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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I
di Michele Agresti (1852-1916)
Capo XIV
(anni 1743-1772)
Al Vescovo Nobilione successe Mons. Domenico
De Anellis, appartenente a nobile famiglia patrizia di Andria.
[1].
Il De Anellis fu Canonico Priore della Cattedrale, e poscia, da Benedetto XIV (1740-1758) promosso a Vescovo di Acerno, in Principato Citra.
Nel Concistoro del 20 maggio 1743, dal medesimo Papa Benedetto XIV, fu, da Acerno, traslocato in Andria, sua patria,
non confacendogli l’aria di quella città. Venne a prenderne il possesso nel luglio di quell’anno medesimo.
Mons. De Anellis, ricchissimo di famiglia, fu assai prodigo verso il Capitolo Cattedrale, al quale era appartenuto
per tanti anni. Arricchì di molti arredi il Duomo, fe’ costruire, a sue spese sul Presbiterio, il magnifico Trono Episcopale,
tutto decorato a pretto, oro zecchino, sormontato da un ampio Coretto, a modo di Baldacchino
(egualmente decorato di oro zecchino), cui si accede dalle stanze del Palazzo Vescovile
[2].
Amico di Casa Carafa, Mons. De Anellis fece rinascere nella Chiesa Cattedrale il
Trono Baronale, fatto costruire di fronte
a quello Episcopale, dal quale non differiva per la eleganza della forma, per la ricchezza degl’intagli e degli ornati,
decorati egualmente ad oro zecchino. Ad esso si accedeva dall’interno del Palazzo Ducale,
ed aveva tre finestre prospicienti sul Presbiterio, una di fronte e due laterali
[3].
A Mons. De Anellis devesi pure la bellissima e spaziosa casa di villegiatura, messa nei vasti tenimenti della così detta Tavernola,
appartenenti alla Mensa Vescovile, una col giardino adiacente, di oltre un ettaro di terreno.
Ai tempi di Mons. De Anellis il Capitolo Cattedrale ottenne da Papa Benedetto XIV la Bolla, che gli conferiva
il privilegio della
Canonia e l’uso delle insegne canonicali, mentre che, anticamente, i Canonici della Cattedrale
indossavano la semplice
Cotta, ad eccezione delle cinque dignità, che usavano, sulla cotta, anche l’
almuzia
[4].
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1]
La famiglia De Anellis (oggi estinta) abitava il Palazzo, messo sulla via omonima (già Fravina) e,
propriamente, il palazzo Marziani, passato, negli ultimi tempi, in altre mani.
[2]
Il trono ed il coretto furono eseguiti dal valoroso artefice andriese Tommaso Porziotta.
[3]
Non sappiamo veramente per quale causa Mons, De Anellis avesse fatto risorgere quel trono,
che fu causa di tanti dissidii fra i Vescovi suoi predecessori ed i Duchi Carafa, e che apportò tanto danno alla città,
per la sommossa popolare del 1691, della quale abbiamo fatto parola innanzi!
[4]
L’
almuzia era un abito con cappuccio, che serviva anticamente a coprire il capo e le spalle dei Canonici, quando recitavano l’Ufficio divino.
Essa era usata anche dai monaci, in luogo della cocolla e cappuccio, ed era di drappo doppio con fodera, tutta di pelle.
Quando i Canonici cominciarono a lasciare la
Cappa nell’estate, portavano l’almuzia in testa, con falde discendenti sulla cotta.
Al dire di Mons. Sarnelli (Vol. X Lib. 38 pag. 7) i Monaci, non potendo nell’estate tollerare l’
almuzia sulla testa, se la posero poi sopra ambedue le spalle.
Anche le tre dignità della Collegiata di S. Nicola (il Prevosto, il Cantore ed il Primicerio) avevano l’uso dell’
almuzia.
*
* *
Prima di parlare di cotesta Bolla della Canonìa, crediamo esser pregio dell’opera, accennare agli antichi statuti,
che regolavano il Capitolo, sino all’epoca della Bolla Benedettina. Per non andare però errati,
terremo a guida la relazione che il Vescovo De Anellis presentò alla S. Congregazione del Concilio, nell’anno 1746,
circa la natura della Chiesa Cattedrale, prima della concessione della Canonia.
Il Capitolo della Cattedrale di Andria,
ab immemorabili, si componeva di 6o partecipazioni, compreso il Vescovo, e cinque dignità
[5],
oltre ad un numero indeterminato di chierici, essendo Chiesa
Ricettizia (non potendo appartenervi che i soli cittadini di Andria).
Quindi la Chiesa Cattedrale dicevasi
numerata, quanto alla partecipazione della
messa corale, ed
innumerata,
quanto alla partecipazione della
massa delle messe, cui partecipavano anche i Chierici.
La Cattedrale non aveva, perciò, Prebende separate o rendita fissa e determinata, ma godeasi soltanto il fruttato
di alcune case e di alquanti fondi rustici per uso di erbaggi, i quali rendevano al Capitolo or più or meno,
secondo le varie vicende dei tempi e delle annate, più o meno fertili. Il Vescovo De Anellis, tenuto conto di un ventennio,
e fatta la media proporzionale, riferiva alla S. Congregazione del Concilio, che ogni partecipazione poteva rendere, allora,
circa ducati cinquanta annui a ciascuno dei sessanta partecipanti alla messa corale, qualora questi avesse
assiduamente prestato la sua interessenza al Coro, giacché detta rendita andava tutta in distribuzioni corali.
Però, oltre alla distribuzione corale, alla quale partecipavano i soli 60 Preti sopradetti, compreso il Vescovo,
eravi pure un’altra massa, detta delle messe, alla quale partecipavano, non solamente 59 preti [escluso il Vescovo],
ma anche quanti altri sacerdoti trovavansi iscritti ed incardinati al servizio della medesima Chiesa.
Questa massa, (consistente pure in case e fondi rustici, legati al Capitolo da pii benefattori), secondo la medesima relazione
del Vescovo De Anellis, poteva rendere, in media, circa ducati 34 a ciascuno dei partecipanti. Cosicché, chi partecipava dell’una
e dell’altra massa, poteva percepire, in media, la rendita annua di ducati 84; e chi parteci-pava alla sola massa delle messe,
poteva percepire, in media, la rendita di ducati 34.
Per lucrare la partecipazione della massa delle messe, richiedevasi che ciascun Sacerdote celebrasse nell’anno quel numero di messe,
che venivagli assegnato nella comune ripartizione, che ordinariamente ascendeva a 140 messe per ciascuno.
Però, chiunque, da Chierico, veniva ascritto al canone della Chiesa, prima di poter partecipare alla massa delle messe,
e poi alla massa corale, richiedevasi, che, ottenuta la chiericale tonsura, dovea prestare dodeci anni di servizio,
sei in minoribus, e sei in majoribus.
Il servizio dei primi sei anni
in minoribus consisteva:
- 1) nel servire le messe, con l’obbligo d’ intervenire alla Chiesa due volte nella settimana; in guisa che, mancando per dodeci volte nell’anno, perdeva tutto l’anno di servizio;
- 2) nell’accompagnare il Ss.mo Viatico ai moribondi;
- 3) nell’intervenire, in tutti i giorni festivi, all’assistenza dei divini ufficii nella Chiesa Cattedrale, o nelle altre Chiese Collegiali, dove erano incardinati, per servire da chierici;
- 4) nel portare la Croce nelle associazioni dei cadaveri, col relativo servizio funerario;
- 5) nel girare per la città, unitamente al Prefetto di disciplina, per raccorre i fanciulli, ed istruirli nella dottrina cristiana.
Il servizio poi degli altri sei anni
in majoribus, [con ordini sacri] consisteva:
- 1) nell’intervenire al servizio del Coro e dell’Altare, facendo l’Eddomada, due anni da Suddiacono, e due da Diacono, e due da Sacerdote,
assoggettandosi alla puntatura, servata forma degli statuti della Chiesa;
- 2) nell’assumere l’obbligo delle tre Procure, cioé, quella detta dei vivi [che era la maggiore],
consistente nella esazione di tutte le rendite capitolari; quella dei morti [che era la minore],
consistente nella esazione per le associazioni dei cadaveri; e quella dei censi minuti;
- 3) nell’assumere l’obbligo della Sacrestia, consistente nella custodia della Chiesa, degli arredi sacri, dell’argenteria ed altro;
- 4) nell’assumere il servizio del campanile, circa il suono delle campane;
- 5) nel pagare carlini 28 pro una vice tantum, appena ordinato Sacerdote.
Però, ad onta che avessero completato
i due sessennii di servizio, i Chierici, non aventi l’età pel suddiaconato,
o non promossi dal Vescovo
pro tempore, dovevano continuare il servizio da chierici, finché non venivano ordinati Suddiaconi;
come pure gli ordinati
in sacris, anche se Sacerdoti, non potevano venir promossi
alla partecipazione corale,
se non vacassero i posti fra i 6o partecipanti della massa corale. E questo dicevasi
servizio di aggravio.
Quando, però, vi erano più aspiranti al servizio del secondo sessennio, era in facoltà dell’Arcidiacono, od, in mancanza di questo,
delle successive dignità, di preferire chi più gli talentava nell’ammissione ai due anni di servizio suddiaconale,
ammissione che solea farsi nell’agosto o nel settembre di ciascun anno
[6].
Eran questi, in succinto, gli antichi Statuti del Capitolo della Cattedrale di Andria, dal Vescovo De Anellis esposti alla S. Sede,
prima che si fosse pubblicata la Bolla
in Excelsis Pastoralis fastigio di Benedetto XIV. Essa fu pubblicata il 23 luglio 1746
[7].
Questa Bolla, mantenendo in vigore gli antichi Statuti, da noi sopra riportati, e le consuetudini capitolari,
elevava il Capitolo della Cattedrale all’onore della Canonia, mantenendo le cinque Dignità nello stato primitivo,
ed istituendo le altre cinquantaquattro porzioni della massa corale in veri canonicati, dividendoli in trenta di I. ordine
e ventiquattro di 2. ordine, tutti però di libera collazione della S. Sede e del Vescovo, secondo i mesi dell’anno,
ai medesimi assegnati dal diritto comune. Quanto ai due ufficii capitolari (il Teologato ed il Penitenzierato) veniva stabilito,
di conferirsi per concorso ad tramites Constitutionis Benedicti VIII, quæ incipit: Pastoralis etc. …
e che dovevano conferirsi ai soli canonici della Cattedrale, salvo il caso che nessuno di questi fossesi presentato
al concorso, o non fosse stato ritenuto idoneo.
Per il Teologato e Penitenzierato fu pure stabilita una speciale Prebenda (oltre all’assegno canonicale),
di ducati 54 pel primo, di ducati 43 pel secondo.
In riguardo poi alle insegne canonicali, la Bolla Benedettina stabiliva, tanto per le cinque dignità, quanto per i 54 canonici di I. e di 2. ordine,
il Rocchetto, la Cappa Magna di color violaceo, foderata di pelle d’Armellino,
con coda e banda,
ligata da nastro,
rosso per le dignità,
violaceo per i 54 Canonici, essendo questo il solo distintivo
[8].
Oltre a questa insegna maggiore per i giorni solenni, quella Bolla accordava, pei giorni feriali,
la
mozzetta di seta con cappuccetto di color violaceo,
semplice per i Canonici,
orlata d’armellino per le dignità.
Queste insegne venivano concesse con facoltà di poterne fare uso anche in presenza d’ogni sorta di persone, siano Vescovi,
siano Cardinali o legati a latere, ed anche nei concilii sinodali, provinciali ed ecumenici.
Tanto alle cinque dignità, quanto agli altri 54 Canonici, veniva pure concesso l’uso dell’anello
[9].
Quanto alla partecipazione, nessuna differenza veniva fatta fra le dignità ed i semplici Canonici,
tranne quella di carlini sei per l’Arciprete, Cantore, Primicerio e Priore; e di carlini otto per l’Arcidiacono,
prima dignità capitolare. E questa piccola somma veniva assegnata ai medesimi ratione dignitatis.
Nella medesima Bolla Benedettina veniva pure stabilito, che i detti 54 canonicati doveano andar sottoposti alle riserve ed alle affezioni apostoliche:
cioè, che la nuova provvista spettar dovesse alla S. Sede, nei primi sei mesi dell’anno,
al Vescovo pro tempore, negli altri sei mesi.
Così pure, se il canonicato vacato era tenuto da un famigliare del Papa [ossia da un prelato]
o da un continuo commensale d’un Cardinale, allora la nuova provvista di quel canonicato restava del tutto (omnino) riservata alla S. Sede.
Cessata poi l’affezione o riserva apostolica, la collazione e provvista, dal Canonicato vacato,
spettar doveva al Vescovo, alle dignità ed a tutti i Canonici, uniti al Vescovo, confermando così,
in quella Bolla Benedettina, il diritto di simultanea collazione, del quale il Capitolo Cattedrale già godeva anche prima,
in virtù degli antichi Statuti. Detta Bolla, in forma probante, fu spedita da Roma a 10 agosto 1746;
munita di Regio exequatur a dì 17 agosto 1746.
NOTE
[5]
Le dignità della nostra Cattedrale, a rigore di diritto, non sono
vere dignità, con annessa giurisdizione,
ad eccezione dell’Arcipretura, che ha annessa la cura delle anime. Esse sono semplici personati.
[6]
Dalla relazione del Vescovo De Anellis, fatta alla S. Congregazione del Concilio nel 1746, Archivio Capitolare.
[7]
Quella Bolla conservasi nel nostro archivio capitolare.
[8]
Oggi non si osserva più questo distintivo, usando egualmente, dignità e semplici canonici, lo stesso colore del nastro. Perché?
[9]
L’
anello, anticamente, era adoperato talvolta ad uso di
fibbia per legare le vesti, talvolta ad uso di
sugello,
per segnare il proprio nome sulle lettere od altro scritto. Ed ancor oggi il Papa segna, in cera rossa, i suoi brevi coll’anello,
detto
annulus Piscatoris, perché in esso vi è l’effigie di S. Pietro, in atto di pescare. L’
anello, al presente,
è simbolo di amore e fedeltà fra gli sposi. Ed, in questo mistico senso lo adopera il Vescovo, per indicare il matrimonio spirituale
con la sua Chiesa, tanto che questa dicesi
vedovata, alla morte del Vescovo.
I Cardinali, nel ricevere dal Papa il titolo delle proprie Chiese, ricevono anche l’
anello con pietra di zaffiro
(pel quale fanno l’oblazione di 500 scudi d’oro, assegnati da Gregorio XV alla Congregazione di
Propaganda Fide).
I Canonici delle Cattedrali,
ratione dignitatis, possono pure portare l’
anello, non però nella celebrazione delle messe,
essendo stato ciò proibito dalla S. Congregazione dei Riti con decreto del 21 Febbraio 1623.
*
* *
Per la esecuzione di essa, fu delegato dalla S. Sede l’Arcivescovo di Trani, allora Mons. Davanzati, il quale, recatosi in Andria,
a dì 4 settembre del medesimo anno (ricorreva la festività della Madonna degli Agonizzanti) ne diè solenne esecuzione nel Duomo,
tutto parato a festa e stivato d’un popolo immenso di persone d’ogni ceto, sesso ed età, compresi le due Collegiate,
gli Ordini religiosi, le Confraternite laicali, l’Amministrazione comunale, ed anche gran numero di forestieri.
Dato il possesso a tutti i Canonici, che formavano allora il Capitolo, furono incendiate strepitose ed interminabili
batterie,
che, stando alla relazione del Cancelliere della Curia Vescovile di Trani, furono cosi strepitose, da non lasciare luogo che
non ne fosse rimasto scosso:
strepito suo, crebroque fragore acrim undique impercussum haud reliquere
[10].
Terminata questa prima funzione, ebbe luogo una Messa solenne, cantata dall’Arcidiacono della Cattedrale D. Giovanni Maria Marchio,
con accompagnamento di grande Orchestra musicale, con l’assistenza del medesimo Mons. Arcivescovo e di tutti gl’intervenuti alla solenne funzione
[11].
Cosi ebbe termine la solenne inaugurazione della Canonia nella nostra Chiesa Cattedrale
[12].
Istituita la Canonia, sin d’allora i Canonicati della Cattedrale restarono divisi in due ordini, al primo dei quali
si passava per modum optionis, appena avvenuta la vacanza, sempre, però, che il candidato più anziano del 2.
ordine avesse completato il doppio servizio statuario dei 12 anni, secondo è detto sopra.
Per ottenere poi il possesso di quei canonicati, richiedevasi ancora il Regio assenso, (giusta il Decreto reale
del I Luglio del 1786) e le lettere pastorali del Vescovo
simultaneamente a quelle patentali del Capitolo,
il quale delegava la prima dignità e due Canonici (uno del I e l’ altro del 2 ordine) a sottoscrivere,
simultaneamente al Vescovo, le lettere patentali pel nuovo candidato di 2 ordine, con la clausola
de speciali mandalo et commissione Rev.mi Capituli, con la impressione del proprio sigillo capitolare
e con la firma ancora del Cancelliere Capitolare
[13].
Prima, però, d’ immettersi nel possesso, dal candidato richiedevasi la professione di fede coram Capitulo,
ed il giuramento de servandis statutis, costitutionibus, et consuetudinibus huius Cathedralis uniquæquæ Parochialis Ecclesiæ.
NOTE
[10]
Si vede che Andria non ha smentito mai il primato che porta sulle
batterie, sui
mortaretti, sui
petardi, sulle
carcasse! …
delle quali, in ogni festa, non si può far senza!
[11]
Dalla relazione fatta dal Cancelliere della Curia Arcivescovile di Traili nella esecuzione della Bolla di Benedetto XIV.
[12]
Per la spedizione della Bolla Pontificia, accettazione, Regio assenso e sua esecuzione, il Capitolo spese la somma di ducati 2600,09:
oltre a ducati 227.37 per la relazione fatta prima di ottenere la grazia ed i dritti spettanti all’Arcivescovo Davanzati,
esecutore della Bolla Pontificia. (dal libro di procura dell’anno 1746: foglio 109).
Onde rivalere il Capitolo di tale spesa, fu stabilito, che ciascun futuro partecipante,
pro una vice tantum,
dalla prima partecipazione della massa delle messe, lasciasse la somma di ducati 2.80, da ripartirsi a favore dei soli partecipanti
di Massa corale, fitto alla estinzione dei ducati 227.37, continuandosi in prosieguo,
mundo durante,
a mantenere tale contributo a carico dei nuovi investiti, impiegandosi la somma alla celebrazione di tante messe,
quante cadrebbero alla ragione di
grana trenta, da soddisfarsi all’altare di S. Pietro, ed in vantaggio dei Sacerdoti
vivi e defunti del Capitolo Cattedrale. La somma dei ducati 227 e grana 37 fu estinta nel 1780, come,
rilevasi dal libro capitolare di procura di quell’anno, ed i nuovi investiti han sempre pagato i ducati 2.8o sino agli ultimi tempi.
Non sappiamo però se le messe relative furono sempre celebrate … Ora, però, né si pagano più i ducati 2,80 né si celebrano le messe. Perché?
[13]
Questo diritto di
simultanea, che aveva il Capitolo nella collazione dei Canonicati di 2 ordine,
fu sempre ostacolato dai Vescovi, a cominciare dal medesimo Mons. De Anellis, il quale, nella sua relazione al S. Concilio
(fatta prima che venisse concessa la Bolla Benedettina), esponeva alla S. Sede le ragioni, perché tal diritto
non fosse stato confermato al Capitolo. Ma, con tutto ciò, Benedetto XIV lo confermò, e noi troviamo che fino al 1850,
quel diritto è stato quasi sempre esercitato dal Capitolo. Difatti abbiamo riscontrate molte Bolle di Canonici di quell’epoca,
che ne fanno fede di questo diritto di
simultanea esercitato dal Capitolo.
*
* *
Ottenuta la Canonia e le insegne canonicali il Capitolo della Cattedrale, la Collegiata di S. Nicola e l’altra dell’Annunziata,
prese da spirito di santa emulazione, ancor esse si fecero a domandare alla S. Sede le onorificenze canonicali,
simili a quelle ottenute dalla Cattedrale.
Di qui nuove liti, nuovi scalpori, nuovi scandali nella città, per cui il Vescovo De Anellis, nel 1747, ne scriveva alla S. Sede,
dolendosi delle pretese dei Collegialisti, i quali ne avevano già avanzata la domanda a Roma
[14].
Dietro l’opposizione del Vescovo De Anellis e del Capitolo, la S. Sede rigettò la domanda delle due Collegiate.
Ma i preti di S. Nicola non ebbero pace e, nell’anno consecutivo 1748, si rivolsero al Re di Napoli,
allora Carlo III di Bottone, per ottenere le tanto agognate insegne
[15].
Il Re, a mezzo del Cappellano maggiore, die’ incarico all’Ar-civescovo di Trani d’informarsi, e riferire sulla qualità della Chiesa Collegiata di S. Nicola.
E l’Arcivescovo, parteggiando per i Niccolini, riferì, essere il Capitolo Collegiale di S. Nicola
eguale a quello della Cattedrale
«essendo molto numeroso, essendovi tre Dignità, il Prevosto, il Cantore ed il Primicerio, quali dignità erano insignite
con Cotta e Mazzetta color violaceo, egualissime alle insegne delle dignità della Cattedrale, colle quali ugualmente dall’origine
di sua creazione sono state insignite.» Quanto agli statuti, l’Arcivescovo riferiva «esser simili a quelli della Cattedrale»
[16].
Intanto il Re, non trovando plausibili le ragioni, addotte dal Metropolitano, e tenendo conto delle proteste del Capitolo Cattedrale
e delle informazioni del Vescovo, non dette ascolto al Capitolo di S. Nicola ed all’Arcivescovo di Trani.
Senonché, nel 1783, la Collegiata di S. Nicola tornò nuovamente a supplicare il Re (allora Ferdinando IV),
per ottenere le desiderate insegne canonicali, eguali a quelle della Cattedrale. Ciò saputo il nostro Capitolo, energicamente vi si oppose,
sottomettendo alla considerazione del Sovrano esser sconveniente eguagliare con le medesime insegne una Chiesa minore,
(qual era la Collegiata di S. Nicola) alla Chiesa maggiore (cioè alla Cattedrale).
La controversia fu rimessa alla Real Camera, la quale umiliò due Consulte al Re, in virtù delle quali, a dì 10 Ottobre 1789,
fu emessa la seguente sentenza «Propostasi al Re la nuova consulta della Real Camera circa l’uso delle
insegne maggiori
da accordarsi alla Collegiata di S. Nicola di Andria, S. M. ha comandato scriverle, che non è venuto ad accordare alla Collegiata suddetta
le domandate Insegne, e vuole, che non si facciano novità alcune su tale assunto».
Palazzo 10 Ottobre 1789. Carlo Demarco
[17].
Nel 1793 novellamente il Capitolo di S. Nicola replicò la istanza; ed il Re, a mezzo della medesima Real Camera,
in data 13 aprile di detto anno, emise il seguente responso:
«Perché il diritto di conceder le Insegne agli Ecclesiastici
è stato sempre riconosciuto annesso al Principato, anche dagli stessi Romani Pontefici … per essere un esterno ornamento
per il maggior Culto e per lo maggior splendore e funzioni esterne della Chiesa, e per decorare le persone stesse fuori della Chiesa;
il Re ha voluto esaminare questo punto, ed ha ravvisato, che non conviene concederle indistintamente e senza una prudenziale Circospezione;
e che perciò bisogna distinguere Chiesa da Chiesa, e Collegio da Collegio, per concedere le maggiori, o minori secondo la loro Dignità,
ed il luogo; che bisogna ancora che i proventi Ecclesiastici di ciascuna Chiesa sieno corrispondenti a tal decorazione;
perché in alcune Chiese i proventi sono così miseri, che non bastano per le sole vesti ecclesiastiche, e gli uomini di Chiesa sono così sprovvisti,
e scarsi di beni di fortuna, che le stesse Insegne servono piuttosto di scherno, che di decoro.
Onde ha determinato S. M. che non si debbano concedere sempre, né a tutti che le chiedono; e che si concedano
queste soltanto per l’uso di maggior culto, e splendore nelle funzioni interne delle chiese, accompagnate sempre
da proventi corrispondenti al decoro delle insegne medesime e non piuttosto per vanità mondana …
Quindi partecipo alla R. Camera questa R. Sovrana determinazione per sua intelligenza, e Regolamento nei casi che potranno occorrere.»
Palazzo 15 Aprile 1793. Ferdinando Corradino.
Sig. D. Pietro Rivellini
[18].
NOTE
[14]
Archivio Capitolare.
[15]
In quel tempo il Re s’ingeriva in tutti i fatti ecclesiastici, in virtù del Concordato, stabilito, con la S. Sede a dì 2 Giugno 1747, auspice il Papa Benedetto XIV.
[16]
Archivio Capitolare.
[17]
Archivio Capitolare.
[18]
Archivio Capitolare.
*
* *
Ciò non ostante, i Niccolini non si arrestarono lungo la via e, seguendo il consiglio evangelico
quærite et accipietis, pulsate et aperietur vobis, nuove istanze, nuove suppliche fecero pervenire nelle mani del Re,
a mezzo del Duca Carafa, dell’Arcivescovo di Trani, e più di tutti, del Vescovo, allora Mons. Lombardi, succeduto al De Anellis.
Dietro tante, e tali insistenze (specialmente del Vescovo) il Re, finalmente s’indusse di concedere ai Niccolini
le tanto agognate insegne canonicali; ed, a mezzo del suo rappresentante, Ferdinando Corradini, in data 13 Luglio 1793,
mandava al Vescovo Lombardi il seguente dispaccio:
«Quantunque il Re con sua Sovrana risoluzione del 10 Agosto 1789 non fosse venuto ad accordare le domandate insegne maggiori
alla Collegiata di S. Nicola di codesta città, ed avesse dichiarato che non si fosse fatta novità su questo punto; nondimeno,
per le nuove replicate suppliche umiliate dai Preti di essa Chiesa avendo di nuovo esaminato questo affare è rimasto persuaso
di essere insussistenti le opposizioni del Capitolo di codesta Cattedrale, specialmente la principale, cioè che l’eguagliare
tali due Chiese fosse contro l’ordine della Gerarchia Ecclesiastica; poiché ha considerato che le insegne non hanno che fare
coll’ordine della Ecclesiastica Gerarchia, sapendosi che questa consiste nella gradazione dei ministri Ecclesiastici.
Ha risoluto però che sia ragionevole per motivo di convenienza che tra le Collegiali e le Cattedrali, che esistono in uno stesso luogo,
vi sia qualche distinzione, ma che questa debba essere nel colore, nelle pelli ed in altro. Quindi in conformità
del sentimento della Real Camera, dal quale non furono precedentemente discordi il Metropolitano l’anno 1748,
il Cappellano Maggiore l’anno 1784 ed il Vescovo di quel tempo (Mons. Palica), ha stimato giusta, conveniente e degna di essere esaudita
la domanda di cotesta Collegiata di S. Nicola. Onde ha risoluto che alle dignità e capitolari partecipanti della medesima massa,
che formano in tutti il numero di 25, si accordino le insegne maggiori di
Cappa Magna, di Rocchetto e di Mozzetta nel modo
e nella forma, e come si usano dalle dignità e capitolari della Cattedrale nel giorni solenni e non solenni;
colla sola distinzione del colore cremisi nella fodera, e nelle nocche, e delle pelli di armellino per la Cattedrale,
e del
color rosa nella fodera e nelle nocche e delle pelli di coniglio bianco per i capitolari della Collegiata:
e che si concedono altresì a dieci Mansionarii della Collegiata le minori insegne di
cotta col mozzetto e cappuccetto di color pavonazzo.
Ben inteso però che restino sempre
salve tutte le prestazioni, subordinazioni, prerogative, e diritti, che si debbono dalla Collegiata,
Curata, Coadiutrice verso la Cattedrale, a tenore dei decreti, dei privilegi e delle convenzioni e capitolazioni,
e di qualsivogliano scritture che vi fossero; siccome vien prescritto nel dispaccio del dì 29 dicembre 1787,
nell’avvertenza non solo della esatta esecuzione agli ordini Sovrani, ma ancora di suggerire, procurare, e fomentare con ogni mezzo,
che stimerà conveniente l’armonia e la concordia dei due Cleri, e di considerare, che essi gli ecclesiastici debbono principalmente
dar l’esempio di questo indispensabile vincolo di unione, e di carità, che soprattutto deve risplendere nei Ministri dell’altare
[19].
Di real ordine partecipo a V. S. Ill.ma questa sovrana risoluzione, affinché disponga tutto ciò che convenga per la esecuzione».
Napoli 13 luglio 1793. — Ferdinando Corradini
Mons. Vescovo di Andria.
Cosi finalmente il Capitolo di S. Nicola ottenne le insegne maggiori per i 25 partecipanti della massa corale,
ed anche le insegne minori per i dieci partecipanti della massa ricettizia delle messe
[20].
*
* *
Il Vescovo Lombardi, avendo visto che la Collegiata di S. Nicola aveva ottenuto anche le insegne minori per dieci Mansionarii,
pensò subito di istituire, dal numeroso Clero Recettizio della Cattedrale, un corpo di 14 Mansionarii,
chiedendo la grazia al Re di decorare, anche questi, delle insegne minori,
cioè del Rocchetto e della Mozzetta con cappuccetto di color cremisi.
Il Sovrano (Re Ferdinando IV) rimetteva alla Real Camera la istanza del Vescovo Lombardi, a mezzo del suo Rappresentante F. Corradini,
il quale, a dì 17 agosto 1793, così scriveva alla R. Camera:
«Di Sovrano Comando rimetto alla Real Camera acchiusa rappresentanza del Vescovo di Andria, il quale,
dando conto di aver insegniti i Canonici e dieci Mansionarii di quella Collegiata di S. Nicola chiede accordarsi
a quattordici Mansionari della Cattedrale l’uso del Rocchetto e della Mozzetta con cappuccetto di color cremisi,
affinché, tenendo presente gli antecedenti, e la Real Risoluzione presa pel Capitolo della Collegiata di S. Nicola, informi col parere».
Palazzo 17 agosto 1793. — F. Corradini.
Sig. D. Pietro Rivellini.
Il parere della Real Camera fu favorevole. E così anche la Cattedrale ebbe i suoi 14 Mansionari, decorati delle insegne minori,
mentre gli altri Chierici, ascritti al Clero Ricettizio della Cattedrale, non usavano che la semplice Cotta.
NOTE
[19]
Questa giusta e severa lezione del Sovrano dimostra quanto accentuate erano le lotte fra questi due Capitoli,
e quanto interessamento prendeva il Re per la concordia.
[20]
Conseguite le insegne i Niccolini, mettendo da banda gli avvisi paterni dell’ottimo Sovrano,
ben tosto cominciaron dal volersi sottrarre alla dipendenza del Capitolo Cattedrale.
Di qui nuove querele e ricorsi al real Trono, da parte dei Cattedralisti!
*
* *
Ora non restavano che i Preti dell’Annunziata, i quali, avendo visto che quelli di S. Nicola ed anche i Mansionarii
dalla Cattedrale avevano ottenute le insegne capitolati, ripresero ancor essi la via delle suppliche al Real Trono.
Ma, vedendo che questa non spuntava, per gli ostacoli, che infrapponeva il Capitolo della Cattedrale, pensarono di far capo da questo.
Laonde, a dì 11 Novembre del 1802, il Priore dell’Annunziata, D. Michele Cuomo, presentava domanda al Capitolo Cattedrale,
perché volesse annuire ad un parere favorevole, ed interessasse esso medesimo il Re, onde accordasse, a quella Collegiata,
anche l’uso delle insegne canonicali,
per maggior lustro della Chiesa e della città, ed anche perché quei preti
non si trovassero da meno di fronte alla Collegiata di S. Nicola e dei Mansionarii della Cattedrale.
Il Capitolo annuì a quella domanda, però alle seguenti condizioni:
I. che la
Cappa Magna per i Canonici, e la
Mozzetta, tanto per i Canonici che per i Mansionarii,
dovessero essere distinte nel colore da quelle della Cattedrale:
2. che la Collegiata dell’Annunziata dovesse
attenersi ai decreti ed alle antiche consuetudini e canoniche prescrizioni di recarsi,
in uno col Priore, all’assistenza nella Cattedrale, nei giorni già stabiliti dell’anno, non escluso il Giovedì Santo,
dovendosi prestare i Sacerdoti di questo Capitolo a far da Ministri nella confezione degli olii Santi ecc.
[21].
I Preti dell’Annunziata, per ottenere le desiderate insegne, accettarono pienamente le condizioni proposte dal Capitolo della Cattedrale,
il quale, fidando sulla loro parola d’onore, diede il consenso; ed anzi esso stesso supplicò il Re, di concedere
le insegne canonicali ai Preti della Collegiata dell’Annunziata. Ed il buon Re, tenuto conto della domanda del Capitolo Cattedrale,
accordò ai Nunziatisti le chieste insegne. Se non che, ottenute le insegne i Nunziatisti
[22],
presto si videro indossare le
medesime insegne canonicali della Cattedrale! …
Indignato di ciò il Capitolo, a dì 21 aprile del 1803 si riuniva in plenaria assemblea, deliberando un ricorso al Re,
contro questo attentato [!] commesso dai Partecipanti Nunziatisti contro il dritto canonico, polizia del Regno (!!) ed ordine chiesastico (!!!),
per impedire l’uso di esse,
come improprie ad una Chiesa Collegiata
[23].
A tal effetto furono eletti a Deputati l’Arcidiacono
Ceci, l’Arciprete
Vespa, il Cantore
Marziani ed i Canonici
D. Raff. Marchese, D. Vito Antonio Infante, D. Giuseppe Iannuzzi, e D. Francesco Mita,
con piena facoltà e coll’alter ego (!?)
di poter eleggere e mandare in Napoli, a tutte spese del Capitolo, chiunque meglio credessero per assistere gli avvocati del Capitolo in tale affare
[24].
Intanto i Cattedralisti, visto che le due Collegiate avevano ottenute le insegne maggiori, pur senza aver Bolla di Canonia,
volendo avere una decorazione che li distinguesse dai Preti di quelle due Collegiate, chiesero ed ottennero l’uso della sottana pavonazza,
del fiocco rosso al cappello e delle calze di egual colore, come in seguito diremo.
NOTE
[21]
Dai libri capitolari: Archivio.
[22]
Questa parola (
nunziatisti) non è nostra, ma la riproduciamo tal quale l’abbiamo riscontrata nelle carte, dalle quali rileviamo tutto il racconto.
[23]
E che dire ora che, non solamente i Preti delle due Collegiate usano indistintamente le insegue dei Cattedralisti, ma che anche questi usano i colori e la pelle di coniglio di quelli? …
[24]
Quanti quattrini, spesi per un po’ di
fumo! …
*
* *
Mentre queste divergenze, per rapporto alle insegne, tenevano in attrito i tre Capitoli preso i Tribunali di Napoli,
altre liti, contemporaneamente, si agitavano presso i tribunali ecclesiastici di Roma, circa l’obbligo alle Collegiate
d’intervenire alla Chiesa Cattedrale, nelle festività dell’Assunta e del Patrono S. Riccardo, e nel Giovedì Santo,
per la confezione degli olii sacri.
Nel 1748 la Collegiata di S. Nicola, dando uno strappo alla Concordia stipulata nel 1736, anziché mandare alla confezione
degli Olii Sacri otto Canonici, comprese due dignità, giusta il disposto della S. Congregazione del 1593, mandò solamente
due semplici Sacerdoti. Il Capitolo della Cattedrale, fe’ ricorso al Vescovo (Mons. De Anelli), e questo condannò
quel Capitolo Collegiale a pagare 500 ducati al Capitolo della Cattedrale, come penale di contravvenzione alla concordia del 1736.
Il Capitolo di S. Nicola si appellò al Metropolitano, l’Arcivescovo Davanzati (il quale sempre parteggiava per i Niccolini,
unitamente al suo Vicario D. Nicola De Angelis). Prodottasi la causa in quella Curia arcivescovile, la Collegiata di S. Nicola,
non solamente venne esonerata dal pagamento dei 500 ducati, ma anche dall’obbligo di mandare le dignità ed i Canonici
alla confezione degli Olii nel Giovedì Santo, dichiarando esser obbligo delle Dignità e dei Canonici della Cattedrale,
non già della Collegiata di assistere il Vescovo nella confe-zione degli Olii sacri nel Giovedì Santo.
Quanto poi all’obbligo d’intervenire alla Cattedrale nelle tre festività stabilite (quella dell’Assunta e le due di S. Riccardo)
l’Arcivescovo sentenziava, che solamente una terza parte di quei capitolari, con a capo una sola dignità (il Cantore od il Primicerio),
escluso il Prevosto, dovesse intervenire nella Chiesa Cattedrale, per tali festività, dovendo gli altri restare ad officiare nella propria Chiesa …
Contro questa sentenza il Capitolo della Cattedrale fece appello al S. Concilio. E questo, a dì 30 Marzo 1751, revocava ed annullava
la sentenza del Metropolitano; ordinando alla Collegiata di S. Nicola di stare alla Concordia del 1736, stipulata per Notar Menduni di Corato,
nella quale erasi stabilito, di dover intervenire alla Cattedrale, nelle tre festività stabilite,
24 capitolari di S. Nicola, comprese due Dignità, imponendo, su tal punto, il perpetuo silenzio,
e condannando i Niccolini a tutte le spese di giudizio da liquidarsi dalla medesima Congregazione.
Quanto poi all’intervento del Giovedì Santo, la S. Congregazione decretava che, nella Confezione degli Olii sacri, dovevano assistere il Vescovo,
tre Canonici della Cattedrale, con altri tre Sacerdoti tre diaconi e tre suddiaconi del Clero Ricettizio della Medesima Chiesa,
con l’obbligo, però, alla Collegiata di S. Nicola d’intervenire all’assistenza nella Cattedrale, senza prender parte alla funzione,
in quel numero stabilito dalla medesima Concordia del 1736, imponendo egualmente il perpetuo silenzio su tale controversia.
Circa la convenuta penale dei 500 ducati la S. Congregazione, per quella volta, esonerava la Collegiata dal pagamento.
Con tutto il silenzio perpetuo, imposto alle due parti, i due Capitoli litiganti, nell’anno seguente, si appellarono al tribunale della S. Rota,
con scambievole citazione del 16 maggio 1752. La causa fu trattata a 12 giugno del medesimo anno, sotto il dubbio:
An Concordia sit exequenda, ita ut debeatur pœna conventionalis. La risposta fu: affirmative ad I.am partem (cioé all’esecuzione della concordia),
negative ad 2.am (cioè al pagamento della penale dei 5oo ducati).
Non contenti, l’uno e l’altro Capitolo, di tale sentenza, novellamente si appellarono alla S. Rota. E questa volendo entrare nel merito della quistione,
propose la scelta di uno dei Vescovi circonvicini per assumere la prova testimoniale, onde conoscere, se veramente, sin dalla sua venuta in Andria,
la Collegiata di S. Nicola avesse assunto l’obbligo di intervenire alla Cattedrale, nei sopra indicati giorni.
Furono perciò proposti dalla S. Rota i Vescovi di Bitonto, di Bisceglie, di Ruvo
[25],
di Minervino
[26],
di Venosa, e l’Arcivescovo di Nazaret
[27];
escluso il Metropolitano (l’Arcivescovo Davanzati di Trani) che trovavasi già compromesso per la sua sentenza
annullata dal S. Concilio.
Di comune accordo si scelse il Vescovo di Nazaret
[28].
Intanto nuove liti si suscitarono circa l’esame dei testimoni, ed il dove convocarli.
Il Capitolo della Cattedrale pretendeva si fosse fatto l’esame dei testimoni in Andria: la Collegiata di S. Nicola, invece, sceglieva Barletta.
Quindi ricorsi dei Niccolini a Roma contro il Vicario di Barletta (l’abbate Colucci) ed il Vicario di Andria (l’abbate Cannati)
ambidue sospetti ai Niccolini di parteggiare per la Cattedrale … Di che, annoiata la S. Congregazione per tanti pettegolezzi,
richiamò la causa al Tribunale della S. Rota, col seguente dubbio: An sententia totalis sit confirmanda vel infirmanda e la S. Rota,
con decisione del 21 Giugno 1765 (dopo 13 anni di cause ! ...) rispose «sentetiam totalem esse confirmandam ...
E, nel contempo, spediva una lettera apostolica, a nome del Papa Clemente XII., dalla quale rileviamo il seguente brano.
Rev.mum capitulum Ecclesiæ S. Nicolai Trimodien dictæ Civitatis Audriæ teneri, et obligatum esse quotannis mittere ad Ecclesiam Cathedralem diebus
23 Apirilis et 9 Junii, in quibus Inventio Corporis et obilus S. Richardi, primi ejusdem Civitatis Antistitis, nec non Festivitas B. M. V.
in Coelum Assumptæ die 15 Augusti vigintiquatuor de gremio ejusdem Capituli, in quo numero adsint et comprehendantur tres illius Dignitates,
hoc est Præpositus, Cantor et Primicerius, ibique adsistendum solemnibus Missæ et vesperis, sedendo in scamnis alias ipsis destinatis,
eaque omnia adimplenda sub poena ducatorum quinquaginta in casu contraventionis seu inadimplementi ad formam Instrumenti Concordiæ alios
et sub die ottava Iunii 1736 … Iubemus insuper earumdem tenore prænsentium et autoritate apostolica prædicta sub infrascriptis sententiarum
censurarum poenis vobis omnibus et singulis supradictis et generaliter quibusvis aliis cuiusvis status, gradus, ordinis et conditionis,
et præsertim DD. RR. Dignitatibus et Præsbiteris Ecclesiæ S. Nicolai Trimodiem Civitatis Andriæ et Partecipantibus omnibusque aliis et singulis
quorum interest, intererit, aut interesse poterit quomodolibet in futurum, illique et illis pariter, cui, vel quibus, ad quem vel ad quos
præsentes nostræ Litteræ diriguntur, pervenerint seu præsentabuntur, nos quominus omnia et singula præmissa ad favorem Rev.mi Capituli
Ecclesiæ Cathedralis Andriæ principalis ut supra demandata cum debitus consequatur effectus …
E, dopo d’aver la S. Rota, in quel medesimo decreto, comminate le censure di
sospensione a divinis, interdicti ingressus Ecclesiae
a chiunque fosse venuto meno a quell’obbligo, conchiude col dar facoltà, anche al braccio secolare,
di far eseguire tale sentenza, con pene anche civili
contra inobedientes
[29].
Datum Romæ ex Palatio Nostro solitæ Residentiæ sub anno a Nativitate D. N. I. C. millesimo septingesimo sexagesimo sexto Indictione XIV,
die vero decima Ianuarij, Pontificatus autem SS.m in Christo P. et D. N. D. Clementis divina Providentia Papæ XII, anno ejus octavo. …
Questa sentenza della S. Rota fu munita del Regio assenso, per la Real Camera di S. Chiara, a dì 21 marzo 1766,
ed intimata al Capitolo Collegiale di S. Nicola, per mezzo del Commesso Apostolico, residente in Trani, il Sig. Nicola Francesco Fusco.
Recatosi il Fusco in Andria, e, dopo aver convocato l’intiero Capitolo di S. Nicola, a nome di Sua Santità, lesse quelle Lettere Apostoliche,
rilasciandone copia autentica nelle mani del Prevosto, allora D. Felice Antonio Marchio
[30].
L’originale rimase presso il Capitolo della Cattedrale
[31].
Così, ebbero termine le secolari liti, suscitate dalle due Collegiate, circa l’obblig0 d’intervenire nella Chiesa Cattedrale,
all’assistenza dei divini Officii, nelle due festività di S. Riccardo ed in quella dell’Assunta.
*
* *
Mentre si agitavano queste liti presso la S. Rota, altre liti si agitavano, contemporaneamente, fra i due Capitoli,
presso la S. Congregazione dei Riti e quella del Concilio, per rapporto alle processioni.
Nel 1754 i Niccolini si permisero di fare, in ogni prima domenica del mese, una processione, portando in giro per la città. il Venerabile.
Di più introdussero, in quel medesimo anno, tre altre processioni in onore del loro titolare S. Nicola;
l’una per la festa principale del Santo; l’altra per la sua traslazione; la terza pel suo patrocinio.
Inoltre, nella processione del
Corpus (nel lunedì
infra octavam), si permisero, in quel medesimo anno,
di allargare il giro
ultra ambitum Ecclesiæ, contrariamente a quello, che prescriveva la Bolla di Gregorio XIII,
percorrendo, invece, le principali vie della città; senza licenza del Vescovo,
et absque interventu Parochi Cathedralis.
Il Capitolo della Cattedrale ne fece perciò ricorso alla S. Congregazione dei Riti e del Concilio; e questa,
con sentenza del 3o novembre 1757, richiamava in vigore i decreti della S. Congregazione dei Vescovi
e Regolari del 1693, 1694 e 1695, nei quali era stabilito:
Capilulum Ecclesiæ S. Nicolai, excepta processione quam ab immemorabili peragere solitum fuit in die Lunæ infra octavam
SS. Corporis Christi, prope ambitum ejus Ecclesiæ, non potest peragere ullam aliam processionem, præcipue extra ambitum,
absque licentia et consensu Capituli Cathedralis, neque absque interventu Parochi Cathedralis
[32].
Ossequente a tale decreto della S. Congregazione, il Capitolo di S. Nicola smise l’uso di quelle processioni mantenendo però
la sola del Corpus Domini, la quale, ora, non si limita più infra ambitum Ecclesiæ (come venne prescritto)
ma si estende per gran parte della città, veramente con tanta devozione ed ammirazione del popolo,
senza che il Capitolo della Cattedrale muova più querimonia alcuna!
Ed erano tali e tanti gli attriti fra il Capitolo della Cattedrale e le due Collegiate, in quel tempo, che la parte più eletta
dei cittadini e la Università credettero un dovere d’intervenire a sedarli. Difatti la Università, a dì 14 dicembre 1753,
delegava uno speciale procuratore a poter, in nome della cittadinanza, comparire
in qualunque tribunale civile ed ecclesiastico, in qualunque luogo e foro, et quatenus opus, ricorrere ad pedes Sanctissimi,
e cercare riparo, et alle inquietudini, et ai dispendii che nascono e ne provengono a questo pubblico di Andria dalle strane pretenzioni
dei Preti della Collegiata Chiesa di S. Nicola, istigati e fomentati da alcuni pochi malviventi di essa città,
li quali accrescono tali inquietudini colle di loro insolenze, sino a volere seppelire i morti ab intestato,
contro l’immemorabile antico e continuato possesso in cui trovasi la Chiesa Cattedrale, et unica Parrocchia di questa città. …
Andria, 14 dicembre 1753. Firmati:
Riccardo Topputi, Generale Sindaco; Eletti: Nicola Colavecchia, Tomaso Accetta, Antonio Arcamone, Felice Margiotta, Giuseppe Chiarelli
[33].
Per tutte queste liti fra i tre Capitoli, la città di Andria era in continua agitazione, avendo ogni famiglia le sue aderenze
e relazioni verso i Preti della Cattedrale, o delle due Collegiate; per cui ogni famiglia parteggiava o per gli uni o per gli altri.
E tante volte accadeva che, nella medesima famiglia, vi erano Preti, appartenenti all’uno ed all’altro Capitolo, giacché,
secondo gli antichi statuti, due preti
fratelli non potevano appartenere alla medesima Chiesa. Quindi, dai medesimi,
si viveva in continuo dissidio nelle medesime famiglie! Ai litigi dei Preti aggiungevansi poi anche quelli suscitati
dalle Congregazioni religiose e dalle Confraternite laicali, che non solamente tenevano continuamente occupati i tribunali di Roma e di Napoli
[34],
ma mettevano anche in agitazione l’intera cittadinanza, per le larghe aderenze, che avevano le Communità religiose e le Confraternite laicali.
I litigi specialmente fra la Cattedrale e S. Nicola aveano creato tale animosità, che ancor oggi, dal volgo, quanto si vuole designare
due nemici
irriconciliabili, si dice:
mi par di vedere S. Nicola e il Vescovato! …
[35].
NOTE
[25]
La diocesi di Ruvo non era allora unita a Bitonto.
[26]
Minervino non era unita ad Andria.
[27]
La Chiesa di Nazaret di Barletta non era unita alla diocesi di Trani. Essa fu unita nel 1828.
[28]
Non risulta il nome del vescovo di Nazaret.
[29]
Dal libro delle cause - (Archivio Capitolare).
[30]
I preti di S. Nicola, presenti a quella lettura, furono il Prevosto D. Felice Antonio Marchio, il Cantore Giuseppe Domenico Conoscitore
ed i Canonici: Michelangelo Schiena, Lorenzo Valente, Michele Ieva, Riccardo Cannone, Andrea Egidio Cannone, Natale di Turo,
Nicola Petusi, Giuseppe Scamarcio, Nicola Silo, Nicola Schiena, Francesco Cocco, Girolamo Sibbio, Angelo Cannone,
e quasi tutti i partecipanti del Clero Ricettizio.
[31]
Questa sentenza autentica, scritta su pergamena, esiste nell’Archivio Capitolare della Cattedrale, legata nel libro delle cause:
Assistenza alla Cattedrale, pagine 434 – 463.
[32]
Archivio Capitolare. - Libro delle cause 1763.
[34]
A proposito delle liti, che, in ogni secolo, si sono agitate fra i tre Capitoli, le Communità religiose e le Confraternite laicali di Andria,
il Cardinal De Luca, nella sua Miscellanea (Discurs. 32, sub num, 1) scrive:
Id autem non modicam inter has Congregationes, vel Capitula ab antique tempore produxit, atque in dies majores,
et continuam producit emulationem, … adeo ut pene in omni saecule acerrime lites inter eos habitae sunt.
[35]
Grazie al cielo, queste animosità ora non più esistono fra i tre Capitoli di Andria, segnandovi, invece, fra di essi, la più schietta e leale amicizia.
Le Congregazioni religiose sono scomparse, dopo le leggi eversive del 1866.
Il feudalesimo, causa principale di tante discordie, è pur scomparso! La istituzione delle 6 Parrocchie
ha tolto poi alla Cattedrale il pretesto di sostenere tanti suoi diritti. Le Confraternite laicali,
sono sotto la dipendenza dei rispettivi Capitoli, coi quali sono ora nella più perfetta armonia.
*
* *
Nel 1756 moriva intanto Mons. De Anellis, dopo 4o giorni di penosa infermità, cagionata da un forte panico,
preso per la fuga di un cavallo, mentre Egli trovavasi a villegiare nel palazzo, da lui fatto costruire, nei tenimenti della Tavernola.
Egli fu tumulato nella Chiesa Cattedrale; e propriamente sulla soglia della Cappella attuale del Santissimo,
dove si vede tuttora scolpita, su pietra, la sua effigie.
Il suo ricco patrimonio di famiglia andò, nella proprietà, a favore di un suo Zio Antonio
de Anellis, Canonico della Cattedrale,
che da molti anni aveva presa residenza in Roma; e, nell’ usufrutto, a favore di sua sorella, Monaca di clausura nel Convento delle Benedettine di Andria
[36],
Da quell’usufrutto la pia Monaca
De Anellis fe restaurare la Chiesa delle Benedettine, facendola anche decorare di preziosi marmi e di stucco.
Anche l’altare maggiore di quella Chiesa, opera pregevolissima per arte e per valore dei marmi, devesi alla prodigalità della Monaca
De Anellis,
come pure due grandi Urne di argento, screziate di oro, rappresentanti l’una la nascita e l’altra la morte del Redentore
[37].
Morto Mons. De Anellis, grave tumulto fu suscitato fra Canonici e Partecipanti della Cattedrale, per la elezione del Vicario Capitolare.
Ab antiquo la elezione del Vicario Capitolare veniva fatta da tutti i Sacerdoti ascritti al Capitolo, sia di quelli
che partecipavano all’una ed all’altra massa, sia di quelli che partecipavano alla sola massa delle messe,
giacché non esisteva allora nella Cattedrale di Andria vera Canonia. Istituita questa, con la Bolla di Benedetto XIV,
il Capitolo, av-venuta la morte del Vescovo De Anellis nel 1756, stando al Diritto Comune, volle limitare
la elezione del Vicario Capitolare al voto delle cinque Dignità e dei Canonici di 1. e di 2. ordine. A questa decisione si ribellarono,
non solamente i Sacerdoti del Clero Ricettizio, partecipanti della sola massa delle messe, ma ben anche gran parte
dei me-desimi Canonici (per loro secondi fini), invocando la immemorabile consuetudine!
Da ciò avvenne che una parte dei Canonici, unitamente alle cinque Dignità ed a tutti i Sacerdoti semplici, si riunirono nella Sacrestia del Capitolo,
ed elessero a Vicario Capitolare il Canonico Arcidiacono D. Giammaria Marchio; gli altri Canonici dissidenti si riunirono
invece nella Chiesa di Mater Gratiæ, ed elessero a Vicario Capitolare il Canonico D. Leonardo Antonio Caprara.
Portata la vertenza al giudizio del Metropolitano, [allora l’Arcivescovo di Trani, Mons. Cavalcanti] questi, a dirimere la controversia,
e la contesa fra i due pretendenti Vicari, elesse un terzo Vicario Capitolare nella persona del suo Vicario Generale, D. Saverio Cannati di Barletta!
Ma l’Arcidiacono Marchio, tenace ed intransigente per indole, tenne fermo alla sua elezione, e dopo averne preso il possesso,
con tutte le forme canoniche, si pose nell’esercizio del Vicariato!
L’Arcivescovo Cavalcanti, adirato per ciò, tosto fe’ ricorso al Re di Napoli (ancora Carlo III di Borbone) accusando il Marchio qual perturbatore dell’ordine pubblico nella città!
Il Re, con dispaccio da Napoli, ordinava al Preside di Trani, certo Anguisola, di recarsi in Andria, con buon numero di militi,
a castigare il turbolento Arcidiacono, e suo nipote il sacerdote D. Michele Marchio (uno dei più accaniti sostenitori dello Zio),
non che tutti i parenti, che avevan preso parte attiva a sostenere la lotta, ingaggiata in quella elezione!
Ad evitare scandali, soprusi e castighi, l’Arcidiacono Marchio, all’approssimarsi dei militi, unitamente a suo nipote D. Michele,
ed a tutti i suoi parenti, per non cadere nelle mani della soldatesca, rifuggiò nel Duomo, dove, pel privilegio
dell’immunità, che allora godevano le Chiese, i militi non potevano procedere agli arresti!
Intanto, giunta in Andria la truppa, i militi furono ripartiti nelle case di tutti i parenti dell’Arcidiacono Marchio
e dei suoi aderenti, esigendo dai medesimi vitto ed allogio!
Non per questo si scompose il tenace Arcidiacono, chiamandosi commodo e sicuro, con tutti i suoi parenti, sotto il tetto della Chiesa Cattedrale!
Stanco finalmente il Preside Anguisola di quella inutile dimora, protratta per parecchi giorni, conoscendo di qual tempra fosse l’Arcidiacono Marchio,
pensò venire a capitolazione con lui. A tal uopo interpose l’opera di persone influenti, per persuadere il Marchio di rinunziare al Vicariato,
per ragioni di salute, e per indurre il Capitolo a dare facoltà all’Arcivescovo Cavalcanti, di eliggere a Vicario Capitolare
un altro Canonico della stessa Cattedrale, che non fosse né il Marchio e né il Caprara, e né il Cannati. L’Arcidiacono Marchio,
pro bono pacis, finalmente annuì a tale proposta, e fece la sua rinunzia, indotto anche dai suoi amici e parenti,
perché realmente era sofferente nella salute, ed abbastanza innanzi negli anni.
L’Arcivescovo Cavalcanti, invitato dal Capitolo, recossi allora in Andria; e, dopo aver accettata la rinunzia dell’Arcidiacono Marchio,
colla interessanza dei Canonici e sacerdoti semplici, elesse a Vicario Capitolare il Canonico Cantore D. Nicolò Cataldi,
che fu poi Arcidiacono alla morte di D. Giammaria Marchio. Cosi, fra i due litiganti, capitolari, il terzo ne godé.
NOTE
[36]
Con la morte dello Zio e della sorella del Vescovo de Anellis, questa nobile famiglia patrizia di Andria si estinse.
[37]
Queste due preziose Urne furono involate dai francesi nell’assedio del 1799.
*
* *
Erano Componenti il Capitolo, in quell’anno, ben 93 partecipanti, fra Canonici e Sacerdoti semplici, oltre a due diaconi,
otto suddiaconi e trentasette Chierici. In tutto 140 persone! Ecco i nomi:
DIGNITÀ
Arcidiacono — Giammaria Marchio
Arciprete — Carlo Antonio Scesa
Cantore — Nicolò Cataldi
Primicerio — Paolo Colavecchia
Priore — Antonio Giorgio
CANONICI DI PRIM’ORDINE |
Riccardo Pisani
Antonio Romano
Leonardo Frisardi
Riccardo Antolini
Tommaso Barletta
Pietro Scarcelli
Michele Manzi
Riccardo Figliolia
Domenico Del Giudice
Carlo Carelli
Leonardo Margiotta
Franc. Paolo Topputi
Sebastiano Paradies
Nicola Baldino
Riccardo Fasoli
|
Domenico Margiotta
Franc. Paolo Tafuri
Riccardo Montederisi
Riccardo Morgigno
Giuseppe Fiore
Vito Ricatti
Carlo Antonio Calamita
Giuseppe Ursi Seniore
Nicolò De Risis
Francesco Tursi
Riccardo Bisceglia
Leonardo Caprara
Nicolò Del Muscio
Riccardo Soriano
Felice Pasquale
|
CANONICI DI SECOND’ORDINE |
Domenico Picheca
Giuseppe Riccardo Noja
Riccardo Terlizzi
Domenico Nanni
Michele Cannone
Vito Barletta
Giovanni Antolini
Riccardo Tommaso Mita
Giuseppe Acquaviva
Domenico Angelo Cannone
Brunone De Benedictis
. . . Donadies
|
Giuseppe Ursi Iuniore
. . . Curtopassi
Leonardo Antonio Fatone
Michele De Liso
Riccardo Politi
Giacinto De Chio
Volto Lacca
Tommaso Porziotta
Nicolò Canosa
Riccardo Troja
Tommaso Gaeta
Giuseppe Cristiano
|
SACERDOTI partecipanti della sola Massa delle Messe |
Nicolò Gaetano Di Noja
Michele Marchio
(nipote dell’Arcidiarono)
Riccardo Arcamone
Donato Antonio Romano
Nicolò Zagaria
Giuseppe Brudaglio
Bartolomeo Zotti
Giuseppe Nicolò Marchio
Felice Zingaro
Saverio Terlizzi
Sebastiano Bilanciano
Potito Santa Croce
Giuseppe Antonio Sarcinelli
Sebastiano Cocco
Domenico Nicolò Pincerna
Domenico Noja
Giuseppe Iannuzzi
|
Giuseppe Raimondi
Riccardo Accetta
Sebastiano Civita
Antonio Leonetti
Franc. Paolo Inchingolo
Giuseppe Riccardo Verde
Domenico Nicola Laborea
Fabrizio Mita
Riccardo Montanaro
Ettore Figliolia
Sergio Margiotta
Riccardo Pastina
Nicolò Antolini
Giuseppe Matera
Michele Corposanto
Riccardo Frascolla
Carlo Antonio Frascolla
|
Diaconi — Giammaria Cantore e Nicolò Giordano
Suddiaconi — N. 8, dei quali non son riportati i nomi
Chierici — N. 37, idem.
NOTE
[38]
Archivio Capitolare.
*
* *
Al Vescovo De Anellis successe Mons. Francesco Ferrante, appartenente ad una delle più nobili famiglie di Reggio Calabria.
Mons. Ferrante nacque il 9 dicembre 1702. Egli studiò leggi, e, sino all’età di 42 anni, esercitò, con molto grido,
la professione di Avvocato in Napoli. Nel 1744, deluso della vanità del mondo e della gloria del Foro, si ritirò a Reggio,
sua patria, e volle vestire l’abito talare. Ordinato Sacerdote, ed indi, fatto Canonico di quella illustre Chiesa Cattedrale,
l’Arcivescovo di Reggio pose subito gli occhi sul Ferrante, e lo volle a suo Vicario Generale.
Ma, essendo egli troppo conosciuto a Napoli, per la sua valentia in giurisprudenza, il Nunzio Apostolico
lo volle a sé, nominandolo Avvocato Fiscale della Nunziatura Apostolica, e Giudice dell’Arcivescovado.
A premiare il suo singolare valore, dietro proposta del Nunzio di Napoli, Benedetto XIV, nel Concistoro segreto
del 3 gennaio 1757, lo preconizzava Vescovo di Andria, riservandolo Cardinale
in pectore
[39].
Mons. Ferrante venne in Andria, a prender possesso della sua sede vescovile, il dì 8 marzo di quel medesimo anno 1757.
Egli fu sempre in buoni rapporti con i Duchi Carafa Ettore II e suo figlio Riccardo, i quali, a differenza dei loro antenati,
si mostrarono assai deferenti e rispettosi con i Vescovi del loro tempo.
Mons. Ferrante è una di quelle figure, che non sbiadiscono, anche al contatto delle controversie.
Uomo dottissimo, carattere fermo e serio, tempra adamantina, seppe lottare, senza venir meno ai dovuti riguardi
ed a quella carità, che lega il Padre ai figli, i figli al Padre. Sventuratamente il nostro Capitolo
dovette trovarsi a lottare non poco con questo dottissimo e veneratissimo Prelato!
Da storico imparziale, riferiremo i fatti, senza fare alcun apprezzamento, lasciando ai lettori il giudizio.
NOTE
[39]
Dall’Archivio Capitolare.
*
* *
Nel 1761 il Capitolo di S. Nicola, sia nei privati che nei pubblici istrumenti, abusivamente usava il titolo
di
Comparrocchiale alla Cattedrale. Il Capitolo fortemente se ne dolse, portando la controversia al giudizio
della S. Sede. Questa, dichiarando esser la Cattedrale l’
unica Parrocchiale di tutta la città e territorio di Andria,
pure, stante il numero crescente della popolazione, decise che la Collegiata di S. Nicola dovesse coadiuvare
la Cattedrale
nel solo esercizio della cura delle anime. Laonde, a mezzo della S. Congregazione del Concilio,
dava incarico al Vescovo Ferrante, di fare la divisione di territorio fra la Cattedrale e la Collegiata di S. Nicola,
da sottometterla però alla medesima S. Congregazione, per l’approvazione
[40].
Il Vescovo Ferrante, invece di attenersi alla sola divisione materiale del territorio, e riferire alla S. Sede,
per l’approvazione, (giusta l’incarico avuto dalla S. Congregazione) stimò di farne anche la divisione formale
dei relativi diritti e doveri, preeminenze, funzioni. ed altro.
Il Capitolo, vedendosi leso nei suoi diritti, fe’ ricorso alla S. Sede contro l’operato del Vescovo.
E la sentenza fu presentata coll’unico dubbio: An sit approbanda divisio.
La S. Congregazione, cancellando la divisione fatta dal Vescovo Ferrante, con sentenza dell’11 Settembre 1762 decretava:
divisionem esse faciendam ab Eminentissimo Præfecto. Indignato il Vescovo Ferrante per questa sconfitta subita,
smettendo la veste di delegato esecutore, prese quella di Parroco ed attore, e venne fuori col sostenere
essere il Vescovo l’unico Parroco della città e territorio, pretendendo a sé tutti i diritti parrocchiali,
e spogliandone il Capitolo, il quale, costretto dalla dura necessità a sostenere i suoi diritti, fece ricorso a Roma
contro le nuove pretese del Vescovo Ferrante.
La causa fu presentata al S. Concilio col seguente dubbio: An Ecclesiæ Cathedratis, unicæ in civitate et territorio Andriæ Parochialis,
Parochus sit Episcopus, et ad quos effectus, seu potius Capitulum ejusdem Cathedralis in casu.
La S. Congregazione, nella plenaria del 23 aprile 1763, emise una sentenza favorevole al Vescovo, con questo rescritto:
affirmative ad primam partem quoad omnes effectus, negative ad secundam.
Il povero Capitolo, benché umiliato da questa sentenza, che troncava d’un colpo tanti suoi secolari diritti e preeminenze,
purtuttavia non si arrese, fiducioso nella giustizia e nella bontà della causa, che sosteneva.
Quindi domandò una nuova udienza, che gli venne presto e ben volentieri accordata, stante la grave scissura fra i Cardinali del Concilio, per quella sentenza
[41].
Ottenuta la nuova udienza, la causa si ripropose col seguente dubbio: An sit standum, vel recedendum a decisis in casu.
La sentenza fu favorevole al Capitolo. La S. Congregazione, studiata un po’ meglio la quistione, con sentenza del 26 Novembre 1763, rescrisse:
Prævio recessa a decisis, curam animarum habitualem spectare ad Capitulum. Ma il Vescovo Ferrante non si arrese,
e nuovamente si appellò al S. Concilio, proponendo il nuovo dubbio:
An sit standum in primo vet secundo loco decis in casu.
E la S. Congregazione, con altra sentenza del 12 Maggio 1764, confermò la precedente, in favore del Capitolo, coll’aggiunta dell’
amplius,
per la unanimità dei voti dei Cardinali Padri del S. Concilio, rescrivendo:
in secundo loco decisis, et amplius
[42].
Così fu chiuso l’adito ad ogni ulteriore appello del Vescovo, il quale, non potendo diversamente dar sfogo, al suo risentimento,
per la sconfitta subita, cominciò a molestare quei Capitolari, che maggiormente eransi spinti nel sostenere quelle cause.
Quindi, sotto il pretesto della
condotta morale, a mezzo del suo Procuratore fiscale, aprì un processo
contro alcuni Canonici della Cattedrale, chiedendo anche braccio forte al Duca, del quale era amicissimo,
ed al Governatore della città, per farli tradurre nelle prigioni!
[43]
Indignati quei Canonici, per l’oltraggio subito della loro fama, e per minacce di prigionia, tosto si costituirono
al Metropolitano in Trani, per giustificare la loro condotta dalle accuse mosse dal Vescovo.
Ciò maggiormente irritò il Vescovo Ferrante, il quale, avendo saputo che quei Canonici eransi recati a Trani dal Metropolitano,
li fe’ pedinare dai suoi satelliti, e sotto gli occhi del medesimo Arcivescovo, Mons. Cavalcanti,
ammanettare e tradurre prigioni in Andria!
Per tal atto sconveniente ed offensivo al Metropolitano, fu quindi promossa una causa giurisdizionale a Roma
dall’Arcivescovo di Trani contro il Vescovo Ferrante, presso la
Signatura di giustizia;
causa, che finì in pregiudizio del Vescovo
[44].
Né contento di ciò, il Vescovo Ferrante, sotto altri pretesti, volendo ancora umiliare il povero Capitolo,
venne fuori col pubblicare un draconiano editto disciplinare, che abbracciava 13 Capi, dei quali
ne riproduciamo cinque, rilevati da una delle memorie del prelodato avv. Sciarra:
- « 1.] Che a niuno sia lecito escire fuori di città e Diocesi, ed ivi pernottare senza nostra licenza in scriptis et oretenus;
- 2.] che niuno ardisca vestire abito corto, e molto meno di colore a riserba, che in Campagna, o dovendo andare in altre città,
nel qual caso sia lecito qualora non sia fatto alla secolare, ma a forma di Cajella (?), e chi farà il contrario, incorra la pena di sospensione;
- 3.] che niuno, chiamato di giorno o di notte ad assistere a moribondi, ardisca mancarvi, e ciò anche a tenore d’altro editto sotto le pene in quello contenute;
- 4.] che niuno ardisca uscire dalle proprie case, né avanti di quelle trattenersi con barettini bianchi in testa, o con fazzoletti di colore al collo
[45],
ma sempre col collare ed abito ecclesiastico, sotto le sopradette pene a nostro arbitrio;
- 5.] che niuno ardisca camminare di notte tempo così solo, che accompagnato, ma che solo sia permesso camminare di notte
per proprio interesse, per legittime cause, e con lanterna (!!), o con altro lume, sotto le sopra dette pene a nostro arbitrio».
Gli altri otto Capi non sono riportati nella memoria dell’avvocato Sciarra, il quale, incaricato dal Capitolo
di un nuovo ricorso contro il Vescovo Ferrante, dopo aver confutato i detti cinque Capi di quell’editto,
non avendo la costanza di proseguire, nella foga della difesa, scatta fuori con le seguenti parole:
quid ultra excogitare poterat Rev.mus Episcopus ut Ecclesiasticos detineret sub continuis processuris,
et censuris illaqueatus? certe percipere datum non est, hoc unum certo coniicimus, quod unumquodque
ex relatis capitibus non zelum Ecclesiasticum demonstrat, sed positivum continet jugum: quod Sacri Canones haudquaquam præcipiunt
[46].
Né ciò bastando, il Vescovo Ferrante, per osteggiare ancora il Capitolo, venne fuori con esorbitanti tasse curiali!
Il Capitolo fece un nuovo ricorso alla S. Sede, chiedendo l’applicazione rigorosa della tassa
Innocenziana,
laddove le tasse curiali, imposte dal Vescovo Ferrante, erano
dieci volte superiori a quella!
La S. Congregazione, facendo ragione al Capitolo, per ben tre volte ingiunse al Vescovo la stretta osservanza
della tassa
Innocenziana, con tre distinti
Rescritti
[47].
Ma, tutte queste sconfitte subite servivano ad inacerbire sempre più l’animo del Vescovo contro il Capitolo,
il quale non mancava, con bel garbo, di placarlo e di fargli comprendere il dolore, che provava nel dover lottare
contro di Lui, persona tanto stimabile. Ma il Vescovo era implacabile: ed a rendere il Capitolo impotente
a sostenere nuove liti contro di Lui, pensò disarmarlo, coll’accusarlo alla S. Congregazione d’esser incorso
nelle pene della Costituzione : Extravagantis ambitiosæ de rebus Eccles. non alienandis,
avendo il Capitolo impiegato il deposito dei danari, rivenienti dai legati pii, nelle spese delle cause
contro di Lui, contro delle Collegiate, contro le Case Religiose, contro le Confraternite laicali, ecc. …
Il povero Capitolo, che veramente, in buona fede, aveva usato di quel denaro, a sostenere tante cause,
(sempre però con la retta intenzione di reintegrare quel deposito allo scopo destinato) fece tosto istanza al Papa
per l’assoluzione dalla irregolarità e dalle censure, nelle quali, involontariamente, poteva essere incorso
senza l’ombra di mala fede, o d’inganno. Ed il Papa, allora Clemente XIV, a mezzo della S. Congregazione del Concilio,
dava incarico al medesimo Vescovo di assolvere i Canonici dalla irregolarità e dalle censure,
nelle quali erano incorsi in distractione bonorum et pecuniarum ad Ecclesiam et causas pias spectantium,
con obbligo però di reintegrare, fra due mesi, la somma distolta, e di rimettere alla S. Congregazione la nota
dei censi e dei depositi illegittimamente distratti, proponendo un mezzo per la loro reintegrazione.
In esecuzione di tali ordini, il Capitolo, mettendo a partito tutte le spese erogate per le sopradette cause,
che ascendevano alla somma di oltre a diecimila ducati, propose alla S. Sede di reintegrare il deposito distratto
dei legati pii, e di estinguere i censi, rilasciando, annualmente, dalla partecipazione dei Canonicati,
la somma di Ducati trecento, coll’obbligo di soddisfare le messe inerenti a quei legati
(la di cui somma ascendeva a ducati 8700), fra i quali eravi il legato del fu Sebastiano Spagnoletti,
per la somma di Ducati 1200, con l’obbligo di 219 messe all’ anno.
Dietro tale proposta del Capitolo, la S. Congregazione delegò il Metropolitano a verificare ogni cosa, ed indi riferire alla S. Sede.
Il Metropolitano, verificati i libri di procura, e constatata la verità di quanto avvea asserito Il Capitolo,
specialmente circa l’esiguità della sua rendita, riferì alla S. Sede, attestando pure che ciascun Canonico,
in quel tempo, appena percepiva cento ducati annui per l’una e l’altra massa; e che ciascun sacerdote,
partecipante della sola massa delle messe, poteva percepire ducati trentasei all’anno,
con tutti gli oneri di messe ed esiti capitolari inerenti! ...
Dietro la relazione del Metropolitano, la S. Congregazione del Concilio, in data 15 Dicembre 1770, emetteva il seguente Rescritto:
Attenta nova relatione Archiepiscopi Tranensis, Oratores quoad præteritum absolvit, et cum eis ab irregularitate
contracta dispensavit: ita tamen ut Oratores ipsi in posterum, singulis annis, summam ducatorum, tercentum in præmissam
reintegrationis causam deponere teneantur, non reincidentia in censuris in casu deficientiae.
Così il Capitolo, per soddisfare a tali obblighi, contratti per sostenere i diritti della sua Chiesa, si vide ridotto alla miseria. …
E, nell’anno 1773, come risulta dal libro di procura
[48],
ogni canonico appena poté avere la rendita di un
carlino al giorno (pari a centisimi 42!) dell’una e dell’altra massa! …
Laonde, nell’anno consecutivo 1774, il Capitolo, non potendo onestamente provvedere ai suoi bisogni,
fece istanza alla S. Sede per poter ridurre a ducati 5o il deposito annuale di reintegrazione.
E la S. Sede, domandato il parere del Vescovo, allora Mons. Palica (succeduto al Ferrante) accordò la grazia, col seguente Rescritto:
Prævia absolutione et dispensatione pro gratia minorationis taxae ad ducatos quinquaginta singulis annis deponendos,
absque spe ulterioris moderationis et cum reincidentia in censuris in casu inadimplementi,
et scribat E.po, qui curet reinvestiri summam depositam.
Così ebbero termine le liti fra il Capitolo ed il Vescovo Ferrante, suggellate dalla morte di costui,
avvenuta improvvisamente il di 21 Ottobre 1772, mentre trovavasi a villegiare nella Palazzina
di campagna della Tavernola.
NOTE
[40]
Archivio Capitolare,
Libro delle cause: 1763.
[41]
Questo lo rileviamo dalla memoria dell’avv, Sciarra (difensore del Capitolo), dalla quale abbiamo attinto molte notizie di questa vertenza
fra il Vescovo Ferrante ed il Capitolo Cattedrale. (vedi Archivio Capitedare.
Libro delle cause del 1763).
[42]
Gli avvocati difensori del Capitolo furono tre: Filippo Durani, Giovanni Mendez e Domenico Sciarra. Quelli dei Vescovo Ferrante furono due: Giacomo Santagata e Nicola Sala.
[43]
Archivio Cap. loc, cit.
[44]
Dal
libro delle cause del 1763, pag. 256. Archivio Capitolare.
[45]
Si vede che in quel tempo si viveva alla patriarcale ...
[46]
Libro delle cause 1763, pag, 345, Archivio Capitolare.
[48]
Vedi
libro di procura del 1773.
*
* *
Le ostilità verso il Capitolo, e la frega di volerlo ad ogni costo umiliare, ad onta che la S. Sede
non ce la mandò buona in tutte le controversie, furono, forse, la causa di non essere stato Mons. Ferrante
elevato alla Sacra Porpora; ed il suo Cardinalato resto in pectore anche nella tomba.
La sua spoglia fu tumulata nella Cappella di S. Riccardo della Chiesa Cattedrale.
Sulla pietra sepolcrale leggesi la seguente epigrafe dettata da suo fratello Gajetano.
Franciscum Ferrantium
Ex antiqua Rheginorum procerum familia
Patricium virum
Ecclesiæ Andriæ Episcopum
Omnium lacrimabili luctu cessum in fata
Die XXI octobris MDCCLXXII
Quo nullum Civitas tristius accepit vulnere
Post suæ ætatis annos LXIX menses X dies XII
Ac sui præsulatus XVI
Virtutibus clarum ac meritis onustum
Et quamvis maximam
Cajetanus Ferrantius Frater
Brevi hac urna clausit A. D. MDCCLXXIII
Di questo dottissimo Vescovo furono, pubblicati dalla tipografia Simoniana varii opuscoli, contenenti carmi, epigrammi,
iscrizioni ed altro; oltre ad una sua dotta pastorale in lingua latina, ed a dodeci sonetti e quattro canzoni di stile veramente classico.
Nello spoglio delle carte, fatto dopo la sua morte, fu rinvenuto un lungo carteggio, dal quale rilevavasi
la prossima sua promozione al Cardinalato, per la quale fu rinvenuto, nel suo scrigno, un buon gruzzolo di quattrini,
chiuso in una grossa busta, sulla quale era scritto di suo pugno: denaro da spedirsi per la Porpora.
Vigendo allora la legge, che le Chiese Cattedrali ereditavano tutto il denaro, che trovavasi nello spoglio dei Vescovi defunti,
il Capitolo, benché tanto da Lui travagliato, pure, a testimoniargli la sua devozione,
spese tutto quel denaro a beneficio del Duomo, facendolo adornare di stucchi
[49].
Con quel medesimo denaro fece decorare il Coro di tre pregevoli grandiosi quadri
[50],
situando, in cima allo stallo del Vescovo, il ritratto ad olio di Mons. Ferrante, che tuttora si ammira.
Con quel denaro fu pure ridotto ad un solo livello il pavimento della Chiesa, ad eccezione del Presbiterio,
che resta più sollevato, distruggendo così tutte le lapidi mortuarie smussate, che erano disseminate lungo la Chiesa
[51].
Furon pure, con quel denaro, fatti costruire il magnifico Pergamo e molti confessionili di legno-noce,
i quali portano perciò inciso un ferro di cavallo [stemma del Ferrante]
[52].
NOTE
[49]
Fu allora che il Capitolo, invaghito dello
splendore degli stucchi, fece coprire tante pregevoli opere d’arte,
di cui va fregiato il nostro Duomo, e che ora restano in gran parte nascoste sotto quegli stucchi ...
È da sperare che un giorno vengano rimossi gli
stucchi, e ritornato il nostro Duomo all’antico splendore.
[50]
Questi tre grandiosi quadri, dipinti su tela, sono opera pregevolissima dell’esimio pittore Nicola Porta.
Quello a sinistra di chi entra nel Coro rappresenta Davide, il quale, a suon di arpa, precede l’Arca Santa,
circondata dal popolo ebreo festante con timpani e sistri, ed i figli di Abinadab (Oza ed Osia)
che miseramente giacciono per terra fra le ruote del carro, portante l’Arca, traente il benedetto vaso.
Il quadro a destra rappresenta Aronne, rivestito delle infule e del
efod, che sacrifica un ariete, circondato dagl’Israeliti.
Il quadro, sito sotto la cupola del Coro, rappresenta il vitello d’oro, adorato dal popolo israelitico.
[51]
Questa, veramente, fu opera vandalica, perché quelle lapidi potevan formare una storia! … Poteva pur bastare livellare il pavimento, senza distruggere le lapidi ...
[52]
Per ordine del Vescovo Mons. Staiti. nel 1911, fu fatto distruggere quel ferro di cavallo dai confessionili,
perché non si ritenesse per un simbolo massonico tanto più perché non era fregiato da alcuna insegna vescovile.
*
* *
Avvenuta la morte di Mons. Ferrante un nuovo tumulto, più scandaloso del precedente, fu suscitato dai Sacerdoti semplici,
per la elezione del Vicario Capitolare. Pretendevano i semplici Sacerdoti di avere il diritto (come per lo passato)
al voto nella elezione del Vicario Capitolare. I Canonici, all’unanimità, vi si opposero, in considerazione della Riforma,
che aveva portato la Bolla della Canonia di Benedetto XIV. Ma i Sacerdoti non si arresero, e, tumultuando,
impedirono al Capitolo di riunirsi per tale elezione, con minacce anche di provocazioni manesche. …
Ai Sacerdoti semplici si unirono i loro congiunti e adepti, e sarebbe finita male la faccenda, se amici comuni e persone influenti
non si fossero adoperate per la conciliazione! Il Capitolo, vedendo che l’affare si faceva serio,
per le impertinenze e minacce di quei sconsigliati, ad evitare scandali e delitti, s’indusse,
per quella volta sola,
ad ammetterli nella votazione per la elezione del Vicario Capitolare, a condizione, però, che si fosse prima redatto
un pubblico istrumento, nel quale si convenisse che,
per l’avvenire, quella eccezione non dovesse passare in esempio.
Accondiscesero i Semplici Sacerdoti, e fu redatto un pubblico istrumento per Notar Sebastiano Cristiani, a dì 25 Ottobre 1772,
ratificato dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, con decreto del 27 Marzo 1773 munito di Reggio assenso
a dì 7 Aprile del medesimo anno. In quello stipulato fu determinato che, per l’avvenire,
mundo durante,
la elezione del Vicario Capitolare dovesse farsi sempre, ed e-sclusivamente
dalle sole Dignità e Canonici della Chiesa Cattedrale,
esclusi sempre i sacerdoti Partecipanti ecc. …
[53].
In data 17 Dicembre 1773, la medesima S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, emanava un altro Rescritto,
dando facoltà al Vescovo Mons. Palica di approvare e riconfermare la sopradetta Convenzione del 26 Ottobre 1772.
Tal Rescritto fu pure avvalorato del Regio
exequatur del 10 Gennaio 1774; ed il Vescovo Palica,
a maggiormente ribadire il chiodo, con altro suo Decreto del 24 Marzo 1774, riconfermò ed approvò quell’istrumento di convenzione.
A maggior sicurezza, a dì 26 Giugno del 1782, ad istanza del Procuratore Capitolare, fu richiesta altra riconferma
di regio assenso, il quale venne impartito a 28 Giugno del medesimo anno
[54].
Quell’istrumento fu sottoscritto dai seguenti Canonici e Sacerdoti partecipanti del Capitolo di quel tempo.
DIGNITÀ
Arcidiacono — Nicolò Morgigno
[55]
Cantore — Riccardo Tommaso Mita
Primicerio — Paolo Colavecchia
Priore — Antonio Conoscitore
CANONICI |
Riccardo Fasoli
Riccardo Bisceglie
Domenico Picheca
Giuseppe Riccardo Noja
Riccardo Terlizzi
Vito Barletta
Giuseppe Ursi
Leonardo Antonio Fatone
Saverio Terlizzi
Michele Marchio
Bartolomeo Zotti
Sebastiano Bilanciano
Giuseppe Antonio Sarcinelli
Sebastiano Locco
|
Riccardo Antolini
Giuseppe Locca
Riccardo Troja
Tommaso Gaeta
Nicola Gaetano di Noja
Giuseppe Nicola Marchio
Felice Zingaro
Giuseppe Brudaglio
Giuseppe Jannuzzi
Antonio Lionetti
Donato Antonio Romano
Domenico Nicola Laborea
Michele Corposanto
Giuseppe Ceci
|
Totale dei Canonici N. 32
SACERDOTI PARTECIPANTI |
Riccardo Montanaro
Nicola Antolini
Giuseppe Matera
Carlo Antonio Frascolla
Riccardo Frascolla
Giuseppe Nicola Giordano
Riccardo Pastina
Nicola Marziani
Giuseppe Tommaso Cannone
Filippo Grossi
Nicola Raimondi
Riccardo Mininno
Giuseppe Ajelli
Raffaele Marchese
Vitantonio Savelli
Francesco Paolo Nuzzi
Raffaele Zinni
|
Vincenzo Vespa
Riccardo Acchella
Tommaso Scoccia
Brunone De Benedictis
Michele Marziani
Domenico Losito
Francesco Paolo Pasquale
Francesco Abbasciano
Giuseppe Zotti
Nicola Campana
Saverio Bevilacqua
Felice Regano
Giuseppe Morgigno
Vincenzo De Nigris
Francesco Conti
Domenico Friuli
|
Totale dei Sacerdoti partecipanti N. 33
Canonici, in tutto 65
NOTE
[53]
Archivio Capitolare.
[53]
Detto regio assenso e tutti gli altri atti precedenti trovansi inseriti, unitamente all’istrumento di concordia, nel Protocollo di detto Notar Cristiani, sotto l’anno 1772.
[53]
Manca la firma dell’Arciprete, che, in quel tempo era
Riccardo Antolini.
*
* *
Era Re di Napoli in questo tempo Ferdinando IV, terzo genito di Carlo III, il quale, nel recarsi a cingere la corona di Spagna,
dovette chiamare alla successione nel Regno di Napoli il terzo genito Ferdinando, serbando, pel secondogenito Carlo Antonio,
la successione di Spagna, ed escludendo il primogenito Filippo, perché scemo di mente ed infermo di corpo. Però, essendo,
ancora Filippo nella tenera età di anni 8, quando il Padre lasciò Napoli, per andare a cingere la corona di Spagna
[56],
Re Carlo lo affidò alla reggenza del Principe di S. Nicandro, sinché non raggiungesse l’età di 16 anni.
Il giovanetto Ferdinando IV di Borbone prese il titolo di Re delle due Sicilie e di Gerusalemme, di Duca di Parma,
Piacenza e Castro, non che il titolo di Principe ereditario di Toscana, sotto la reggenza del Principe di S. Nicandro.
Anima però di quella reggenza era il Marchese Tannucci.
Giunto all’età matura Ferdinando IV pensava a prender moglie, e l’occhio suo si posò sull’Arciduchessa d’Austria Maria Giuseppa,
figlia dell’Imperatore Francesco I d’Austria. Ma, sventuratamente, la fidanzata moriva mentre si apparecchiava a celebrare le nozze!
Ferdinando allora volse il pensiero alla sorella dell’estinta, la Principessa Maria Carolina, e nel 1768 ne solennizzava le nozze.
Nel medesimo anno il nostro Duca Riccardo Carafa, succeduto al padre Ettore II nella Duchea di Andria, celebrava egualmente
le nozze in Napoli con la Signorina Margherita Pignatelli, figlia del Duca di Monteleone e della Duchessa D. Caterina de Medici.
Celebrate le nozze il Duca Riccardo, con la sua giovinetta sposa, fe’ ritorno in Andria, mentre la Vedova Duchessa madre,
D. Francesca Guevara, restava in Napoli, onorata dell’ufficio di prima Dania di Corte del Re Ferdinando IV.
NOTE
[56]
Carlo III partiva per la Spagna nel 1759, compianto giustamente da tutti i popoli del suo Regno, al cui benessere avea rivolto ogni sua amorevol cura.
*
* *
Intanto Re Ferdinando IV, preso il Governo del Reame, si faceva in tutto guidare dal Marchese Ferdinando Tannucci,
uomo d’alta dottrina; educato però ai principii dei giansenisti e dei Febroniani;
per cui era sostenitore zelante delle immunità ecclesiastiche, massimamente in materia criminale.
Il Re Ferdinando, educato dal Principe di S. Nicandro più ai divertimenti che al buon governo dello Stato,
dava facile ascolto alle parole del Tannucci, il quale minava una sorda guerra alla religione. Difatti,
per consiglio del Tannucci, fu soppresso in Napoli il Tribunale della Nunziatura Apostolica, al quale erano presentate,
in appello, tutte le cause ecclesiastiche. Per Consiglio del medesimo Tannucci fu anche impedito ogni appello a Roma
nelle medesime cause ecclesiastiche. Fu il Tannucci che fece avocare alla Corona il diritto di nominare ai Vescovati,
Abazie ed a tutti i Benefizii ecclesiastici, arrogandosi il Re un diritto della S. Sede!
Fu il Tannucci che fe’ abolire l’uso della Inco-ronazione del nuovo Re. Egli fe’ pure ridurre nel Regno
il numero dei Religiosi mendicanti, e sopprimere la Compagnia di Gesù
[57];
fu sua proposta quella di sottrarre all’obbedienza dei loro Generali, residenti in Roma, tutti i Religiosi
e frati del Regno: fu consiglio del Tannucci pure quello di far allestire un naviglio per vascelli da guerra,
impiegando alla sua costruzione una parte dei beni delle Chiese! Insomma, preso dalla
febbre dei diritti
di
Regalia, ridusse al nulla l’autorità ecclesiastica. Fece quindi promulgare un codice
della così detta
Polizia Ecclesiastica, destinato ad estinguere, od almeno a restringere
la potestà ecclesiastica, laicizzando le sacre istituzioni, e tutte attraendole alla giurisdizione reale.
Ma, fortunatamente, il Re si trovava d’avere al suo fianco un angelo di Regina, la piissima e religiosissima Maria Carolina,
la quale, nei capitoli matrimoniali, fra le altre condizioni, aveva fatta inserire quella di dover entrare
nei Consigli dello Stato. Per cui, vedendo che il Tannucci trascinava, coi suoi perfidi consigli, il Re sulla via della rovina,
lo fece allontanare dalla Corte, facendolo rimpiazzare dall’ottimo Marchese della Sambuca, il quale avrebbe certamente
messo il Re sulla buona via, se gli eventi di Francia, la quale si preparava a dare al mondo uno spettacolo
mai prima veduto, non lo avessero impedito, come narreremo nel Capo seguente.
NOTE
[57]
La guerra alla Religione ha sempre avuto principio con la espulsione dei Gesuiti! di questi pionieri, che,
dovunque mettono il lor piede, si vide sbucciare un fiore di scienza, di onestà, di civiltà! di questi benemeriti,
che formano la vera Provvidenza delle città e delle nazioni, con la loro coltura, con la loro abnegazione,
con la loro singolare carità! Eppure la Politica, questa bestia quadrifante, vestita d’ipocrisia,
che va snaturando tutte le istituzioni civili e religiose, osa far guerra a questa classe di persone,
che dovrebbe essere accolta a braccia aperte dai Governanti, se veramente desiderassero il vero bene dei popoli!
[tratto da “Il
Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi
Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XIV, pagg.306-337]