Il bollandista Papebrok sotto un’immagine di S. Riccardo lesse: Quam læva suffulcit, dextera secundet: «la città che la sua sinistra sostiene, la mano destra protegga». È la sintesi dell’apostolato santo, compiuto da Gesù ed ereditato dai suoi imitatori. S. Riccardo sostiene le anime e la fede di Andria e con la destra benedicente attira le grazie dalla misericordia divina e le versa abbondantemente sui singoli fedeli, sulle famiglie, sulla città, sulla diocesi. Il suo è un patrocinio di amore, difesa, aiuto, sollievo, conforto, incoraggiamento.
La sua vita sacrificata ed eroica inoltre è esempio e sprone all’imitazione. L’Inghilterra fu patria di santi. Dal momento in cui il monaco Agostino († 604) con 12 compagni inviati con trepidazione e speranza dal papa S. Gregorio Magno (590-604) s’inoltrarono in quella regione, la nuova fede conquise gli abitanti, si dilatò in poco tempo e formò coscienze cristiane di particolare energica tempra. Verso il 680 quasi tutti gli anglosassoni erano cristiani. Essi, con sensi di profonda gratitudine, incominciarono a peregrinare verso la sede del papa. Venivano in comitiva e, appena scorgevano di lontano Roma, la città eterna, si prostravano nella polvere e pregavano con commozione. L’inglese S. Bonifacio (680-755) convertì al Cristianesimo la Germania; consacrato vescovo dal papa Gregorio II, si avviò verso quella regione come un presule romano (missus S. Petri) e vi fondò comunità, diocesi, e, organizzata religiosamente la vasta regione, vi lasciò dei compagni e si mosse altrove a compiere altre opere di riforma e santificazione. Un altro inglese, il monaco Lebuino, lavorò nella Turingia per affratellare insieme sassoni e franchi nell’amore a Cristo.
A somiglianza di costoro, il nostro Riccardo dalla lontana isola dei santi si mosse verso Roma e poi nell’Apulia, alla sconosciuta Andria, avvicinata al suo cuore dalla fede in Dio, che rende il mondo una sola famiglia. I suoi sacrifici, benedetti da Dio, produssero una trasformazione benefica, un perfezionamento vigoroso e perseverante nella vita spirituale.
E il popolo di Andria ha ricordato sempre con commozione il suo grande padre. Nell’accordo del 1126 tra il clero della cattedrale e quello di S. Nicola, appare l’arciprete col nome Riccardo. E più tardi, mentre quel nome col sopravvenire degli svevi si diradò e quasi disparve dall’Apulia e dall’Italia, ad Andria divenne comune, quasi obbligatorio per ogni famiglia ad attestare l’amore e la fiducia nel Patrono.
Ma più parlano le opere. In due secoli dalla canonizzazione diocesana del santo allo smarrimento delle sacre reliquie, si verificò una fioritura di chiese, opere caritative, istituzioni religiose, che hanno del meraviglioso ed attestano l’influsso decisivo, impresso alla religiosità di Andria. È l’Andria fidelis che si afferma nell’amore a Cristo e al suo Pastore.
La rifioritura religiosa di Andria coincide con la rinascita medioevale.
La Chiesa, uscita dalle catacombe, dov’era stata confinata dalla ferocia persecutrice, usò della libertà dal secolo IV in poi per diffondere dappertutto il cristiano perfezionamento dei valori spirituali. Essa dominò come poté il periodo barbarico, finché trovò in Carlo Magno l’alleato della sua opera. Purtroppo la fusione col potere politico doveva condurre ad una nuova schiavitù, meno apparente e più disastrosa, la servitù della grandezza. Le ricchezze e il potere dei principi ecclesiastici corruppero la purezza dell’apostolato e dei costumi e umiliarono la gerarchia, determinando l’età ferrea del papato. Sembrava che l’opera di Cristo dovesse essere soffocata dalla sua potenza più che dal ferro nemico.
Ma la Chiesa aveva in se stessa, nel suo fondamento divino, la leva di risurrezione e si riebbe e ritornò libera, negando ai laici il diritto di creare la gerarchia ecclesiastica. La lotta delle investiture fu lotta per la libertà. E non solo per la Chiesa. I papi ritornati liberi fecero sentire ai popoli il beneficio della libertà. E l’Italia si mosse contro lo straniero nella riscossa dei Comuni. Non lo vinse definitivamente, ma riuscì ad incutere rispetto e a poter agire secondo il suo genio.
E mai la virtù italica e religiosa si affermò in maniera così intensa come nei secoli XIII e XIV. L’arte, la letteratura, i principi ideali della scienza ebbero in quel periodo il massimo splendore. Dante nella poesia, Giotto nella pittura, S. Tommaso nella filosofia e teologia cristiana sono tre genii, che bastano da soli ad eternare la gloria più fulgida del medioevo. Intorno ad essi è tutta la società, che sente e vive il Cristianesimo; il popolo non avverte i disagi della vita, perché orientato alla vera vita, a quella dello spirito, che la morte non annienta, ma potenzia.
Così si può spiegare l’entusiasmo delle Crociate anche quando non riuscivano nell’intento sperato, le avventure pericolose dei cavalieri per la difesa dei deboli e dell’onore, la fioritura degli ordini religiosi.
S. Francesco, che preferisce alle ricchezze paterne le ricchezze dello spirito, ai sogni di gloria una gloria più pura, ad una vita di avventure l’esistenza dura del penitente per dare al mondo la pace e il benessere, è il tipo perfetto del medioevale e s’innalza gigante nella storia come le cattedrali gotiche che, spingendosi in ricchezza di marmi e di ori verso il cielo, sembravano voler congiungere l’uomo con Dio. Accanto a S. Francesco, S. Domenico diffonde la cultura teologica, il sacerdote crociato Bertoldo di Calabria l’amore alla Madre di Dio nel ricostruito ordine carmelitano, mentre i figli di S. Benedetto continuano a lavorare per creare sontuosi monumenti di arte romanica, che giustamente porta il nome di arte benedettina.
Anche le donne partecipano a questa affermazione della potenza dello spirito e lasciano il mondo per chiudersi nei chiostri ad allietare col sacrificio e le laudi del cuore il Cristo del pensiero e dell’amore. S. Caterina da Siena dimostra a tutto il mondo il valore di una virtù energica e dominatrice in un corpo fragile ed infermo.
Che, se nel medesimo tempo come in tutti i periodi storici sono ombre alle volte contrastanti in pieno con gli splendori, non c’è da farsi meraviglia. Prescindendo dalla ferocia dei barbari non ancora del tutto ammansita, l’umanità debole e fiacca amante del piacere e del vizio non scompare, anzi acuisce i suoi sforzi reazionari e compie gesta disperate, quando è umiliata dalla corrente imperante. Ciò poteva avvenire ed avvenne dentro e fuori la Chiesa, perciò dove c’è l’uomo, c’è tutto intero con i suoi pregi e le sue deficienze nel popolo e in chi lo dirige.
Andria partecipò alla rinascita per mezzo del vescovo Riccardo. E, se il sacco del 1348 non avesse distrutto i documenti scritti e deturpato i monumenti artistici dell’epoca aurea del medioevo, la nostra storia sarebbe più ricca e più pregevole.
Il risorgere della città ha del prodigioso. L’agglomerarsi degli agricoltori dei villaggi vicini nel centro cittadino intorno al vescovo, considerato da tutti il capo, il padre, il giudice recò nuove esigenze, nuova organizzazione. Riccardo dette la sua impronta di grandezza alla nuova Andria con l’erezione della nuova cattedrale. Alla piccola cripta fu addossato l’ampio tempio a tre navate con uno stile, che pare voglia sintetizzare i due dominii, il bizantino, che si dilegua e il normanno, che si afferma. L’inclinazione dell’asse della chiesa è l’espressione orientale ancora viva nella fantasia degli artisti e i motivi romanici sono l’arte in vigore. Non abbiamo tradizioni sui mecenati di questa costruzione monumentale cittadina, ma sappiamo che ordinariamente il mecenate delle nostre contrade, il grande e disinteressato mecenate fu ed è il nostro popolo credente e pronto ad ogni sacrificio per l’esaltazione della fede.
Il clero di Trimoggia, rifugiato nella città di Riccardo, edificò la chiesa di S. Nicola. Ma la devozione al santo di Mira, irradiata da Bari nell’Italia e nel mondo già si coltivava nella cattedrale, dove fu eretto un altare forse dalla devozione dello stesso vescovo Riccardo. Un dipinto che si trovava fino al secolo scorso nella cappella di S. Riccardo rappresentava S. Nicola e la campana più sonora della cattedrale, fusa o restaurata il 1310, è dedicata allo stesso santo. Nella sua testata si legge la seguente iscrizione:
VERBUM CARO FACTUM EST ET HABITAVIT IN NOBIS
† XPS VINCIT XPS REGNAT XPS IMPERAT †
† BEATE NICOLÆ T
HOC OPUS FACTUM EST A. D. MCCCX
Accanto alla Cattedrale l’anima generosa del popolo eresse il bel campanile romanico, testimone oggi della vita quasi millenaria dello spirito riccardiano.
Nel secolo seguente, il duecento, lo stile ogivale non solo ebbe un’espressione monumentale unica al mondo nel Castel del Monte, ma manifestò la sua caratteristica ardita sagoma anche nella città e particolarmente nelle chiese di S. Francesco e S. Agostino (S. Martino), i cui portali, gloriosi resti della pregevole arte, parlano ancora un linguaggio eloquente.
Altre chiese sorsero in quell’epoca, più modeste ma sempre belle e care alla pietà del popolo. Porta Santa ad eternare le glorie del passaggio del vescovo santo e S. Maria Vetere, che insieme alla cattedrale stringeva i cittadini nell’amplesso materno della Regina del Cielo.
E i nuovi ordini religiosi trovarono nella fede rigogliosa di Andria un campo di apostolato fecondo. Il grande Serafico d’Assisi che, secondo la tradizione visitò Andria, dovette sentire un particolare trasporto verso i nostri antenati, cui inviò i suoi Frati ad annunciar Pax et bonum. E la chiesa di S. Francesco sorse il 1230, subito dopo la morte del grande santo, avvenuta ad Assisi il 4 ottobre del 1226. I francescani non solo officiarono quella chiesa, ma anche S. Maria Vetere e S. Ciriaco. I frati di S. Ciriaco seguivano la regola disciplinata a Narbona in Francia il 1260 sotto la direzione di S. Bonaventura, detto il «secondo fondatore dell’ordine». Si legge infatti nel documento citato altrove (Rationes Decimarum Italiæ) che il rettore dell’antica chiesetta pagava per conto del convento narbonese una colletta alla Santa Sede.
Più tardi, chiamati dalla fede e generosità di Francesco I Del Balzo, il 1358 si insediarono in Andria gli agostiniani presso la chiesa, costruita nel duecento dai benedettini col nome di S. Martino e poi passata all’ordine militare e religioso dei Teutonici. Il tempio fu quasi completamente rifatto nel secolo XV.
Quasi nel medesimo tempo, il 1398 vennero in Andria i domenicani ad officiare nel cuore della città il nuovo grandioso tempio, edificato dalla munificenza dei Del Balzo.
Le vergini oranti ebbero le loro chiese e le spesse mura del raccoglimento e della preghiera nella città di S. Riccardo. Le suore basiliane si installarono a S. Tommaso (S. Maria delle Grazie) e le sorelle di S. Chiara cantarono gli inni di Francesco nella modesta, ma raccolta cappella dedicata alla fondatrice del second’ordine.
La tragica furia del 1348 determinò il crollo, l’incendio, la devastazione della maggior parte delle chiese più antiche, ma esse risorsero nella ripresa del culto riccardiano a testimoniare che il ferro nemico può abbattere la casa materiale di Dio, ma non riesce ad intaccare i tesori più reconditi dello spirito umano.
Nel medioevo la vita cristiana intensa ebbe espressioni molteplici della carità, il precetto caratteristico di Cristo, sintesi degli altri comandamenti. Ciò servì a mitigare le conseguenze dolorose di disgrazie, rivalità e lotte. Si moltiplicarono ospedali, confraternite, ordini cavallereschi con lo scopo nobilissimo di aiutare e soccorrere gli infelici, i poveri, i malati e i feriti. Merita speciale ricordo la cura dei lebbrosi, la cui malattia contagiosa destava in tutti enorme ripugnanza. S. Francesco ed i suoi frati avvicinavano volentieri questi disgraziati, ne purificavano le piaghe e li incoraggiavano a sperare nella misericordia di Dio.
Sorsero allora i primi Lazzaretti, chiamati così dal povero della parabola evangelica, esaltato sull’ignominia del ricco Epulone. E l’ordine di S. Lazzaro, fondato a Gerusalemme nel 1150, ebbe particolari sollecitudini di questi infelici.
Andria fu la città dell’amore ai sofferenti in omaggio ai benefici immensi elargiti a tanti derelitti dal cuore generoso del Patrono. Vicino alla Porta santa, il luogo ricordato per l’inizio dell’opera beneficamente prodigiosa dell’inviato da Dio, sorse il primo ospedale di S. Riccardo e un altro detto della misericordia. In seguito alla costruzione della chiesa nel secolo XIII, l’ospedale riccardiano fu demolito e ne sorse un altro dello stesso nome accanto alla cattedrale. Da un atto notarile del 1265 risultava l’erezione di due altri ospedali, uno denominato della SS. Trinità e l’altro di S. Bartolomeo [1].
Questi ospedali avevano cura degli infermi abbandonati e degli accattoni ed inoltre dei pellegrini diretti ai vari santuari del tempo. Sappiamo che contemporaneamente presso la chiesa di Porta santa esisteva una confraternita di nobili sotto il titolo dell’Annunziata.
Nello stesso secolo Andria ebbe l’ordine militare e religioso Teutonico, sorto ad Acri il 1190 per provvedere ai feriti ed ammalati delle Crociate. Certamente fu Federico II ad invitare i suoi connazionali a beneficio dei soldati, che, di ritorno dalla Palestina, avessero bisogno di cure. L’istituzione cavalleresca ebbe la sua sede nei locali annessi alla chiesa di S. Martino (S. Agostino [2]. Riferiamo a conferma i distici di una lapide, riportati dal Durso:
Bellingerum ordo hæc construxit templa sacrata
Inque ægris curam struxit et ille domum
his dein depulsis, pietas suprema Dinastæ
Fratribus Eremi hæc ipsa colenda dedit,
ut fidei nitor et sanctæ observantia legis
cresceret, et staret Principis altus amor.
Questa ricchezza di opere benefiche a favore dei diseredati sproni il cuore degli andriesi ad emulare la generosità dei primi figli di S. Riccardo.
Quando il mondo era diviso in oppressi ed oppressori, i rappresentanti della Chiesa furono i veri padri dei popoli, i consolatori degli afflitti, i difensori della libertà. I cittadini prendevano viva parte all’elezione dei vescovi, perché scorgevano in essi i tutelatori dei diritti familiari, gli ispiratori del bene privato e pubblico, gli educatori dei figli.
La Chiesa ordinò la gerarchia e costituì le leggi, quando la società viveva nella confusione e l’unica norma dei potenti era l’jus gladii. Essa aveva ereditato dal Vangelo l’idea di uguaglianza dinanzi a Dio e parlava un linguaggio forte ai più feroci ed agguerriti principi, il concetto della superiorità della perfezione sul sangue ed esaltava servi umili e virtuosi, mentre umiliava alteri monarchi. Libertà di operare il bene, fratellanza in Cristo, dignità del focolare domestico, inviolabilità della persona umana sono postulati della dottrina cristiana, passati poi nel diritto dei popoli.
Come a Canosa, a Bari, a Trani, a Troia i vescovi furono spesso i veri capi dei cittadini, così S. Riccardo fu per gli andriesi. L’affermazione della prosperità civile di Andria data dalla fine del secolo XI. I monumenti dell’arte e della carità ne sono le prime storiche manifestazioni.
I fatti avvenuti al tempo della dominazione sveva sono un’altra documentata conferma. Federico II predilesse Andria, da lui rinvenuta florida per il lavoro e la bontà dei cittadini, sorretta ed assecondata dai vescovi e dai benedettini. Federico trovò ivi un asilo di pace e di conforto nella vita avventurosa. Egli spezzò la potenza dei benedettini per usufruire dei loro ricchi possedimenti e dei loro artistici monumenti, ma andò incontro al popolo. Così si spiega la fedeltà degli andriesi a quell’imperatore. Non fu un ghibellinismo antipapale a determinare l’accoglienza festosa allo scomunicato nel 1229. Quando Federico additò l’esempio di Andria a Benevento:
Andria tua soror multo te prudentius egit,
ad nos quæ venit cum nobis poemate legit.
compiva un gesto politico e solo un gesto politico:
La prosperità di Andria aumentò:
Andria vale felix omnisque gravamine expers,
scrisse l’imperatore a sanzionare il premio alla fedeltà. E accanto al corpo di S. Riccardo seppellì le salme delle mogli Jolanda,
morta il 1228 e Isabella, il 1241. Egli, pur nemico dei papi e di costumi licenziosi, conservò sentimenti religiosi.
Chiamò ad Andria i francescani e fece costruire chiese e conventi. La storia ci assicura che l’imperatore svevo
morì riconciliato con la Chiesa il 13 dicembre 1250. Prima di dare l’anima a Dio, ordinò la restituzione dei beni tolti al papa,
alle chiese, ai monasteri e destinò una somma ingente alle opere pie della Palestina.
Nella ripresa del culto riccardiano Andria ebbe l’istituzione della fiera, che incominciava in occasione della festa del 23 aprile e continuava fino al giorno 30 sotto la direzione del capitolo cattedrale, i cui rappresentanti si chiamavano giudici e mastri della fiera. Essa alimentava il commercio coi paesi vicini e lontani e procurava ricchezze alla città.
Il sentimento della libertà e della fedeltà rese audaci i nostri antenati, che più volte si opposero ad eserciti regolari, guidati da esperti comandanti. E, se il loro valore non fu sempre fortunato, le imprese conservano il loro ideale significato. Il sacco inferto dagli ungheresi il 1348 e le devastazioni compiute da Odetto di Foix il 1528 non fiaccarono lo spirito tenace di Andria, che lottò eroicamente contro gli Angioini nel 1432, seppe resistere contro le truppe dell’Orsini nel 1462 [3] e partecipò con entusiasmo alla vittoria di Lepanto sui turchi (7 ott. 1571).
Come nella disfida di Barletta i valorosi italiani giurarono sulle reliquie di S. Riccardo di vincere o morire, così gli andriesi attinsero da questi gloriosi resti mortali l’energia contro gli oppressori della loro libertà.
Ma soprattutto nei secoli essi affermarono la tenacia delle virtù domestiche e della fatica quotidiana, la fonte più redditizia della prosperità. La cultura appassionata della terra, in cui germinano rigogliosi il grano, le viti, gli ulivi, i mandorli canta con la poesia delle opere le virtù religiose e civili del popolo riccardiano.
[1] DURSO: Storia della città di Andria.
[2] Un documento agostiniano del 1650, riportato dal Ferriello nella pubblicazione citata attesta che la chiesa di Sant’Agostino apparteneva ai benedettini ed aveva il titolo di S. Martino. L’epigrafe invece afferma che chiesa ed annessi (templa sacrata) furono costruiti dai teutonici. Crediamo non improbabile la tradizione agostiniana. Facilmente la prima chiesa fu edificata dai benedettini; nella persecuzione loro inflitta da Federico II il monastero passò ai teutonici, dai quali dovette essere radicalmente restaurato ed adattato ad ospedale dei crociati.
[3] In questa circostanza si verificò il noto episodio delle mine, avvenuto sotto la piazza, chiamata poi Fravina.