Capitolo XIX

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo XIX

(anni 1899-1911)

Sommario:
— Elezione del Vicario Capitolare Mons. Porro: Il Capitolo di Canosa vuole sottrarsi alla giurisdizione della Chiesa di Andria:
— Mons. D. Giuseppe Staiti, dei Marchesi di Brancaleone, viene creato Vescovo di Andria:
— i Chierici del Clero nullius Ecclesiæ chiedono alla S. Sede di essere aggregati al Capitolo Cattedrale, e di essere ammessi alla partecipazione della massa delle Messe:
— liti fra il Capitolo, i Parroci e l’Arciprete - Parroco circa l’assegno della congrua parrocchiale:
— altre liti fra il Capitolo Cattedrale ed il Municipio di Andria circa la nomina del Priore di S. Riccardo:
— transazione fra il Capitolo ed il Demanio dello Stato su di alcune vertenze rimaste in sospeso:
— componenti il Capitolo Cattedrale in questo torno di tempo.


Morto il Vescovo Galdi - 13 marzo 1899 - veniva eletto Vicario Capitolare Mons. D. Stefano Porro, Canonico Priore della Cattedrale, e Vescovo titolare di Cesaropoli.
Avvenuta la morte del Vescovo Galdi, e la elezione del Vicario Capitolare Mons. Porro, il Capitolo Palatino di Canosa volle ritentare la prova di sottrarsi alla giurisdizione della Chiesa di Andria [1]. Riunitosi perciò in generale assemblea il dì 19 marzo 1889, dietro proposta del suo Arciprete D. Giacomo Gagliardi, a mezzo del suo Procuratore speciale D. Luigi Can. De Salvia, con foglio del dì 4 aprile 1899, il Capitolo di Canosa faceva domanda al nostro Capitolo, onde avere l’a-desione per la ripristinazione della Prevostura Canosina, facendo ardenti voti a che il Vescovo pro tempore di Andria, dalla S. Sede, nelle Bolle Episcopali, abbia il titolo di Vescovo di Andria e Prevosto di Canosa con le sue gloriose e storiche prerogative.
A giustificare tale domanda, quel Capitolo adduceva il motivo: perché si possano conseguire le temporalità della Mensa Prepostale. E, per riuscire nel suo intento, assicurava che: con la chiesta adesione, la Cattedra di Andria andrebbe pregiata di novello lustro, proveniendole dalle singolari prerogative di questa Chiesa [2].
Dietro tale proposta, il Capitolo Cattedrale, riunitosi in generale assemblea a dì 21 del medesimo mese ed anno, convinto che, con quella richiesta i Canosini volevano sottrarsi alla giurisdizione della Sede di Andria, come aveano altra volta tentato, dopo ben ponderate considerazioni, all’unanimità, respingeva la domanda del Capitolo Canosino, con la seguente formula: Negative et amplius. Dietro tale concisa e risoluta risposta, il benemerito Capitolo di Canosa si acquietò.
Nel settembre di questo medesimo anno la nostra Chiesa fu onorata dalla presenza del Cardinale Serafino Cretoni [3], il quale celebrò il solenne pontificale nella festa popolare di S. Riccardo.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Alla morte del Vescovo Longobardi, il Capitolo di Canosa tentò, per la prima volta, di sottrarsi alla giurisdizione del Vescovo Galdi, aspirando alla piena emancipazione dalla Sede Vescovile di Andria. Ma il Vescovo Galdi, di accordo col Capitolo Cattedrale, nella sua prudenza e saggezza seppe troncare ogni discordia col Clero di quell’illustre Chiesa Canosina.
[2] Firmatari di quel foglio furono i signori: Giacomo Arciprete Gagliardi, Sabino Cantore De Corato, Minerva Sabino Primicerio, Luigi Can. De Salvia, Biagio Can. Decorato, Giuseppe Can. D’Aniello, Benedetto Can. Farina, Tommaso Can. Rossignoli; Nicola Can. Moccia, Giuseppe Petrilli, Luisi Antonio, Filomeno Sinesi, Savino Valente, Giuseppe, Sac. Forina, Luigi Sac. Cecca, Giuseppe Sac. Princigalli, Antonio Sac. Concilio, Giuseppe Sac. Serlenga, Antonio Sac. Sergio, Vincenzo Sac. De Muro.
[3] L’Eminentissimo Cretoni venne in Andria per incoronare la Sacra Immagine della Madonna dell’Altomare. Trovandosi in questa Città, il Capitolo e la commissione delle feste in onore del Protettore S. Riccardo lo invitarono pel solenne Pontificale, che l’E.mo di buon grado accettò in tale ricorrenza.

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Nel novembre del medesimo anno 1899, dopo appena otto mesi di vacanza, la Sede vescovile di Andria smetteva il lutto, per la morte del Vescovo Galdi, e si rivestiva a festa per la nomina del novello Vescovo, Sua Eccellenza Mons. D. Giuseppe Staiti, dei Marchesi di Brancaleone di Napoli, che Dio conservi ad multos annos al bene della nostra Chiesa, e della città.
Mons. Staiti fu preconizzato Vescovo da Papa Leone XIII (1878-1903) a dì 25 giugno 1899.
Il novello Vescovo Mons. Staiti venne in Andria a prender possesso della sua Sede Vescovile, il dì 17 dicembre del 1899, fra le festose accoglienze della intiera cittadinanza, capitanata da tutte le autorità civili e militari, dal clero e dalla classe più eletta della città, che aveva inviati i suoi più sfarzosi equipaggi, al di lui seguito. Giunto in città, dopo aver indossati gli abiti pontificati nella Chiesa delle monache benedettine, il novello Vescovo fece il primo ingresso nella Cattedrale, stivata di gente d’ogni classe e condizione, raccolta lì per ascoltare il suo primo saluto, che fu assai commovente.
Messo nell’esercizio del suo pastorale ministero, il Vescovo Staiti volle avere a suo Vicario e Consigliere Mons. Porro, Vescovo titolare di Cesaropoli, e già Vicario Capitolare.
Dire delle virtù di Mons. Staiti, quale Vescovo e quale Gentiluomo, sarebbe, forse, un offendere la sua modestia e, da non pochi, sarebbe forse interpretata adulazione la nostra. Onde, tranne quei fatti, che si riflettono al suo Vescovado, sino all’epoca in cui scriviamo, nulla diremo delle sue qualità personali, lasciando ad altri il nobile compito di parlare di Lui, quando, dopo un glorioso Vescovado, che gli auguriamo assai longevo, il Signore lo avrà accolto nelle sue amorose braccia.

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A dì 1. febbraio 1900 un primo Ufficio di Sua Eccellenza Mons. Staiti veniva comunicato al Capitolo dall’Arcidiacono Mons. Merra. Esso riguardava una istanza fatta alla S. Congregazione del Concilio dai giovani Sacerdoti del Clero nullius Ecclesiæ di Andria, i quali, sin dall’anno precedente, avevano presentata domanda alla medesima S. Congregazione, per essere ammessi al servizio della Chiesa Cattedrale, ed alla compartecipazione della massa delle Messe.
Avuta di ciò comunicazione il Capitolo, volendo agevolare la condizione dei molti Sacerdoti nullius Ecclesiæ di Andria, proponeva alla S. Sede che il numero dei Canonici fosse portato a 3o, e quello dei Mansionari a 14. Ma S. E. Mons. Staiti, animato dal desiderio di ve-der occupati tanti Sacerdoti del clero nullius Ecclesiæ, proponeva, invece, che il numero dei Canonici fosse portato a 53 (quanti erano ante bonorum direptionem), e quello dei Mansionarii ad un numero equo, da stabilirsi in seguito.
Il Capitolo, ritenendo che l’assegno di sole 12 porzioni corali, e la massa delle messe (già ridotta del 30% dal Demanio) non sarebbero bastati all’onesto sostentamento di 53 Canonici e di un contingente di Mansionarii, domandava alla S. Sede, che il numero dei Canonici fosse determinato a 3o (oltre ai Mansionarii) e non già a 53, secondo desiderava l’ottimo Vescovo.
La S. Congregazione del Concilio, tenuto conto delle ragioni del Capitolo, delle deduzioni del Clero nullius Ecclesiæ (il quale sosteneva di aver diritto alla partecipazione della massa delle messe, essendo la Cattedrale di Andria Chiesa Ricettizia - Civica Innumerata) e del parere del Vescovo, ordinava che la vertenza fossesi trattata, in plenaria Congregazione, dai Padri del Concilio.
I dubbi, sottomessi alla deliberazione della S. Congregazione, furono i seguenti:
  • 1). An Clericis in civitate Andriæ ortis competat jus receptionis in servitium Cathedralis Ecclesiæ in casu?
  • 2). An et quomodo, juxta modum ab eiusdem Ecclesiæ statutis et consuetudinibus determinatum jus competat partecipationis de massa parva seu Missarum nuncupate, et optionis ad vacantes Canonicatus in casu?
Riunitasi la S. Congregazione nella plenaria dell’Agosto 1901, decretava un Dilata, dando incarico al Vescovo, con lettera del 23 Agosto detto anno, di riferire sul quantitativo delle rendite capitolari, prima di venire alla decisione del numero dei beneficiati, tanto Canonici che Mansionarii.
S. E. Mons. Staiti, con lettera del 26 Dicembre di detto anno, riferiva alla S. Congregazione il quantitativo della rendita totale, dal Demanio assegnato al Capitolo Cattedrale, (sia per riguardo alle 12 porzioni della massa corale, sia per riguardo alla massa delle messe) facendo voti, nel contempo, che il numero dei canonicati, da 53 (secondo aveva prima desiderato) fosse portato a 30, giusta la proposta del Capitolo; ed il numero dei Mansionarii a 20, dei quali dieci effettivi e dieci aggiunti o di 2. ordine; proponendo poi, che la rendita totale fosse così ripartita - Ai 12 Canonici, riconosciuti dal Governo, annue lire 1400, per cadauno; ai 18 Canonici non riconosciuti L. 450, ai 10 Mansionarii effettivi L. 425; ai Mansionarii aggiunti L. 425, con obbligo a tutti (Canonici e Mansionarii) di portare il giro delle Messe Conventuali, d’intervenire al Coro ecc.
Questo progetto del Vescovo fu ben accolto dal Capitolo. Non così dai Sacerdoti del Clero nullius Ecclesiæ, i quali pretendevano che il numero dei Canonicati fosse portato a 53, e che tutti i Sacerdoti nullius Ecclesiæ avessero da partecipare alla massa delle Messe, lasciata intiera dal Demanio nelle mani del Capitolo (com’essi dicevano); oltre poi al diritto di poter ottare ai 53 canonicati, ad onta che il Fisco li avesse ridotti a 12!
Dopo parecchie riprese, la S. Congreg. del Concilio, a dì 13 Giugno 1903, emise la sua Mente [4]. Questa mente fu poi, nella plenaria del 5 Settembre di detto anno, novellamente richiamata all’esame della S. Congregazione, ed approvata definitivamente nella plenaria del dì 23 Gennaio 1904.
Essa contiene 21 articoli principali e 5 addizionali, riflettenti l’Organico Capitolare, sia in rapporto alla disciplina, sia in rapporto alla ripartizione della rendita [5].
In sostanza, il numero dei Capitolari veniva determinato in trenta Canonici (divisi in tre ordini) ed in quarantadue Mansionarii.
Al 1. ordine appartengono i 12 Canonici riconosciuti dal Governo;
al 2. ordine dieci Canonici dei più anziani;
al 3. ordine gli ultimi otto Canonici, detti Onorarii.
In tutto settantadue, ripartendosi la Massa delle messe, e le dodici porzioni della Messa corale, assegnate dal Governo all’Ente Capitolo.
A questa mente fecero opposizione i Sacerdoti del Clero nullius. Ma la S. Congregazione, a dì 3o aprile 1904, emanava la seguente sentenza:
«Die 3o Aprilis 1904. S. Congregatio Em.orum S. R. E. Cardinalium, Concilii Tridentini Interpretum, rescribi mandavit: In decisis et ad mentem et amplius. Et mens est ut adiungatur ad priores articulos novorum Statutorum ut Ep.us, prævio concursu, juxta Breve Impensa, eligat et constituat novos mansionarios, et exinde ex omnibus tum novis tum veteribus eligat aut S. Sedi proponat quos dignotiores in Domino judicaverit promotione ad canonicatus. Quo vero ad articulum 10 eorumdem Statutorum, ubi dictum est multas et tribute solvendos esse “Aparte intiera dai Canonici ecc.” hæc intelligendum esse proportionate ad reditum unicujusque ordinis canonicalis, ita nempe ut Canonici 1.i ordinis contribuent in ratione libellarum 1400, Canonici 2. i ordinis in ratione 425 libellarum, Canonici 3.i ordinis in ratione 207 libellarum.
5668/42
† Vincentius Card. Ep. Prænestinus
Præfectus
Gajetanus De Lai Secretarius»
Così ebbero termine le liti, promosse dai Chierici del Clero di Andria; e, da quell’epoca, andò in vigore il nuovo Statuto Capitolare.
Attuato il nuovo Organico, stante il gran numero di Beneficiati, il Capitolo allora domandò alla S. Sede il beneficio dell’alternativa eddomadaria, che ottenne con Rescritto del dì 21 luglio 1905.
NOTE   
[4] Ad mentem è la formola usata dalle Congregazioni Romane, per manifestare le loro decisioni, che vengono poi manifestate alle parti contendenti.
[5] Esso conservasi nell’Archivio Capitolare.

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Contemporaneamente alle liti, sostenute dai Chierici del Clero nullius Ecclesiæ e dal Capitolo Cattedrale, altre liti, assai più acerbe, si suscitarono dal medesimo Capitolo contro i Parroci, e l’Arciprete Parroco della Cattedrale, i quali, messi nel possesso dei beni capitolari, assegnatili dal Fisco, vennero meno a tutti gli obblighi e convenzioni, precedentemente stabiliti.
E qui, per maggior conoscenza della vertenza, fa d’uopo narrare, brevemente, tutta la storia della erezione delle Parrocchie, e le varie fasi, ch’esse subirono dal 1857 (epoca della erezione) fino a questi ultimi tempi. E, prima, per riguardo ai Parroci.
I Parroci, messi nel possesso delle loro rispettive parrocchie, nel 1857, altro non percepivano che la complessiva somma di ducati novecento sulla sola massa corale del Capitolo Cattedrale, per cui furono soppressi 7 canonicati, e ducati seicento sul legato Ponza della Collegiata di S. Nicola; oltre a ducati centocinquanta per contribuzione municipale, giusta decreto del 23 aprile 1857, secondo è fatto innanzi parola.
Senonché, nel 1861, per la prima volta, i Parroci vennero fuori colla pretesa di volere dal Capitolo Cattedrale, non più i 900 ducati, ma l’intiera porzione corale dei sette canonicati soppressi, col diritto, pure, del jus accrescendi nelle vacanze degli altri capitolari.
Primo passo fu quello di esporre alcuni dubbi alla S. Sede (sottoscritti pure da parecchi capitolari), chiedendo, se essi avessero o no il diritto al jus accrescendi nelle vacanze capitolari. Con lettera del 4 aprile di detto anno, la Sacra Congregazione del Concilio rispondeva affermativamente alla richiesta dei Parroci. Il Capitolo allora ne scrisse al Vescovo Longobardi (assente da Andria per i torbidi politici), per conoscere se la risposta della S. Congregazione dovesse ritenersi decisiva od opinativa, non essendo stato interrogato il Capitolo sull’oggetto. Ma il Vescovo Longobardi non rispose mai alle replicate lettere del Capitolo, inviate a Castellammare di Stabia, sua patria. (Si diceva che risiedesse all’estero!). I Parroci, allora, non fecero altra insistenza, e, continuarono a percepire la loro congrua, come per lo innanzi, nella somma di ducati 900.
Senonché, morto il Vescovo Longobardi (2 novembre 1870), i Parroci credettero giunto il tempo, per ritornare alle vecchie pretese; e, nell’aprile del 1871, presentavano ricorso alla. S. Congr. del Concilio, domandando l’applicazione della risposta del 4 aprile 1861, circa il diritto del jus accrescendi, e la concessione delle intiere partecipazioni dei 7 canonicati soppressi per formare le congrue parrocchiali.
Ad evitare litigi, dopo le varie proposte, da parte dei Parroci e del Capitolo, si convenne di ritornare alla Cattedrale la cura abituale delle anime, restando l’esercizio di essa diviso nelle sei già determinate parrocchie, con sei Vicarii perpetui, dei quali 4 da scegliersi fra i Canonici della Cattedrale e due fra i Canonici delle Collegiate (S. Nicola e l’Annunziata). Quanto alla congra poi, fu convenuto, che il Capitolo della Cattedrale pagherebbe i 9oo ducati (già stabiliti), ed il Capitolo di S. Nicola i 600 ducati del legato Ponza, percependo, per dippiù, gl’indicati Vicarii, le porzioni dei rispettivi canonicati.
Ma, sventuratamente, questo progetto, per controversie insorte, non fu messo poi in esecuzione. Si venne allora ad una causa, presentatasi alla S. Congr. del Concilio nel 1873, col seguente dubbio: An et in qua summa Parochi partecipare debeant de massa chorali in casu.
Mentre stava per trattarsi la causa, il Capitolo fu invitato dal Fisco a staccare le quote dei 7 canonicati, dovuti alle parrocchie, (da conservarsi in beni immobili in natura), dovendo le altre andar soggette alla soppressione e conversione, in virtù della legge 11 agosto 1870.
Per non intralciare l’opera del Capitolo, nella difesa del suo patrimonio, fu allora sospesa ogni lite ecclesiastica coi Parroci. Ma, nell’anno consecutivo 1874, il Vescovo Galdi (succeduto al Longobardi) considerando che, dovendosi venire allo stralcio delle quote curate (per essere assegnate ai Parroci in beni fondi), sarebbe stato meglio sottrarre dalla conversione la spettanza di 7 canonicati, anziché l’equivalente di 90o ducati (potendo il Capitolo, sotto il pretesto delle Parrocchie, salvare un largo patrimonio, per suo interesse), con lettera del dì 8 maggio 1894, proponeva che i Parroci fossero eziandio Canonici della Cattedrale, percependo, oltre alla congrua parrocchiale, la porzione canonicale, che loro verrebbe assegnata dal Demanio (come gli altri conservati) non che la quota del legato Ponza di S. Nicola, e la contribuzione municipale. Tal lodevole proposta del Vescovo Galdi non fu accolta dai Parroci, i quali chiesero al S. Concilio, che la causa si fosse trattata quam citius, giacché il Demanio li esortava allo stralcio delle rispettive congrue. Il Capitolo pure non era alieno dal trattare la causa, giacché la lite col demanio era cessata, e con esito disastroso pel Capitolo.
Riprodotta quindi la causa presso la S. Congregazione del Concilio, mentre stava per trattarsi, le parti contendenti, pro bono pacis, vennero ad un accordo, stipulando un atto di concordia, per Notar Guglielmi, a dì 8 novembre 1874, mercè il quale stabilivasi: che la dote delle Parrocchie non dovesse essere quella dei 90o ducati (per rapporto ai 7 canonicati del Capitolo Cattedrale), ma il reddito di sette porzioni della massa capitolare, il di cui quantitativo doveva determinarsi dalla competente autorità ecclesiastica. Con altro foglio privato, della medesima data, si conveniva poi che la determinazione del Demanio, a congrua delle sei Parrocchie, giammai sarebbe stata tenuta per criterio e norma nel determinare quanto dovessero prendere i Parroci dalle sette porzioni della massa canonicale, ma invece il quantitativo doveva determinarsi dalla competente autorità ecclesiastica [6].
Così ebbero termine le lotte coi vecchi Parroci [7], riprese più acremente, e poscia definite coi nuovi Parroci.
Difatti, avendo i quattro Parroci Casieri, Tibis, Matera e De Simone rinunziato alle loro rispettive parrocchie [8], vennero a succedergli i nuovi Parroci D. Michele Caprara nella Chiesa di S. Agostino, D. Nicola Zinni in quella dell’Annunziata, D. Francesco Decorato di S. Francesco, D. Nicola Fatone di S. Domenico.
Messi appena nel possesso i novelli Parroci, cominciarono a suscitare le sopite liti, domandando alla S. Congr. del Concilio la riproduzione del dubbio, rimasto ancora insoluto: An et in qua summa Parochi partecipare debeant de massa corali in casu. Ma la S. Congregazione, informata della concordia (già stabilita fra i vecchi parroci ed il Capitolo) troncò d’un colpo la riproposta quistione, emanando un suo Rescritto, in data 26 aprile 1879, con la semplicissima formula: Provisum per concordiam.
Riuscito infruttuoso il tentativo dei novelli Parroci, si dettero, allora, con zelo, veramente ammirabile, a riscattare dalle mani del Fisco i beni immobili dei 7 canonicati della Cattedrale, conservati, per legge, a favore delle parrocchie. La loro opera attiva ed efficace, coadiuvata dallo zelo ed intelligenza degl’illustri avvocati fratelli Del Giudice di Andria, ebbe il desiderato effetto, ottenendo i Parroci, con sentenza del Tribunale Civile e Correzionale di Trani, del 18 gennaio 1883, lo stralcio dei 7 canonicati in beni immobili sul fondo di Lama Paola, appar-tenente al Capitolo Cattedrale.
Intanto i Parroci, messisi nel possesso di quei beni, non pensarono più a mantenere i patti della concordia, stabilita a dì 8 novembre 1874 e confermati dalla S. Congregazione, col Rescritto del 26 aprile 1879.
Il Capitolo, per parecchi anni tacque, tanto più che era in trattative coll’Arciprete - Parroco, sulla medesima quistione, e, a dirla francamente, non ci pensava più, essendo rimasto avvilito dalle sconfitte subite nelle vertenze col Demanio, ed onerato di debiti, per le tante cause civili sostenute.
Senonché, a nostra iniziativa, incoraggiata dalla buona volontà di parecchi vecchi Canonici, e, più di tutti, dell’Arcidiacono Troja, si venne, finalmente (dopo circa venti anni!) a risuscitare la vetusta quistione dell’applicazione della concordia, stabilita nel 1874.
Andremmo troppo per le lunghe, se tutti volessimo qui narrare gli episodii delle innumerevoli cause ecclesiastiche, sostenute dal Capitolo, per riuscire nell’applicazione della succennata concordia. Chi volesse averne piena cognizione, potrà leggere il libro, da noi pubblicato nel 1901 pei tipi Delisanti di Barletta, dal titolo: Il Capitolo Cattedrale di Andria e le sei parrocchie della medesima città.
Intanto, basterà qui riportare le varie sentenze dei Tribunali Ecclesiastici sull’oggetto.
Prima quella del Vescovo, Mons. Staiti (9 Marzo 1901), che dichiarava la sua incompetenza, perché faciente parte del Capitolo (percependo, difatti, dalla medesima massa, la sua quota canonicale).
Seconda quella della S. Congregazione del Concilio (21 Giugno 1902), la quale decretava «ad mentem». E questa mente fu dal Vescovo manifestata al Capitolo con foglio del 8 Settembre di detto anno, con la formola «placere de concordia» [9].
Terza l’altra della S. Congregazione del Concilio (13 Giugno 1903) la quale al 1. dubbio proposto (An proprietas et administratio prædiorum a Fisco vendicatorum pertineat ad Parochos vel ad Capitulum) rispondeva, ad 1. affirmative quoad Parochos. Quindi dichiarava inutile la risposta agli altri quesiti [10].
Quarta della medesima S. Congr. del Concilio (19 Dicembre 1903), la quale, ritirando la sentenza precedente del 13 Giugno, emanava la seguente: Parochos conservandos esse in possessione et administratione, et ad mentem, quæ est ut actuales parochi solvant quotannis viritim pensionem Lib. 200 favore massæ capitularis, reservata potestate aliter providendi pro æqua pensione in futurum, in nova provisione paraeciarum. Ed amplius.
Con questa quarta sentenza, suggellata dall’et amplius, ebbero termine le liti coi Parroci, i quali, ad onta delle loro tergiversazioni [11], pagano ora al Capitolo la imposta pensione di lire dugento, da riportare a cinquecento, colla prossima vacanza di ciascuna parrocchia [12].
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Per riguardo poi all’Arciprete - Parroco, non meno aspre furono le lotte, sostenute dal Capitolo, per rivendicare il suo diritto sui beni capitolari, dal Fisco destinati a dote dell’Arcipretura - Curata della Cattedrale. Già, fin dal 1873, il Vescovo Galdi, prima di dare all’Arciprete - Parroco Memeo la investitura del doppio beneficio [13], in data 4 Agosto 1873, inviava al medesimo il seguente officio, che, testualmente riportiamo.
«Vescovado di Andria. — Andria li 4 agosto 1873.
Præsentibus Nostris Litteris omni qua valemus Auctoritate decernimus ut Dominus Iacobus Memeo jam Canonicus Penitentiarius, et nunc electus, confirmatus, ac designatus Archipresbyter Parochialis ac Capitularis hujusque Nostræ Andriensis Cathedralis præfati Parochialis Archipresbyteratus possessionem non sumat antequam obligationem emittat atque subscribat, in qua ipse promittat, omne, quod ex Massa seu Mensa Capitulari prælaudatæ Ecclesiæ a civili gubernio ob anticanonicam bonorum conversionem aut ob aliam causam a Summa Ecclesiæ Potestate non admissam prædicto Archipresbyteratui eique qui eum possidebit non facere suum nec retinere pro se, sed relinguere in favore et bono ejusdem Mensæ Capitularis, ad quam per leges canonicas ac Pontificia Decreta Sancitum sit et erit standum.
Rev.mus autem Ecclesiæ Cathedralis prædictae heic infrascriptus Cantor D. Dominicus Frascolla, cui de prædicta possessione mandatum dedimus, eum electum et confirmatum Archipresbyterum in beneficio Archipresbyterali Parochiali non ponat antequam ipse Memeo se obliget uti supra et declaret, quod bona immobilia, quæ forte a prædicto gubernio civili abstrahantur a Massa Capitulari non administrentur nisi a Procuratore Rev.mi Capituli juxta Statuta, fundationem, consuetudines, legesque canonicas.» [14]
Ǡ Fridericus M. Episcopus Andriensis
Dominicus Canonicus Cantor Frascolla Cleri Præfectus, Corique Moderator
Ioseph M. Primicerius Marziani – testis
Can.cus Michael Borsella – testis
Can.cus Ioachim Montaruli - testis»
A questa lettera decreto del Vescovo Galdi, seguì, immediatamente, l’atto d’obbliganza del Memeo, che qui pure trascriviamo letteralmente:
«Io qui sottoscritto, destinato per apposita Bolla Episcopale alla Parrocchiale Arcipretura di questa Cattedrale di Andria, mi obbligo formalmente con la Curia Vescovile di Andria e col Capitolo di essa Cattedrale a non ricevere ne ritenere, come cosa mia o cosa del Beneficio suddetto, tutto quello, che, oltre lo inerente appartenente e dovuto alla entità Ecclesiastica di detta Arcipretura Curata secondo fondazione e Decreti Pontificii, venisse dai beni del lodato Capitolo a tribuirsi e conferirsi per leggi o disposizioni del governo incameratore ad essa Arcipretura Parrocchiale; consentendo, sin da ora, che quel dippiù, che per fatto di esso governo dalla massa capitolare in contradizione delle decretazioni canoniche fatte e da farsi accedesse alla Curata Arcipretura, di cui vado a prender possesso, rimanga in favore ed attribuzione della massa medesima, da dividersi secondo statuti e leggi canoniche.
Andria, li 4 agosto 1873»
«Giacomo Canonico Penitenziere Memeo»
A pié di questo foglio, unitamente alla lettera-Decreto del Vescovo Galdi, leggesi quanto segue:
Si è letto ed accettato dai sottoscritti
† Federico M.a Vescovo di Andria
Domenico Canonico Cantore Frascolla
A tergo del medesimo foglio leggesi ancora quanto siegue:
«Dippiù mi obbligo di commettere, con mio mandato particolare, l’amministrazione dei beni Capitolari, lasciati per congrua alla Parrocchia della Cattedrale per disposizione del Governo, al Procuratore pro tempore del Capitolo; e ciò nel caso, che il Governo incameri e soggetti a conversione le proprietà capitolari, facendo salva una parte per patrimonio della Parrocchia. Con ciò voglio dichiarare, che l’amministrazione resti presso del Capitolo secondo fondazione, leggi canoniche e consuetudini.»
Andria li 5 agosto 1873
Giacomo Can.co Penitenziere Memeo
Si è letto ed accettato.
† Federico M.a Vescovo di Andria
Domenico Canonico Cantore Frascolla
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Intanto, nel 1876, l’Arciprete - Parroco Memeo otteneva già dal Fisco lo stralcio della sua congrua in beni immobili sul fondo capitolare di Lama - Paola. Il Vescovo Galdi, che già aveva emanato il suo decreto sin dal 4 Agosto 1873 (pria cioé che il Memeo si fosse messo nel possesso dell’Arcipretura), nel vedere il Memeo in possesso di quei fondi capitolari, per tranquillità di sua coscienza, interrogava la S. Congregazione del Concilio circa il modo da tenere nell’amministrazione di quei beni capitolari, dal Fisco destinati all’Arciprete Memeo. La S. Congregazione del Concilio, applicando il Decreto ad Dirimendas, già emanato pochi giorni prima (il 22 Febbraio 1876) da Papa Pio IX, con lettera del 13 Marzo 1877 rescriveva:
«Bona ex Massa communi Capituli Cathedralis Andrien a gubernii Fisco segregata, et in congruam parochialem Archipresbytero Ecclesiæ Cathedralis Andrien esclusive destinata, debent eodem modo in Massam Communem immitti quo ante segregationem existebant, ita ut eorumdem bonorum administratio, spectata obligatione conscientiæ, penes Capitulum ut antea manere debet …» [15].
Il Capitolo, nulla conoscendo di tal Rescritto, pure, con deliberazione del 7 Marzo 1876, nominava varie Deputazioni, che curassero l’amministrazione di quei beni capitolari, destinati dal Fisco all’Arciprete - Parroco della Cattedrale, dando ad esse pure il mandato di eseguire (a spese del Capitolo) la titolazione di quei fondi, e l’incarico di trattare col Vescovo circa la porzione da assegnare all’Arciprete, e come Parroco e come Canonico.
Intanto, essendo nati varii e spiacevoli incidenti fra l’Arciprete Memeo e la Deputazione Capitolare, questa rinunziò al mandato affidatole, e l’affare si pose a tacere, tanto più che il Capitolo si trovava a lottare, in quel medesimo tempo, ancora col Demanio, circa l’assegno della sua rendita.
Intanto, nel 1878, il Capitolo, compita la liquidazione della rendita del suo patrimonio, come è innanzi detto, pensò di scegliere una nuova, Commissione, la quale, d’accordo col Vescovo, avesse fissato la doppia rendita, dovuta all’Arciprete - Parroco della Cattedrale. Mentre correvano queste trattative, il Capitolo, convinto (!!), che quello fosse uno stato precario di cose; e persuaso (!!!) che, dopo tanti disagi e spese, nel portare l’amministrazione, alla fin fine non ne avrebbe ricavato alcun utile, venne nella inconsulta deliberazione di lasciare, per allora, i beni, dal Fisco stralciati, nelle mani dell’Arciprete Parroco, con piena libertà di poterli amministrare e far suoi tutti i frutti, con dichiarazione, però, che
«qualora quei beni, per l’avvenire, fruttassero di più per l’accrescimento di rendita nella rinnovazione dei fitti, per le migliorie che potrebbero subire, od altro, in tal caso, il Capitolo, che ne è sempre il vero proprietario ed il legittimo padrone, sempre che gli piaccia, potrà richiamare a se l’amministrazione dei fondi … non potendosi dall’investito reclamare una porzione maggiore di quella assegnatagli, se non, nel solo caso, che, con l’accrescimento di rendita, la quota di ciascun capitolare sorpassasse quella assegnata all’Arcipretura - Curata» [16].
Dietro tale deliberazione, l’Arciprete-Parroco Memeo continuò, indisturbato, ad amministrare e far suoi tutti i frutti dei beni capitolari, ricevuti dal Fisco, senza che dasse conto alcuno al Capitolo. Quando, però, il Capitolo si accorse, che quel fondo rendeva all’Arciprete molto di più di quello dovutogli, non esitò a chiedere, che l’amministrazione passasse al Capitolo, giusta la stabilita convenzione. Di qui varii contrasti fra l’Arciprete Memeo ed i Canonici di allora.
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Intanto, mentre tali contrasti si agitavano (per riguardo all’assegno della rendita), una nuova lite s’ingaggiò, nel 1879, per riguardo al diritto di partecipazione alle distribuzioni quotidiane ed avventizie, pretendendo l’Arciprete di voler godere dell’una e dell’altra distribuzione, ed anche sulle fallenze dei Canonici assenti dal Coro, quando trovavasi nell’esercizio della cura delle anime.
La vertenza fu presentata al giudizio della S. Congregazione del Concilio, con i seguenti dubbi:
  • 1) An Archipresbitero ob curæ animarum exercitium absenti a Coro debeatur partecipatio in distributionibus quotidianis, nec non in emolumentis extraordinariis et adventitiis in casu?
  • 2) An eidem Archipresbitero absenti ut supra debeantur fallentiæ Canonicorum absentium in casu? … et quatenus affirmative ad utrumque.
  • 3) An et in qua quantitate fructuum suæ præbendæ Archipreesbyter concurrere debeat pro distributionibus quotidianis in casu?
La S. Congreg. del Concilio, con sentenza del 23 Agosto 1879, rispondeva:
Ad 1. Affirmative, dummodo non obstet voluntas testatoris vet dantis; Ad 2. Affirmative pro tertia parte præbendæ canonicalis tantum.
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Il Capitolo, uscito soccumbente, in questa vertenza delle distribuzioni, tosto riprese quella per riguardo all’amministrazione dei beni, in conformità del Decreto ad Dirimendas, e di quanto erasi stabilito dal Vescovo Galdi, col foglio del 5 Agosto 1873, e con la dichiarazione dell’Arciprete Memeo, come è detto sopra.
Portata la vertenza al Tribunale della S. Congreg. del Concilio, questa, a mezzo del Cardinal Prefetto, con lettera del 26 Novembre 188o, invitava le parti ad concordiam.
Questa concordia, a causa della difficoltà del conteggio, e delle liti, che l’Arciprete Memeo sosteneva contro il Demanio, (per l’aumento di congrua), fu protratta per qualche anno.
Senonché, a dì 22 Gennaio 1884, l’Arciprete Memeo passava a miglior vita, e la Concordia andò in fumo!
Al Memeo successe, nel Settembre del 1884, il Canonico Primicerio D. Michele Leone, il quale benché, nel suo facile entusiasmo, avesse, più volte, promesso al Capitolo di cedergli l’amministrazione dei beni, dal Fisco assegnati all’Arciprete - Curato, poi finì di mantenerla a sè, ad onta delle replicate ingiunzioni del Vescovo Galdi, e dei varii Rescritti della S. Sede [17].
Morto l’Arciprete Leone (nell’aprile del 1901) venne a succedergli il Canonico Cantore D. Antonio Quacquarelli, nel settembre del medesimo anno 1901.
Il Quacquarelli, che fu il più zelante sostenitore dei diritti capitolari, circa l’Amministrazione dei beni dell’Arcipretura curata, faceva sperare che, finalmente, avrebbe finito col cedere al Capitolo quei beni che, fino allora, non avevano voluto cedere i due suoi predecessori, Memeo e Leone. E, difatti, appena messo nel possesso dell’Arcipretura Curata, consegnò l’amministrazione dei relativi beni nelle mani del Capitolo, il quale delegò i Canonici Matera ed Agresti ad amministrarli riserbandosi poi di definire il quantitativo della rendita da assegnarsi al Quacquarelli.
Intanto, invitato il Quacquarelli d’intervenire, coi Deputati Capitolari, ad un definitivo conteggio sulla quota di rendita da stabilire, egli, temporeggiando, or con un pretesto ed or con un altro, finì col dichiarare di voler sentire il responso della S. Congregazione del Concilio! [18] tanto più che trattavasi allora la medesima vertenza coi Parroci minori. La vertenza fu, quindi, portata al giudizio della S. Congregazione, coi seguenti dubbi:
  • 1) An proprietas et administratio prædiorum a fisco receptorum et reditum Præbendæ Archipresbyteralis a fisco vindicatorum pertineat ad Archipresbyterum Parochum Civitatis Andrensis vel ad Capitulum, ad norman rescripti H. S. C. diei 13 martii 1876 in casu. Et quatenus negative ad primam, affirmalive ad secundam,
  • 2) An omnes fructus prædictorum prædiorum et redituum vel quota eoram tribuenda sit Archipresbytero Parocho a Capilulo in casu: Et quatenus negative ad primam partem et affirmative ad secundam,
  • 3) An ab Archipresbytero Parocho de reditibus ultra debitam summam ab ipso hactenus perceptis ratio reddenda sit in casu.
La causa fu discussa nella plenaria del 13 giugno 1903, con esito disastroso pel Capitolo.
Ecco la sentenza:
Die 13 Iunii 1903 S. Congregatio Emo.rum S. R. E. Cardinalium Concilii Tridentini Interpretum ad supradicta dubia respondit: ad 1.um affimative ad Archipresbyterum: ad 2.um et 3.um Provisum in primo [19].
Questa sentenza distruggeva d’un colpo tutti i precedenti decreti della medesima S. Congregazione per cui parve al Capitolo di potersi appellare nuovamente al S. Concilio, anche per consiglio di qualche Eminentissimo Padre della medesima S. Congregazione.
La causa fu dunque riproposta col seguente dubbio:
An sit standum vel recedendum a decisis in casu.
La S. Congregazione, vagliando meglio le ragioni del Capitolo, emanava la seguente sentenza:
Die 19 decembris 1903
— S. Congregatio Em.orum S. R. E. Cardinalium Concilii Interpretum respondit. Archipresbyter solvat quotannis, sicut coeteri Parochi, annuam pensionem libellarum biscentum favore massæ capitularis super sua parochiali, reservata potestate aliter providendi pro æqua pensione in futurum in nova Archipresbyteratus provisione. Et amplius hanc causam non proponi mandavit.
Questa sentenza, benché riconosceva nel Capitolo il diritto sulla proprietà dei fondi capitolari, assegnati dal Fisco all’Arciprete per la congrua parrocchiale, (per cui imponeva all’Arciprete una pensione in favore della massa capitolare), purtuttavia nulla concedeva al Capitolo, per la quota canonicale, riveniente all’Arciprete dai medesimi fondi capitolari [20]. Né era dato poter ritornare sulla vertenza, stando la clausola: et amplius hanc causam non proponi. Sorse allora nella nostra mente [21] l’idea di fare un ragionato esposto al Papa, Pio X, onde ottenere il beneficio straordinario di una nuova udienza. Ed il Santo Padre, nella sua inesauribile bontà, dopo aver ben ponderata la quistione, ordinò una nuova udienza, rimettendo la decisione al giudizio della medesima S. Congregazione, la quale rescrisse allora il Proponatur per memoriale, citata parte. Fecero opposizione i difensori dell’Arciprete, sostenendo la regiudicata, tanto più che era trascorso il termine, voluto dai regolamenti, per l’appello … Ma, non pensarono essi che la vertenza si riproduceva per ordine del Papa!
Trattata quindi la causa, nella plenaria del 3o aprile 1904, gli Eminentissimi Padri, convinti dell’errore precedente, emanarono la seguente sentenza:
«Die 3o Aprilis 1904 — E. Cong. Gen.
— E.mi Patres rescribendum mandarunt. In decisis et ad mentem et amplius. Et mens est ut pensio ab actuali Arcipresbytero favore Capituli solvenda elevetur a ducentis libellis ad quadringentos, firmis in reliquo dispositionibus præcedentis resolutionis.»
† Vincentius Card. Ep. Prænest. Praefectus
Cajet. De Lai Secretarius
Così ebbe termine la vertenza coll’Arciprete-Parroco Don Antonio Quacquarelli.
Però, definita la vertenza, dopo parecchi mesi, venne fuori dall’archivio vescovile [22] un prezioso documento, che, se fosse stato riprodotto in tempo, la causa avrebbe avuto esito più favorevole pel Capitolo. Questo documento, da noi innanzi riportato, è il Decreto del Vescovo Galdi, e la Dichiarazione dell’Arciprete Memeo del dì 4 agosto 1873, a noi ignoto, quando si agitavano le cause contro l’Arciprete Quacquarelli.
Intanto, avvenuta la morte dell’Arciprete Quacquarelli (3o ottobre 1908) il Capitolo, dovendo chiedere l’aumento di pensione pel successivo Arciprete (giusta la sentenza del 3o aprile 1904), invece di prendere le trattative per determinare il quantitativo della nuova pensione, pensò di riprendere la causa in merito, in virtù dei nuovi documenti venuti alla luce, dai quali risultava, che il Capitolo già aveva applicato il Decreto ad dirimendas sin dal 1873, mettendosi sin d’allora in possesso dei fondi assegnati dal Fisco all’Arciprete-Parroco. Che, se, nel 1876, il Capitolo (trovandosi a lottare col Demanio) interinamente, aveva lasciato l’amministrazione di quei fondi nelle mani dell’Arciprete, ciò non significava che veniva a perdere il dritto acquisito su d’essi.
Fu dunque ripresentata la quistione al giudizio del S. Concilio, producendo copia [23] dei due nuovi documenti sopra detti.
Intanto, a difensore della Parrocchia vacante, veniva chiamato dal Vescovo il Parroco D. Nicola Fatone, il quale, profittando della mancanza degli originali di quei due summenzionati documenti, andati smarriti, attacco d’apocrifia le copie da noi presentate! La S. Congregazione allora chiamò noi a prestare formale giuramento Coram Episcopo; e noi rilasciammo la seguente giurata dichiarazione:
«Il qui sottoscritto, chiamato da V. E. Ill.ma, per ordine della S. Congregazione, a dare informazione circa i due documenti smarriti, riguardanti l’Arciprete-Parroco Memeo, dichiara, che quei due documenti erano ignoti all’epoca delle cause agitate presso la Sacra Congregazione del Concilio contro l’Arciprete Quacquarelli, e che vennero, posteriormente, consegnati al sottoscritto dal Vice-Gerente Mons. Magno.
«Dichiara inoltre, che i due documenti, testè presentati alla Sacra Congregazione, sono copie fedelissime degli originali smarriti. In conferma di quanto asserisce, il sottoscritto chiama Dio a testimone, e presta formale giuramento nelle mani di V. E. perché tale dichiarazione serva allo scopo desiderato.»
«Andria 20 maggio 1909.»
«Michele Can. Agresti fu Sebastiano»
Trasmessa questa nostra «giurata dichiarazione» alla S. Congregazione, il difensore della Parrocchia vacante (il quale prima aveva dichiarati apogrifi i due summenzionati documenti), «per sua gentilezza», ci affibbiò poi il titolo di «spergiura», asserendo, che quei due documenti erano già noti, quando si trattò la causa contro l’Arciprete Quacquarelli, «essendo stati riprodotti nella memoria dal medesimo Canonico Agresti!» [24]. Invitato, il Parroco Fatone a dimostrarci l’esistenza dei due documenti, nella nostra memoria, il buon Parroco non si fece più vivo!
Intanto la S. Congregazione del Concilio, vedendo che la quistione non poteva risolversi de plano, veniva nella determinazione che fossesi trattata, ordine servato, o innanzi al Tribunale della Santa Rota, od a quello della Segnatura Apostolica, giusta le ultime recenti disposizioni di Papa Pio X.
Frattanto, non potendo più a lungo restare vacante l’Arcipretura Curata, la S. Congregazione invitava il Vescovo d’indire il concorso, per la nuova investitura, riserbando al nuovo titolare di continuare la difesa nella vertenza col Capitolo.
Da quel concorso riusciva eletto il Canonico Teologo Don Nicola Cristiani, che prese il possesso dell’Arcipretura-Curata a dì 2 dicembre 1909.
Il Capitolo tentò allora un accordo col nuovo investito, per venire ad un’amichevole composizione circa la nuova vertenza iniziata; ma il Cristiani, forte della sentenza del 3o aprile 1904, rifiutò qualsiasi accordo, limitandosi a voler solamente discutere sul quantitativo della nuova pensione da stabilirsi, giusta il dispositivo della sopradetta sentenza.
Intanto, trascorsi appena tre mesi dalla sua investitura, il povero Arciprete Cristiani, colto da paralisi, il dì 29 marzo dell’anno successivo 1910 passava agli eterni riposi!
Vacata nuovamente l’Arcipretura-Curata del suo titolare, il Capitolo prendeva la via della Segnatura Apostolica, per definire la vertenza, iniziata presso il S. Concilio, producendo, oltre alle tante ragioni, copia dei due nuovi documenti (il Decreto del Vescovo Galdi e la Dichiarazione dell’Arciprete Memeo del 4 agosto 1873) ed altri documenti di non minore importanza [25].
Intanto, in quell’anno 1910 avvenne lo strepitoso prodigio della S. Spina (di cui parleremo nel 2. volume), ed il Capitolo trascurò la vertenza dell’Arcipretura, intento a festeggiare il grande avvenimento, ed occuparsi di altri rilevanti affari. Senonché, nel Gennaio del 1911 veniva eletto il nuovo Arciprete - Parroco, nella persona del Prevosto di S. Nicola, D. Felice Pomo (già, prima, Canonico Cantore della Cattedrale). Il Pomo, sin dal suo possesso dell’Arcipretura, si mostrò ben disposto alla tanto desiderata concordia col Capitolo. Ed il Capitolo, stanco pure di tante controversie, si mostrò deferente verso il nuovo Arciprete. Per cui, sospendendo ogni giudizio, dopo parecchie trattative, si venne nella determinazione, che l’Arciprete - Parroco della Cattedrale, pagasse annualmente al Capitolo la pensione di L. 1200, pur ritenendo l’Arciprete l’amministrazione dei beni capitolari, ottenuti dal Fisco per sua congrua parrocchiale e quota canonicale.
Così ebbero finalmente termine le annose liti, riflettenti l’Arcipretura - Curata della Cattedrale.
NOTE   
[6] Archivio Capitolare.
[7] Essi furono: Arciprete D. Giochino Memeo della Cattedrale, D. Nicola Agresti Preposto di S. Nicola, D. Corrado Casieri Parroco di S. Agostino, D, Tommaso De Simone Curato dell’Annunziata (succeduto al defunto Parroco D. Felice Nevola), D, Riccardo Tibis Parroco di S. Francesco e D. Giacinto Matera Parroco di S. Domenico.
[8] Il Casieri, Tibis e Matera passarono a canonici della Cattedrale; il Desimone a Canonico Primicerio di S. Nicola.
[9] I dubbii presentati alla S. Congregazione furono i seguenti:
  • 1. An proprietas et administratio prædiorum a Fisco vendicatorum pertineat ad Parochos vel ad Capitulum in casu; Et quatenus affirmative ad secundum partem:
  • 2. An omnes reditus ex prædiis provenientes sint parochis tribuendi, vel potius tantummodo pars corundem redituum in summa determinata in casu: et quatenus negative ad primam partem, affirmative ad secundam:
  • 3. An a Parochis de reditibus ultra debitam summam hactenus perceptis ratio sit reddenda in casu:
  • 4. An Capitulum iuxta transactionem diei 8 Novembris 1874 teneatur restituere parochis expensas ab ipsis solutas pro parochialium congruarum liquidatione, necnon restituere libellas 57,632, quæ desint ad congruas complendas, necnon tradere septem portiones ex sexaginta massæ sic dictæ parvæ seu missarum in casu.
Questo ultimo dubbio è una vera riconvenzionale, che i Parroci facevano, nel caso di sconfitta, circa i dubbi precedenti, asserendo di pretendere dal Capitolo le spese, da essi erogate nelle cause sostenute per lo stralcio dei beni; di restituire lire 57,652, che dicevano mancare a formare le loro congrue (?!) e di avere anche sette porzioni dalla massa delle messe (!?), mentre che, nel decreto di erezione delle parrocchie, si parla solamente di sette porzioni di massa corale!
[10] Con questa sentenza il povero Capitolo veniva spogliato completamente del suo diritto sui beni dei sette canonicati, rivendicati dal Fisco, per le Parrocchie. Però, non la pensavano così tutti gli Eminentissimi Padri del Concilio, e, fra gli altri, i dottissimi Cardinali Gennari e Cavicchioni. Ciò ci persuase di ritentare l’appello, incoraggiati ancora dal valoroso Canonista P. Mariano De Luca, della Compagnia di Gesù.
[11] I parroci domandarono alla S, Sede la grazia di essere esonerati dal pagamento della pensione. Ma la S, Congregazione, con Rescritto del 7 settembre 1904 e 19 gennaio 1905, rigettava la loro dimanda.
[12] Nell’Aprile 1904 venne a vacare la parrocchia dl S, Nicola, colla morte del Prevosto-Parroro D, Michele Patruno, e, nel 1907, quella della Ss. Annunziata, colla morte del Parroco D. Nicola Zinni. Per ambedue le parrocchie fu stabilita dal S. Concilio la petizione di lire cinquecento per ciascuna.
[13] L’Arciprete-Parroco, in virtù di un giudicato, ebbe un doppio beneficio, il parrocchiale ed il canonicale, che si confondono nella medesima persona, nella doppia qualità di Arciprete e di Parroco.
[14] Questa lettera Decreto non era a nostra conoscenza, quando si trattò la causa contro l’Arcipretura Curata presso la s. Congregazione del Concilio, negli ultimi tempi (1901-1904). Se avessimo potuto produrre allora quel decreto e l’atto dichiarativo, che siegue, dell’Arciprete Memeo, forse quella causa poteva avere miglior esito. Ma di ciò ne riparleremo in seguito.
[15] Questo rescritto era pure ignoto al Capitolo. Esso Cu rinvenuto fra le carte del Vescovo Galdi, nello spoglio fatto dal suo cancelliere D. Gerardo Magno, dopo la morte del Vescovo Galdi. Se il Capitolo avesse prima avuto cognizione di tal Rescritto, non avrebbe certamente ritardato nel chiederne la immediata applicasione. Né si comprende d’altronde perché il Vescovo Galdi, uomo d’intemerata coscienza, non avesse fatto ostensivo al Capitolo quel Rescritto!
[16] Dal libro delle deliberazioni capitolari del 1878. Fu, forse, questa la ragione perché il Vescovo Galdi, uomo d’intemerata coscienza, non fece ostensivo al Capitolo il Rescritto della S. Congreg. del Concilio, del 13 Marzo 1876.
[17] I Rescritti della S. Congreg. del Concilio furono i seguenti: 1). in data 30 Marzo 1900; 2). 23 Luglio 1900; 3). Febbraio 1901.
[18] Era stato ipnotizzato dagli altri 5 Parroci, i quali, per non pregiudicare la loro causa, che contemporaneamente si agitava presso la medesima Congregazione, tirarono dalla lor parte il Quacquarelli!
[19] Così la S. Congregazione distruggeva il suo medesimo Decreto ad dirimendas del 22 febb. 1876, il Rescritto del 13 marzo 1876, quello del 30 marzo 1900 e l’altro del 23 luglio 1900 (già esecutoriato dal Vescovo Mons. Staiti, con decreto dei 19 dicembre 1900), non che l’ultimo Rescritto del febb. 1901, col quale la S. Congr. impediva all’Arciprete Leone di poter fare i nuovi fitti, ad onta che lo avesse desiderato il medesimo Capitolo, non volendosi allora ingolfare in un ginepraio creato dall’Arciprete Leone.
[20] Noi che sostenevamo la difesa del Capitolo a Roma, fummo assicurati da parecchi Eminentissimi Padri di quella Congregazione, che la maggioranza dei Cardinali aveva deciso che, per la quota canonicale, dovea applicarsi il Decreto ad dirimendas, cioè, che l’amministrazione dei relativi beni dovesse passare al Capitolo, e non all’Arciprete. Non si sa comprendere, perché questa seconda parte non fosse stata poi consacrata nella sentenza!
[21] Noi e l’Avv. Conte Vincenzo Sacconi di Roma sostenevamo la difesa del Capitolo. Il Parroco Caprara e l’Avv. Argenti di Roma quella dell’Arciprete Quacquarelli.
[22] Questo documento ci fu consegnato dal Pro-Vicario Mons. D. Gerardo Magno, ora defunto.
[23] Non potemmo produrre gli originali di quei due documenti, essendo fatalmente andati smarriti, nella consegna di tutte le carte capitolari che trovavansi presso di noi, giusta ordinanza del Vescovo Mons. Staiti. Fortunatamente avevamo ricavato copia di quei documenti per la storia del Capitolo, che andavamo sin d’allora compilando. E queste copie furono presentate da noi alla S. Congregazione del Concilio.
[24] In quella memoria producemmo, è vero, un brano della sola dichiarazione del Memeo, ricavato da una lettera del 1876, diretta dal Capitolo al Segretario della S. Congregazione di quel tempo, Mons.Verga, ma non riproducemmo l’intiera dichiarazione, che ci era ignota, e per nulla, IN QUELLA MEMORIA, si fa cenno del Decreto del Vescovo Galdi, a noi ed ai Capitolo del tutto ignoto.
[25] Cioè parecchie deliberazioni capitolari, libri di procura e bastardelli, dai quali risultava, che per parecchi anni il Capitolo già aveva amministrato i beni della congrua, assegnati all’Arciprete dal Fisco.

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Un’altra lite fu pure ingaggiata, in questo frattempo, fra il Capitolo Cattedrale ed il Municipio di Andria, circa il diritto di Patronato, che il Municipio pretende di avere sulla nomina del Priore di S. Riccardo, quinta dignità capitolare.
Per l’avvenuta morte del Priore, Mons. Porro, il Municipio, contrariamente alla immemorabile consuetudine, anziché presentare un Canonico per la investitura di quel Beneficio, presentava un semplice Mansionario, nella persona del Sacerdote D. Giuseppe De Benedictis, assai ligio al partito dell’Amministrazione di quel tempo.
Il Capitolo energicamente protestò contro quella nomina, confortato ancora dall’appoggio del Vescovo Mons. Staiti, il quale, con sapiente foglio del 3o Luglio 1904, dichiarava al Sindaco
«di non poter respingere la opposizione del Capitolo Cattedrale, per la ragione che il Municipio, posto che abbia il diritto, di presentare, poteva scegliere il Priore solo dal ceto dei Canonici, che propriamente formano il Capitolo, non già da quello dei Mansionari, che per nulla vi fanno parte.»
Intanto la vertenza fu trasmessa alla decisione della S. Congregazione del Concilio, la quale, con Rescritto del 31 Agosto 1904, ne ordinava il Ponatur in Folio. La causa si presentò con i seguenti dubbii.
  • «1.) An Andriensis Universitas habeat juspatronatus laicale quoad electionem et præsentationem Prioris S. Richardi in casu:
  • 2.) An Capitulum Cathedrale habeat juspatronatus passivum quoad prædictum beneficium, ita ut Prior eligendus sit ab Universitate tantummodo inter Canonicos ejusdem Ecclesiæ in casu:
  • 3.) An præsentatio Mansionarii sacerdotis De Benedictis sustineatur in casu» [26].
Mentre tutto era pronto per la causa, da trattarsi nella plenaria Congregazione del 20 Maggio 1905, il S. Padre Pio X, informato dei gravi dissidii, che regnavano nel Capitolo [27] e nella città. (acuiti dalle minacce di guerra ai Preti, alle Monache, agl’Istituti Religiosi, da parte di taluni Amministratori del Comune), pro bono pacis, invitava ii Capitolo a desistere dalla causa, nominando, motu proprio, il De Benedictis, a quel beneficio priorale, previa investitura del Canonicato della Cattedrale.
A conferma di quanto asseriamo, riproduciamo qui la lettera che S. Eminenza Vannutelli, Prefetto della Congregazione del Concilio, dirigeva a S. E. Mons. Staiti, in data 4 Maggio 1905.
Roma, 4 Maggio 1905
Rev.mo Signore come Fr.
«Essendo il S. Padre venuto a cognizione della nuova controversia sollevatasi costà tra codesto Capitolo Cattedrale ed il Municipio per la nomina del Priorato, quinta dignità del Capitolo, all’udienza d’oggi, concessa al sottoscritto Cardinal Prefetto, S. Santità ha ordinato che si scriva alla S. V. R.ma (ciò che si fa con la presente), affinché avverta i Signori Canonici esser mente del S. Padre che il Capitolo desista dalla causa intrapresa, la quale, anche se riuscisse favorevole alle intenzioni del Capitolo stesso e portasse la libertà nella provvista del Priorato, coinvolgerebbe tali gravi inconvenienti, che, nelle attuali circostanze, il S. Padre crede essere opportuno evitare e anche assolutamente che si evitino. Stante ciò sarà cura della S. V. R. di nominare quanto prima canonico il sacerdote De Benedictis [28]. E quindi, in via eccezionale e di grazia, salva la quistione di dritto (per la quale a suo tempo, o in petitorio juris ordine servato oppure de bono et æquo potrà trattarsi col Municipio) per questa volta ammetterà la nomina fatta dal Municipio del Sac. De Benedictis a Priore.
«Sicuro che codesti Sig.ri Canonici si uniformeranno alla mente ed alle sante e giuste intenzioni del Vicario di G. C., mi lunsigo inoltre che il Municipio di Andria sarà riconoscente al benevole intervento di Sua Santità e si mostrerà quindi condiscendente alle trattative che potranno in seguito iniziarsi, affinché si stabilisca un modo equo per la provvista del priorato per le future vacanze; modo che potrebbe essere p. e. di limitare la scelta fra i Sacerdoti già eletti Canonici [29].
Attendo un suo riscontro, che mi assicuri del felice esito della cosa.
E frattanto coi sensi di distinta stima e considerazione mi professo come
Fr. † Vincenzo Cardinal Vescovo di Palestrina Prefetto».
Già, prima di aver avuto comunicazione Ufficiale di questa volontà del S. Padre, il Capitolo avendone avuta notizia in via ufficiosa, ciecamente si sottomise alla volontà del S. Padre, rinunziando alla causa, ed accogliendo il De Benedictis a Priore della Cattedrale.
E difatti da noi fu redatto, a nome del Capitolo, un indirizzo di obbedienza e ossequio al Santo Padre, [30] presentato dall’Eminentissimo Cardinal Gennari, il quale, nella sua speciale benevolenza, ci scriveva, da Roma, la seguente lettera, che qui riproduciamo, sicuri, che l’Eminentissimo Porporato non vorrà averlo a male, tanto più che il Capitolo va orgoglioso di averlo a suo Protettore.
Ecco quella lettera:
«I. M. I.
Roma, 13 Maggio 19o5
Rev.mo Signor Canonico,
Mi son recato a bella posta dal S. Padre per presentare l’onorevole dichiarazione di codesto Rev.mo Capitolo circa il ritiro della causa sulla nomina del Sac. De Benedictis, facendo considerare l’atto virtuosissimo di sottomissione e di ossequio di codesto venerando Consesso all’autorità Pontificia.
Sua Santità è rimasta compiaciutissima di tale atto, e mi ha dato incarico di assicurarne codesto Rev.mo Capitolo, cui manda speciali benedizioni, promettendo che nulla sarà fatto in pregiudizio dei suoi diritti.
Ne ho anche parlato nella S. C. del Concilio, che pure se n’è molto rallegrata, e terrà presente quest’atto altamente lodevole. D’intesa pure della medesima S. C. posso dire a V. S. che nulla vieta di pubblicare la difesa del Capitolo, già pronta, per la stampa, colla prefazione che le ritorno [31]. Voglio sperare ch’Ella ora si ritrovi del tutto ristabilita dalla sua indisposizione, ed in tale fiducia con sensi di sincera ed affettuosa stima e con cordiali ossequi agli altri suoi Rev.mi Colleghi, mi raffermo.
Di V, S. Ill.ma e Rev.ma
Dev.mo Servo
† CASIMIRO CARD. GENNARI»
NOTE   
[26] Chi volesse avere piena cognizione di questa vertenza, legga la memoria, coi relativi documenti, da noi pubblicata dalla Tipografia Agostiniana, Roma 1905, dal titolo – Il PRETESO GIUSPATRONATO del Comune di Andria sul Beneficio Priorale della Cappella di S. Riccardo ed il Capitolo Cattedrale della medesima città.
[27] Parecchi Canonici sostenevano la nomina fatta dal Municipio, e si posero di fronte alla maggioranza capitolare.
[28] Con questa decisione il S. Padre dimostrava d’aver conosciuto il buon dritto del Capitolo il quale sosteneva che la nomina doveva farsi fra il ceto dei Canonici; e nel fatto condannava l’operato del Municipio, per aver presentato un Mansionario.
[29] Ed era questa la tesi che sosteneva il Capitolo, cioè, che al beneficio priorale non poteva essere eletto un mansionario, ma solamente un canonico.
[30] Questo indirizzo è riportato nella memoria da noi pubblicata sotto il titolo: Il preteso Giuspatronato del Comune di Andria ed il Capitalo Cattedrale della medesima Città.
[31] Volemmo anche sottomettere all’approvazione dell’Eminentissimo Gennari la prefazione di quel libro, che già era in corso di stampa a Roma, e che, edito, per consiglio di S. E. Mons. Staiti non fu poi reso di pubblica ragione, per evitare rancori e dispiacenze fra gli avversarii del Capitolo, e, più di tutti fra i componenti del Comune di Andria dì quel tempo.

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Contemporaneamente alle cause ecclesiastiche, che si trattavano (in questo periodo di tempo) presso la S. Cong. del Concilio a Roma, un’altra vertenza, in linea amichevole, si svolgeva tra il Capitolo ed il Demanio dello Stato, circa una nuova liquidazione a farsi, per la reintegrazione di alcuni diritti capitolari, dal Demanio manomessi, nelle precedenti liquidazioni del 13 marzo 1865, 13 gennaio 1877 e 19 maggio 1885.
Già, sin dal 1888, il Vescovo Galdi, animato dall’ardente zelo di beneficare la sua Chiesa Cattedrale, a tutte sue spese, promosse giudizio contro il Demanio, per poter riscattare almeno una parte del patrimonio capitolare, passato nelle mani del Fisco.
Essendo stata ridotta a sole dodeci porzioni tutta la rendita capitolare assegnata al Capitolo, il Demanio, nella liquidazione, non riserbò, al medesimo Capitolo le 6 porzioni per i beneficii minori, che la medesima legge accordava alle Chiese Cattedrali del Regno; nè fece salva la terza parte dell’intiero patrimonio, voluta dal Concilio di Trento per le distribuzioni quotidiane inter præsentes (detta terzo conciliare); né tenne conto del Canonicato del Vescovo, che venne confuso, nella generale soppressione, coi 12 canonicati conservati al Capitolo.
Il Vescovo Galdi, perciò, con atto del 25 marzo 1888, si opponeva di terzo al deliberato del Tribunale di Trani, (il quale, già con sentenza del 27 Dicembre 1881, aveva ridotto a soli 12 canonicati tutto il patrimonio della Cattedrale di Andria), chiedendo alla Corte d’appello di Trani la revoca di quella sentenza, che ledeva i diritti del Vescovo, il quale non era stato rappresentato in quel giudizio, trattato esclusivamente dal Capitolo indipendentemente dal suo capo, che è il Vescovo. Ma la Corte di Appello, con sentenza dell’11 marzo 1889, rigettava il ricorso del Vescovo Galdi, dichiarando inammissibile la opposizione di terzo, essendo stato, in quel giudizio, il Vescovo, rappresentato dall’Arcidiacono, che è il vero capo del Capitolo. Il Vescovo Galdi non si arrese a tal deliberato, e produsse ricorso alla Cassazione Romana, la quale, con sentenza dell’8 marzo 189o, confermava la sentenza della Corte di Appello di Trani. Però, mentre metteva fuori causa il Vescovo, la Cassazione dichiarava, che le tre quistioni (proposte dal Vescovo) restavano impregiudicate, non essendo state «trattate nel primo giudizio» (cioè in quello del 27 dicembre 1881). Questo giovò, perché il Capitolo potesse poi riprendere la vertenza, senza pregiudizio della regiudicata.
Intanto, perduta ogni speranza il Vescovo Galdi (condannato pure a sopportare tutte le spese dell’uno e dell’altro giudizio), il Capitolo, trovandosi a corto di denaro, non volle allora ingaggiare nuove liti col Demanio; e l’affare fu messo a dormire!
Senonché, nel 1901, a nostra iniziativa, il nodo venne al pettine; e, studiata sotto altro aspetto la quistione, il Capitolo ci affidò il mandato di risolverla in linea amichevole amministrativa col Demanio e Fondo-Culto.
Fatto capo dal celebre Avvocato Corso Donati di Firenze (specialista esimio nelle quistioni civili-ecclesiastiche), a dì 24 novembre di detto anno, fu presentata al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti una istanza, con la quale si domandava:
  • 1) «la conservazione dei 6 beneficii minori», giusta l’articolo 6 della legge 15 agosto 1867:
  • 2) «la concessione di non computare fra le 12 porzioni canonicali» (conservate al Capitolo, a termine del medesimo articolo di legge) «la partecipazione goduta dal Vescovo sulla medesima massa capitolare»;
  • 3) «di ottenere la terza parte della Massa Corale per le distribuzioni corali quotidiane, a norma del Concilio di Trento».
La Direzione Generale del Demanio, a dì 20 dicembre 1902, a mezzo dell’Intendenza di Bari, rispondeva di accogliere solamente la seconda domanda (quella cioè riguardante la quota del Vescovo «da non venire compresa nel numero dei 12 canonicati conservati al Capitolo») ma non le altre due domande (quelle cioè riflettenti i 6 Beneficii minori, ed il terzo conciliare) a condizione, però, che il Capitolo rinunziasse al giudizio iniziato con la citazione del 14 agosto 1897, riassunto con l’altra del 24 luglio 1900 [32].
Andremmo troppo per le lunghe, se volessimo riportare qui, tutto quel che fu dedotto dal Capitolo, prima di venire ad una definitiva transazione col Demanio. Ben tre voluminosi memoriali furono da noi compilati, e dati a stampa, dopo averli sottoposti al giudizio dell’illustre Avv. Corso Donati [33].
Al primo memoriale il Demanio rispondeva d’averlo sottoposto all’esame dell’Avvocatura Erariale di Trani (la quale si pronunziò del tutto favorevole alla tesi da noi sostenuta), e poscia al giudizio dell’Avvocatura Erariale Generale di Roma, la quale dichiarava
«essere infondata la tesi sostenuta dal Capitolo, giacché nei 24 Canonicati del 2. ordine non si debbono ravvisare i caratteri dei beneficii minori, ma quelli di veri canonicati» [34].
Quindi, con foglio del 30 gennaio 1904, dopo averci comunicato il parere dell’Avvocatura Generale di Roma, aggiungeva:
«Nel desiderio però di riuscire alla definizione amichevole di tutte le vertenze, si è scritto all’Intendenza di Finanza di Bari, dandole opportune istruzioni per vedere di concordare col Capitolo stesso un componimento sulla base dell’esclusione della quota del Vescovo dal numero dei 12 Canonicati, conservati per legge; e di larghe concessioni nella vertenza relativa alla restituzione al Demanio della rendita corrispondente al supplemento della quota curata, che si è dovuto dare all’Arciprete Parroco della Cattedrale».
(Questa pretesa del Demanio fu una vera riconvenzionale, che il Demanio presentava, per indurre il Capitolo a desistere dalla pretesa reintegrazione dei beneficii minori, che questi reclamava).
Intanto noi replicammo con una seconda memoria, per dimostrare come le leggi di soppressione non tengono in considerazione i titoli, ma solamente gli ufficii che i beneficiati esercitano, giusta l’assioma nil interest de nomine. E gli ufficii dei Canonici di 2. ordine, nella Cattedrale di Andria, erano proprio quelli dei beneficiati minori. Che, se il Capitolo Cattedrale di Andria (ch’era fornito di ben sessanta canonici) non aveva mai sentito bisogno di fornirsi anche dei Beneficiati minori, non doveva, perciò, essere privato dei sei beneficii minori (pur concessi alle altre Cattedrali del regno), quando 24 canonici del 2. ordine esercitavano gli ufficii, che nelle altre cattedrali vengono esercitati dagli Eddomadarii, Cappellani, Mansionarii ecc. ecc. Né i 14 Mansionarii potevano poi surrogare questi beneficiati, (secondo asseriva l’Avvocatura Erariale Generale), giacché non avevano essi alcuna esistenza giuridica, e non partecipavano alla massa corale (che è la sola massa beneficiaria, colpita dalla legge di soppressione); ma partecipavano invece alla sola massa delle messe, senza obbligo di servire al Coro [35].
A questo secondo memoriale il Ministero delle Finanze, udito il parere dell’Avvocatura Erariale e dell’Intendenza delle Finanze di Bari, veniva a proporre al Capitolo le seguenti concessioni, in transazione di ogni vertenza:
  • «1.) Che la quota canonicale, che percepisce il Vescovo, non venga computata fra le dodeci porzioni della massa capitolare conservata al Capitolo:
  • 2.) Che la massa delle messe, lasciata per intiera al Capitolo, continui a restare nelle sue mani, senza riduzione alcuna [36]:
  • 3.) Che sia abbandonata la pretesa del Demanio di riscuotere dal Capitolo il supplemento di quota curata, assegnata all’Arciprete Parroco della Cattedrale [37]:
  • 4.) Che manterrebbe la dichiarazione fatta colla Ministeriale 3o gennaio 1904, relativamente ad una riduzione di arretrati di due quote canonicali, che il Capitolo deve ancora cedere al Demanio» [38].
Il Capitolo, dall’altra parte, doveva rinunziare poi ai 6 beneficii minori ed alla terza parte delle distribuzioni corali.
Prendendo atto delle sopradette quattro concessioni, promesse al Capitolo dal Ministero delle Finanze, e della voluta rinunzia del Capitolo ai beneficii minori ed alla terza parte delle distribuzioni corali, noi volemmo tentare anche un passo in avanti, e pubblicammo una terza memoria [39], nella quale, dopo d’aver dimostrata la necessità di avere i sei beneficii minori, voluti dalla medesima legge; e, dopo d’aver bilanciato le concessioni proposte dal Demanio e quelle pretese dal Capitolo, chiedevamo, in transazione di tutto, la somma di centomila lire per una volta sola [40].
In attesa della risposta finale del Demanio, credemmo nostro dovere di farci autorizzare dal Capitolo e dalla S. Sede a conchiudere la transazione sulle basi da noi proposte. Il Capitolo, perciò, dava a noi piena facoltà di conchiudere la proposta transazione; e la S. Sede, dietro esposto da noi formulato e commendato da Sua Eccellenza Monsignor Staiti, rimetteva al Capitolo il seguente Rescritto:
« Die 20 decembris 1905.
«Sacra Congregatio Concilii Tridentini Interpres. auctoritate Ss.mi Domini Nostri Pii PP. X, attenta attestatione Episcopi Andrien; benigne eidem tribuit facultates, ut iniri possit proposita transactio, servatis de jure servandis, sub lege investiendi summas exinde percipiendas juxta præscriptas normas, habita ratione in erogatione cujuscumque proventus nuperrima e constitutionis capitularis a S. Congregatione adprobatæ.
Vincentius Card. Ep. Prænestinus Præfectus
C. De Lai Secretarius»
Intanto la 3. memoria, da noi compilata, par che avesse convinto il Demanio del buon diritto del Capitolo. Però, non volendosi mettere nell’ imbarazzo di essere aggredito da altri Capitoli, che potevano trovarsi nelle medesime condizioni di quello di Andria, pensò di trovare altra via, per raggiungere lo scopo, senza dichiarare di concedere i 6 Beneficii minori, e di cedere a quanto il Capitolo dimandava con la somma di lire centomila.
La via fu presto trovata. Le quote, dovute ai 6 Beneficiati furono fatte entrare «nelle spese di culto». Ed il Capitolo fu chiamato allora dall’Intendenza delle Finanze di Bari a presentare una minuta delle spese annuali, che sosteneva pel culto. Fu quindi redatta una lista di dette spese, nella somma complessiva di Lire 10.696,65, mentre la somma, precedentemente stabilita nella liquidazione, per le spese del culto, era di Lire 4.093,70.
Portata quella lista di spese all’esame dell’amministrazione del Demanio, il Direttore Generale, con foglio del 5 novembre 1906, rispondeva di
«non potersi ammettere tutte le spese di culto, dal Capitolo denunciate per un importo di L. 10.696,65, somma più che doppia di quella di L. 4.093,70 ch’ era stata precedentemente stabilita d’accordo fra lo stesso Capitolo ed il Ricevitore del Registro di Andria. Però, nell’intento di riuscire ad un definitivo componimento, si è deliberato, in via conciliativa, di accogliere la proposta dell’Intendenza di Finanza di Bari, di ammettere le spese in parola nella media fra le due cifre suindicate, e precisamente nella somma di L. 7.395,17. In questi sensi si è scritto alla Intendenza di Finanza suddetta».
Difatti, con foglio del 10 novembre 1906, l’Intendenza di Finanza di Bari, ci comunicava, come
«il Ministero, esaminata la distinta delle spese di culto prodotta dal Capitolo per un resoconto di lire 10.696,65, ha osservato, che, a voler ritenere inammissibili le altre partite descritte, dovrebbesi escludere quella di L. 4200 portate al N.1 per 6 chierici Sacerdoti, i quali ogni giorno fanno il servizio del Coro e dell’altare in sostituzione dei Beneficiati minori non accordati dal Demanio, non essendo questa una spesa, che facesse carico al Capitolo allorché entrò in vigore la legge del 15 agosto 1867 [41] … Allo scopo però di porre fine alle vertenze, il Ministero è disposto ad accettare la proposta fatta da questa Intendenza, di ritenere, cioè, l’ammontare delle spese di culto nella media fra le L. 4.093,70 già ammesse, e le L. 10.696,65 testé date in nota, dal Capitolo, e così nella somma di L. 7.395,17, a condizione, che il Capitolo non abbia a pretendere arretrati per quel tanto di rendita, che risulterà doversi al medesimo retrocedere dal Fondo-Culto; in dipendenza dalla riforma della liquidazione dell’importo della quota di massa dei canonicati soppressi».
Questa risposta dava il risultato di un aumento di rendita al Capitolo di L. 2.539,20, e non di L. 3.301 (quale risulterebbe dalla sottrazione delle L. 4.093,70 dalle L. 7.395,17), tenendo a base della nuova liquidazione a farsi la somma di L. 791,68 per ciascuna quota della massa corale dei 52 Canonicati conservati al Capitolo, e non la somma erroneamente prima stabilita in L. 855,16 [42].

Quindi la nuova liquidazione proposta dava i seguenti risultati:

Titolo Deduzioni Rendita
Rendita complessiva (fra massa capitolare, massa di messe e spese del culto) al netto del 30% L. 84.827,42
Rendita della massa delle messe al netto del 30% L. 36.264,94
Spese di Culto consentite L. 7.395,17
TOTALE DEDUZIONI L. 43.660,11 -L. 43.660,11
RIMANENZA RENDITA IMPONIBILE L. 41,167,31

Questa rendita imponibile di L. 41.167.31, rappresentante la massa corale, divisa per 52 canonicati (non compreso quello dell’Arciprete, perché ebbe un assegno a parte) dà, per ciascun canonicato, la cifra di lire 791,68 (con una differenza in meno di lire 63,48 rispetto alla cifra di lire 855,16 precedentemente assegnata).

Non computando poi fra i 12 canonicati la quota del Vescovo, le quote devolute al Fondo-Culto pei canonicati soppressi sarebbero limitate al numero di 40, e non di 38, come erasi precedentemente ritenuto.
Riducendosi a lire 791,68 ciascuna delle 4o quote sopradette, la rendita totale della massa corale sarebbe di lire 31.667,20; mentre nella primitiva liquidazione era di lire 34.206,40, calcolando ciascuna delle 38 quote a lire 855,16) Sicché sottraendo dalle lire 34.206,40 le lire 31.667,20.
L. 34.206,40
-L. 31.667,20
L.   2.539,20

Questa cifra rappresenterebbe la rendita da retrocedersi dal Fondo del Culto al Capitolo, secondo la proposta transazione. Oltre a ciò si concedeva al Capitolo un’altra porzione di 795,68, rappresentante la quota dovuta al Vescovo sulla massa corale, restando nette al Capitolo le altre 12 quote precedentemente conservate. Dippiù il Demanio rinunziava alla sua pretesa di L. 1.546,50 sull’aumento della quota curata assegnata all’Arciprete Parroco, ad a tutti gli arretrati pretesi sulle due quote canonicali, restate precedentemente nelle mani del Capitolo.

Sicché, tutto sommato, il Demanio veniva a concedere al Capitolo, in virtù della proposta transazione:

Titolo Somma
1. Per spese di culto un aumento annuo di L.  2. 539,20
2. Per un altro Canonicato (quello del Vescovo) L.      791,68
3. Per rinunzia alla retrodazione dell’aumento di quota curata L.  1.546,50
TOTALE L. 4.877,18

Oltre poi alla rinunzia dei pretesi arretrati sulle due quote canonicali e sull’aumento di congrua fatto all’Arciprete-Parroco: ed oltre all’assicurazione, che la massa delle messe resterà intiera al Capitolo Cattedrale, nella somma di L. 36.264,94, senza alcun pericolo di ri-duzione per l’avvenire.

Ad eliminare ulteriori dissensi e spese, il Capitolo venne nella determinazione di accettare la proposta transazione, dando a noi l’incarico di formulare lo schema dell’atto da stipulare, dopo averlo sottomesso all’approvazione dell’avvocato Corso Donati, ed all’accettazione del Demanio, rilasciandoci, nel contempo, legale procura di rappresentare il Capitolo in quell’atto di transazione.
Questo schema fu da noi formulato e trasmesso all’esame dell’avvocatura Erariale di Trani; indi all’approvazione della Direzione Generale del Demanio e Fondo Culto, ed anche dell’Economato Generale di Napoli, per il relativo concorso. Sicché, dopo il lungo giro burocratico, finalmente, (dopo 8 lunghi anni di trattative), l’atto di transazione fu stipulato a dì 4 gennaio 1910 [43]. Ed il Capitolo, avuto il relativo certificato di rendita, cominciò ad esigere, da questa epoca, la sua rendita a base della nuova liquidazione, con un aumento di L. 2539,20, secondo innanzi è detto [44].
Così ebbe termine anche questa lunga vertenza col Demanio.
NOTE   
[32] Col 15 agosto 1897 chiudevasi il trentennio dalla promulgazione della legge 15 agosto 1867. Perciò il Capitolo, per non incorrere nella prescrizione, citò il Demanio, facendosi riserva di tutti i suoi diritti riflettenti l’asse ecclesiastico in rapporto al suo patrimonio.
[33] Al primo memoriale: I Beneficii minori nella Chiesa Cattedrale di Andria. (per F. Matera, 1903) così ci scriveva da Firenze l’illustre Avv. Donati:
«Ho letto la risoluzione Ministeriale del 20 dicembre 1902, ed ho esaminato col più vivo interesse la sua bellissima memoria esplicativa delle ragioni che assistono la domanda spiegata dal Rev.mo Capitolo per la conservazione dei sei beneficii minori. Non si poteva, né più dottamente, né più virilmente sostenere, in via amministrativa il buon diritto del Capitolo. Me ne congratulo di cuore con Lei. Speriamo che il Demanio si pieghi ad un trattamento che non sarebbe di favore, ma di vera giustizia ecc.»
[34] Il Demanio non aveva concesso i 6 beneficii minori, voluti dalla legge perché, all’epoca della soppressione, non esistevano, nella Cattedrale di Andria, beneficii minori, ma solamente 14 Mansionari, di puro onore, che partecipavano alla sola Massa delle Messe, lasciata intiera al Capitolo come massa di oneri. Noi sostenemmo invece, che i Benefici minori esistevano nei 24 Canonicati di 2. ordine, i quali, giusta la Bolla di Benedetto XIV, avevano tutti i caratteri di veri benediciati minori (avevano l’ufficio di recitare le antifone, le lezioni, servire al Coro: sedevano nei stalli inferiori ecc.) ad onta che portassero il nome di canonicati.
[35] Chi volesse avere piena cognizione di tutte le ragioni da noi svolte in questo secondo memoriale, legga il libro, dal titolo — Di alcune vertenze fra il Capitolo Cattedrale di Andria ed il Demanio dello Stato — (Tipografia B. Terlizzi 1905).
[36] Il Demanio minacciava di ridurla a 18 porzioni, 12 per i canonici, e 6 per i beneficiati minori, laddove, precedentemente, la massa delle messe era rimasta intiera nelle mani del Capitolo.
[37] Il Demanio pretendeva dal Capitolo la somma annuale di L. 1546,59 per l’aumento di congrua fatto dall’Arciprete Parroco della Cattedrale, oltre agli arretrati sin dal 1843!
[38] Il Demanio nella liquidazione fatta col Capitolo, nell’assegno della rendita sul Gran Libro, invece dl sopprimere 41 quote canonicali, delle 53 appartenuti al Capitolo (per ridurle a 12) ne soppresse 38, lasciando nelle mani del Capitolo 15 quote, delle quali, tolte le dodeci pel Capitolo ed una per l’Arciprete, restavano in man del Capitolo due quote in più, delle quali pretendeva la retrodazione, con tutti gli arretrati esatti! Di questi arretrati prometteva il Demanio una riduzione, se andava ad effetto la transazione.
[39] Questa memoria fu pubblicata in Roma, per i tipi di A. Befani (1905) sotto il titolo — Replica alle osservazioni del Demanio dello Stato circa i 6 Beneficii minori ed altre vertenze col Capitolo Cattedrale di Andria.
[40] Questa memoria fu sottomessa al giudizio dell’illustre Avv. Carlo Donati per conoscere i suoi apprezzamenti. E l’illustre avvocato, colla gentilezza tutta fiorentina, in data 7 gennaio 1905 così ci rispondeva da Firenze
Rev.mo Professore Agresti,
Una memorietta?! Ma no: questa è invece una vera e propria, amplissima e ragionatissima Memoria nella quale non saprei se sia più da ammirarsi l’acume delle dotte osservazioni, o l’efficacia della lucida e stringentissima confutazione. Se la vertenza dovrà portarsi davanti ai Tribunali, a quel povero diavolo del Loro Avvocato, chiunque sia per essere, non rimarrà nulla da aggiungere: — la difesa è già fatta: sero venientibus ossa — Mi congratulo dunque con Lei e col Rev.mo Capitolo del suo bellissimo lavoro, del quale La ringrazio immensamente. Speriamo che il Demanio rimanga da tante e così belle ragioni conguiso e confuso, e che si Capitolo ottenga finalmente il desideralo intento.
[41] Il Capitolo, fra le spese pel culto, aveva listato L. 4.200 per 6 Sacerdoti inservienti al Coro.
[42] La somma di L. 855,16 fu erroneamente stabilita, perché il Demanio avesa soppressi soli 38 canonicati (dei 53), mentre doveva sopprimerne 41.
[43] Copia di quest’atto di transazione conservasi nell’Archivio Capitolare.
[44] Questa somma, però, in virtù del ribasso della rendita, subisce anche una diminuzione.

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Chiudiamo il primo volume di questa opera con l’elenco di tutti i Beneficiati, componenti il Capitolo Cattedrale di Andria, in quest’anno di grazia 1911.

Sua Eccellenza Mons. D. Giuseppe Staiti
dei Marchesi di Brancaleone

CANONICI DI I. ORDINE (N° 12)
Arcidiacono Mons. D. Nicola Troja
Arciprete D. Felice Pomo
Cantore D. Michele Fatone
Prim. Mons. D. Raffaele Leonetti
Priore D. Giuseppe De Benedictis
Decano D. Giacinto Matera
Can. D. Giam. Battista Marano
Can. D. Michele Agresti
Can. D. Giusep. Camaggio (P.re)
Can. D. Ricc. Memeo (Teologo)
Can. D. Vincenzo Dell’Olio
(Vaca il dodicesimo canonicato)
CANONICI DI 2. ORDINE (N° 10)
D. Cataldo Amorese
D. Nicola Sinisi
D. Emmanuele Petruzzelli
D. Arcangelo Sansonne
D. Sebastiano Camaggio
D. Sabino Di Noja
D. Riccardo Crocetta
D. Giuseppe Sgaramella
D. Michele Losito
D. Saverio Rella
CANONICI DI 3. ORDINE (N° 8)
D. Michele Campanile
D. Vincenzo Latilla
D. Riccardo Latilla
D. Francesco Quacquarelli
D. Michele De Chio
D. Sebastiano Giorgio
D. Michele Bruno
D. Domenico Morgigno
MANSIONARI (N° 42)
D. Michele Ruotolo
» Antonio Infante
» Raffaele Tibis
» Riccardo Vista
» Nicola Defidio
» Riccardo Lacarra
» Riccardo De Gioia
» Nicola Addati
» Vincenzo Sardano
» Leonardo Cusmai
» Nicola Bisceglie
» Luigi Losito
» Sabino Cannone
» Tommaso Sgaramella
» Michele Goione
» Vincenzo Memeo
» Giuseppe Suriano
» Giuseppe Cicco
» Riccardo Ursi
» Francesco Colasuono
» Riccardo Suriano
D. Saverio Cannone
D. Nicola Tannoja
D. Francesco Di Bari
D. Vito Di Pasquale
D. Michele Zagaria
D. Vincenzo Chicco
D. Riccardo Napolitano
D. Antonio Quinto
D. Francesco Papa
D. Francesco Fasciano
D. Vincenzo Zinfollino
D. Nicolò Sterlicchio
D. Leonardo Addati
D. Riccardo Losito
D. Vincenzo Del Mastro
D. Beniamino Forte
D. Francesco Marano
D. Felice Sinisi
D. Emmanuele Losito
D. Giuseppe Chieppa
D. Riccardo Mari

(Nel 1910-1911 passarono a miglior vita il Canonico D. Riccardo Alicino, ed i Mansionarii: D. Antonio Loconte, D. Tobia Gatti e D. Nicola Bacco).

(Dei personaggi più illustri, appartenuti al Capitolo, daremo una piccola biografia nel 2. volume di quest’opera.)

FINE DEL I. VOLUME

Nulla osta per la stampa di questo primo volume.

Andria, 30 Aprile 1911.

Nicola M. Arcidiacono Troja - Revisore
imprimatur
Andrien, die 9 lunii 1911
festivitas S.Richardi Patroni Civitatis Andriæ
Prim. R. Leonetti Pro-Vic. Generalis

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XIX, pp.449-479]