Capitolo XIII

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo XIII

(anni 1692-1743)

Sommario:
— Monsignor Triveri, Vescovo di Andria: nuove lotte suscitate dal Duca Fabrizio V contro Mons. Triveri:
—Mons. Ariano succede al Triveri nella sede vescovile di Andria: opere di Mons. Ariano;
—nuove lotte del Duca Fabrizio V Carafa contro il Vescovo Ariano: morte del Duca Fabrizio, cui succede nella Duchea di Andria il figlio Ettore II;[lite fra il Capitolo Cattedrale ed i PP. Domenicani di Andria];
— Mons. Adinolfi succede al Vescovo Ariano;
— strepitosa lite fra il Capitolo Cattedrale ed i PP. Domenicani di Andria;
— Preti componenti il Capitolo della Cattedrale in questo tempo;
— Carlo II di Spagna adotta a suo successore Filippo, Duca D'Angiò: morte di Re Carlo, cui succede Filippo V d'Angiò nel governo di Spagna e di Napoli: congiura contro Re Filippo: Napoli sotto il dominio dell'Austria: Carlo VI Imperatore d'Austria e Re di Napoli: Filippo V Borbone di Spagna, coadiuvato da Papa Clemente XII, riesce a riacquistare la Sardegna, Palermo e molte altre città della Sicilia, ma vien contrastato dalla Germania, dal Piemonte, dalla Francia e dall'Inghilterra, collegatesi a suo danno;
— Mons. Giovanni Paolo Torti succede al Vescovo Adinolfi;
— liti fra il Capitolo dell'Annunziata e il Capitolo di S. Nicola, contro il Capitolo della Cattedrale;
— liti fra i PP. Carmelitani ed il Capitolo della Cattedrale; altre liti, suscitate dagli Agostiniani e dai Francescani: altre liti suscitate da varie Confraternite laicali;
— Mons. Pietro Paolo Torti succede a Mons. Gian Paolo Torti: Mons. Nobilione traslocato da Avellino alla sede di Andria ed il Vescovo Torti ad Avellino;
— Istituzione del Cumulo di S. Riccardo;
— feroci liti fra i Domenicani ed il Capitolo Cattedrale;
— [1741: l'invasione delle cavallette e l'obelisco a S. Riccardo];
— il Reame di Napoli sotto Re Carlo III di Borbone: Concordato fra Carlo III e Papa Benedetto XIV;
— [Appartenenti al Capitolo Cattedrale in quel torno di tempo].


Dietro il trasloco del Vescovo Vecchia, venne ad occupare la Sede vescovile di Andria Mons, Fra Francesco Antonio Triveri da Biella (diocesi di Vercelli), Conventuale dell’ordine dei Minori, di cui fu inquisitore della Fede [1].
Mons. Triveri fu prima Vescovo di Padova, poscia di Firenze, e quindi traslocato in Andria da Papa Innocenzo XII nel Concistoro del 9 gennaio 1692 [2].
Con la nomina del Vescovo Triveri, prelato di alta rinomanza, che aveva già occupato due cattedre tanto onorifiche (quella cioè di Padova e l’altra di Firenze), Papa Innocenzo pensava che suo nipote, il Duchino Fabrizio V Carafa, avrebbe smessa la sua alterigia, e si sarebbe ben accordato con tanto degnissimo Prelato. Ma non fu così! … L’odio ai Vescovi pare che fosse stato ereditario in questa famiglia, e l’atavismo di lotta ai Vescovi non venne mai meno! L’albagia di voler predominare sul Vescovo, la pretesa di voler rialzare il distrutto Baldacchino, l’ingerenza negli affari ecclesiastici, la presunzione di voler usurpare i dritti del Vescovo, nella giurisdizione, furono i motivi di continue noje da parte del Duca, e di continue rampogne da parte del Vescovo, il quale, più volte dové querelarsi col Papa contro suo nipote. Ma il Papa, volendo evitare nuovi contrasti, ed anche per accontentare il nipote, traslocò Mons. Triveri alla Sede Vescovile di Melfi, dopo quattro anni di savio governo.
Così, a causa dei Duchi, Andria si vide priva, per la seconda volta, di un Vescovo di tanta rinomanza, santità, e dottrina, e che tanto bene avrebbe fatto alla nostra città, ed al nostro Clero! …
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Non già Generale dell’Ordine, come scrive lo storico D’Urso.
[2] Ughelli – CoIeti: Italia Sacra, Tomo VII, Editio II, acta et emendata a Nicolao Coleti. Il Coleti ed il Durso lo dicono preconizzato nell’Ottobre, e venuto in Andria nel Gennaio. Da notizie ricavate dall’Archivio Capitolare risulta che fu preconizzato il dì 9 gennaio 1692 ed il giorno 21 del medesimo mese venne a prenderne il possesso in Andria.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Ma la Divina Provvidenza c’inviò presto un Vescovo, che non fece troppo rimpiangere la perdita di Mons Triveri! …
Egli fu Mons. Andrea (IV di tal nome) Ariano di Napoli, preconizzato Vescovo dal medesimo Papa Innocenzo XII, nel Concistoro del 3 Dicembre 1696. Venne in Andria a prendere possesso della sua sede vescovile il dì 14 Gennaio 1697.
Mons. Ariano era stato educato nella pietà e negli studi dai benemeriti PP. Gesuiti, nel Collegio Massimo di Napoli.
Fu poi Parroco nella città d’Ischia, dove diede tante prove del suo zelo e della sua abnegazione, nel disimpegno di quel arduo ministero. Più volte venne nominato Vescovo, ma vi si rifiutò; quando, finalmente, Papa Innocenzo XII ve l’obbligò a titolo di santa obedienza, destinandolo alla sede di Andria, dove Fabrizio V ne avea ancora il governo della Duchea.
Venuto in Andria Mons. Ariano, tutto si dedicò al bene ed alla santificazione del Clero e del popolo, affidato alle sue cure, riformandone la disciplina ed i costumi, che, in quel tempo, lasciavano molto a desiderare …
In ciascun giorno di Domenica teneva un discorso al popolo, ed, in tutti i mercoledì dell’anno, una conferenza al Clero. Ristabilì la Confraternita del SS. Sacramento nella Chiesa Cattedrale, ed ordinò che il Viatico agl’infermi fosse accompagnato con tutta la possibile pompa, circondato da gran numero di cerei accesi, e seguito anche da concerti musicali. Molte volte si prestava Egli medesimo a portare il Viatico agl’infermi; spesse volte lo seguiva, introducendosi poi presso il letto dell’infermo, per esortarlo, con famigliare sermone, alla rassegnazione, ed a sopportare pazientemente i dolori della infermità, ai moribondi, impartendo poi, l’apostolica benedizione in articulo mortis.
Mons. Ariano fu tenace difensore della immunità ecclesiastica, per cui tanta odiosità si acquistò dai malvagi, da esser costretto più volte esulare a Napoli od a Roma.
Fe costruire, a sue spese, le soffitte del Duomo, ed ornarle di pitture e dorature [3]. Comprò l’antico palazzo della famiglia Volpone, messo di fronte alla Chiesetta di S. Michele, e lo ridusse, a proprie spese, a Seminario diocesano, per educarvi i giovani leviti alla pietà ed allo studio [4]. La Chiesetta di S. Michele, che va pure sotto il nome di S. Angelo dei Meli [5], serviva di Oratorio pel Seminario.
Al Vescovo Ariano devesi l’intiero piano superiore, con la scalinata, dell’attuale palazzo vescovile, rifacendo il piano inferiore, che era indegno d’esser abitato anche dal più infimo pretanzuolo [6]. Al Vescovo Ariano devesi pure lo stupendo e maestoso altare maggiore della Cattedrale, come rilevasi dallo stemma, collocato ai due laterali di detto altare, rappresentante un’aquila, implema del Vescovo Ariano. Esso è dovuto allo scalpello del famoso cav. Jacopo Colombo di Napoli.
Il Durso, nella sua storia d’Andria, dice, che più volte Mons. Ariano fu attentato nella vita, per l’odio che attirava su di lui la malevolenza dei tristi, messi a freno da questo santo e zelante Vescovo. Egli racconta come, essendosi Mons. Ariano recato il 2 agosto del 1705 a Corato, per monacare cinque nobili donzelle, da una mano segreta e fedele gli pervenne un biglietto, nel quale era avvertito, che avesse fatto a meno in quella mattina gustare il pranzo preparato; mentre in quello conteneasi la sua morte. Difatti, il medesimo Durso riporta questo viglietto, dicendo d’essersi rinvenuto, dopo la sua morte, in un libro di memorie dei Vescovo Ariano.
Ecco quel viglietto: Illustriss. et reverendiss. Domine, Iniquitas te persequitur: Deus autem, ne dispergantur Oves, stat a dextris tuis. Cave ergo Zelantissime Pater, cave a prandio, in quo mors tua est, ne fiat unum ovile et unus Pastor. Die 2 Angusti 1705 [7].
Il medesimo Durso narra, come il Vescovo Ariano, recatosi a Corato, ed appena terminata la funzione della monacazione di quelle cinque nobili donzelle, fece tosto ritorno in Andria, scusandosi, con bel garbo, di non poter accettare l’invito al pranzo, per lui preparato, dovendo, per impellenti motivi, far presto ritorno in Diocesi.
Qual parte avesse il Duca Fabrizio V Carafa in questa persecuzione contro il Vescovo Ariano, non è difficile immaginarla! … Irrequieto ed ambizioso per indole; sollecitato dai cattivi consiglieri; già avvezzo a combattere i due Vescovi precedenti (Vecchia e Triveri) non poteva starsene dal muovere guerra a Mons. Ariano, che, intrepido, alzava la voce a sostenere i diritti della sua Chiesa ed a flagellare i malvagi.
Mons. Ariano, alla sua dottrina e santità, sapeva accoppiare, tal raffinata politica, da sventare la prepotenza del Duca Fabrizio Carafa, il quale già era andato sposo alla Principessina D. Aurelia Imperiale, figlia del Principe di Francavilla.
NOTE   
[3] Quelle soffitte, nel 1902, vennero distrutte (minacciando rovina) per costruirvi la nuova volta.
[4] Quel Seminario oggi è adibito ad Ospedale Civile.
[5] Quella Chiesetta fu detta dei Meli, perché costruita da quella nobile famiglia andriese dei Meli, oggi estinta.
[6] Questa biografia del Vescovo Ariano è tolta di peso dall’Ughelli - Coleti (tradotta però dal latino). Opera citata.
[7] Archivio Capitolare: dal libro delle cause; pag. 375. Era Vicario Generale Vincentius Zenafra.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Nella Quaresima del 1706 (anno in cui morì Mons. Ariano) una forte lite si suscitò fra il Capitolo della Cattedrale ed i PP. Domenicani di Andria, a proposito delle processioni. I PP. Domenicani, ad onta che la S. Congregazione dei Riti avesse loro proibito di fare le processioni pel circuito della città (giusta il decreto del 26 febbraio 1628, da noi innanzi riportato) purtuttavia, nella 3ª domenica di quella Quaresima, per la festa delle quarant’ore, si permisero andare processionalmente per la città, preceduti dalla Confraternita del SS. Rosario, che avea sede nella loro Chiesa. Il Capitolo della Cattedrale fe’ ricorso alla Curia Vescovile, ed il Vicario Generale del Vescovo Ariano, a dì 13 marzo di quell’anno, mandò un ufficio al Padre Priore dei Domenicani ed al Priore della Confraternita del Rosario, condannandoli a pagare ducati cinquanta di multa, con la minaccia dell’interdetto ecclesiastico, se, nell’avvenire avessero ardito fare la processione per la città, in contraddizione al decreto della S. Congregazione dei Riti, la quale permetteva loro la processione solamente infra ambitum quod est prope muros Eeclesiae [8]. Se ne dolsero amaramente i PP. Domenicani col Vescovo Ariano; ma questi, tenace difensore dei diritti della sua Chiesa, e delle prescrizioni della S. Sede, tenne duro; ed i Padri Domenicani pagarono i 5o ducati di multa. Però, se la legarono al dito, ed aspettarono l’occasione per prenderne la rivincita, come vedremo in seguito.
Intanto il vescovo Ariano, esausto dai duri travagli della vita, a dì 17 agosto 1706, passava agli eterni riposi, nella verde età di anni 55, nove dei quali spesi nel governo di questa Chiesa, che amaramente lo pianse, avendo il buon Vescovo lasciato di sé gran fama di santità.
Fu tumulato nell’antica Cappella del SS. Sacramento, messa sul Presbiterio della Cattedrale [9], ed il Capitolo, riconoscente del bene ricevuto dal quel santo Vescovo, ne fe’ costruire il tumulo, sul quale vedesi scolpita, su pietra, la sua venerata immagine, con la seguente iscrizione:
Neapolitanus, nolens, volui Andriæ Præsul
Consecrari die 20. Ianuarij 1697.
Seminarium erexi: Episcopale Palatium
Pene aedificavi: Ecclesiam decoravi:
Divinum cultum auxi, feci omnia:
Nihil omisi pro Dei honore: et ideo
Coronam cœpi gloriæ die 16 Augusti 1706.
Aetatis meæ Ann: 55. Hic expecto tubam,
Et vocem Archangeli, et resurgam.
Nell’anno successivo, 1707, Fabrizio V Carafa seguiva Mons. Ariano nella tomba! … mostrando, anche una volta, come la mano di Dio pesasse su quella famiglia, i di cui rampolli non giunsero quasi mai alla età matura! … Il Duca Fabrizio V non vide spuntare il trigesimo anno di sua vita! Recatosi a Napoli nell’agosto del 1707, dopo pochi giorni vi lasciava la vita. A lui successe nella Duchea d’Andria il suo primogenito Ettore II, nella tenera età di anni 7, sotto la reggenza della Duchessa Madre Donna Aurelia Imperiale, Signora d’impareggiabile virtù, la quale, religiosissima com’era, si mostrò tanto benevole e rispettosa verso il Clero ed il Vescovo, come a suo tempo diremo.
NOTE   
[8] Durso op, cit. pag. 157.
[9] Questa Cappella, anticamente dedicata al SS. Sacramento, e poscia a deposito di attrezzi della Chiesa, ora forma un pregevole monumento, che attesta la devozione degli andriesi a quella preziosa e prodigiosa Reliquia della S. Spina, che trafisse il capo del divin Nazzareno. Per costruirvi questo monumento (del quale parleremo nel secondo volume di quest’opera) il sarcofago del vescovo Ariano fu traslocato sul Presbiterio, vicino alla Credenza.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Al vescovo Ariano successe, nel medesimo anno, Monsignor Adinolfi, il quale venne a rimpiazzare il gran vuoto, rimasto dal santo vescovo Ariano.
Appartenente a nobile e distinta famiglia napolitana, l’Adinolfi esercitò, per parecchi anni, la professione di avvocato in Napoli; ma poi, dato un addio al mondo ed alle sue pompe, vestì l’abito talare e sì ordinò sacerdote. Così il Coleti [10].
Fatto sacerdote, peregrinò per tutta l’Italia, visitando i più celebri Santuarii, quando, giunto a Roma, fu costretto a restarvi dall’Eminentissimo e chiarissimo Cardinal Tommaso Maria Ferrari, il quale, avendo ben conosciuto la singolare pietà e l’ingegno poderoso dell’Adinolfi, volle averlo presso di sé, nell’ufficio delicatissimo di Uditore e di Postulatore nelle cause delle Canonizzazioni dei Santi [11]. Papa Clemente XI (1700 – 1721), a rimeritare la pietà e la dottrina dell’Adinolfi, nel Concistoro segreto del 6 dicembre 1706, lo preconizzò Vescovo di Andria, dove venne a prendere il possesso a dì 28 dello stesso mese ed anno.
Il medesimo Coleti dice, che Mons. Adinolfi fu Vescovo, secondo quel che prescrive S. Paulo. Fu d’una pietà veramente straordinaria, e di un’amore ardentissimo verso Dio: mira pietate erga Deum semper exarsit. E questa pietà cercava sempre d’infondere nel gregge, affidato alle sue cure, e specialmente nei sacerdoti.
Vedendo che il Seminario, eretto dal suo predecessore Mons. Ariano, rendevasi angusto, pel numero sempre crescente degli alunni, comperò alcune case adiacenti, e lo ampliò di molto, corredandolo anche di uno spazioso giardino, affinché la gioventù, con maggiore alacrità, attendesse allo studio ed al culto divino. Spese ben duemila scudi nell’acquisto dell’antico Palazzo della nobile famiglia De Excelsis, per ridurlo a Convento, o Conservatorio delle giovinette povere orfane, che trovavansi in pericolo di perdere la pudicizia, intitolandolo a Maria Immacolata [12].
Per la fondazione di questo Conservatorio, Mons. Adinolfi prese consiglio ed indirizzo da quel Sant’uomo il P. Francesco Di Gironimo della Compagnia di Gesù, il quale trovavasi in Andria a predicare la Quaresima dell’anno 1713 [13]. Per consiglio del medesimo P. di Geronimo il vescovo Adinolfi legò a quel Conservatorio ducati cinquemila dai suoi beni patrimoniali di famiglia, lasciati per testamento al Monte dei poveri vergognosi di Napoli, con obbligo di corrispondere annualmente la rendita, sui ducati cinquemila, al Conservatorio delle orfane di Andria. A tutelare viemeglio l’amministrazione di quell’Istituto, Mons. Adinolfi stabilì, che fossero chiamati al governo di esso quattro personaggi, indicati nella persona del Vescovo pro tempore, di un Canonico della Cattedrale, di un altro della Collegiata di S. Nicola, e del Priore dell’Arciconfraternita del Gesù [14].
Nell’anno 1714, a dì 15 Giugno, consacrò la Chiesa Collegiale della SS. Annunziata, come rilevasi dalla lapide messa sul Presbiterio di quella Chiesa (in cornu Epistulæ).
Mons. Adinolfi fu vero Padre amatissimo dei poveri. Il Coleti narra, che distribuiva ad essi tutta la sua sostanza, sino al punto da spogliarsi perfino delle sue mutande, dei suoi calzoni, per vestirne i poveri; e ciò, dice il Coleti, lo faceva cum maxima sui jucunditate, contento di soffrire per se gravi incomodi, purché sollevava i poveri! … quia non modo dabat suo usui necessaria, sed pro suis pauperibus gravia perpetiabatur incommoda [15].
Dispose della sua rara libreria a favore del Seminario. Nel suo testamento dispose, che, in tutti i giorni, fossesi celebrata una Messa per sé e per i suoi; che il suo cadavere non fosse stato imbalsamato; che, se la morte lo avesse colpito in Andria, fosse tumulato nella Cattedrale, di fronte al trono vescovile, dettando egli stesso la seguente iscrizione:
Nicolai Adinolfi Napolitani, Episcopi
Andriensis, ter maximi peccatoris ossa.
Se poi la morte lo avesse colpito in Napoli, disponeva di esser tumulato nella Cappella gentilizia di famiglia. In tal caso, ordinava, che, dal suo cadavere si fosse estratto il cuore, ed inviato ad Andria, per depositarsi presso l’altare maggiore della Cattedrale, in perpetuo attestato dell’amore che aveva nutrito per la sua Sposa, in Cristo, la Chiesa di Andria, dettando anche Lui medesimo l’altra seguente iscrizione:
Nicolai Adinolfi Andriesis Episcopi
Cor
An. Domini &c …
Mons. Adinolfi, per divina Provvidenza, morì invece in Andria, a dì 13 Luglio 1715, carico di virtù e di merito, pianto amaramente dal Clero, dalla cittadinanza e, più di tutti, dai poveri, che tanto furono da Lui beneficati.
La Duchessa D. Aurelia Imperiale, Vedova di Fabrizio V Carafa e Madre del Duca Ettore II, ne pianse anche lei la perdita di tanto benamato Pastore, che aveva sempre apprezzato e stimato in vita, per le sue rari e singolari virtù. Ad esempio della Madre, anche il figlio, il Duca Ettore II, si mostrò sempre devoto e rispettoso del vescovo Adinolfi.
A dare una pruova del suo affetto e della stima a Mons. Adinolfi, la pia Duchessa Carafa volle, a sue spese, erigervi un monumento nella Chiesa Cattedrale. Ed è appunto quel busto in marmo, che tuttora si ammira, accanto alla Cappella dell’Addolorata, sotto la cantoria dell’organo, dove furon pure composte le sue venerate ossa.
NOTE   
[10] Coleti presso l’Ughelli: loc. cit.: Nicolaus, Napolitanus Ioannis Adinolfi et Angelæ Costæ filius, U. I. D. post egregiam in Napolitano sæculari foro navatam operam, mando eiusque pompis obrenuncians, sacerdotalem amplexatus dignitatem etc...
[11] Coleti: op. cit.
[12] Questo nuovo Conservatorio surrogò l’altro, messo a piè della strada Pendio, del quale abbiamo innanzi fatto parola. I due mila scudi, per l’acquisto del Palazzo de Excelsis, furono dal vescovo Adinolfi sborsati ai PP. Carmelitani, eredi di tutta la proprietà di Flavio de Excelsis, come abbiamo anche innanzi narrato.
[13] Fu in quella occasione che Andria vide fra le sue mura questo gran santo, che oggi veneriamo sugli altari. I nostri antenati ci han tramandato la narrazione di tante opere eroiche e di tanti miracoli, operati da Francesco di Gironimo, in quel tempo che predicava la quaresima in Andria.
[14] Avendo la Confraternita del Gesù unitamente al Monte di Pietà, contribuito ancora alla costruzione e manutenzione di quell’Istituto, è perciò che il Priore di detta Confraternita è chiamato a far parte di quell’amministrazione.
[15] Coleti, presso l’Ughelli: loc. cit.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Nei primi anni di governo di Mons. Adinolfi, e propriamente nel 1708, una terribile lite fu suscitata dai PP. Domenicani, i quali, per far dispetto al Capitolo della Cattedrale [16], si rifiutarono, in quell’anno, di recare la statua di S. Domenico nella Chiesa Cattedrale, secondo il solito, per la solenne processione nel dì della festività del Santo [17]. Di qui grave scandalo fu suscitato, degno d’esser ricordato ai posteri …
È da sapersi, che l’Università di Andria, ab immemorabili, faceva l’offerta di un grosso cereo di 14 libbre alla Chiesa di S. Domenico, Protettore della città, nel dì 4 agosto di ciascun anno, festività del Santo. Per questa offerta, i PP. Domenicani si erano obbligati verso la Università di prestare la Statua del Santo, di loro proprietà, trasportandola nella Chiesa Cattedrale, dove si riunivano, poi, le due Collegiate, gli Ordini religiosi, tutte le Confraternite laicali e l’Università, per procedere, processionalmente, con a capo il Capitolo della Cattedrale, nel giro della città.
In quell’anno, 1708, i PP. Domenicani fecero conoscere che, non sarebbero intervenuti alla solita processione, né avrebbero consegnata la Statua del Santo, se non che alla condizione di poter inalberare la lor propria Croce; e che la processione dovesse muovere dalla lor Chiesa di S. Domenico, e non già dalla Cattedrale, come per lo passato.
Il Vescovo, Mons. Adinolfi, a tale strana proposta, con officio del 2 agosto di quell’anno, fece noto ai PP. Domenicani di non fare novità alcuna sub pœna Interdicti localis Ecclesiæ, tam respectu RR. Capitulorum Ecclesiarum sæcularium [18], quam respectu RR. PP. Dominicanorum.
Dietro tale editto, i PP. Domenicani, con atto pubblico per notar Geronimo di Micco, si protestarono, dichiarando al Vescovo di non andar soggetti alla Giurisdizione dell’ordinario della città, ma esclusivamente e direttamente a quella del Nunzio di Napoli, quale Conservatore dei privilegi dei Regolari … Ma il Vescovo Adinolfi, senza tener conto di quella protesta, il di 4 agosto, giunta l’ora solita della Processione, fe’ darne il segno dalle Campane, ed attese che tutti, secondo il solito, intervenissero nella Chiesa Cattedrale, per detta Processione. Nessuno dei soliti ad intervenire vi mancò, tranne i Domenicani con la loro Statua!
Ad evitare scandali, Mons. Adinolfi inviò il Promotore fiscale, il Notar Apostolico ed altri influenti personaggi a persuadere quei Padri di non suscitare scandali, che potevano nascere, per conseguenza della loro ostinatezza. Ma tutto fu fiato perso! … I Domenicani tennero duro, tanto che, trascorsa l’ora, tutti si ritirarono, senza che la processione avesse avuto più luogo! …
In pena di tale riluttanza, il Vescovo Adinolfi ordinò l’Interdetto alla Chiesa di S. Domenico, facendone affiggere i Cedoloni alle porte di essa, mentre che l’Università produceva pure regolare ricorso alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari contro quei Padri, i quali eran venuti meno all’obbligo assunto della processione e della consegna della Statua del Santo, in virtù della prestazione annua del Cereo di 14 libre.
Intanto avvenne che, essendosi recato il pubblico Notar Apostolico, Sebastiano Cristiani, a notificare quel decreto e quel ricorso ai PP. Domenicani, a viva forza venne da essi respinto e messo alla porta, strappando poi maledettamente, quei frati, i Cedoloni, che erano stati affissi per ordine del Vescovo! …
Addolorato Mons. Adinolfi di tanta arroganza di quei frati, fe’ affiggere nuovi cedoloni alla porticina della Chiesa, con la clausola, che restavano scommunicati, ipso facto, tutti quelli che avessero ardito di rimuoverli o di strapparli: amoventes, lacerantes … sint ipso facto excomunicati. Ma gli arditi Frati, acciecati dalla passione della vendetta, non solamente strapparono quei cedoloni, ma, a maggior dispetto dell’interdetto, aprirono tutte le porte della Chiesa e fecero dar di mano alle Campane, celebrando Messa solenne, fra un continuo incendiar di folgori e razzi ed un infernale sparo di petardi e mortaretti!
Fra tutti si distinse un tal P. Fra Domenico Paradisi [19], il quale, dopo aver strappati rabbiosamente i cedoloni dalla porta della Chiesa, si diè a pestarli pubblicamente coi piedi, con grave scandalo dei molti presenti! … Indi, dopo quest’atto di sacrilega bravura, vestiti gl’indumenti sacerdotali, recossi a celebrare all’altare di S. Domenico!
Mons. Adinolfi, informato di quanto accadeva, a dì 23 di quel medesimo mese ed anno, pubblicamente, dichiarò scommunicato il P. Fra Paradisi!
Di tutto l’accaduto il Vescovo Adinolfi ne fe’ relazione alla S. Congregazione del Concilio, la quale, chiamava i PP. Domenicani a dedurre le ragioni di quel loro operato, istituendo quindi un regolare giudizio. La causa fu proposta con i seguenti dubbi:
  1. An Patri Dominicani Civitatis Andriæ teneantur in die festivitatis S. Dominici Patroni ejudem Civitatis asportare Statuam ejusdem Sancti ab eorum Ecclesia ad Ecclesiam Cathedralem cum simplici associatione absque cantu, et elevatione Crucis ad finem faciendi Processionem per civitatem cum clero sæculari et regulari, et quatenus affirmative;
  2. An præceptum iniunctum per Curam Episcopalem ejsdem PP. Dominicanis sub pœna Interdicti sustineatur in casu;
  3. An sustineatur Interdictum ab eadem Curia in Ecclesiam dd. RR. PP. Dominicanorum ob eorum contumaciam in non parendo eidem præcepto;
  4. An sustineatur amotio facta ejusdem Interdicti in casu;
  5. An ijdem PP. deinde celebrando in eorum Ecclesia inciderint in Irregularitatem, ut in alias pænas Sacrorum Canonum;
  6. An sit restituendum Cadaver Annæ Lampi ab Ecclesia S. Mariæ Matris Gratiæ Ecclesiæ dictorum Patruum? [20]
  7. An Fratres suspensi sint reintegrandi ad audiendas Confessiones Sacramentales.
A tali quesiti la Sacra Congregazione rispondeva con la seguente sentenza:
Die 6 Iulii 1709 S. Congregatio Emorum S. R. E. Cardinalium Concilii Tridentini Interpretum ad primum et secundum respondit: Affirmative: Ad tertium negative: Ad quartum et quintum rescripsit provisum in tertio: Ad sextum affirmative: ad septimum rescripsit: Ad mentem.
B. Card. Pancialibus Præfectus. V. Petra Secretarius.
Ad mentem: RR. PP. Petant veniam et reintegrantur ad Confessiones.
Decisa cosi la causa, parve si fossero quietati gli animi, ed i Domenicani, costretti a non negarsi alla processione ed a prestare la statua di S. Domenico, trovarono altra via per muover guerra al Capitolo della Cattedrale.
Nell’anno successivo 1710, volendosi sottrarre all’obbligo, che quei Padri, come tutte le altre Comunità Religiose di Andria, avevano di intervenire nella Cattedrale all’assistenza dei divini ufficii, nei giorni solenni dell’Assunta e delle festività del Patrono S. Riccardo, come pure agli obblighi d’invitare il Capitolo della Cattedrale nell’associazione dei cadaveri, che tumulavansi nella loro Chiesa di S. Domenico, provocarono una nuova lite presso la S. Congregazione dei Riti, contro il Capitolo.
La causa si presentò con i seguenti dubbi:
  1. An Patres Dominicani teneantur assistere in Cathedrali in Vesperis et in Missis solemnibus diebus festivitatibus Ss.mæ Assumptionis B. M, V. et S. Riccardi, et quatenus affirmative.
  2. An convenire debeant ad sonum Campanæ, sive potius præcedere debeat specialis intimatio.
  3. An, et in quo loco Ecclesiæ assistere, et sedere debeant.
  4. An, et in quo numero accedere teneantur.
  5. An in casu, quo non accedant, puniri possint per Ordinarium, et quibus pœnis.
  6. An Capitulum Cathedralis in associatione cadaverum tumulandorum in Ecclesia S. Dominici possit eam ingredi cum propria Cruce erecta, et facere funus super cadaver.
  7. An Parochus Catedralis associans solus dicta cadavera, absque Capitulo, possit dictam Ecclesiam S. Dominici ingredi cum stola et superpelliceo.
  8. An PP. Dominicani possint asportare ad seppelliendum in eorum Ecclesia cadavera parvulorum ante septennium sine interventu et licentia Parochi.
  9. An in dicta asportatione liceat dictis Patribus deferre stolam in casu.
S. Congregatio Rituum, utraque parte tam in voce, quam in scriptis Informante audita, respondendum censuit.
ad I.um) Affirmative: ad 2.um) affirmative ad primam partem; negative quoad secundam: ad 3.um) servari solitum: ad 4.um) servari solitum: ad 5.um) arbitrio Ep.i posse puniri, non tamen per censuras; ad 6.um) affirmative quoad primam partem, negative quoad secundam ; ad 7.um) Negative; ad 8.um) Negative, salvo jure probandi immemorabilem consuetudinem: ad 9.um) negative.
Et ita declaravit, et servari mandavit, die 10 Iulij 1710.
Cardinalis Capraneus Præfectus.
Umiliati i PP. Domenicani da questa seconda sconfitta subita, covavano un segreto rancore contro il Capitolo della Cattedrale; e, quando potevano, tiravano frecciate contro di esso! … Questo latente rancore ebbe però la sua tragica manifestazione nel 1730 (venti anni dopo) come a suo tempo narreremo.
NOTE   
[16] A causa dei 50 ducati, pagati in contravvenzione per la processione della 3ª domenica di Quaresima del 1706, come innanzi è detto.
[17] S. Domenico era Protettore della città; ed una solenne processione solea farsi il dì 4 agosto di ciascun anno, alla quale prendevan parte il nostro Capitolo, tutto il Clero secolare e regolare, non che la Università di Andria.
[18] Le due Collegiate (S. Nicola e l’Annunziata), stando esse pure in liti col Capitolo della Cattedrale, appoggiavano la protesta dei PP. Domenicani. Per cui il Vescovo Adinolfi minacciava anche alle due Collegiate l’interdetto.
[19] Che dovrebbe chiamarsi piuttosto Fra Inferni o Fra Diavolo! …
[20] I Domenicani si querelavano pure per aver il Capitolo tumulato nella Chiesa Mater Gratiæ il cadavere di Anna Lampi, appartenente ai PP. Domenicani.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Facevano parte del Capitolo Cattedrale, in questo tempo, i seguenti personaggi:
«Arcidiacono: Giuseppe Ceri, cui successe nel 1706 Nicola De Robertis; Arciprete: Nicola Antonio Palombella [21], cui successe nel 1713 Sebastiano Renza; Cantore: Carlo Antonio Tesse, cui successe nel 1716 Nicolò D’Ursi; Primicerio Giov. Battista De Robertis, cui successe Sebastiano Renza; finalmente nel 1713 Vincenzo Caputi, quando il Renza passò ad Arciprete: Priore di S. Riccardo: Riccardo Gurgo, cui successe nel 1710 Domenico Nicola Pincerna.
«Canonici e Partecipanti: Ettore Antolino, Nicola Aurisicchio, Riccardo Pisani, Leonardo Frisardi, Domenico Angelo Cannone, Tomaso Porziotta, Tomaso Modesto, Leonardo Calcagna, Nicola De Russi, Donato Antonio Romano, Sebastiano Cristiani, Domenico Carapignano, Pietro Calcagna, Leonardo Scarcella, Francesco Cocco, Giacomo Montederiso, Nicola Scesa, Antonio Calafemina, Filippo La Porta, Carlo Antonio Scesa [22], Francesco Tucci, Riccardo De Liso [23], Riccardo Bisceglia, Nicola Cataldi, Riccardo Carbutti, Giuseppe Ursi, Riccardo Fasoli, Giovanni Santacroce, Giacomo Taffanaro, Michele Morselli, Giuseppe Voita, Giuseppe Frivoli, Giov. Maria Aurisicchio, Giuseppe Leonetti Seniore, Pietro Scarcelli, Carlo Carelli, Giov. Maria Marchio, Riccardo Figliolia, Tommaso Cassano, Francesco Tota, Giuseppe Leonetti Iuniore, Sebastiano Paradies, Francesco Paolo Tupputi, Luca Lecisi, Giacomo Montaruli, Domenico Antolino, Domenico Margiotta, Domenico Petusi, Leonardo Antonio Caprara, Carlo Antonio Tesse, Giacomo Arcamone, Domenico Civita, Leonardo Margiotta, Riccardo Morgigno, Giuseppe Fiore, Domenico Montederiso, Riccardo Guantario, Nicolò Morgigno, Marino Santoro, Domenico Pichea, Carlo Antonio Calamita, Vito Ricatti, Nicolò De Risis, Salvatore Lanzalonga, Giuseppe Riccardo De Noja, Riccardo Montederiso».
NOTE   
[21] Morto nel febbraio del 1713.
[22] Fu uomo dottissimo. Dottore in Sacra teologia e dritto canonico. Fu professore di teologia morale nel Seminario. Esaminatore e Giudice Sinodale. Versatissimo nel Canto Gregoriano.
[23] Dottore in utroque jure.

— ↑↑↑ —

*
*      *
In questo torno di tempo il Vicereame di Napoli non trovavasi in buone condizioni, per le mire che avevano la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda, nel volersi spartire la monarchia Spagnuola.
Re Carlo II, già malaticcio e cadente, pensò adottare a suo successore, nel governo della Spagna e di Napoli, Filippo, Duca d’Angiò, nipote del Re di Francia, allora Luigi XIV. Intanto, a dì 1 Novembre, 1700, Re Carlo vi moriva, e Filippo V ascendeva sul trono di Spagna e di tutti i regni della Monarchia, compreso quello di Napoli.
Questa successione suscitò le gelosie di varii potentati, e specialmente della Imperial Casa d’Austria, la quale, per mezzo di segreti ambasciatori, convenne con l’Imperatore Leopoldo in una congiura, avente a scopo d’innalzare sul trono l’Arciduca Carlo. E vi riuscì.
Difatti, essendo morto nel 1705 l’Imperatore d’Austria Leopoldo I, a lui successe il suo primogenito Giuseppe I, il quale, seguendo le intenzioni del Padre, inviava il Principe Eugenio di Savoia con poderoso esercito in Lombardia, dove, riuscito vincitore, di là il detto Principe inviava il Conte Daun, coll’esercito Imperiale, alla volta di Napoli, dove entrò vittorioso, impossessandosi, nel Luglio 1707, della città, mentre il Viceré, Conte d’Assulora, rifuggiavasi a Gaeta. Così il governo di Napoli, tolto alla Spagna, passò all’Austria, inviando l’Imperatore Giuseppe I il Conte di Martinis qual Viceré a Napoli. Ma, poco dopo, chiamato in Germania il Martinis, fu nominato Viceré di Napoli il medesimo Conte Daun.
A dì 17 Aprile 1711 l’Imperatore, Giuseppe I cessava di vivere, ed il fratello Carlo VI veniva a succedergli nell’Impero d’Austria, nel ducato di Milano (ch’era caduto pure sotto gli Austriaci) e nel Reame di Napoli, regni confermatigli poscia dai trattati di Utrech nell’aprile del 1713, e di Rastad nel marzo del 1714.
Intanto Filippo Borbone di Spagna andava macchinando di ritogliere all’Austria il Vicereame di Napoli, lasciandosi guidare dalla Regina Elisabetta Farnese, con la quale era passata in seconde nozze, e coadiuvato ancora da Papa Clemente XI. Nel 1717 gli riuscì di occupare la Sardegna, indi Palermo, Catania, Messina e molte altre città della Sicilia, mentre, in Londra, nel 1718, si collegavano insieme Germania, Piemonte, Francia ed Inghilterra, a danno della Spagna. Napoli si manteneva ancora sotto il dominio Austriaco; ma, nel 1734, come vedremo in seguito, il Vicereame di Napoli fu tolto all’Austria, e ridonato alla Spagna, auspice l’ottimo Re Carlo III di Borbone, del quale diremo in seguito le sue opere meravigliose, specialmente a vantaggio della Chiesa e della Religione.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Intanto, morto Mons. Adinolfi nel 1715, la Sede Vescovile di Andria restò, per tre anni, vacante, a causa dei dissensi politici fra la S. Sede (Papa Clemente XI) ed il Re di Napoli (Carlo IV d’Austria), in riguardo alle provviste dei Beneficii ecclesiastici e dei Vescovadi del Regno.
Durante questa vacanza, resse la Diocesi il Vicario Capitolare D. Sebastiano Renza, Arciprete della Cattedrale, uomo d’elevato ingegno e di provata virtù.
Finalmente, composte le vertenze fra la S. Sede ed il Re di Napoli, venne eletto Vescovo di Andria Mons. Giovanni Paolo Torti di Marcantonio e d’Isabella Pepara di Ospedaletto, in Diocesi di Monte Vergine. Egli era ascritto alla Congregazione dei Benedettini. Fu uomo di alta dottrina e di eminente santità.
Dopo d’aver insegnato per un decennio, con grande plauso, teologia dommatica in Roma, e poi nelle principali città del napoletano, fu eletto Abate, nel qual ufficio fu destinato superiore in varii Conventi del suo Ordine. Fu poscia Definitore e Visitatore Generale di tutto l’Ordine Benedettino; indi Abate Decano del Convento di S. Maria in Monte Virgiliano e Vicario Generale di tutto l’Ordine. Fu ancora Abate del suo Convento di Capua, e Consultore in quella Curia Arcivescovile. Finalmente in Roma fu Procuratore Generale dell’Ordine e Teologo dell’Eminentissimo Cardinal Vincenzo Orsini [24]. Papa Clemente XI, nel Concistoro segreto del 6 aprile 1718 lo preconizzava Vescovo di Andria, dove venne a prendere possesso della sua Sede vescovile l’11 Maggio di detto anno.
Mons. Torti fu degno successore dei Vescovi precedenti Franco, Vecchia, Ariano ed Adinolfi. Egli ne imitò tutte le loro virtù; e si mostrò eguale ad essi nel grande amore al popolo (che assiduamente istruiva coi suoi sermoni familiari) e nella gran cura del Clero, che ebbe come la parte sua più prediletta.
Il Capitolo della Cattedrale deve a questo Vescovo grande riconoscenza, pel bene da esso ricevuto. Il Duomo fu da Lui fatto decorare di stucchi; le soffitte, rifatte a nuovo, furono pure, a sue spese, ricoperte di nuovi imbrici. Fece Egli murare l’antica porta della Sacrestia, che corrispondeva immediatamente al lato del Banco della Collegiata di S. Nicola (dalla parte del Coro), facendo pure murare l’Arco, che corrispondeva a ridosso del detto Banco, aprendovi invece la nuova porta, tuttora esistente, che mette nella Sagrestia. Aveva pure ideato di rimuovere, dal posto, ove ora trovasi, il Banco della Collegiata di S. Nicola, ed ivi costruirvi una Cappella [25], in tutto simmetrica all’altra, una volta dedicata al SS. Sacramento. ed ora alla Sacra Spina. La morte non gli fe’ compiere tale divisamento.
Dopo d’aver fatto ben restaurare e decorare il Duomo, Mons. Torti, nel 1723, volle anche consacrarlo (non essendo stato finallora che solamente benedetto), assegnando il giorno 24 Ottobre; per anniversario di quella consacrazione. Sino al 1735 si celebrò tale anniversario della Consacrazione nel giorno 24 Ottobre; ma, in questo medesimo anno, la S. Congregazione dei Riti decretò, invece, la seconda Domenica di Novembre, come anniversario della Consacrazione della Chiesa Cattedrale [26], come tuttora si pratica.
Mons. Torti fe’ pure abbellire il Palazzo vescovile, adornandolo di pitture. Fu assai caritatevole verso i poveri, ai quali provvedeva di larghe elemosine e di ogni necessario soccorso.
Devotissimo della Vergine, recavasi sovente a visitare il Santuario della Madonna dei Miracoli, ed incitava i cittadini alla devozione verso quella Sacra Immagine, che in tanta venerazione era allora tenuta dai Benedettini Cassinesi, coi quali spesso il buon Vescovo si trattenea in familiare colloquio, incitandoli sempre più a propagare il culto a quella Immagine miracolosa. Permise loro che ampliassero il Convento e la piazza, per dare maggior aria e luce a quel vasto edificio.
Il Coleti, dal quale è tolta questa biografia del Vescovo Giovan Paolo Torti, non poté proseguire la sua narrazione, avendo rinunziato alle stampe la sua opera nel 1721 [27]. Onde conchiude la biografia di questo Vescovo lancor vivente allora’con le seguenti parole: annuat Deus, ut longum protrahat regimen ad commissi sibi gregis majus semper in dies subsidium.
Intanto noi proseguiamo la biografia di questo Vescovo Gian Paolo Torti, e dei Vescovi successivi, sulla guida del Cappelletti, autore più recente ed accuratissimo.
Del vescovo Torti il Cappelletti scrive: d’esser stato cospicuo per pietà e per dottrina; d’aver restaurata ed abbellita, a proprie spese, la Cattedrale ed il Palazzo vescovile. Nulla dice della sua fine.
Però, parlando del suo successore, Pietro Paolo Torti, il Cappelletti dice, d’esser succeduto a Gian Paolo Torti, nel 1724. Dunque, par che Gian Paolo Torti fosse morto, o traslocato ad altra sede in quest’epoca, e che Pietro Paolo Torti fosse venuto a succedergli.
Il Durso, nella sua storia d’Andria, par che sia caduto in un grave equivoco, confondendo in uno i due Vescovi Torti.
Difatti, parlando del vescovo Gian Paolo Torti, scrive nella sua Istoria:
«Essendo giunto l’anno 1725, il Duca Ettore II Carafa impalmò per sua sposa D. Francesca Guevara, figlia del Duca di Bovino. Le nozze furono celebrate in Napoli, e nella venuta in Andria degli illustri sposi, Monsignor (Gian Paolo Torti) fatte le loro debite congratulazioni, dopo due giorni partì per Benevento, dove attendevasi Bededetto XIII, dal quale ottenne essere trasferito da questo al vescovado di Avellino e Frigento. Ivi terminò i suoi giorni, con molta fama di santita».
Ma, in buona pace del valoroso storico Durso, dobbiamo noi far qui rilevare, che egli ha confuso, in uno, i due Vescovi Gian Paolo e Pietro Paolo Torti [28]. Il Durso, cancellando dalla serie dei Vescovi andriesi Pietro Paolo Torti, attribuisce a Gian Paolo Torti il trasloco alla sede vescovile di Avellino.
Ora, stando a quel che ne dice il Cappelletti, non fu Gian Paolo, ma, Pietro Paolo che, a dì 9 dicembre del 1726, fu traslocato da Andria alla Sede vescovile di Avellino [29].
Dunque, nel 1725, quando il Duca Ettore Carafa impalmò D. Francesca Guevara, non era Vescovo di Andria Gian Paolo, ma Pietro Paolo Torti, succeduto, nel 1724, a Gian Paolo Torti, Né poi Pietro Paolo (scambiato dal Durso per Gian Paolo) Torti partì per Benevento (dopo le debite congratulazioni agli sposi!) nel 1725; ma nel 1726, quando cioè fu traslocato alla sede vescovile di Avellino, dalla quale veniva in Andria, in ricambio, Mons. Nobilione, alternandosi così, nello stesso tempo, le due sedi, per disposizione di Benedetto XIII, come qui appreso diremo.
NOTE   
[24] Tutte queste cariche altamente ci dicono quanta dottrina e quanta rinomanza godeva questo Vescovo; ed, in pari tempo, si rileva in quale considerazione era tenuta la Diocesi di Andria da meritare Vescovi così eminenti.
[25] Dall’Archivio Capitolare.
[26] Archivio Capitolare.
[27] Edit: Venetiis, apud Sabastianum Coleti, MDCCXXI.
[28] Causa di questo equivoco ha dovuto essere la interruzione del Coleti nell’opera dell’Ughelli, dal quale il Durso par che abbia attinto la Cronologia dei nostri Vescovi.
[29] Cappelletti: Chiese d’Italia; Vol XXI, pag, 77 e seguito.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Sotto il vescovado di Mons. Gian Paolo Torti un vespaio di liti fu suscitato contro il povero Capitolo della Cattedrale da parte delle due Collegiate, degli Ordini Religiosi, e delle Confraternite laicali, che, se volessimo tutte qui riportarle, non basterebbero dieci volumi a poterle raccorre, con i relattivi documenti, memorie, e sentenze relative ed altro!
Diremo, in succinto, quel tanto, che basterà a fare conoscere come il nostro Capitolo par che sia stato destinato a dover vivere in una continua lotta !... E perché mai questo ?... Ecco la risposta. In una memoria a stampa, compilata dagli Egregi Avvocati Napolitani Gregorio Cantore e Michele Durso, in data 22 febbraio 1793 (depositata nella Real Camera di S. Chiara) ci occorse leggere queste memorande parole « disgraziato Capitolo della Cattedrale di Andria !... che, laddove per le sue preeminenze e prerogative avrebbe dovuto essere da tutti pregiato e protetto; non si sa, per quel fato nemico, sia stato sempre il bersaglio di tutti, i quali, in ogni tempo, hanno congiurato ad avvilirlo, annientarlo e distruggerlo !... »
Parole, che a noi sembrano poter formare la Epigrafe storica del nostro Capitolo !... del quale par che si possa ripetere: il positum est in signum, cui condradicetur ei! …
Ma quale la causa di tanta contradizione ? ... Le sue preeminenze e prerogative [30].
La Matricità e la Parrocchialità, ecco i motivi di tanta guerra al Capitolo Cattedrale ! ... Queste qualità, che avrebbero dovuto farlo più stimare ed amare, come i figli debbono stimare ed amare la madre, queste medesime qualità l’han fatto sempre disprezzare ed odiare! ...
Tutte le quistioni, però, son nate dall’aver voluto gli altri arrogarsi dritti parrocchiali, che non avevano, sia nell’amministrazione dei Sagramenti, sia nell’associazione dei defunti, processioni ed altro.
Di qui le lotte suscitate dalle Collegiate, dalle Case Religiose, dalle Confraternite laicali, cui si univano i prepotenti Baroni e l’Università (partigiana sempre dei Baroni) per convinzione, o per timore …
Sotto il governo di Mons. Gian. Paolo Torti si collegarono insieme tutti questi nemici contro il Capitolo della Cattedrale! … E, prima di tutti, la Collegiata dell’Annuniiata, protetta dal Duca Ettore II Carafa. Nel 1720 i Preti di questa Collegiata pensarono di volersi sottrarre all’obbligo d’intervenire nella Chiesa Cattedrale il Giovedì Santo, per ricevere il Precetto Pasquale, e per assistere alle altre funzioni, secondo aveano per lo passato sempre praticato. Quindi, in quell’anno, gli Annunziatisti non intervennero alla funzione del giovedì santo, in Duomo. Il Capitolo Cattedrale, tenace difensore dei suoi diritti parrocchiali, non tollerò tale novità, e fece ricorso alla S. Sede, la quale, a mezzo della S. Congregazione del Concilio, con decreto del 17 luglio 1720, ordinava a quei Preti [31] di recarsi tutti, una col loro Priore, nel modo e forma consueta, il Giovedì Santo, nella Chiesa Cattedrale, per prendere il Precetto Pasquale, ed assistere alle sacre funzioni, pena la multa di ducati 25, in caso di contravvenzione.
I Preti dell’Annunziata non si arresero, e produssero appello a tale sentenza. E la S. Congregazione, in data 19 dicembre 1723, emanava una nuova sentenza, la quale ordinava che il Priore, con due terze parti dell’intero Clero di quella Chiesa, dovesse, secondo il solito, processionalmente recarsi nella Cattedrale, per assistere alle funzioni del Giovedì Santo, e prendere il Precetto Pasquale; la terza parte restando a funzionare nella propria Chiesa, pera la multa dei 25 ducati, in caso d’inobedienza [32].
Sopite intanto le lotte col Capitolo dell’Annunziata, nel medesimo anno 1723, furono introdotte, presso la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, nuove liti contro il Capitolo della Cattedrale dal Capitolo di S. Nicola, il quale un’altra volta volle ritentare la prova d’esimersi dall’obbligo d’intervenire all’assistenza dei divini officii, nelle festività dell’Assunta e del Protettore S. Riccardo.
Intanto la detta S. Congregazione, già conscia delle precedenti liti e dei decreti già emanati sul riguardo, delegò il Vescovo Gian Paolo Torti, a far eseguire quanto, ab immemorabili, si era praticato. Ed il Vescovo Torti, con ufficio del 9 luglio 1723, ordinava al Capitolo di S. Nicola, di non fare novità alcuna circa gli obblighi già assunti, ed imposti dalla S. Sede, sub poena ducatorum biscentum piis usibus … et in juris subsidium Interdicti localis Ecclesiae … et carunelorum (carlini, moneta rispondente a circa 42 centesimi) quindecim etiam piis usibus … et in juris subsidium excomunicationis aliisque arbitrio respectu singulorum, vigore enunciati decreti emanati in anvo 1596. Die 14 Mensis Angusti 1723 [33].
Il Capitolo di S. Nicola fece appello a Roma contro questa sentenza del Vescovo Torti, domandando, non più l’esenzione da quell’intervento nella Cattedrale, ma la limitazione nel numero dei Capitolari da intervenire, proponendone otto soli. Ma la S. Congregazione, non tenendo conto di quell’appello, sub die 15 Martii 1725, rescripsit: Omnes teneri. Contro questa nuova sentenza il Capitolo di S. Nicola impetrò una nuova udienza, la quale, per tanti incidenti, suscitati fra le due parti contendenti, si protrasse sino al 1736 (cioè per ben undici anni! …) [34], nel qual anno i Niccolini, congregatisi in generale assemblea a dì 3 giugno, stanchi dalle lotte, ed esausti dalle spese, decisero di venire ad un’amichevole composizione coi Cattedralisti, proponendo, a base della composizione, che, nelle tre indicate festività, invece dello intiero Capitolo, sarebbero intervenuti ventiquattro Capitolari, comprese le tre Dignità (cioè il Prevosto, il Cantore ed il Primicerio), domandando ai Cattedralisti un terzo banco amovibile (oltre ai due fissi, esistenti già sul Presbiterio, fatti costruire da detta Collegiata).
Tale proposta fu ben accolta dal Capitolo della Cattedrale, e fu redatto un pubblico istrumento a dì 3 luglio 1736, obbligandosi, scambievolmente, i due Capitoli, ad una penale di ducati cinquecento, da pagarsi da chi dei due fosse venuto meno a quel compromesso di concordia.
Ma, anche questa volta, la concordia non ebbe vita lunga, e le promesse andarono in fumo, col sopraggiungere dell’anno 1747, come in seguito narreremo! …
NOTE   
[30] Con queste parole non intendiamo suscitare rancori, omai sopiti: e, molto meno, farci censori degli avversarii del nostro Capitolo, oggi, massimamente, che son cessate le ragioni dei dissidii con la istituzione delle Parrocchie, e con la leggi di soppressione, che han ridotte tutte le chiese alla miseria! … Nostro compito quello di narrare oggettivamente ed imparzialmente i fatti accaduti …
[31] Non per mancanza di rispetto verso gli egregi componenti la Collegiata dell’Annunziata, usiam la parola Preti, ma perché così venivano chiamati, in quel tempo tutti i Sacerdoti, non escluso il Vescovo, che appellavasi il Primo Prete. È vero però che, propriamente parlando, quei Preti dovrebbero dirsi piuttosto Cappellani, giacché l’origine di quella Collegiata, secondo é detto innanzi, venne da alcune Cappellanie o legati di Messe che venivano soddisfatte, in quella Chiesa, da taluni Sacerdoti, a capo dei quali eravi un Sacerdote Rettore della Chiesa, il quale prese poi il nome di Priore. Nel 1710 il Vescovo Adinolfi, dalla massa di questi legati, staccò una parte delle elemosine per le Messe, formando da essa una massa comune, obbligando quei Cappellani alla quotidiana officiatura corale. Nel 1714 dal medesimo Vescovo Adinolfi, questa Chiesa venne consecrata, ed i Cappellani continuarono ad officiarla. Nel 1716, vacando la Sede Vescovile, per l’avvenuta morte del Vescovo Adinolfi, il Vicario Capitolare d. Sebastiano Renza, Arciprete della Cattedrale, permise a quei Cappellani di poter tenere la Sacra Pisside, e di erigere la Cappella del SS.mo Sacramento nella lor Chiesa dell’Annunziata, senza però conceder loro la facoltà di amministrare i Sacramenti, non essendo Chiesa Curata; che anzi i medesimi Cappellani, per sodisfare al Precetto Pasquale, dovevansi recare il Giovedì Santo nella Chiesa Cattedrale, Unica Parrocchia della città. Ottenuta tale concessione quei Cappellani, fin d’allora si costituirono in Capitolo, e la lor Chiesa cominciò a prendere il titolo di Collegiata, senza però che avesse i necessari requisiti di fondazione e di erezione in titolo dalla S. Sede, o dall’Ordinario. Laonde, credendo che, con quella concessione, la detta Chiesa avesse cangiata natura, quei preti-Cappellani cominciarono ad affacciare pretenzioni. Di qui le lotte, dai medesimi suscitate contro il Capitolo della Cattedrale, acuite dai Baroni, che si fecero potenti protettori di quel Capitolo, per odio al Capitolo Cattedrale.
[32] Tale sentenza ebbe la sua esecuzione sino all’anno 1753. Ma, nell’anno successivo, quei Preti nuovamente si assentarono da quell’obbligo, e furono riprese le lotte con maggior acrimonia, come a suo tempo diremo.
[33] Archivio capitolare, Libro delle cause.
[34] Quanti quattrini sprecati in quegli 11 anni!

— ↑↑↑ —

*
*      *
Mentre tali liti si agitavano fra il Capitolo della Cattedrale e le due Collegiate, ecco che nel 1723 i Carmelitani, da poco istallatisi in Andria (1707) insorgono anch’essi contro il Capitolo della Cattedrale, pretendendo di voler seppelire i cadaveri nella Chiesa del loro Convento, contrariamente al convenuto, stipulato fra quei Padri ed il Capitolo, nel dare il suo assenso alla introduzione di quell’Ordine Religioso in Andria! I Carmelitani si facevan forti della Clementina, (Dudum de sepulturis), che accorda ai Regolari il jus di poter seppelire nelle loro Chiese i cadaveri di coloro, i quali, ancor viventi, ne avessero fatta la elezione di quelle sepolture.
Il Capitolo, invece, forte dei suoi diritti, anche prescindendo dalla convenzione stabilita, sosteneva, a sua difesa, che la Clementina, cui si appoggiavano i Carmelitani, parla di concessioni dentro, e non fuori delle Chiese dei Regolari. Quindi sosteneva, che i Carmelitani potevano solamente, alle porte della propria Chiesa, accogliere i cadaveri di coloro, che avean dichiarato di esser seppelliti in quella Chiesa, ma non rilevarli dalla propria abitazione e transitare per la città. Che, se le altre Comunità religiose, esistenti in Andria, ab immemorabili, esercitavano tal diritto (benché accompagnate sempre dal Parroco della Cattedrale), egual diritto non potevano avere i Carmelitani, di fresco venuti, e con tali espresse condizioni ricevuti.
Intanto, presentata la vertenza nella Curia Vescovile, questa decise in favore del Capitolo, con sentenza del dì 12 aprile 1723.
Se non che, nel 1732, i Carmelitani ripresentarono la vertenza presso la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, e questa chiese il parere del Vescovo (allora Mons. Nobilione), il quale informò in favore del Capitolo. Ma i Carmelitani non si arresero, e protrassero la lite fino al 1739, con esito, in parte, ai medesimi favorevole. Difatti, con sentenza, pronunziata a dì 22 Gennaio del 1740 dal Cardinal Ponente, l’Eminentissimo Ruspoli, veniva stabilito, che fosse lecito ai PP. Carmelitani di associare e tumulare i cadaveri di quelli che avessero scelta la sepoltura nella loro Chiesa, però con l’intervento sempre del Parroco o del Capitolo della Cattedrale, secondo usavano gli altri Ordini Religiosi della Città; e che i frati, ogni volta, dovessero processionalmente incedere a rilevare il Parroco od il Capitolo dalla Chiesa Cattedrale [35]. Così ebbero termine quelle liti, ed ai contendenti venne imposto dalla S. Congregazione il perpetuo silenzio, con la forma et amplius.
Anche i RR. PP. Agostiniani dell’ordine eremitano, cui si associarono tutte le altre Comunità Religiose, allora esistenti in Andria [36], mossero, in quel tempo, varie liti contro il Capitolo, per riguardo ai soliti diritti di preeminenza, rivenienti dalla sua Matricità e Parrocchialità.
Gli Agostiniani pretendevano d’indossare la stola nelle pubbliche e private processioni, fatte unitamente alla Confraternita di S. Monica, installata nella loro Chiesa. Il Capitolo permise loro di portare la stola solamente nella visita, ch’essi facevano, con detta Confraternita, ai Santi Sepolcri.
Da tale concessione i PP. Agostiniani si credettero in diritto di poter portare la stola anche in altre occasioni. Di qui le liti. Ma una sentenza della S. Congregazione dei Riti, del dì 29 Marzo 1726, pose termine a quelle liti, inibendo agli Agostiniani l’uso della stola nelle pubbliche e private processioni, sotto la pena di pagare ducati cento di multa al Capitolo della Cattedrale, in caso di contravvenzione, oltre all’interdetto della lor Chiesa [37].
Però, nel 1739, gli Agostiniani e la Confraternita di S. Monica (che godeva la protezione dei Duchi Carafa), nella processione di Maria SS. della Consolazione (festività che solea celebrarsi con gran pompa da quei frati), pensarono di allargare il giro oltre all’ambito delle mura del loro Monastero, girando invece per la città. Il Capitolo, però, ne fece ricorso alla S. Congregazione dei Riti, la quale, con Rescritto del 7 luglio 1739, mandò un monito ai detti PP. Agostiniani, perché non ardissero, in prosieguo, di allargare il giro delle loro processioni, oltre l’ambito del Monistero. A questo Rescritto segui il Regio placet, con dispaccio del 20 luglio 1739.
Così finirono le liti coi PP. Agostiniani.
*
*      *
Altre liti furono mosse, pure in quel tempo, dai Francescani dei Minori Conventuali, circa l’intervento alle processioni ed all’assistenza alla Cattedrale nelle festività dell’Assunta e di S. Riccardo; ma tutte finirono col rimetterci le spese, ed un po’ di bile da parte dei Franceseani!
Anche le Confraternite laicali non risparmiarono amarezze al Capitolo della Cattedrale, massimamente quella del Rosario (dipendente dai Domenicani!) quella del Santissimo di S. Nicola (dipendente da quella Collegiata !) e, più di tutte, quella degli Agonizzanti, della quale narreremo, in seguito, le tristi vicende! …
La Confraternita della Morte, nel 173o, dette anche il suo contributo di amarezze al Capitolo della Cattedrale; ma, nel 1738, nobilmente riparò al suo mal fatto.
Questa Confraternita, nel 1730 volle fare alcune speciali funzioni nella Chiesa di S. Sebastiano, dove trovavasi istallata, e ne chiese il permesso al nostro Capitolo, dal quale dipendeva [38]. Il Capitolo, con deliberazione del 5 febbraio 1730, accordò a quella Confraternita il chiesto permesso. Tale concessione diè occasione però a quella Confraternita di abusare, fino al punto da non voler più dipendere dal Capitolo Cattedrale! Fu allora che il Capitolo revocò la concessione fatta, reclamando i suoi diritti su quella Chiesa. Ma quella revoca, da alcuni confratelli venne accolta con insolenze ed anche con minacce; per cui s’ingaggiarono dei litigi.
Però, a riparare a quegl’insulti, il Governatore (o Priore) di quella Confraternita, il Sig. Giovanni Arcamone, nel 1738, propose a quei confratelli di fare un pubblico atto di riparazione verso il Capitolo della Cattedrale, scegliendo, a tal effetto, quattro deputati, fra i più distinti di essi, quali furono i Sig.ri Riccardo Fasulo, Giovanni Arcamone (Governatore), Michele Marafina (2. assistente) e Michele Cocco. In quel pubblico atto vien dichiarato quanto siegue:
«Siccome questa nostra Congregazione ab immemorabili è sempre dipenduto dal Patrocinio, Benevolenza, et assistenza di esso Rev.mo Capitolo, di cui ha goduto Rettore, per il di lei avvanzo spirituale, ed altri Ministeri, che unicamente sono concorso al adempimento di tutte le funzioni solite a farsi in questa nostra Chiesa, cosi intente portarsi in appresso, e mai controvenire a quanto le verrà imposto da esso Rev.mo Capitolo, a cui intende professare tutto l’ossequio, rispetto e dipendenza, con quella riconoscenza, che se li deve come Chiesa Cattedrale ed unica Parrocchiale. et ita conlusum …»
(Extracta est præsens Copia a libro Conclusionum dictæ Venerabilis Confraternitatis, sistente in Archivio ejusdem, et ita est: Datum Andriæ ex Oratorio nostræ Congregationis, die 29 Mensis 9vembris 1738. D. Ricardus Figliolia Secretarius [39].
NOTE   
[35] Archivio Capitolare. Libro delle cause 1763.
[36] In quell’epoca vi erano in Andria sette Comunità Religiose: i Francescani, i Domenicani, i Carmelitani, i Benedettini, i Minori Osservanti, i Cappuccini e gli Agostiniani, oltre ai FatebeneFratelli, adibiti all’Ospedale della misericordia.
[37] Archivio Capitolare. Archivio Capitolare. Libro delle cause.
[38] Tale permesso fu accordato dietro supplica, sottoscritta dal 2. assistente Michele Cocco, e dai Confratelli Angelo Montenegro, Giovanni di Chio e Michele Marafina (dall’archivio Capitolare).
[39] Archivio Capit., Libro delle cause, pag. 424.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Ed ora, mettendo da parte le liti, riprendiamo il filo della nostra Istoria.
Del Vescovo Pietro Paolo Torti (successore di Gian Paolo Torti), poche notizie si riscontrano, atteso il suo breve soggiorno, che fece in Andria. Egli fu monaco della Congregazione di Montevergine. Fu preconizzato Vescovo di Andria da Papa Innocenzo XIII (1721-1724) nell’ultimo anno di suo Pontificato (1724). Due anni dopo, da Papa Benedetto XIII (1724-1730), a dì 9 dicembre 1726, fu traslocato alla sede Vescovile di Avellino.
Nel medesimo giorno, Fr. Cherubino Tommaso Nobilione, Domenicano da Sorrento, alternò col Torti il Vescovado di Avellino (che da alcuni anni possedeva), con quello di Andria.
Mons. Nobilione apparteneva ad una famiglia Patrizia di Sorrento. Ricco di famiglia, benché povero per voto, fu largo in opere di beneficenze.
Appena giunto in Andria, suo primo pensiero fu il Seminario, dove i leviti, sin dal primo albore di loro gioventù, si indirizzano al buon cammino dell’apostolato. Trovando poco adatto il vecchio locale, fatto costruire da Mons. Ariano, ed anche per poter invigilare personalmente i giovani Seminaristi, fece costruire, a sue spese, un nuovo Seminario, accanto al Palazzo Vescovile [40], ed alla Chiesa Cattedrale, dove presero residenza i giovani seminaristi.
Mons. Nobilione, da vero nobile, arricchì il Capitolo della Cattedrale, di argenteria, per uso dei divini ufficii. Fe’ costruire, in argento, tutto l’ornato dell’altare maggiore, dove spese molte migliaia di ducati. Il solo cosiddetto pagliotto, ossia il frontale, che chiude tutto il prospetto della mensa, costò tremila e quattrocento ducati. Esso veniva adoperato nelle festività solenniori dell’anno. Questi tesori ci furono tutti involati da quei ladri francesi, nel saccheggio del 1799!
NOTE   
[40] Questo locale ora è nelle mani degli eredi del Vescovo Longobardi, il quale, dopo le leggi di soppressione del 1867, lo riscattò, a sue spese, dal Demanio, per uso del Vescovo e del Clero. Morto il Vescovo Longobardi (1870) i suoi eredi, profittando delle leggi eversive, se lo appropriarono. Però, venuto alla luce, dopo molti anni, il testamento del Vescovo Longobardi, quel locale dovrebbe ora esser restituito al Vescovo di Andria.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Sotto il Vescovado di Mons. Nobilione ebbe origine il così detto Monte del Cumulo di S. Riccardo. Esso devesi alla generosità dell’ottimo Duca Ettore II Carafa [41]. Non avendo avuto questo Duca prole maschile da sua moglie Francesca Guevara [42], addolorato per non veder continuato il nome del suo Casato, fe’ voto al nostro Protettore San Riccardo ed al taumaturgo S. Vincenzo Ferreri, d’istituire, dal suo patrimonio, una rendita a vantaggio della Cappella di S. Riccardo, se avesse ottenuto un figlio maschio, cui avrebbe imposto il nome di Riccardo, e successivamente quello di Vincenzo, se avesse avuto un secondo maschietto. La preghiera del pio Duca venne esaudita dai due Santi Protettori; e due successivi maschietti, cui impose il nome di Riccardo al primo (nato nel 1739) e di Vincenzo al secondo (nato nell’anno successivo), vennero ad allietare la sua Casa.
Fedele alla promessa votiva, il pio Duca Ettore istituì il così detto Monte del Cumulo di S. Riccardo, consistente nella donazione di 6o vacche, con l’obbligo di cumulare, dal fruttato di esse, una rendita annua di ducati seicento (pari a lire 255o), da impiegarsi alla rifazione e manutenzione della Cappella di S. Riccardo (messa nel Duomo), ed in altre pie opere di beneficenza; destinando, a tal uopo, una speciale Commissione, amministratrice di quei beni, composta dal Priore della Cattedrale e da altri gentiluomini della città, come risulta dal suo testamento.
Il Duca Ettore II Carafa fu assai benvoluto e stimato dal Re Carlo III, per la sua inalterabile fedeltà a tanto Monarca, specialmente nella famosa battaglia di Bitonto, avvenuta nel 1734; per cui fu, da Carlo III, decorato del titolo di Grande di Spagna, e del grado di Capitano degli Alabardieri; costituito, poscia, Vicario Regio delle Provincie di Lecce e di Bari; e, finalmente, destinato Vicerè nella Sicilia, posto che non occupò, perché l’ordine politico delle cose avea fatto cambiare la volontà del Sovrano, destinando, invece, a Viceré di Sicilia, un altro Barone. Questo avvenimento fu causa di grande dolore al nostro buon Duca, da ridurlo, dopo breve tempo, alla tomba! …
NOTE   
[41] Questo Duca, educato cristianamente dalla sua genitrice D. Aurelia Imperiale, fa eccezione nella serie dei Duchi Carafa, suoi predecessori. Fu sempre in buoni rapporti coi suoi Vescovi contemporanei (Adinolfi. Nobilione e De Anellis) e del Clero, specialmente di S. Nicola e della Annunziata.
[42] Aveva dato alla luce sei figlie femmine.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Ritornando al Vescovo Nobilione, nel 1730 egli fu vittima di una involontaria imprudenza, che cagionò un grave scandalo nella città, e fu causa poi d’indurlo a rinunziare al Vescovado, per ritirarsi a vita privata nella sua primitiva religione Domenicana. Ecco quel che accadde.
I PP. Domenicani, sempre ben disposti a tirare frecciate al Capitolo Cattedrale (come è fatto innanzi parola), per gli scacchi subiti nelle varie liti sostenute, credendo di avere un protettore nel Vescovo Nobilione (già dell’ordine Domenicano) e, sotto la sua egida, prendersi una rivincita contro il Capitolo della Cattedrale, in quell’anno, 1730, pensarono di solennizzare la festività del Corpus Domini, nella Domenica fra l’ottava, con maggior pompa del solito, allargando il giro per la città, mentre, giusta le prescrizioni precedenti, quella processione solea farsi nel circuito della loro Chiesa e Monastero. A tal uopo invitarono il Vescovo Nobilione a portare solennemente il Venerabile, credendo così di poter eludere la restrizione del giro. Avuta di ciò notizia i Preti della Cattedrale, fecero osservare al Vescovo, di non poter egli esibirsi a funzione alcuna fuori della Cattedrale, senza l’intervento dei Preti ad essa appartenenti, giusta le disposizioni delle S. Congregazioni dei Riti, dei Vescovi e Regolari, e del S. Concilio.
Il Vescovo, non dando retta ai Preti della Cattedrale, e, fattosi trascinare dai Frati Domenicani (i quali, in buon numero, eransi recati a rilevarlo dal proprio palazzo), recossi, in detto giorno, alla Chiesa di S. Domenico, dove, indossati gli abiti pontificali, circondato dai frati domenicani, si mosse processionalmente, col Venerabile fra le mani, pel giro della città. Alcuni sconsigliati Preti della Cattedrale, capitanati dall’Arciprete Pincerna e dal Primicerio Tesse, non volendo tollerare questo strappo ai diritti capitolari, inalberando la Croce, si recarono ad incontrare il Vescovo, per accompagnarlo, lungo il percorso della processione! A quell’incontro i Frati, avvampando d’ira, più si strinsero intorno al Vescovo, e non vollero cedere il posto ai sopraggiunti Preti della Cattedrale! Questi, tenaci nel loro proposito, cominciarono ad alzar la voce, ed a spingere fuori da quel posto i Frati! … Di qui un grave e scandaloso conflitto, nel quale qualche cereo dovette pure servire da arma, ai litiganti! … e la commedia si sarebbe tramutata in tragedia, se il Vescovo Nobilione, profittando della vicinanza della chiesa di S. Francesco, non si fosse ivi riparato col Sacro Ostensorio; sciogliendosi così il corteo di quella malaugurata processione! …
Dell’accaduto tosto i Domenicani fecero ricorso alla S. Sede ed al Re di Napoli, e furono chiamati a Roma, al redde rationem, l’Arcidiacono De Robertis ed il P. Priore dei Domenicani; mentre l’Arciprete Pincerna, il Primicerio Tesse ed alcuni dei più arditi Canonici furono, dal Governatore della città, inviati a Barletta, messi sotto buona sorveglianza!
Prodotto il ricorso nella S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, il Capitolo della Cattedrale, per quell’atto di pochi imprudenti, fu condannato:
  1. ad esporre solennemente, a tutte sue spese, e per dieci anni consecutivi, il SS. Sacramento nella Domenica fra l’ottava del Corpus Domini, coll’obbligo, a tutti i Capitolari, di assistere, lungo l’intiera giornata, dandosi vicendevolmente lo scambio delle ore, e di pregare Iddio a concedere loro il perdono di quell’atto delittuoso commesso, sotto pena di pagarsi, dai contravventori, la somma di dieci scudi, da erogarsi ad arbitrio del Vescovo;
  2. di offrire all’altare maggiore della Chiesa di S. Domenico una lampada d’argento di cento once, da farsi a spesa delle partecipazioni spettanti a ciascun capitolare di quelli che presero parte a quella rivolta [43];
  3. di far incidere su quella lampada la seguente iscrizione: Sumptibus reorum Cathedralis Andrien in reparationem Divini et Episcopalis honoris sacrilege lesis, cum inscriptione construi et perpetuo ardere jussit S. Congregatio Episcoporum et Regularium die VIII Februarii MDCCXXXII;
  4. di recarsi l’intiero Capitolo, in corpo, a chieder perdono al Vescovo dell’accaduto; e poscia ciascun capitolare, nella prima prossima funzione pontificale, fatta dal Vescovo, da rinnovare personalmente e singolarmente, in pubblica Chiesa, quell’atto di sottomissione;
  5. di condannarsi l’Arciprete Pincerna ed il cerimoniere Scesa a dieci anni di carcere formale, a scelta del Vescovo; il Primicerio Tesse a cinque anni di carcere, ed i Canonici Caprara e de Matteis a tre anni di egual prigionia.
Questa sentenza fu data da Roma, a dì 8 febbraio 1732, dal Prefetto dei Vescovi e Regolari, il Cardinal F. Barberino. Dopo questa vittoria i Domenicani fecero incidere tutta la sentenza su d’una gran lapide di pietra, fatta attaccare poi su d’un muro del Convento, ad perpetuam rei memoriam! … Ma, discacciati i frati nel 1809, quella lapide fu fatta distaccare dal muro, e trasportare in un sotterraneo, in origine cantina dei Frati, dove tuttora esiste …
Cosi i PP. Domenicani si presero la rivincita contro il Capitolo!
Intanto, riappaciatisi i PP. Domenicani col nostro Capitolo, si venne ad una convenzione, mercé la quale, il Capitolo cedeva ai Domenicani due case di sua proprietà, messe nei pressi della Chiesa di S. Andrea, assumendo i detti Padri Domenicani l’obbligo di provvedere, dalla rendita di quelle due case, alla imposta manutenzione di quella lampada!
Soppresso poi quel Monistero nel 1809 (a tempo della occupazione militare francese), quell’obbligo non fu più mantenuto; né le case tornarono più al Capitolo! …
NOTE   
[43] I più accaniti furono l’Arciprete Domenico Nicola Pincerna, il Primicerio Tesse, il Cerimoniere Carlo Antonio Scesa ed i Canonici Leonardo Caprara e Giuseppe De Matteis.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Nell’anno successivo a quell’avvenimento, causato dalla Processione del Corpus, e propriamente nel marzo del 1733, Andria andò soggetta a forti e frequenti scosse di terremoto, tanto che le funzioni della settimana Santa, in quell’anno, furono fatte dal Capitolo in un grande Baraccone, eretto sulla gran piazza Catuma.
Un altro terribile flagello colpi pure Andria sotto il governo di Mons. Nobilione.
Nel Maggio del 1741 vi fu una terribile invasione di bruchi, ossia cavalette, o locuste, che portarono la desolazione nelle compagne, e lo scompiglio nella città, dove a torme cadevano per le strade, invadevano le terrazze e penetravano perfino nelle case [44]. Il sole era oscurato da dense nubi di bruchi, che ne impedivano perfino la proiezione dei suoi raggi.
In tanto squallore, il vescovo Nobilione, a capo del Clero, unitosi alla Università ed a tutta la cittadinanza, indisse una solenne novena al nostro Protettore S. Riccardo, il quale non tardò venire in soccorso dei suoi fedeli andriesi. Mirabile a dirsi! … Nella notte dell’ultimo giorno di quella novena, un vento impetuoso venne a sbarazzare dalla città quei micidiali insetti, vindici ministri dell’ira divina, tanto che, al mattino del dì seguente, Andria si vide, come per incanto, liberata da quella funesta invasione di bruchi. A perpetuare la memoria di quel prodigio, e a dimostrare la gratitudine al Santo Protettore, la Università di Andria fece innalzare, sulla Piazza della Corte, a ridosso del Duomo, un Obelisco, sulla cui guglia fu innalzata una statua di S. Riccardo, con la sottoposta seguente iscrizione, scolpita lungo l’obelisco:
D. O. M. Divo Richardo Britanno
Qui postquam populum
In antiquas errorum tenebras relapsum
Ad Christi sacra traduxit
Primus delatam sibi
Andriensis Ecciesiam curam accepit
Quod …
Urbem semper validissimo tutatur præsidio
Et gravi locustarum [45] incursione afflictam
Anno MDCCXLI
Circumagente mirum in modum succurrerit
Cives Andrienses Patrono præstantissimo
Grati animo monumentum PP [NDR].
Intanto il buon Vescovo Nobilione, stanco da tante lotte, che dovette sostenere, nel 1743, chiese ed ottenne da Papa Benedetto XIV la rinunzia al Vescovado, restituendosi nel suo ordine Domenicano, nella Chiesa di S. Domenico Maggiore in Napoli, dove visse santamente, chiudendo i suoi giorni nella pace del Signore, correndo l’anno 1758.
NOTE   
[44] Il regno di Napoli era allora sotto il Dominio degli Spagnuoli, i quali avidamente raccoglievano quei bruchi, e ne facevano delle grosse scorpacciate, fritti in padella!
[45] Le locuste sono state sempre un flagello nelle mani di Dio, per castigare gli uomini, come ben rileviamo nelle sacre carte. Tanto vale locusta quanto bruco (voce greca), ad indicare una specie di verme alato, che, oltre ad avere l’istinto di rodere le erbe, e perfino le cortecce degli alberi, porta seco una seghetta, capace di falciare anche i campi. Di questo animaletto, tanto pernicioso, di cui parlano le sacre carte, par che non si faccia distinzione fra bruco e locusta, giacché la locusta genera il bruco, il quale, messo le ali, diventa simile alla madre, come osserva S. Agostino: Una plaga est locusta et brucus, quoniam altera est parens et altera est foedus.
[NDR] Nella lapide posta in calce alla statua oggi si leggono le seguenti parole:
«D.O.M.
DIVO RICHARDO BRITÃ[N]NO
QUI POSTQUÃ[M] POPULŨ[M] IN Ã[N]TIQUAS ERRORŨ[M]
TENEBRAS RELAPSŨ[M] AD XPI SACRA TRADUXIT
PRIMUS DELATÃ[M] SIBI Ã[N]DRIENSIS ECCLESIÆ
CURAM ACCEPIT
QUOD URBĒ[M] SĒ[M]PER VALIDISS:[IMO] TUTATUR PRÆSIDIO
EI GRAVI LOCUSTARŨ[M] INCURSIONE ADFLICTÆ
AÑ[N]O CIƆIƆCCXLII CIRCŨ[M]AGENTE
MIRŨ[M] IN MODŨ[M] SUCCURRERIT
CIVES ANDRIENSES
PATRONO PRÆSĒ[N]TISSIMO
GRATI ANIMO MONUMENTŨ[M]
PP.»

— ↑↑↑ —

*
*      *
In questo torno di tempo il Reame di Napoli era nelle mani dell’ottimo Re Carlo III di Borbone, il quale, toltolo all’Austria, venne a prenderne il possesso nel marzo del 1734, entrando con grande pompa in Napoli, spargendo per le vie della città, per le quali passava, monete d’oro e d’argento.
La Sicilia, però, era per l’Imperatore d’Austria, e nella Puglia cam-peggiava un esercito d’Alemanni. Ma, per forti rinforzi, venuti dalla Spagna, Lecce e Bari si dettero finalmente a Carlo III di Borbone, indi Brindisi, Messina, Palermo e tutte le città della Puglia.
Con decreto del 15 maggio 1734 l’infante D. Carlo rendeva noto a tutti, che Filippo V cedevagli le regioni antiche e nuove delle due Sicilie, riunite sotto il suo governo in regno libero. Carlo III di Borbone intitolavasi «per la grazia di Dio, Re delle due Sicilie e di Gerusalemme, infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza e Castro, e gran Principe ereditario della Toscana». Così, cacciati i tedeschi, il regno delle due Sicilie ritornava agli Spagnuoli.
Re Carlo III di Borbone fu Sovrano eminentemente cattolico e religioso. Sotto il suo governo la Chiesa poté godere d’ogni genere d’immunità. Re Carlo III apportò grandi riforme nel Regno, e provvide, con grande interesse, alla prosperità di esso. Nel 1738 Re Carlo III sposava Amalia Walsbonga, figlia di Federico Augusto, Re di Polonia.
Nel 1741, a dì 2 Giugno, fu stabilito fra Carlo III e Papa Benedetto XIV un Corcordato, già iniziato dal suo predecessore Clemente XII, morto a dì 6 Novembre 1740.
Il sapientissimo Pontefice, impietosito nel vedere le popolazioni immiserite, per più di due secoli, dal governo vicereale, concesse a Carlo III che fossero sottoposti al tributo i beni delle Chiese e delle Comunità religiose del Regno, onde alleggerire i pesi delle popolazioni. Così, in virtù di quel Concordato, le immunità reali, locali e personali, che si tolleravano in favore della Chiesa, furono di molto scemate. Quindi fu stabilito, che gli antichi beni delle Chiese pagassero metà dei tributi; ed i nuovi, che andavano ad acquistarsi, pagassero l’intiero tributo. Fu pure stabilito, che le proprietà laicali fossero separate dal patrimonio del Clero; che le franchigie, ed i favori d’uso per le Chiese, fossero alcuni ridotti, altri revocati; fu ristretto l’asilo nelle Chiese; circoscritta la giurisdizione dei Vescovi; aumentate le difficoltà per le ordinazioni dei Chierici (stante il grande abuso che se ne faceva); diminuito il numero degli ecclesiastici [46], che, in quel tempo, era straordinario, tanto che la S. Sede emanò un ordine ai Vescovi, di non tonsurare altri Chierici fuori il bisogno delle Chiese [47]: d’ingerirsi in affari delle Chiese, per rapporto ai privilegi, ed altro.
Carlo III ordinò pure la formazione del Catasto, per conoscere i possedimenti delle Chiese e delle Comunità.
Questo religiosissimo Sovrano, a dì 21 Marzo del 1741, unitamente alla Regina Amalia Walsbanga, venne a Bari a visitare il gran Taumaturgo S. Nicola, tanto celebrato per la portentosa Santa Manna, che scaturisce da un osso del suo ginocchio.
Molte furono le opere di Carlo III a vantaggio del Regno, e specialmente di Napoli. Quel monumento d’arte, che è il grandioso ponte di Maddaloni, fu opera di Carlo III; il massimo teatro di Napoli, che prese il nome dal munificentissimo Monarca (il S. Carlo) fu pure opera sua; gli scavi di Ercolano e di Pompei parlano del Re Carlo III, come tanti altri monumenti, sparsi per la partenopea città.
Carlo III introdusse il giuoco del lotto nel Regno, per evitare la speculazione, che favevasi all’estero.
Ma la morte di Ferdinando VI, Re di Spagna, allontanò da Napoli questo buon Monarca, chiamato a succedere nel trono di Spagna a Ferdinando VI, che non lasciava sua prole.
NOTE   
[46] In quel tempo Andria, che contava appena dieci mila anime, aveva sette Conventi, popolati da un numero straordinario di Frati, e duecento Preti, dei quali cento, in circa, appartenenti alla Cattedrale, ed un centinaio aggregati alle due Collegiate (quella di S. Nicola e l’altra dell’Annunziata).
[47] Da una relazione del Vescovo De Anellis - Archivio Capitolare. Chi volesse avere completa cognizione di quel Concordato legga la Guida delle Università del Cervettini, con note del Ricci: Tom: II n. 74.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Appartenevano al Capitolo della Cattedrale, in questo torno di tempo, oltre a gran parte dei partecipanti sopra riportati, i seguenti Ecclesiastici:
«Arcidiacono Giammaria Marchio [48], successo al De Robertis nel 1735; Arciprete Domenico Nicola Pincerna [49]; Cantore Nicola Cataldi, successo nel 1725 a Nicolò D’Ursi; Primicerio Carlo Antonio Tesse, succeduto al Caputi nel 1731; Priore di S. Riccardo Domenico De Anellis [50], succeduto al Pincerna nel 1722.
Canonici e partecipanti: Domenico Antonio Romano, Riccardo Pisani, Leonardo Frisari, Tommaso Barletta, Pietro Scarcelli, Riccardo Figlioia, Carlo Carelli, Francesco Paolo Tupputi, Sebastiano Parodies, Riccardo Baldino, Riccardo Fasoli, Domenico Margiotta, Paolo Tafuri, Riccardo Montederisi, Riccardo Morgigno, Giuseppe Fiore, Vito Ricatti, Carlo Antonio Calamita, Giuseppe Ursi, Seniore, Nicolò Derisis, Francesco Tucci, Riccardo Bisceglia, Leonardo Antonio Caprara [51], Leonardo Margiotta, Michele Manzi, Domenico Del Giudice, Nicolò del Muscio, Riccardo Soriano, Domenico Picheca, Giuseppe Riccardo di Noja, Riccardo Terlizzi, Domenico Nanni, Michele Cannone, Vito Barletta, Ursi juniore, Curtopassi Antonio, Fatone, Michele Marchio, De Liso, Riccardo Polito, Giacinto De Chio, Vito Corposanto, Tommaso Modesto, Giacomo Zafferano, Antonio de Anellis [52], Michele Morselli, Leonardo Calcagna, Giuseppe Volta, Nicolò de Russi, Nicola Friuli, Nicolò Aurosicchio, Riccardo Frisardi, Domenico Giorgio, Franc. Colavecchia, Giuseppe Leonetti, seniore Nicolò Cataldi, Giovanni Santacroce, Antonio Cariello, Francesco Tota, Domenico Carpignano, Vito Nicola Baldino, Giuseppe Leonetti Iuniore, Luca Leccise, Giacomo Montarulo, Domenico Antolino, Domenico Petusi, Carlantonio Tesse, Francesco Petusi, Giovanni Arcamone, Domenico Angelo Civita, Leonardo Margiotta, Domenico Montederisi, Riccardo Guantario, Nicolò Morgigno, Marino Santoro, Antonio Scesa, Giuseppe de Matteis, Vito Ricatti, Riccardo Adduasio
NOTE   
[48] Uomo di alta mente ed erudizione; dottore in utroque. Fu Vicario Generale sotto tre Vescovi: Nobilione, De Anellis e Ferrante.
[49] Già Priore e Pro Vicario del Vescovo Torti.
[50] Passato nel 1741 a Vescovo di Acerno, e nel 1744 traslato a Vescovo di Andria, sua patria.
[51] Protonotario Apostolico.
[52] Zio del Vescovo Domenico de Anellis.

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XIII, pagg.276-305]