendio si propagò per la città, spargendo in tutti il terrore.
La plebe, ringalluzzita dalla fuga del Viceré (il quale, per salvarsi la pelle, scappava, gettando, lungo il percorso delle strade di Napoli,
denaro a piene mani), si scatenò contro la nobiltà! Quindi si dette ad incendiare palaggi, ad imprigionare nobili, molti pur trucidando!
Il pesciaiuolo Masaniello era diventato il Re di Napoli! …
Quella rivolta, in un baleno, si propagò per tutte le città del Reame, dove era comune il malcontento. Quindi tumulti, stragi, delitti da per tutto.
La plebe, poi, non ebbe più limiti nell’insorgere contro i nobili ed i ricchi.
Andria non restò estranea a quella plebea rivoluzione.
Il Duca d’allora, Carlo Carafa, tenne fronte ai rivoltosi; e, dopo d’aver quivi sedata la rivolta, con buon nerbo di fanti, e con 700 cavalli,
dové correre a Napoli, a difesa dello Stato
[12],
dove il Re Filippo IV, dalla Spagna, aveva inviato suo figlio D. Giovanni d’Austria, con poderosa armata,
a sedare quella rivolta. Però non gli fu troppo facile la buona riuscita, avendo i ribelli opposta energica e dura resistenza; avendo avuto perfino
il coraggio di abbattere le insegne reali, e di calpestare, sulle pubbliche vie di Napoli, i ritratti del Re Filippo!
Proclamata quindi la Repubblica, fu chiamato da Roma a reggerla Enrico di Lorena, Duca di Guisa.
Ma il valoroso D. Giovanni d’Austria, profittando del ritiro del viceré (il Duca d’Arcos), con buone maniere seppe manodurre i Napoletani,
coadiuvato dal Conte d’Ognatte, al quale affidò il comando ed il governo della Capitale, che mantenne sino al 1653,
nel qual anno fu sostituito dal Viceré Garzia d’Avellano e d’Haro, Conte di Castrillo.
Però questi avvenimenti furono di grande lezione ai regnanti, per far loro comprendere che
le pecore s’han da tosare, ma non strappar loro la pelle di dosso! …
Dopo gli avvenimenti di Napoli, il Duca Carlo Carafa facea ritorno in Andria, dove, nell’anno 1652, vi moriva, nella verde età di 33 anni,
lasciando un figlio di anni 12, per nome Fabrizio (che fu IV di tal nome), sotto il baliato della madre D. Costanza Orsini, dei Principi di Gravina.
NOTE
[12]
Giulio Petroni,
Storia di Bari, lib. III, Cap. II.
*
* *
Ai luttuosi avvenimenti di Napoli, ed alla miseria, che sovrana dominava in tutto il Reame, dopo pochi anni scoppiava la peste.
Nel luglio del 1656 un vascello di soldatesche spagnuole, dalla Sardegna, ove quel morbo mieteva vittime, sbarcò a Napoli.
Bastò che un soldato avesse messo piede in quella città, perché, in un baleno, il morbo si diffondesse in tutti i rioni di Napoli,
e, di là, in tutte le città del vicereame, dove i fuggiaschi napoletani si riparavano.
Andria non andò esente da quel terribile flagello, e più di 14 mila cittadini pagarono il tributo alla peste! Fra questi vi furono
47 Sacerdoti della nostra Cattedrale
[13].
Chiunque era colpito da quel morbo vi periva. Esso serpiva nel corpo dei colpiti come un umore maligno, producendo in taluni dei tumori,
in tal’altri delle chiazze nerognole sulla cute, risolvendosi in una larga effusione di sangue per le narici, per cui, i colpiti,
dando in un forte starnuto, cadevano esanimi per terra
[14].
Ecco come vengono descritti i sintomi di questa terribile peste del 1656 nelle annotazioni
ad Pragmat: I. De officio Deput. pro sanitate tuenda. Tit: CLXXXI, Vol. III:
«Ejus morbi signa varia fuere, quin Medici pestilentiam non iudicaverint. Mors repentina, quæ mortales subito occupabat febris acuta;
eaque immitis, per corpora noxales tumores eijciens, vel per cutem ferales excessus: maximis cum cruciatibus. Atræ urinæ, madentesque,
quique iutrorsus serperet humor, corpora tingeret. Denique exitialis per nares sanguinis effusio, quæ animas foras projicere videretur.»
Atteso il gran numero degli appestati, l’Università di Andria, pensò adibire a lazzaretto una gran sala, adiacente alla Chiesa
di S. Maria V’etere dei PP. Osservanti. Fece pure costruire una provvisoria palazzina sullo spiazzo, dove fu poi costruito
il Convento dei Carmelitani, oggi Seminario Diocesano. Però quei due locali erano insufficienti alla bisogna, stante il gran numero
degli appestati; per cui molti morivano nelle proprie case, propagandosi sempre più il contagio di quel morbo. Ond’è che, a limitarlo,
venivano date alle fiamme masserizie, suppellettili, libri, interi Archivii. È, perciò, che tante memorie e preziosi cimeli andarono distrutti! …
Non riuscendo i soccorsi dell’arte salutare ed i mezzi umani, a far cessare quel terribile flagello, si fe ricorso all’intercessione
dei Santi, per placare l’ira di Dio. Il vescovo, Mons. Cassiano, unitosi al Clero ed alla Università di Andria, indisse
pubbliche preghiere e tridui di penitenza, interponendo la mediazione del glorioso Protettore S. Riccardo, e del non meno glorioso
martire S. Sebastiano, i quali, in simili flagelli, aveano dato prova del loro efficace patrocinio.
Correva il mese di gennaio, nel quale si celebra la festività di S. Sebastiano, ed il male più infieriva. Il Vescovo Cassiano, il Clero,
l’Università, tutta la cittadinanza, ogni giorno, vi accorreva alla novena del Santo, supplicandolo, con le lacrime agli occhi,
con sensi di vera compunzione, a liberare la città da quel morbo letale. Ed il Santo non fu sordo a quelle preghiere.
Il dì 19 gennaio, vigilia della festività di San Sebastiano, quasi per incanto cessava la peste in Andria, mentre che nelle città circonvicine più infieriva!
[15].
Un solenne triduo di ringraziamento fu celebrato nella Chiesa di S. Sebastiano, e la Università di Andria, interpretando
i sentimenti di tutta la cittadinanza, rinnovò e riconfermò l’antico voto, cioè, di offrire a questa Chiesa Cattedrale
libre dieci di cera all’anno, e di
digiunare la vigilia della festività del Santo. Questa obbligazione, dice lo storico Durso,
si è mantenuta fedelmente dai nostri maggiori, annunziandosi nell’antivigilia di ogni anno con banditori
per la città l’arrivo di un giorno tanto segnalato, cioè il 19 Gennaio
[16].
Il medesimo storico Durso dice, che l’offerta delle dieci libbre di cera al nostro Capitolo si era praticata sino ai suoi tempi;
e che, a quell’obbligo il Municipio venne meno con la morte dell’
ornatissimo Medico D. Giuseppe Giunone. Al presente dice il Durso
(cioè nel 1842, epoca della pubblicazione della sua Storia)
dal comune si offre al Capitolo della Cattedrale, per quel voto, una torcia di due libbre
[17].
Cessata la peste, dopo pochi mesi da quel flagello, a dì 12 Luglio di quel medesimo anno 1657, Mons. Ascanio Cassiano, carico di meriti e di virtù,
passava agli eterni riposi, lasciando di se imperitura memoria. La sua salma, fra il compianto della intera cittadinanza,
fu tumulata nella Cappella S. Riccardo, messa nel nostro Duomo, dove si legge la seguente epigrafe:
ASCANIUS CASSIANUS MONTE REGALI
EPISCOPUS ANDRIENSIS
OBIIT XII JULII MDCLVII
NOTE
[13]
D’Urso,
Storia d’Andria, pag. 149.
[14]
Da ciò pare che siasi introdotto l’usanza di augurare
felicità a chi fosse preso dallo starnuto.
Ora quella usanza va quasi abolendosi, per le sopraggiunte regole della
nuova buona creanza, e della moderna
civiltà!
[15]
Taluni, forse, oggi rideranno. e non presteranno fede alla nostra narrazione, che mena alla credenza del miracolo!
Facciano pure il loro comodo. Noi crediamo al miracolo, come ci credettero i nostri antenati, i quali ne sperimentarono
l’efficacia della protezione del glorioso S. Sebastiano, al quale attribuirono la liberazione di quel morbo.
[16]
Questo, però, poteva farsi in quei tempi
più feroci e men leggiadri. Il
progresso non più consentirebbe
ora che l’Università mandasse in giro per la città un banditore, col tamburo o con la trombetta, per ricordare IL VOTO
di
digiunare nella vigilia di Sebastiano! … Son cose queste da
medio evo , … diranno i sapientoni del nostro secolo.
[17]
D’Urso, loc. cit., pag. 150, in nota. Ed ora dov’è andato quel voto? Né
dieci, né due, né altra offerta di cera si fa dal Comune,
al nostro Capitolo, per quel VOTO ! … Che S. Sebastiano ci preservi sempre dalla peste.
*
* *
In questo tempo troviamo a componenti il Capitolo Cattedrale i seguenti personaggi:
Arcidiacono:
Riccardo del Monaco (1627 - 1654). cui successe
Carlo Cappellano; Arciprete,
Antonio Conoscitore
[18];
Cantore:
Giov. Maria Conoscitore (fratello dell’Arciprete Antonio Conoscitore), Primicerio
Giov. Berardino Sala; Priore di S. Riccardo
Giuseppe Tota.
Partecipanti Canonici e Chierici erano i Reverendi:
Ottavio Ciappetta, Giov. Paulo Russo, Riccardo Oriente,
Federico Coluccio, Marcello Carbutti, Francesco Vitaliano, Rodorigo Accetta, Francesco Furibondo
[19],
Francesco Paolo Sgarardelli, Fabio Verolda, Giulio della Porta, Traiano Roccia, Geronamo Renza
[20],
Pietro Spartarelli, Geronamo Rizzo, Sebastiano Vitisi, Emilio Cirullo, Cristoforo Conte, Vincenzo Cassano,
Leonardo Rizzo, Ferdinando Conte, Tomaso Bruno, Giovanni Galletta, Giov. Battista De Angelis, Giuseppe Ciappetta,
Giuseppe Sgarantelli, Carlo Cattafaregna, Giuseppe Toppuli, Giacomo dello Risso, Natale Palombella, Riccardo Nardullo,
Giovanni Sforza, Riccardo Tota, Giovanni Gavetta, Giuseppe Malex, Giov. Francesco della Verità, Vincenzo Giuliano,
Donato Saliocco, Natale dello Russo, Nicola Abbatticola, Giuseppe Cristiano, Luigi Tota, Giuseppe Giglio,
Riccardo dieci Onze, Vincenzo Honesta, Benedetto Caporale, Antonio del Cantore
[21],
Riccardo Montepeloso, Leonardo Samele, Antonio Palombella, Domenico Marino, Riccardo Antonio Renza,
Carlo Antonio Fortunato, Leonardo Rizzo, Francesco Brunetti, Nicola di Scesa.
NOTE
[18]
L’arciprete Antonio Conoscitore occupò quella dignità per ben 24 anni (dal maggio 1617 al settembre 1641).
Egli apparteneva a famiglia patrizia di Andria. Era laureato in
utroque jure.
Fu Vicario Capitolare al trasloco di Mons. Strozzi, e nuovamente alla morte di Mons.Franceschini.
[19]
Furibondo morì nel 1638, lasciando erede di tutti i suoi beni il Capitolo Cattedrale, con obbligo di celebrare messe.
[20]
Il Renza fu organista della Cattedrale.
[21]
Di questo
Antonio del Cantore racconta il Priore D. Domenico Nicola Pincerna (testimone oculare), in un suo manoscritto,
che, assalito dal contagioso morbo, di cui abbiamo sopra fatto parola, perdette la vita. Vestito il cadavere degli abiti sacerdotali,
fu collocato sul feretro, mentre la famiglia, affranta dal dolore, ne piangeva amaramente la perdita, essendo il D. Antonio ancor giovane,
e formando il sostegno della famiglia. Nel suo profondo dolore, però, la famiglia, tra le lacrime e singhiozzi,
non cessava dall’invocare in aiuto il Protettore S. Riccardo, del quale era devotissima, Non vogliamo aggiunger niente del nostro;
ma, stando alla narrazione del Priore Pincerna, accadde che mentre la famiglia più si struggeva in lacrime,
e più invocava l‘aiuto del Santo, ad un tratto il defunto D. Antonio si rizzò in piedi dal suo feretro e, con voce commossa,
esclama d’essergli apparso S. Riccardo, in abiti pontificali, ordinandogli di sorgere da quel feretro!
Svegliato come da profondo sonno, scese dal cataletto e, con i medesimi abiti sacerdotali, di cui era vestito,
corse a celebrare sull’altare di S. Riccardo, nel Duomo, fra lo stupore e la meraviglia di tutti. …
Il del Cantore sopravvisse per molti anni, a fu poscia Arciprete della Cattedrale, dopo esser stato professore
di teologia dommatica nel Seminario diocesano, e cerimoniere del Vescovo, per ben 40 anni.
*
* *
In questo periodo di tempo un’altra lite si agitò tra i Cattedralisti ed i Niccolini, a proposito della festività della Vergine Santissima
del Carmelo. Questa festività,
ab antiquo, celebravasi dalla Collegiata di S. Nicola. Quando fu poi istituita la Congregazione
degli Agonizzanti, nell’antico Oratorio del Duomo, dei tre altari, ivi costruiti, uno fu dedicato alla Vergine del Carrnelo;
e fu tanta la devozione, che nacque, in quell’Oratorio, verso la vergine del Carmelo, che al dire del Vescovo Adinolfi
[22],
non vi era in Andria festività, che la superasse per le splendidezza. Questa festa (scriveva il Vescovo Adinolfi)
si celebra con Messa
in musica, predica, processione, fuochi artificiali, e con grandissima devozione e concorso non meno del popolo di Andria,
che dei forestieri dei luoghi vicini. Questa festività fu introdotta nel 1634. Di essa parla pure il Cardinal De Luca
(Miscellanea Ecclesiastica; Tom. XIV: par. II. Discorso 32), nella causa, dal medesimo sostenuta
(quando però non era ancora Cardinale) in difesa della Collegiata di S. Nicola nel 1654.
I Cattedralisti pretendevano, che i Niccolini smettessero dal celebrare, anche con pompa esterna la festività della Madonna del Carmine.
Di qui nuove e strepitose liti, le quali ebbero termine con la decisione della S. Congregazione dei Riti, la quale decretò,
che la Cattedrale celebrasse quella festività nel dì 16 Luglio (giorno in cui cade la solenne Commemorazione della Vergine del Carmelo)
e che la Collegiata di S. Nicola l’avesse celebrata in altro giorno fra l’ottava; scegliendo, poi, i Niccolini, la Domenica infra octavam.
Però, stabilitisi in Andria i PP. Carmelitani nel 1685. questi pretesero che quella festività dovesse celebrarsi dal loro Istituto;
e ne fecero ricorso alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, la quale, tenuto conto dei speciali privilegi, concessi ai Carmelitani
dalla S. Sede (di poter cioè avocare a se ogni festività della Vergine del Carmelo, in quella città dove n’avessero la residenza) nel 1709
concesse ai Carmelitani il privilegio di celebrare quella festività, ad onta che i Cattedralisti, e, più di tutti, il Vescovo Adinolfi,
si fossero adoperati a sostenere il loro diritto. Così quella festività, dalla Cattedrale, passò ai PP. Carmelitani,
e poscia al Seminario diocesano, quando quel Convento passò al Seminario.
NOTE
[22]
Relazione alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, in data 30 aprile 1709.
*
* *
Al Vescovo Cassiano, nel medesimo anno di sua morte, successe Mons.
Alessandro Egizio, o, secondo altri,
Egitti di Minervino-Murge,
Arcidiacono di quel Capitolo Cattedrale, preconizzato Vescovo di Andria, a dì 17 dicembre
[23]
del 1657, da Papa Alessandro VII (1655 - 1667).
Di questo Vescovo Egizio scrive il Coleti (continuatore dell’opera dell’Ughelli
[24] ),
che fu zelantissimo del divin culto e del decoro della Chiesa affidatagli. Fu assai generoso verso i poveri, tanto che, per venire in loro aiuto,
si contentava di avere presso di sé un solo servitore, che accudiva a tutti i suoi bisogni. Fu uomo di grande umiltà, sino al punto di scendere,
di notte tempo, a condire di olio e smoccolare le lampade nella Chiesa Cattedrale. Ecco le parole del Coleti:
Alexander Egittius, Minervini civis et olim Archidiaconus … divino coltui et suæ Ecclesiæ decori summopere studuit, pauperibus adeo
opitulatus fuit, ut pro illis juvandis, unico famulo contentus, qui vices omnes implebat: humilitatem quam maxime coluit,
noctuque suæ Cathedralis lampades visus multoties ab ædituis emungere, ellychinia protrahere.
Molte amarezze ebbe a sostenere questo Santo Vescovo dalla casa ducale dei Carafa, la quale si era data sfrenatamente ad ogni sorta di licenziosi
balli e festini, specialmente nel Carnevale, facendo venire da Napoli compagnie di artisti, con grave scapito dei costumi della cittadinanza, che prendeavi parte.
Il buon Vescovo non mancava di riprendere il popolo, e di frenarlo, per quanto era possibile, con pubblici sermoni,
anche per le vie; con persuasioni, ed anche con minacce. Ma tutto ciò serviva sempre più ad accentuare la lotta coi ducali,
i quali avean fatto di quel palazzo una vera Foresteria, per tanti Principi e Dame, che venivano da Napoli e da ogni parte,
a passare allegri giorni in Andria, specialmente in tempo di carnevale.
Mons. Egizio fu rigidissimo verso il Clero della sua Diocesi. Nel 1659, a dì 13 marzo, fece affiggere nella Sacrestia un editto,
nel quale ordinava, sotto pena della sospensione
a divinis, che tutti i Capitolari,
nomine excepto,
dovessero recarsi a rilevarlo ed a restituirle nel proprio Palazzo vescovile, tutte le volte che si recava in Chiesa,
od altrove.
Il Capitolo, dolente di questo editto, riunitosi in generale assemblea a dì 2 aprile 1659, delegò a suoi deputati, il Cantore Fanelli,
il Primicerio Vallera ed i Canonici Dello Rizzo e Pizzo, per recarsi dal Vescovo, e fargli comprendere
che non s’induchi novità in questa materia, che passerebbe anco in futuro in esempio con pregiudizio di questo R. Capitolo,
certiorandolo che su questa materia il Capitolo ha osservato altre volte tutto quando sta stabilito dalle lettere e decreti della S. Congregazione
[25].
Queste lettere e questi decreti furono emanati dalla S. Congregazione dei Riti sotto il Vescovado di Mons. Franco, e di Mons. Strozzi,
i quali pure avevano avute le medesime pretese del Vescovo Egizio. Esaminati quei decreti, il Vescovo Egizio si convinse
a non molestare più il Capitolo, per tale pretesa.
NOTE
[23]
L’Ughelli lo riporta invece a 16 novembre di detto anno, Con questo Vescovo l’Ughelli chiude la sua Cronologia dei Vescovi,
essendo, dopo poco tempo, passato a miglior vita. Essa fu continuata dal suo Commentatario Nicola Goleti sino al 1872,
epoca della venuta del Vescovo Galdi.
[24]
Ferdinando Ughelli, fiorentino, fu Abate dei Ss. Vincenzo ed Anastasio
ad aquas Salvias, dell’Ordine Cisterciense.
Fu Giudice Consultore della S. Congregazione del Concilio. Uomo di grande erudizione, egli scrisse quell’opera colossale
l’
Italia sacra, ossia la Cronologia di tutti i Vescovi d’Italia.
[25]
Archivio Capitolare,
Libro delle conclusioni capitolari del 1659.
*
* *
Al Vescovo Egizio devesi l’
Oratorio, messo nella Chiesa Cattedrale. Anticamente quel vano, oggi occupato dall’Oratorio,
formava parte del giardino vescovile, del quale ne resta appena ora una traccia. Nel 1663 il Vescovo Egizio,
ad animare sempre più la Congregazione degli Agonizzanti, istituita nel 1590 dal Vescovo Luca Antonio Resta,
concesse quel giardino, per costruirvi il detto Oratorio, ampliando cosi la Cappella, anticamente intitolata
a S. Maria del Carmine. Alla costruzione di quell’Oratorio vi concorse largamente il Vescovo ed i fedeli, col loro obolo.
Il Vescovo Egizio, nel concedere parte del suo giardino, alla costruzione di quell’Oratorio,
riserbò un piccolo tratto, per transito di comunicazione fra la Chiesa ed il palazzo vescovile
[26].
In quell’Oratorio furono quindi costruiti tre altari, il maggiore dedicato al SS. Crocefisso, quello a sinistra
all’Immacolata Concezione di Maria, e quello a destra alla Madonna del Carmine.
A Mons. Egizio devesi pure l’Organo della nostra Cattedrale, di mediocre fattura, opera di un tedesco, per nome Hircher.
Sotto il Vescovado di Mons. Egizio ebbe vita in Andria l’Ordine dei PP. Carmelitani, e la costruzione di quel magnifico Convento, adibito oggi a Seminario diocesano.
Il pio e generoso Patrizio andriese, Flavio de Excelsis, non avendo eredi prossimi, pensò d’impiegare il ricco suo patrimonio
alla fondazione di un Convento e di una Chiesa, per istallarvi in Andria i benemeriti PP. Carmelitani.
A tal uopo ne fe’ donazione al Vescovo Egizio, con gli obblighi di far costruire, dalla rendita dei beni
immobili
[27],
la detta Chiesa e Convento, e, dalla rendita dei beni
mobili, far celebrare tante messe, quante ne cadevano
alla ragione di carlini cinque (pari a lire 2,12), per cadauna.
Il Vescovo Egizio, prima di effettuare quella costruzione, e d’impiantarvi l’Ordine dei Carmelitani, volle chiedere
il beneplacito del Capitolo Cattedrale, il quale, riunitosi in generale assemblea, a dì 8 dicembre del 1682,
ne dava il chiesto beneplacito, alle seguenti condizioni; che, cioè,
si mantenga nella forma che si sono ritenute le altre Religioni, che si trovano in essa città di Andria, senza pregiudicarsi
però nel jus seppelliendi, che tiene essa sola Cattedrale, come unica parrocchiale …; che si debba intendere l’osservanza,
che si pratica da tutte le altre Religioni introdotte in questa città, in ordine alle processioni, da farsi in conformità delle antiche consuetudini …
[28].
Ottenuto il beneplacito del Capitolo Cattedrale, tosto il Padre Fr. Lorenzo Caraccini, Provinciale dei Carmelitani di Puglia,
incaricato dal Vescovo Egizio, avanzò domanda alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, nel 1683, per la fondazione
del Convento da costruirsi, con prestazione riveniente dal testamento del fu Flavio Excelsis, e con cessione dell’usufrutto,
rinunziato da sua moglie Donna Lucia Grifi, (allor ancor vivente) a vantaggio del detto Monastero. La S. Congregazione
ben volentieri annuì a tale domanda; ed, a dì 10 dicembre 1683, spediva la Bolla di erezione, nella quale disponeva che,
unitamente al Convento, si fosse costruita la Chiesa, il Coro, la Sacrestia, il Refettorio, il dormitorio, l’orto ecc.;
a condizione, però, che, dalla rendita dei pii legati, si potessero mantenere comodamente 12 persone religiose.
La costruzione di quel magnifico Convento e della Chiesa ebbe principio nel 1690 e terminata nel 1707, sotto la direzione
del
Capo Mastro Domenico Morgigno e Saverio Raimondi, ambidue cittadini andriesi. Opera dei medesimi summenzionati muratori
era la bellissima ed artistica scalinata, che metteva a quel Convento, molto rassomigliante alla scalinata
che mette da Piazza di Spagna a Trinità dei Monti in Roma
[29].
Nel 1708 il Vescovo Adinolfi benedisse quella Chiesa, assistito da tutto il Capitolo della Cattedrale. Quella Chiesa venne poi abbellita
e rifatta dal Vescovo Cosenza, come a suo tempo diremo, ed i PP. Gesuiti, messi alla direzione di essa,
fecero pur innalzare il bellissimo campanile, opera artistica ed ardita
[30]
del Capo Mastro
Raffaele Fuzio, essendo stato il vecchio campanile abbattuto, in tempo della occupazione militare nel 1804,
quando quel Convento e quella Chiesa vennero adibiti ad ospedale militare delle Puglie.
Il Vescovo Egizio morì a dì 2 aprile 1689, nell’età di 95 anni, dopo aver governato la Chiesa di Andria per ben 32 anni.
Dai suoi beni patrimoniali (da cinquanta a sessanta mila ducati) costituì un pingue Beneficio a favore della Cappella rurale di S. Pietro
in Minervino (sua città natale), a condizione però che, mancando quella, il beneficio restava devoluto alla Chiesa
di S. Maria dell’Altomare di Andria. Intanto quel Beneficio, né esiste nella Cappella di S. Pietro in Minervino,
né nella Chiesa dell’Altomare di Andria! Non sappiamo quindi qual sorte ebbero le migliaia di ducati, lasciati dal vescovo Egizio!
NOTE
[26]
Tutto ciò abbiamo rilevato da una relazione del Vescovo Adinolfi, fatta nel 1709 alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari,
estratto dalla Vaticana, fol. 105, e dagli atti della Real Camera di Napoli, fol. 233-234.
[27]
Fra cui la grande tenuta di
Petrone, oggi proprietà dei Sig, Ceci Riccardo fu Deodato.
[28]
Dall’Archivio capitolare.
[29]
Quell’artistica scalinata, mano mano, venne deturpata dai
vandali di Andria, sino a renderla quasi impraticabile negli ultimi tempi.
Fu dal Municipio recentemente raffazzonata alla men peggio, tanto per evitare disastri.
[30]
Diciamo
ardita, perché costruita di tufi, pur elevandosi ad una considerevole altezza.
*
* *
In questo torno di tempo fu Duca di Andria, Fabrizio IV Carafa, il quale, giunto all’età virile, sposò D. Margherita Carafa,
dei duchi di Maddaloni, dalla quale ebbe un solo figlio, cui dette il nome di Carlo. Fabrizio IV morì nel 1673, trentaduenne appena.
A lui successe nella duchea l’unigenito Carlo, (II di tal modo), il quale, dopo due soli anni, nell’età di anni 15,
raggiunse il padre nella tomba!
Con la morte del duchino Carlo, si estingueva la discendenza, in linea diretta, dei duchi Carafa di Andria. Onde dovette assumere
il governo della duchea il pro - zio di Carlo, Ettore Carafa, unico superstite di quella famiglia, la quale pareva destinata
ad esser visitata dalla morte nella floridezza degli anni, essendo i suoi discendenti quasi tutti morti in giovanile età
[31].
Questo Ettore Carafa, il quale contava 63 anni di vita, quando assunse il governo della duchea, fece eccezione alla regola …
Vissuto celibe fino a quell’ora, per non far venire meno la discendenza di quel Casato, pensò di contrarre matrimonio.
Nel 1678, vecchio di 63 anni, sposava la giovinetta Margherita di Sangro, la quale contava appena 16 anni!
Dalla Duchessa Margherita, Ettore Carafa ebbe quattro figli maschi, il primo dei quali chiamò Fabrizio (V di tal nome).
Intanto il governo del Reame di Napoli, sino al 1665, era ancora sotto il dominio di Filippo IV di Spagna, avendo a Viceré il Cardinal
Pietro Antonio d’Aragona. Con la morte di Re Filippo, avvenuta nel 1665, dovette il Cardinal d’Aragona abbandonare il vicereame,
chiamato all’Arcivescovado di Toledo, ed a fare parte della Giunta, istituita per testamento dal Re Filippo, per accudire
alla direzione degli affari del governo di Spagna, durante la reggenza della Regina Marianna d’Austria, per il minorenne Carlo,
lasciato dal padre nella tenera età di anni quattro.
In questo frattempo, Papa Clemente IX (1667 - 1669), bisognoso della concordia fra i Principi Cattolici, per combattere i Turchi,
si adoperò per la pace fra la Spagna e la Francia, conchiusa nel 2 Maggio 1668 col trattato di Aquisgrana.
Così la Spagna si unì alla Repubblica Veneziana nella guerra contro i Turchi. Ma la sorte non arrise ai primi, essendosi i Turchi impadroniti dell’isola di Candia.
Fatti audaci da quella vittoria, i Turchi vennero a disturbare la pace nel nostro Reame; e, nel giugno del 1672, scesero a Bari
con poderosa armata, disturbando, e catturando 15o contadini, che trovavansi alla mietitura delle biadi, nei campi pugliesi.
Nel 1676 Carlo II di Spagna, già nell’età di 15 anni, veniva incoronato Re di Spagna e di Napoli.
La gioia di quella festa, però, fu passeggera, poiché il brigantaggio e le continue scorrerie dei Turchi, unite alle controversie del regno, tenevano in soqquadro le città.
In quel medesimo anno, 1676, moriva Papa Clemente X, cui succedeva, a dì 21 settembre, Innocenzo XI, Papa dottissimo e generalmente stimato;
per cui gli fu facile promuovere la pace generale, conchiusa, prima tra la Francia e gli Stati generali d’Olanda, poscia tra la Francia e la Spagna,
sottoscritta a Nimega, il 17 settembre del 1678. Quella pace fu seguita dalle nozze del Re Carlo II con la Principessa Maria Lodovica Borbone,
per cui grandi feste vi furono nel Vicereame di Napoli, dove era vice-Re Los Velez, il quale, nel 1685, veniva sostituito
dal Marchese Del Carpio, il quale, per la sua alta intelligenza ed energia, pose in sicuro il vicereame dai malviventi,
che lo travagliavano, acquistandosi la generale benevolenza.
Il Del Carpio, sventuratamente, governò due anni appena il vicereame, essendo stato incolto dalla morte a dì 15 novembre 1687.
Fu sostituito, interinamente, da Lorenzo Colonna, e poscia, definitivamente, dal Conte di S. Stefano,
Francesco Benavides. Nell’anno seguente il vicereame prese il lutto, per la morte della Regina Maria Ludovica Borbone,
avvenuta il 12 febbraio del 1689.
Duca di Andria era, in quel tempo, Fabrizio V, undicenne appena, succeduto ad Ettore, sotto la reggenza della Duchessa madre, donna Margherita di Sangro.
Il giovane Duchino, nel 1690, fu causa di una insurrezione popolare, che poteva produrre più funeste conseguenze, se l’Arcivescovo di Trani
non fosse venuto a tempo, qui in Andria, a mettere la sua cooperazione, per far cessare quella rivolta.
NOTE
[31]
Sarà stato questo un caso, od un castigo di Dio, per la persecuzione che i Carafa fecero ai Vescovi ed al Clero di Andria?
*
* *
In quell’anno, per la morte di Mons. Egizio, venne creato Vescovo di Andria Mons. Pietro Vecchia
[32],
veneziano, monaco Cassinese ed Abate di S. Giustina in Padova. Egli, preconizzato Vescovo da Papa Alessandro VIII (1689-1691)
a dì 13 febbraio del 169o, venne a prendere possesso della sua Sede in Andria a dì 6 marzo del medesimo anno.
Messo appena il piede nella Cattedrale, Mons. Vecchia restò altamente sorpreso, nel vedere il Duchino Fabrizio,
circondato dalla sua corte ducale, assistere al suo ingresso in Chiesa, con tutta pompa su d’un Trono, che, abusivamente,
i suoi antenati avevano fatto erigere nella Chiesa Cattedrale, dirimpetto a quello del Vescovo. Per ragioni di prudenza,
tacque, per allora, il Vescovo. Ma, poi, tosto ne informò la S. Congregazione dei Riti, per un provvedimento; e questa,
con decreto del 22 aprile del medesimo anno 169o, confermando i precedenti decreti, emanati le tante volte contro l’uso
del Trono e dei Baldacchini a Principi e Baroni laici, ingiunse al Vescovo Vecchia di far rimuovere, senz’altro,
dalla Chiesa Cattedrale il Trono Baronale, abusivamente eretto: con istruzioni, ancora, di comminare la pena dell’interdetto,
se a quella disposizione il Duca non ottemperasse.
Avute tali istruzioni, Mons. Vecchia fe tosto conoscere al Duchino, che non avrebbe più oltre tollerato quell’abuso nella sua Cattedrale,
pregandolo, con garbo, di far presto demolire quel trono baronale. Il superbo Duchino, facendo orecchie da mercante,
nel giorno di Pentecoste, venne ad assistere al solenne Pontificale con la solita pompa, circondato da tutta la sua Corte Ducale!
Il Vescovo Vecchia, comprimendo, in quel momento, il giusto suo risentimento, a Messa finita, mandò un suo ambasciadore a querelarsi
col Duchino, ed a pregare la Duchessa Madre, che non lo costringesse a far ricorso alle pene canoniche,
comminate già dalla S. Sede, se non facesse rimuovere tosto quel Trono Baronale!
Un riso beffardo fu la risposta dell’imberbe Duchino! Laonde il Vescovo, obbedendo alle ingiunzioni della S. Sede, pubblicò
l’Interdetto a tutte le Chiese della Diocesi, non escluse le cappelle e gli Oratori, tanto secolari che regolari,
destinando solamente quella di Mater Gratiæ pel disimpegno degli ufficii divini, pel Capitolo della Cattedrale,
e quella di S. Chiara, per la Collegiata in S. Nicola. Non l’avesse mai fatto! Il popolo andriese, punto nel suo sentimento religioso,
vedendosi privo dell’esercizio del culto divino, e dell’assistenza del prete nei bisogni spirituali della vita,
e più nei momenti estremi all’apparir della morte, cominciò a tumultuare; e, prima di scendere ai fatti, si recò, in massa,
al palazzo vescovile, per supplicare ardentemente il Vescovo, perché avesse ritirato quell’interdetto, che non colpiva il Duca,
ma bensì gl’innocenti cittadini. Il Vescovo intanto era partito per Roma, minacciato nella vita dai ducali!
Il povero Vicario, a placare quel popolo eccittato, promise d’interporre i suoi buoni uffici, per indurre il Vescovo
a togliere quell’interdetto. Intanto il Duca non si dava alcun pensiero di far rimuovere il trono baronale,
causa di tutto quel male, vivendo tranquillamente nella sua tenuta di Montecarafa!
Intanto s’avvicinava il Natale di quell’anno, ed il Vescovo, che risiedeva in Roma, commiserando la condizione dei poveri cittadini andriesi,
aveva supplicato il Papa a voler sospendere, per quei giorni, l’ecclesiastico interdetto, onde il buon popolo potesse partecipare
alla letizia di quei giorni tanto memorabili, per la ricorrenza del Natale del divin Porgoletto. Ed il Papa Alessandro VIII,
a mezzo del Cardinal Alderano Cybo, Vescovo di Vienna, faceva pervenire al Vicario Generale di Andria (D. Carlo Antonio di Tesse,
Canonico Cantore della Cattedrale) la facoltà di sospendere quell’interdetto, dal primo giorno di Natale sino al dì
dell’Epifania inclusivo; del qual privilegio non doveano godere quelli, che furon causa di provocare quella censura canonica;
a condizione però che, passato quel tempo, se i ribelli non avessero ancora ottemperato agli ordini della S. Sede, rimuovendo
il trono baronale, l’interdetto fosse stato novellamente applicato, e con maggior rigore di prima.
Pervenuta in Andria quella lettera, data da Roma a dì 16 dicembre 169o, tutti esultarono di gioia, e tutti speravano che i ribelli
sarebbero venuti a migliori consigli. Ma non fu cosi! I Ducali si facevan beffe dell’interdetto, del Vescovo, del Papa e del Popolo,
che tanto s’affliggeva!
Passato intanto il perentorio assegnato, il Trono baronale era ancora al suo posto, ed il Duca nessun atto di resipiscenza avea fatto!
Quindi da capo le porte delle chiese furono chiuse al culto, ed i poveri innocenti cittadini si videro nuovamente privi dei conforti
della Religione! Non più sagramenti, non più sepoltura ecclesiastica; ed i poveri defunti, anzicché in luogo sacro,
venivan seppelliti fuori della città, in appositi fossati, o vecchie caverne, messe nei pressi del Convento dei Carmelitani,
o dell’antica Chiesa di Santa Croce!
NOTE
[32]
Mons. Vecchia, nella sua gioventù, fu alunno del Collegio Nazareno di Roma, diretto dai benemeriti Padri Scolopi di S. Giuseppe Colasanzio.
*
* *
Ad accrescere lo squallore, vennero due terribili flagelli, (che si credettero provocati dalla contumacia degli scommunicati)
la
peste ed il
terremoto! La prima, che già mieteva tante vittime nelle altre città del regno
[33],
e che minacciosa si appressava alle porte della città
[34];
il
terremoto, che, terribile, si fe sentire nella nostra città sull’alba del dì 26 Febbraio 1691! Atterriti i cittadini
da quella terribile scossa (che ben tre volte si replicò nella malaugurata giornata) e convinti, che quello fosse un avviso
ed una minaccia del Cielo, corsero di filato alle porte del Duomo, prima, supplicando perché fossero aperte, per correre
a prostrarsi agli altari del taumaturgo S. Riccardo e di S. Sebastiano, i quali altre volte avevan salvato la città da simili flagelli;
e poscia, vedendosi inascoltati, slanciandosi, con furore, contro di esse, le ridusse al suolo! Penetrati nella Chiesa,
mentre alcuni, fra le lagrime ed i singhiozzi, correvano a prostrarsi agli altari dei Santi Protettori, invocando la loro intercessione,
altri, scorgendo quel Trono Baronale, causa di tanta jattura, furibondi, si lanciarono contro di esso, mettendo un grido feroce
abbattiamolo! Non erasi ancor dileguato la eco di quel grido per le navate del Tempio, che già
il Trono Baronale
era ridotto in frantumi, e ciascun dei
conquistatori ne portava seco un pezzo, come segno della vittoria! Altri poi, accollatisi
i gradini di pietra, che met-tevano a quel trono, li cacciavano fuori della Chiesa, gridando: è roba scommunicata!
Indi, orgogliosi di tanta vittoria, si riversarono in piazza Catuma (oggi piazza Vittorio Emanuele), sulla quale sporgeva
il palazzo ducale e quello del Vescovo, e, riuniti in un sol fascio tutti i frantumi del distrutto trono baronale, nell’ebrezza della gioia,
vi appiccarono il fuoco, fra le salve degli applausi e dei fischi! . . . Fatti audaci dalla generale approvazione,
i più arditi dettero la scalata al Campanile del Duomo, e, di lì, dalli a suonare a distesa le campane, cui immediatamente fecero eco
tutte le campane delle altre Chiese della città, fra un chiasso interminabile di mortaretti, petardi e batterie, accompagnati
dal sibilo assordante dei fischi, cui tenevan bordone le grida feroci di morte ai scommunicati!
Divenuti padroni del campo, quegl’insorti, pretendevano che le Chiese restassero aperte, e che i Preti riprendessero le loro consuete funzioni!
Ma, quando questi fecero osservare che, sino a quando la S. Sede non avesse tolto
l’Interdetto, non potevano celebrare i divini ufficii,
gl’insorti si ribellarono contro i medesimi Preti, minacciando di saccheggiare le loro case, di trascinarli per le pubbliche vie,
e magari pure di trucidarli, se non obbedivano alla popolare ingiunzione!
[35].
Intimoriti i poveri Preti, s’indussero a celebrare messa nella Cattedrale, ed a seguire processionalmente, per le vie della città,
la statua di S. Riccardo. Indi, recatisi alla Chiesa di
Mater Gratiæ, ne asportarono il Santissimo Sacramento, per depositarlo
nella Cappella della Cattedrale. Di lì si recarono ad associare il cadavere di un uomo, morto la sera precedente, e furono costretti
anche a benedire, le fonti dell’acqua santa! Né contenti di tutto ciò, visto gl’insorti, che, colla prepotenza, si ottiene
tutto ciò che si vuole, pensarono a suscitare una nuova ribellione contro le tasse e gabelle, che venivano imposte dal Duca e dalla Università!
Unitisi, quindi, circa cinquecento dei più faziosi cittadini, capitanati da un boscaiuolo, soprannominato
Abbutto,
e dal dottor fisico
Carlo Malex, tumultuando per la città, corsero dagli amministratori della sanità a chieder le chiavi della città!
Ma, non essendo riusciti ad averle con le buone, aggredirono il consegnatario di esse, un tal
Antonio Aurisicchio,
al quale strapparono di mano le chiavi, dopo averlo ben conciato per le ossa! Indi, dopo aver chiuso a chiave
le quattro porte della città, si recarono a casa del Sindaco, per chiedergli le chiavi dei pubblici mulini
[36],
pena la vita, se si fosse rifiutato! Riuscito il povero Sindaco a mettersi in salvo colla fuga
[37],
fece consegnare intanto le chiavi, per timore di non veder andare in fiamme la sua casa!
Avute nelle mani quelle chiavi, i rivoltosi, giubilando, vanno di corsa ai pubblici mulini, dove giunti, dan di mano a quanto ivi si trovava,
spezzando pesi e misure, distruggendo tutti gli ordegni per la macinazione dei grani, e quant’altro ivi si ritrovava, gridando a squarciagola:
abbasso la gabella della farina, abbasso tutte te tasse, abbasso i balzelli! Indi, dato fuoco ai mulini, pensano dare il sacco
ai palagi dei ricchi, alle case dei preti e dei proprietari, girando per la città, incutendo lo spavento, mettendo lo scompiglio da per tutto!
Il Duca, che trovavasi a villeggiare nella sua tenuta di Montecarafa, avvertito di quel che accadeva in Andria, improvvisamente
si vide comparire in città, con tutta la sua gente armata. I primi ad incontrarlo furono il
d’Abutto ed il
Malex
[38],
i quali, intimoriti alla vista di tanta gente armata, affettando umiltà e sommissione, esposero al giovane Duca la miseria
ed il malcontento del popolo, per le gravose imposizioni, che furon causa di quel tumulto. Il Duca, simulando anch’egli di prendere
in considerazione i reclami del popolo, fe’ calmare quella rivolta, promettendo soddisfacente provvedimento ... Si quietarono i rivoltosi ...
Ma, durante la notte, tutti i caporioni, fra i quali il
D’Abutto ed il
Malex, furono fatti imprigionare.
Indi, compilatosi un breve processo, furono tutti condannati alla forca!
[39].
Erasi già sul punto di eseguire quella sentenza, sulla pubblica piazza, detta Catuma, quando una nuova scossa di terremoto
agitò potentemente la città. A tale evento, fu sospesa, pel momento, quella condanna; ma, ripresa un’ora dopo,
nuovamente la terra si scosse più fortemente di prima! La Duchessa madre, D. Margherita di Sangro, che, da una finestra
del palazzo ducale, era spettatrice di quanto accadeva sulla piazza, atterrita dallo spavento, gridava a squarciagola:
cessate, cessate, Iddio non vuole quella condanna! Cosi non ebbe più effetto la sentenza di morte contro quei ribelli!
*
* *
Intanto il Vicario Generale, Carlo Antonio di Tesse, aveva informato pienamente il Vescovo Vecchia a Roma di quanto era accaduto in Andria,
circa la distruzione del trono Baronale, e circa la forzata sospensione dell’Interdetto. Il Vescovo, in data 17 marzo
del medesimo anno 1691, rispondeva da Roma al suo Vicario Generale che:
quando giudizialmente consterà a V. S. la remozione del Baldacchino con tutte le altre insegne secolari, di cui si fa menzione nell’Interdetto,
dichiarerà, conforme ora io dichiaro, che per la prenominata remozione e rimasto sospeso l’Interdetto, cum reincidentia ipso facto incurrenda
in eventu che il Baldacchino fosse poi da qualsia ivi riposto. Potranno dunque quei Sacerdoti, che dopo la suddetta remozione,
veramente forzati dal popolo celebrarono, et intervennero alle processioni, con sicurezza celebrare anche in avvenire,
non essendo incorsi in irregolarità
[40].
Perché poi giudizialmente costasse esser stato rimosso il Trono Baronale, fu fatto redigere un pubblico atto per Notar
Ioes de Toullis, della città di Corato, in data 29 marzo 1691, alla presenza dei testimoni D. Sebastiano Marchio e D. Giovanni Zafferano.
Quest’atto, trasmesso a Roma, provocò il parere del Sacro Collegio dei Cardinali, che si fosse tolto l’Interdetto, a condizione, però,
che si osservasse quanto veniva indicato nel Rescritto; cioè, che mai più si fosse rizzato, in detta Chiesa, il Baldacchino Baronale,
e che si fosse serrata a muro la porticina, che dal Palazzo Ducale, e Propriamente dal ponte, metteva sul balconcino del Trono.
Cosi finalmente, dopo quattro mesi, venne tolto l’Interdetto, e dalla nostra Cattedrale scomparve, per allora, il Trono baronale.
Intanto il giovine Duca Fabrizio V, ad onta d’aver subita quella umiliazione, di veder abbattuto quel trono, puttuttavia non smise
la sua innata alterigia, continuando, come i suoi predecessori, a molestare il Vescovo Vecchia!
Senonché il Sommo Pontefice, Innocenzo XII (assunto al Trono Pontificio a dì 12 Luglio 1691, per la morte di Alessandro VIII,
avvenuta il 1 febbraio del medesimo anno), ad evitare nuovi contrasti fra il Vescovo Vecchia ed il Duca Fabrizio, suo nipote
[41],
pensò trasferire il Vecchia alla Sede Vescovile di Molfetta. Così Andria venne privata di un Vescovo, che era la gloria dell’Episcopato Italiano.
Mons. Vecchia fu uno dei primarii Oratori d’Italia. Pubblicò per le stampe molte ed importantissime opere, tra le quali emerge quella
dal titolo Il Tempio della Fama. Ecco quel che scrive il Coleti di questo Vescovo, nell’aggiunta all’Ughelli:
Petrus Vecchia, Venetus, Abbas Cassinensis Congre.: unus e primis Italiæ sacris oratoribus, qui plures sui ingenii partus typis dederat,
et præcipue illum, cui titulum fecerat Il Tempio della Fama;
hoc Sacerdotio honestatur ab Alexandro VIII anno 1690 die 6 Martii,
sed post breve spatium ad Melphictense translatus fuit
[42].
NOTE
[33]
Quasi tutte le città della Provincia di Bari ne furono colpite dal contaggio, massimamente Monopoli, Mola, Conversano. Polignano, Bitonto e Bari stessa.
Il Viceré,
Francesco Bonavides, fece circondare i luoghi infetti da cordoni sanitarii, mettendovi legioni di militi a custodia
del Ponte di Canosa e di Barletta, per impedire il passaggio dalla Provincia di Bari in Capitanata. Quella peste si presentò per tre anni consecutivi,
cioè nel 1690, 1691 e 1692. Chi volesse aver notizia di quel contaggio, che afflisse, in quegli anni, la Provincia di Bari,
consulti il De Arrieta,
Raggulio historico del Contaggio occorso nella Provincia di Bari, negli anni 1690, 1691, 1692, pubblicato in Napoli nel 1694.
[34]
Il Tarsia Morisco, (
Memorie storiche di Conversano) narra che Conversano, in quel medesimo tempo, fu attaccata dal contaggio,
appena il vescovo Mons. Brancaccio aveva emanato l’Interdetto contro di essa, per non aver voluto
il conte Giulio Aquaviva, demolire il Tropo baronale nella Cattedrale.
[35]
Dove non giunge il furore popolare, quando è toccato nel suo sentimento religioso? Non sa più distinguere il bene dal male, il sacro dal profano.
[36]
Allora i mulini tutti di Andria erano tenuti in amministrazione dalla Università.
[37]
Si rifugiò nel convento dei Domenicani.
[38]
Due nomi che corrispondono alla loro
mala indole.
[39]
I Baroni avevano, in quel tempo, anche il diritto di rizzar la forca.
[40]
Dall’Archivio Capitolare:
Storia e Relazione Mss, di diversi fatti accaduti nelli governi delli seguenti Vescovi d’Andria, Egizio, Vecchia, Triveri, et Ariani.
[41]
Papa Innocenzo XII, già Cardinal Antonio Pignatelli. Arcivescovo di Napoli, era figlio di D. Francesco Pignatelli,
Duca di Minervino e Spinazzola, e di Donna Porzia Carafa, figlia di Fabrizio II, Duca d’Andria. Dunque il Papa volle favorire
suo nipote, nel traslocare il Vecchia a Molfetta, e favorire il Vescovo Vecchia, nel sottrarlo alla persecuzione del nipote.
[42]
Ughelli – Coleti,
Italia Sacra, Vol. VII.
*
* *
In questo tempo troviamo a far parte del Capitolo della Cattedrale i seguenti Ecclesiastici:
«Arcidiacono,
Carlo Cappellano, cui successe
Giov. Battista De Angelis nel 1678, e poi
Giuseppe Ceri nel 1690.
Arciprete,
Pietro Vitaliano
[43],
cui successe nel 1666
Antonio del Cantore
[44],
indi, nel giugno 1687,
Nicola Antonio Palombella.
Cantore,
Francesco Giacomo Fanelli (1658), cui successe nel 1664
Pietro Spartelli: indi nel 1678
Angelo Maria Tesse,
e finalmente nel 1688
Carlo Antonio Tesse, già Penitenziere della medesima Cattedrale.
Primicerio,
Domenico Vallera (1659); indi nel 1665
Riccardo Tota poscia nel 1678
Carlantonio Tota.
Priore di S. Riccardo,
Giuseppe Tota; indi
Riccardo Gorgo.
Canonici e Partecipanti:
Leonardo Zinfolino, Pietro Calcagni, Giuseppe De Leo, Geronimo Malex, Francesco Raimondo, Sebastiano Renza, Lorenzo Sarcinelli, Vito Nicola Corposanto,
Giov: Francesco Sollerita, Natale delli Russi, Nunzio Tota, Antonio Caterina, Pietro Galasso, Lorenzo Casafina, Antonio Aurosicchio,
Domenico Micale, Riccardo Falcone, Riccardo Longo, Giov. Battista Robertis, Leonardo Scarcella, Angelo Galante, Francesco Cocco,
Giacomo Antonio De Riso, Sebastiano Marchio, Antonio Motta, Angelo Acquaviva, Giuseppe Lajella, Riccardo lo Muscio, Riccardo Margiotta,
Riccardo Morgigno, Cristofaro Fortunato, Francesco Ajella, Donato Modesto, Francesco Antonio Andriano, Vincenzo Scalera, Orazio Carbutti,
Antonio Calamarino, Giuseppe di Tacchio, Filippo la Porta, Nicola Montarulo, Giov. Maria Marchio, Cesare Tessa, Nicola Brunetto,
Giacomo Zaffarano, Riccardo d’Infante, Michele Zaccaro, Michele Morselli, Antonio Aniello, Francesco Motta, Domenico Paradies,
Nicoló di Trani, Giulio Lionetto, Franc. Paolo Figliolia, Antonio Contafemina, Antonio Avelli, Nicolò D’Urso, Giuseppe Volta,
Paolo Coratino, Domenico Barbaro, Nicolò dello Russo, Nicola di Noja, Domenico Soriano, Giov. Battista Paglia, Nicola De Rosa,
Riccardo D’Elia, Giuseppe Topputi, Fabio Verolda, Francesco Giacomo Petusi
[45].»
NOTE
[43]
Appartenente a nobile famiglia Andriese, ora estinta.
[44]
Il Prete risuscitato di cui è parola innanzi.
Fra l’Arciprete
del Cantore e l’Arcidiacono Cappellano nel 1671 nacque grave contesa,
pretendendo l’Arciprete del Cantore che, nell’assenza del Vescovo, non all’Arcidiacono, ma all’Arciprete spettasse
sostituire il Vescovo in tutte le funzioni, essendo l’Arciprete nel pieno esercizio del diritto parrocchiale.
L’Arcidiacono Cappellano fece ricorso alla S. Congregazione dei Riti, e questa fece ragione all’Arcidiacono,
emanando la seguente sentenza:
Functiones et Ius cantandi missas et Vesperas in solemnioribus,
impedito vel absente Epo, spectare ad Archidiaconum. Volendo, però, l’Arcidiacono Cappellano,
in virtù di quella sentenza esercitare, nell’assenza del Vescovo, anche le funzioni parrocchiali,
l’Arciprete del Cantore volle prendersi la rivincita, e, fatto ricorso alla medesima S. Congregazione,
questa, con sentenza del 18 luglio 1671, fe’ ragione, all’Arciprete, per riguardo alle funzioni parrocchiali.
[45]
Costui faceva l’avvocato del Capitolo, a lui si davano ducati 10 annui di compenso.
[tratto da “Il
Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi
Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XII, pagg.253-275]