Ing. Riccardo Ruotolo
Quanto documentato dalla Gallarini è stato poi descritto e confermato nella relazione che il dott. Salvatore Liddo ha redatto nel 1952, accompagnandola con un completo servizio dello studio fotografico Malgherini - Attimonelli.
In quell’anno, Assessore all’Igiene, Sanità e Lavori Pubblici del Comune di Andria era il dott. Giuseppe Marano che, appena insediatosi, considerò di priorità assoluta “l’annoso, secolare problema delle Grotte di Sant’Andrea” e, come primo dovere da compiere del suo assessorato fu “quello di dare elementi di vita umana e civile a seicento nostri fratelli abitanti nel rione Grotte, e quello di togliere alla nostra città, ricca di uomini e di terre ubertose, questo marchio di inferiorità con cui viene sempre bollata, la città delle Grotte”.
Nello stesso anno sia il Sindaco di Andria Senatore Onofrio Iannuzzi, sia l’Assessore all’Igiene dott. Giuseppe Marano, durante i lavori di completamento della costruzione del primo nucleo di case per alloggiare quaranta famiglie del rione Grotte, trasferendole “dalle buie ed umide grotte in ariose e linde case a contatto del verde e della serenità della nostra campagna”, incaricarono il prof. Salvatore Liddo, libero docente di Igiene, Polizia Medica e Microbiologia (già relatore generale al congresso nazionale per la ricostruzione sanitaria tenutosi in Bari nell’anno 1947), di approntare uno documentata “inchiesta di igiene sociale” riguardante il rione Grotte di Sant’Andrea di Andria.
Il prof. Liddo, visitando personalmente ogni angolo del rione, esteso per circa 7.800 mq., dopo aver rilevato una grande quantità di dati, redasse un dettagliato studio sulle condizioni di vita degli abitanti e sulla tipologia degli alloggi.
Come si può constatare la situazione abitativa del rione Grotte era veramente drammatica, al di fuori di ogni regola igienica, con i vani umidi per le continue infiltrazioni di acqua, con molti soffitti a tavolato che marcivano per le infiltrazioni e con i pavimenti o in basole calcaree sconnesse, o in mattoni di cotto nella maggior parte frantumati, con chiazze di terra battuta, senza acqua e spesso senza elettricità. La quasi totalità di questi vani non avevano finestre e prendevano luce e aria solo dalla porta d’ingresso. Si era in presenza di un “complesso abitativo disordinato di ambienti particolarmente angusti, oscuri, con un senso di opprimente miseria e squallore”, cioè si era in presenza di “abituri”, dal termine medievale habiturium che ricorda il termine tugurium.
Il Sindaco Iannuzzi e l’Assessore Marano senza attendere l’emanazione di leggi speciali da parte dello Stato, si adoperarono per attivare tutte le disposizioni legislative esistenti che potevano essere utili alla risoluzione del problema, riuscendo ad ottenere finanziamenti con l’utilizzo della legge sulle case minime che lo Stato realizzava per le zone depresse, soggette ad alluvioni e ai dissesti idrogeologici e/o a continui cedimenti strutturali.
Alla relazione – inchiesta del dott. Salvatore Liddo, sviluppata in modo articolato ed esaustivo, sono allegate molte fotografie dello studio Malgherini – Attimonelli (nel prosieguo Foto M. A.) che documentano visivamente sia il degrado sia la vita quotidiana nel quartiere Grotte.
Di queste foto, con il commento dello stesso dott. Liddo, le più espressive sono:
S.Liddo: Foto n.°17: Caotica disposizione di suppellettile entro spazio breve /
Foto n.°24: Aspirazione di decoro fra la miseria delle mura e la nudità del pavimento - Foto Malgherini-Attimonelli.
S.Liddo: Foto n.°18: Interno d’interrato visto dall’imbocco superiore /Foto n.°19: Interno di una grotta
Foto n.°23: L’umile ordine della povertà / Foto n.° 23: L’umile ordine della povertà / Foto n.°21: Aspirazione d’igiene nel tormento dello spazio - Foto Malgherini-Attimonelli.
Mi piace sottolineare le scene riprodotte in due foto.
La foto n. 20 [qui subito sotto] ritrae il fronte di un’abitazione prospiciente su un “cortile”, ubicata a piano terra con al lato un vano interrato adibito a stalla. La facciata è degradata, la porta di accesso al piano interrato è munita di un arco pericolante, davanti all’ingresso dell’abitazione sventola una tenda. È giorno, “gli uomini” sono al lavoro nei campi, le donne restano in casa per il disbrigo di tutte le faccende domestiche. La signora della foto, “di prima mattina” ha “messo fuori” dalla stalla la capra ed una fascina di legna secca prelevata da un contenitore-mangiatoia di legno. Quando sua figlia si è svegliata la signora, ancora con la camicia da notte, le calze lunghe bianche e le pantofole, ha portato fuori porta una sedia e, con il figlio piccolo in braccio, ha cominciato a spidocchiare la bambina. Era questo un rito quotidiano che tutte le mamme del quartiere svolgevano per tenere lontano dalla testa dei propri figli i parassiti che nella notte invadevano i capelli.
Foto n.°20: S.Liddo: Vita domestica svolta all’aperto per l’angustia dell’abituro / Foto n.°22: Modesto spazio con fogna statica - Foto Malgherini-Attimonelli.
La foto n. 22 [qui sopra a destra] ritrae un cortile più ampio, una vera e propria piazzetta, e i frequentatori sono i bambini, scalzi, che giocano sul basolato sconnesso, proprio al di sopra di una caditoia di fogna a cielo aperto. Non hanno né palla né cerchio né altro attrezzo di gioco, tuttavia, sorridono al fotografo. In lontananza una bimba accorre, mentre la madre discretamente si sporge appena dall’arco della porta di ingresso della sua abitazione. Sulla destra, un sottano con tenda, una veste appesa ad asciugare ed una sedia per riposarsi, per “prendere il sole”, per spidocchiare i bimbi.
Considerata la grande valenza sociale dell’indagine svolta dal prof. Salvatore Liddo, l’Istituto di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università di Bari presso cui lavorava decise di pubblicare una sintesi dell’indagine nella Rivista “IGIENE E SANITA’ PUBBLICA, Volume IX, nn. 5-6, maggio-giugno 1953.
Ritengo utile riportare questa sintesi perché oggi il lavoro del Prof. Salvatore Liddo è poco conosciuto e merita di essere letto per prendere coscienza dello stato disumano in cui si viveva nel quartiere grotte, forse fin dal momento dell’assegnazione del sito agli abitanti del “Vico” di Trimoggia.
ISTITUTO D’IGIENE E MICROBIOLOGIA DELLA UNIVERSITÀ DI BARI
Direttore: prof. G. S A N G I O R G I
―――――――
LE “ GROTTE DI S. ANDREA ” IN ANDRIA
(Inchiesta igienico-sociale)
dott. SALVATORE LIDDO“Andria, il più grosso centro rurale d’Italia, ha una popolazione di circa 70.000 abitanti e una massa notevole di cittadini allocata, complice la miseria, in abitazioni anguste e malsane. La popolazione contadina bracciantile è accentrata in città e nulla è stato mai tentato per decentrarla nel vasto territorio circostante (circa 40.000 Ha), in modo da far vivere il contadino il più possibile sulla terra che lavora, più rispondente alle proprie necessità di vita sana e redditizia … .
Il problema dell’abitazione s’impone in questo popoloso centro in quanto alle case che rispondono ai requisiti igienici delle vie principali si contrappongono una grande quantità di bassi, oltre a dei tuguri. La parte che interessa di più l’igienista e il sociologo è quella vecchia, che si eguaglia a tutte le altre del meridione d’Italia, con vicoli stretti e casette vecchie, oscure, malsane e sovrappopolate. La parte relativamente nuova interessa anch’essa per il fatto che, pur avendo vie ampie e aerate, i costruttori e i proprietari hanno seguito un criterio costruttivo del tutto rurale, mediante i “lamioni” e alla periferia le “suppenne” (1).
Nella parte vecchia di Andria trovasi un quartiere caratteristico denominato “Grotte di Sant’Andrea” (2), che pur essendo stato bonificato nel 1903, resta una zona tipica paragonabile solo ai celebri “Sassi” di Matera.
Al visitatore desta meraviglia tale denominazione, poiché nulla è visibile esternamente e le case si presentano, se pur misere, eguali a tutte le altre delle zone vicine. Bisogna però entrare in molte di quelle case, e specialmente nei tuguri, perché si affacci alla mente l’arbitraria affermazione che le grotte di formazione naturale, realmente esistenti anche nelle zone adiacenti, fossero state abitate. È certo intanto che in epoca remota fu costruito nell’attuale quartiere delle “Grotte” un complesso disordinato di abituri, con un numero di abitanti di molto superiore all’attuale, e che un certo miglioramento si ebbe allorquando la popolazione eccedente riuscì a sistemarsi nelle zone libere vicine, ormai non più trattenuta dalle mura cittadine.
L’inchiesta che espongo ha avuto lo scopo di rilevare le condizioni igienico-sanitarie di questo antico nucleo abitato. Inchiesta che si imponeva nella speranza, ora divenuta realtà, che venisse impostato una buona volta il secolare problema dello sventramento e della bonifica del quartiere in esame e degli altri, non meno cattivi, della città vecchia.
Inutile dire del labirinto di vicoli e vicoletti con fabbricati addossati fra loro, con abitazioni senza aria e luce, con vani superaffollati, impressionanti per il disordine interno e per la sporcizia che, se è difetto di una educazione igienica degli abitanti, la carenza di spazio e la miseria ne sono i fattori determinanti.
Il rione in esame ha una superficie totale di mq. 7.880 di cui 3.280 rappresentati da spazi liberi (tali spazi sono andati man mano aumentando di superficie per il cedimento di interi isolati), è di forma triangolare con l’apice tronco e si presenta come una grande conca, il cui centro trovasi ad un dislivello di circa 7 m. rispetto alle vie perimetrali.
Questo forte dislivello non permise di far beneficiare gli abitanti della fognatura dinamica, onde le acque meteoriche e quelle domestiche scorrono sulla superficie lastricata dei vicoli e vengono raccolte in tre pozzi neri statici che, pur avendo una certa capacità, hanno bisogno di essere svuotati più volte durante l’anno, e si hanno facili allagamenti delle abitazioni in seguito a piogge torrenziali stagionali.
Riassumo i dati relativi.
a) Lo stato di affollamento delle abitazioni.
Su 227 numeri civici che segnano attualmente i sei vicoli, ne sono abitati 148, tutti gli altri servono ad altri usi. Queste 148 case contengono 176 vani e una popolazione di 626 persone, con 156 famiglie (media 4 persone a famiglia); sicché ogni vano risulta affollato con una media di 3,56 individui – il Censimento del 1951 fece rilevare una media nazionale di 1,33 -. Delle 156 famiglie, 136 abitano un solo vano (87,18%) con 504 persone, 20 famiglie ne occupano due (12,82%) con 122 persone. L’ambiente unico ha un uso multiplo (camera da letto, soggiorno, cucina, latrina, ripostiglio e qualche volta anche stalla).
b) Superficie individuale.
La superficie totale degli ambienti abitati è di mq.3.110 per cui ad ogni abitante spettano in media mq. 4,98; con un minimo di mq. 2 e un massimo di mq. 20 (di regola spettano mq. 8 a testa).
c) Cubatura individuale.
La cubatura totale degli ambienti è di mc. 10.473, in modo che ogni abitante spettano in media mc. 16,73. In linea di massima questa quota capitaria può essere considerata sufficiente purché gli ambienti vengano usati soltanto come stanza da letto, con adatta ventilazione e illuminazione naturale, cosa che non succede per gli ambienti in esame, come si vede appresso al par. d.-
d) Luce Naturale.
Inutile dire che la distribuzione delle aperture degli ambienti (porte e finestre) ha una grande importanza per la ventilazione e la illuminazione naturale. Per il quartiere in esame i 176 vani sono così distribuiti:
- –Vani sufficientemente illuminati e aerati da
finestre e balconi n. 29 = 16,47 %- –Vani insufficientemente illuminati e aerati
(piccole finestre) n. 87 = 49,43 %- –Vani senza finestre (unica apertura la porta) n. 60 = 34 %
per cui più di 4/5 delle abitazioni non usufruiscono i benefici dell’aria e della luce naturale.
e) Ambienti umidi, lesionati o pericolanti, a soffitta, tuguri
Ambienti umidi: rilevati per la presenza di evidenti infiltrazioni di acqua 83 vani (47,16%), abitati da 296 persone (47,28%).
Vani lesionati: n. 14 (7,95%); vani lesionati e pericolanti: n. 28, con lesioni tali da mettere in serio pericolo la vita di 116 persone.
Vani a soffitta: n. 27, abitati da 110 persone. Le soffitte sono mal difese da tettoie disadatte e sgangherate, che lasciano infiltrare l’acqua. Fra le tavole pullulano insetti immondi.
Tuguri: n. 27, abitati da 91 persone. Quasi tutti rappresentati da grotte che talora si continuano per lungo tratto sotto forma di caverne.
Cucina
Delle 156 famiglie soltanto 9 (5,77%) possono vantarsi di avere una cucina in ambiente separato e discretamente areato e illuminato; altre 27 famiglie (17,30%) possiedono la cucina in ambiente separato, ma insufficiente alle esigenze familiari per cubatura, aria e luce; le altre 120 (77%) hanno il fuoco nell’unica stanza, spesso senza tiraggio e allora per non affumicarsi improvvisano focolari all’aper to.
Da quanto si è detto quale provvedimento si può suggerire?
Uno solo. Abbattere totalmente il rione, con una saggia opera di sventramento.È possibile farlo tutto in una volta? Ritengo di no per tante ragioni facilmente intuibili. Abbattere subito le casette disabitate e pericolanti, almeno si da aria e luce alle altre, poi le lesionate e abitate con una semplice ordinanza di inabitabilità, previa costruzione in luogo adatto delle cosiddette case minime per contadini. Non è da parlare di case popolari su più piani, come si son costruite in questi ultimi anni, per le particolari esigenze che ha il contadino. Bisogna decentrare il più possibile su aree libere, dotando ogni casetta dell’orticello, sul tipo di quelle già costruite nella stessa città di Andria al “tratturo” e che hanno dato buona prova.
A chi affidare l’iniziativa dello sventramento? Non è da parlarne di iniziativa privata, poiché lo sventramento dei vecchi ed addensati abitati non può essere attuato neanche dalla amministrazione cittadina o provinciale, per le enormi spese di esproprio e di abbattimento delle case vecchie, di esproprio dei suoli e costruzione delle nuove case. Solo lo Stato è in grado di farlo ed ha il dovere di intervenire per ragioni morali, sociali ed igieniche; e siamo sulla buona strada.
Il problema più importante di Andria è questo delle” Grotte di Sant’Andrea” seguito a breve distanza da quello dello sfollamento del centro cittadino, per poter cosi rendere completo il decentramento dei contadini che l’affollano, anche perché il contadino sente di essere legato alla sua terra”.
Quando il prof. Liddo dice che bisogna decentrare il più possibile su aree libere la realizzazione delle nuove case, “dotando ogni casetta dell’orticello, sul tipo di quelle già costruite nella stessa città di Andria al «tratturo» e che hanno dato buona prova” si riferisce ai “Villini” costruiti sulla fascia del Tratturo Barletta – Grumo di Via della Pineta (Foto -25-).
Foto n.°25: R.Ruotolo: Tratturo Barletta-Grumo su via della Pineta. Villini per gli abitanti delle Grotte.
Il Sindaco di Andria Senatore Onofrio Iannuzzi, letto il lavoro meticoloso effettuato dal prof. Salvatore Liddo, valutato il grande apporto che l’indagine d’igiene sociale svolta dava alla risoluzione del problema Grotte, documentando inequivocabilmente le condizioni di vita degli abitanti del quartiere, a spese dell’Amministrazione Comunale fece pubblicare, con il permesso del prof. Liddo, l’intera indagine completa di allegati e fotografie dalla Scuola Tipografica dell’Istituto Provinciale Apicella – Molfetta 1953.
Nella stessa Rivista, il Direttore dell’Istituto di Igiene e Microbiologia della Università di Bari prof. Giuseppe Sangiorgi, pubblicò un articolo dedicato all’indagine svolta dal suo Aiuto prof. Liddo, intitolato COMMENTO A UNA INCHIESTA IGIENICO-SOCIALE SU LE GROTTE DI “S. ANDREA” IN ANDRIA.
A parte il tono un po’ datato del linguaggio, il prof. G. Sangiorgi così si esprime:
COMMENTO A UNA INCHIESTA IGIENICO-SOCIALE
SU LE GROTTE DI “S.ANDREA, IN ANDRIA
prof. GIUSEPPE SANGIORGI“È un’inchiesta portata a battesimo dall’Istituto della Università di Bari, affidata al mio Aiuto prof. Liddo, resa testé di pubblica ragione dall’Amministrazione Jannuzzi e con uno stampato ricco di documentazioni fotografiche che fanno degna ala all’esposizione di tutta una miriade di dati raccolti con certosina pazienza ma soprattutto con una appassionata comprensione per l’annoso problema della redenzione dell’abitato di Andria. Inchiesta che non si è perduta, colla aridità delle cifre, fra le cose destinate all’archivio, ma un’inchiesta nobile ed umana che si è tradotta in atto con un risultato “vivo” se è vero ch’essa è venuta incontro al popolo agitando la bandiera della più santa delle crociate: la crociata per la casa al posto del tugurio, la crociata per una casa degna di esser tale come nido di confronto fisico e morale, la crociata per quella casa che l’organizzazione sociale moderna di un Paese civile non può reclamare per tutti i suoi cittadini soprattutto per i più diseredati!
Chi non conosce le “Grotte di S. Andrea” di Andria? Altrettanto negativamente celebri come i “Sassi” di Matera! E conoscendole, non c’è forse qualcuno che non si domandi come mai per secoli abbia potuto sussistere cotanta vergogna e in centro abitato da uomini e come mai data l’eloquenza di tanti fatti così spaventosamente repellenti per la dignità di migliaia di creature si sia finalmente sentito il bisogno di denunziarli attraverso uno studio scientifico? C’era proprio bisogno che intervenisse l’Igiene a denudare una simile tragedia se la tragedia è “vista”, “sentita”, “vissuta” da tutto un popolo e da un popolo “illetterato”?
Ma tant’è … Perché è destino delle nostre cose, quello di essere chiamati nel momento della massima tensione dell’arco, per scuotere negligenze ed apatie, per ravvivare coscienze torpide, per commuovere gli animi quando si tratta di raggiungere un obbiettivo specialmente a carattere sociale come questo! E del resto, per riferirci alle cose di Puglia, quando e quanto non lottarono politici, sociologi, igienisti per abbeverare la Puglia sitibonda? Gli è che, prima di raggiungere l’obbiettivo, occorre aspettare che uomini e circostanze, coll’aiuto di Dio, felicemente coincidano, gli uni colla compressione e colla buona volontà, le altre col concorso del vento propiziatore economico che propina i mezzi. E di solito son mezzi che propina lo Stato, quello Stato che, in tutti i regimi, fatalmente si muove lento, pesante, centellinatore nelle somme e nel tempo. Sicché l’Igiene è orgogliosa di esser stata chiamata a far da “regista” in un’opera come questa che ai più può apparire un’opera soltanto politica. Comunque, mai come nel caso della redenzione di un abitato, igiene, politica, sociologia, economia si son viste e si vedono apparentate in una lotta come questa che come “lotta al tugurio” e lotta contro la miseria, la malattia, la criminalità e soprattutto (perché tacerlo?) lotta contro le malsane evasioni dalle oneste ideologie. Questo, al pari della redenzione dei “Sassi” di Matera, è oggi il caso della redenzione delle “Grotte” di Andria.
È necessario insistere qui, sulla pista di questi esempi nostrani, sul significato della parola “redenzione” e, aggiungo, redenzione “igienica” di un abitato?
In fondo qui c’è l’uomo misero abbrutito dall’ombra, dalla avarizia dello spazio, della promiscuità dei sessi, dalla coabitazione degli animali, dal nefasto sudiciume che reclama finalmente, spazio, pulizia, luce, luce, luce! E chissà quante volte i miseri diseredati, pur adattatisi con cristiana rassegnazione a tante spaventose carenze che offendono la dignità umana, non avran pensato all’universale popolare proverbio che “nella casa nella quale arriva il sole, non giunge il medico” o all’altro “nella casa linda vita lunga”?
Ma retorica a parte, un fatto è certo: la formazione di un saldo spirito nazionale è intimamente legato alla casa. E in tesi generale un cittadino più saldamente si attacca alla casa e più saldamente la difende quando questa ha un reale significato di nido degli affetti e della pace. Cosi che la casa forma nella sua completa realtà l’immagine tangibile della Patria. Altrettanto si dica nei rapporti morali: la casa nella sua significazione materiale di dimora è un elemento di moralizzazione e non occorre un grande intuito per comprendere che si vivrà più aderenti alla casa quando questa nella sua espressione estetica agisce da richiamo e da legame per gli individui che in essa devono abitare. Non parliamo poi del significato che la casa assume nei diretti rapporti con la salute. Basterebbe relegarsi nell’elemento basale, la luce, per sintetizzare la salubrità della casa. E in sostanza snidare migliaia di persone dai tuguri vuol dire corsa verso la luce, vuol dire anche e soprattutto difesa contro tutta una gamma di malattie che menomano la resistenza del corpo. Prima la tubercolosi.
E già 14 famiglie han lasciato S. Andrea per allogarsi in un quartiere nuovo di zecca ai margini di Andria, in piena campagna là dove la luce appunto è il primo grande elemento depurativo della salubrità iniziale della casa nuova, della (vera) casa. Avranno, cosi, finalmente di che sollevarsi, di che vivere una vita nuova, di che gioire, specie se avranno una casa per sé. Perché, checché se ne pensi dal punto di vista economico, l’ideale dell’abitazione in una casa “singola” è il vero ideale che un uomo persegue. La casa isolata assume un significato personale, è veramente compagna della nostra personalità e diventa una specie di oasi in mezzo alla vita collettiva nella quale ciascuno di noi sente nettamente il suo io, specie se attorno alla casa c’è un vallo di verde chiamato a fungere da polmone depuratore dell’abitazione.
Ma se ragioni speciali (e sono le economiche che di solito affiorano!) impongono le case a caserme (come la civiltà moderna vuole in tutti gli angoli del mondo!) si facciano pure le grazie alle case collettive perché oggimai la tecnica sanitaria, auspice l’Igiene, è in grado di approntare i più insperati conforti.
Lo sappiano questa prime famiglie trasmigranti da S. Andrea che, con uno spettacolo soffuso di bellezza e poesia, si portano dalle stalle alle stelle!
E in questo loro passaggio, da secoli auspicato ed atteso, le accompagni l’augurio di un igienista, l’augurio che la nuova dimora sia loro fonte di gioia, di benessere e di vita lunga e felice!”
Il Prof. Liddo e il Prof. Sangiorgi citano spesso i “Sassi di Matera” nei loro scritti. Ricordo che negli anni Quaranta e Cinquanta i concetti di recupero, restauro e ammodernamento, non erano ancora entrati nella cultura della conservazione, anche perché altre gravi problematiche si erano affacciate: la guerra con le sue distruzioni e la complessa operazione della ricostruzione.
Oggi qualcuno non approva le scelte fatte negli anni Cinquanta dalle Amministrazioni del Comune di Andria pensando che si poteva operare un recupero come quello effettuato per i Sassi di Matera. Però, un parallelo del genere è quasi improponibile perché i Sassi di Matera e le Grotte di Sant’Andrea sono due insediamenti completamente diversi, sia perché diverse le origini storiche, sia perché diverse le tipologie costruttive, sia perché diverse, soprattutto, le caratteristiche geologiche e topografiche dei due luoghi.
I Sassi risalgono all’epoca neolitica, cioè l’uomo ha abitato in essi fin da parecchi millenni a.C. e ciò è sinonimo di sito con certe gradevolezze dell’abitare, sia perché sono ubicati sul versante abbastanza ripido di un colle e questo significa molta ventilazione e rapido scorrimento a valle delle acque, sia perché la costruzione a gradoni permette al sole di affacciarsi in tutte le case. Le Grotte di Sant’Andrea, invece, erano ubicate in un catino, piuttosto piccolo di diametro, sottoposto di circa sette metri rispetto alle strade circostanti di Via Federico II di Svevia e Via Cristoforo Colombo; di conseguenza mancava quasi del tutto la ventilazione e il sole raramente poteva entrare negli usci. Di conseguenza, la qualità della vita dei Sassi era accettabile, quelle delle Grotte di Sant’Andrea del tutto inaccettabile. Anche la natura geologica del terreno è completamente diversa: piuttosto rocciosa e compatta quella dei Sassi che, quindi, favoriva la stabilità delle costruzioni; di tipo tufaceo e alluvionale quella delle Grotte di Sant’Andrea che, di conseguenza, produceva instabilità alle costruzioni realizzate su di esse, instabilità alimentata anche dalla ristagnazione delle acque che difficilmente potevano defluire verso l’antico letto del “Flumen Aveldium” essendo la zona sottoposta rispetto alle strade circostanti e che finivano per infiltrarsi nelle fondazioni e creare anche copiose umidità di risalita.
Nel mio archivio personale ho rintracciato alcune foto che riguardano proprio il quartiere Grotte, scattate sempre dallo studio fotografico Malgherini Attimonelli negli anni Cinquanta.
Foto n.°26: Squallido arredamento di una stanza da letto tra muri sporchi e fatiscenti / Foto n.°27: Un angolo di casa con comò e lume a petrolio
Foto n.°29: Angolo di una stanza da letto con secchi per raccogliere l’acqua dal tetto / Foto n.°30: Giacigli di fortuna sul pavimento - Foto Malgherini-Attimonelli.
Sono cinque foto inedite e la più significativa ritengo sia la [seguente] n. 28.
Foto n.°28: Abitazione messa a nuovo per il primo compleanno della bimba. - foto Malgherini-Attimonelli
Raffigura “l’appartamento” di un nucleo familiare, composto da una sola stanza, senza giaciglio per animali, messo a nuovo per la festa di battesimo della figlia. La signora è giovane, vestita elegantemente. I mobili sono impellicciati in radica di noce, come si usavano negli anni Trenta e Quaranta, sul comò c’è la bambola e sulla parete di testata del letto il quadro della Madonna col Bambino. È una casa fortunata perché ha la luce elettrica. Il vano ha la volta a botte molto ribassata, la luce naturale entra solo dalla porta d’ingresso. Sulla parete laterale è presente il tavolo da pranzo con le prolunghe ripiegate ed è pieno di grossi pani che dovevano essere sufficienti per una quindicina di giorni. Lo specchio è affisso sulla volta curva accanto ad un ripiano per poggiare alcuni oggetti. Di tutte le case delle Grotte fotografate dallo studio Malgherini Attimonelli, questa sembra essere di “un altro pianeta” tanto è pulita.
Però: che tristezza!
NOTE
(1)
Il lamione è il basso di altre località, costituito da un unico vano, talora abbastanza ampio, con volta in muratura e che ospita carro, bestie e uomini.
La suppenna è un tipo di casetta ultraeconomica che per fortuna non si fabbrica più e se ne vedono ancora alla periferia della città.
La suppenna ha muri perimetrali quasi rustici, tetto con tegole, pavimento con basole e talora di terra battuta.
(1) A quanto si dice le “Grotte” rappresentavano il nucleo originario della città e furono poi abitate dai cosiddetti “frascari”, miseri venditori di fastella di frasche fresche e secche. Il rione diviso in 6 vincoli.