La Cattedrale di Andria non è uno dei grandi edifici romanici che rendono orgogliosa la Puglia. A partire dal XV secolo, aggiunte su aggiunte, e anche una parziale ricostruzione (D’Urso parla di un crollo della chiesa superiore), hanno fatto scomparire l’antica chiesa salvo pochi resti. Il visitatore che entra nella cattedrale attraverso il vestibolo eretto nel 1844 entra in un’aula a tre navate, circondata su entrambi i lati da cappelle. Le navate, irregolari e storte, non hanno la stessa larghezza, come erroneamente afferma Schulz (13), ma hanno quasi la stessa altezza, tanto che la navata centrale non riceve alcuna illuminazione indipendente. Tre archi a sesto acuto aprono in un transetto molto profondo, ma non ampio, diviso trasversalmente da un enorme arco a sesto acuto. Il coro rettangolare si trova tra ambienti comunicanti. Pannelli barocchi ora ricoprono l’interno. Sotto l’intonaco dell’ingresso del palco dell’organo, che deve appartenere alla prima metà del XIII secolo, è stata recentemente scoperta parte di una finestra bassa e binata. All’esterno si conservano resti del periodo romanico sotto forma di un leone e un rilievo raffigurante un vescovo. Le parti superiori del campanile mostrano antiche forme gotiche (14).
Le notizie sulla storia edilizia non vanno oltre il XV secolo. Solo alcune informazioni fanno ritenere che l’edificio fosse molto più antico. Nel 1779 nella cattedrale fu scoperta una colonna con un’iscrizione, che viene interpretata come la tomba della contessa Emma, figlia del conte Gottfried da Conversano e moglie di Richard, figlio del primo conte di Trani. La colonna venne poi portata al Palazzo Caraffa; La sua attuale ubicazione non mi è nota. H. W. Schulz presenta l’iscrizione senza l’anno 1069 data dal d’Urso; è discutibile se l’abbia vista lui stesso (15). Altrettanto incontrollabile è l’altra notizia raccontata dal d’Urso secondo cui una campana, realizzata da un certo Pantaleone nel 1111, fu rifusa nel 1400.
Nelle parti conservate della chiesa superiore, le cui irregolarità erano già state notate dal d’Urso – le chiama quindi barbariche e gotiche e le colloca in epoca normanna – non vi sono resti che risalgano al XIII secolo. In sostanza sembra trattarsi di un nuovo edificio progettato dal vescovo Antonio Giannotti († 1463), “cuius industria haec ecclesia refecta est”, come recita l’epitaffio. Sotto i suoi successori Martin de Soto Majore di Siviglia († 1477) e Angelus Florus († 1495), secondo i loro epitaffi, furono apportati molti lavori agli interni. Sotto quest’ultimo dovrebbe essere stato costruito il grande arco a sesto acuto [forse Spitzbogen e non Schwibbogen], la cui costruzione da una recente iscrizione è attribuita ad Alessandro Guadagno da Andria nel 1494 (16). Dopo questo periodo di vivace attività artistica, solo nel XVII secolo le imprese dei vescovi furono nuovamente lodate sulle lapidi. La storia della costruzione si conclude con l’apertura del nuovo vestibolo nel 1844.
[Fig. 1. Pianta della chiesa inferiore di Andria.]
Gli archi della cinta e quelli trasversali si estendono quindi da questo sistema di supporto. Questi archi sono in pietra, gli inizi dei colmi della volta dove si incontrano gli archi di cinta e trasversali sono scavati nello stesso blocco, mentre le volte continuano ad essere costituite da strati irregolari di strette lastre di pietra.
Il vestibolo appare nello stato originario ad eccezione della parete d’ingresso (ovest); Qui un tempo c’erano due ingressi, uno dei quali murato ma ancora visibile; l’altro è ora completamente chiuso da un muro, la colonna tra di loro è nella muratura. Considerata la scarsa tecnologia delle parti vecchie e di quelle più recenti e la somiglianza dei materiali, è difficile qui, come in altri luoghi, esprimere un giudizio preciso sull’entità di eventuali modifiche successive.
In ogni caso, queste modifiche al portico furono insignificanti rispetto al profondo rifacimento della chiesa.
Quest’ultima, più larga di soli due metri circa rispetto al vestibolo (1,25 m sul lato nord, 0,82 m sul lato sud),
era divisa da una serie di sostegni centrali in 2 navate, ciascuna con quattro colmi a volta.
Di questi supporti si è conservato solo l’ultimo, il pilastro quadrato dietro l’altare (tav. III):
non è chiaro se anche gli altri avessero la stessa forma di pilastro.
Il fatto che davanti alla cisterna,
che qui fungeva da basamento, sia stato rinvenuto un capitello dorico di epoca romana (Fig. 2), parla a favore dell’ipotesi di colonne.
Qui la realizzazione delle volte era ancora più primitiva che nel vestibolo: mancavano tutte le parti in pietra,
solo strati irregolari e incrociati di pietrisco ovunque!
Sul muro di cinta le volte a crociera poggiavano su lastre di calcare leggermente sporgenti.
Questi contrafforti sono posti un po’ più in basso rispetto a quelli del vestibolo, il che significa che anche il pavimento,
escluso il presbiterio, era un po’ più basso. Anche l’abside semicircolare era coperta da volte a vela.
La luce veniva fornita alla chiesa da due finestre semicircolari nell’abside e da tre finestre nella navata sud.
Intorno all’abside si estendeva il coro, di cui ci rimangono resti; l’altare si trovava davanti all’ultimo pilastro ed è stato conservato nella muratura successiva;
il possente piano del tavolo inclinato, largo 1,37 m, poggia su un pilastro rotondo con una circonferenza di 1,72 m.
Immediatamente davanti all’altare si trova una cisterna di forma conica e profonda circa cinque metri;
i canali le fornivano, da entrambi i lati, l’acqua necessaria per il battesimo.
Le alterazioni deturpanti della chiesa inferiore risalgono ad epoche diverse.
Innanzitutto furono rimossi la maggior parte dei sostegni centrali e le volte a crociera;
al loro posto furono collocati tre robusti pilastri collegati da archi, dai quali si estendono volte a botte piane fino alle mura di cinta.
Il pilastro dell’altare originale e l’altare furono incorporati nell’ultimo di questi pilastri.
In epoche successive, quando la chiesa inferiore non ebbe più alcun uso ecclesiastico, fu eretto un pilastro di sostegno informale, ora rimosso,
per sopportare la pressione delle volte e del sopraelevato pavimento della chiesa superiore;
altre modifiche ancora insignificanti sono legate all’uso dell’ambiente come ossario.
Abbondanti sono gli accessi. In prossimità dell’abside, un corridoio a galleria conduce ora dalla navata sinistra ad un piccolo ambiente laterale,
la cui parte inferiore è antica e forse un tempo fungeva da sagrestia.
Una ripida scalinata la collega alla chiesa superiore (ora smontata); le ossa furono portate qui per la sepoltura nella cripta fino al XIX secolo.
In generale, le volte delle tombe sembrano contigue alla chiesa inferiore in ogni lato. Immediatamente accanto alla scala principale,
che scende con 16 gradini dalla chiesa superiore alla navata destra della chiesa inferiore, si apre un vano voltato,
dal quale si dirama un altro vano voltato non scavato, nel quale si vede un pezzo di architrave murato.
Un’altra notevole apertura è nella navata destra, in prossimità dell’abside; sono inoltre presenti diverse aperture che immettono direttamente nella chiesa superiore.
Nella sua crudezza architettonica, con l’assoluta mancanza di qualsiasi decorazione plastica,
la chiesa inferiore di Andria avrebbe potuto fare un’impressione accettabile solo se le pareti e le volte si fossero trovate ricoperte di intonaci e dipinte.
Esistono infatti sufficienti tracce che dimostrano che la chiesa inferiore fu dipinta non una sola, ma più volte;
naturalmente si tratta per lo più solo di tracce che precludono qualsiasi ulteriore indagine.
Solo dietro il pilastro più recente in cui è integrato l’altare (Fig. 3) è stato scoperto un grande pezzo del dipinto originale ben conservato,
chiaramente visibile mediante luce elettrica; si trova nello spazio tra il pilastro originale e il detto rinforzo più recente e raffigura un Cristo in piedi di cui sono perduti la testa e i piedi.
La figura risalta su uno sfondo blu e sotto una linea di demarcazione bianca su uno sfondo marrone.
Cristo è vestito con una tunica bianca con sfumature azzurre, decorata con una striscia rossa sulla spalla destra e un bordo della manica,
tra due orli neri bordati di bianco, una striscia gialla con quadretti marroni e punti bianchi.
Sopra la tunica indossa il pallio marrone scuro, ravvivato da luci azzurre, ombre nere e punti bianchi.
Cristo tiene la mano destra benedicente davanti al petto con il gesto greco: il pollice tocca la punta del mignolo.
Nella mano sinistra tiene il libro aperto con l’iscrizione (frammentaria): “Lux ego sum mundi
(18)
ñ it p”
(19)
su fondo blu.
Quando dopo la ristrutturazione della chiesa inferiore l’immagine di Cristo dietro al pilastro rinforzato scomparve e la maggior parte degli altri dipinti furono distrutti,
fu eseguito un nuovo dipinto, la cui estensione è difficile da valutare poiché sono sopravvissuti solo resti molto minori.
L’immagine principale si trovava apparentemente di nuovo davanti al pilastro (rinforzato) dell’altare:
almeno credo di vedere lì i resti di una Madonna in trono, che, significativamente, aveva preso il posto dell’immagine di Cristo.
Sembra che siano stati conservati pezzi del mantello rosso che scorreva sopra la testa e le spalle, così come il trono decorato con viticci che fungeva da seggio di Maria.
La base era blu con un bordo rosso.
Naturalmente, qui non si può andare oltre le ipotesi generali e il compito di determinare l’età di questi dipinti sembra del tutto ingrato.
In ogni caso dimostrano che la chiesa inferiore continuò ad essere utilizzata per scopi ecclesiastici anche dopo la ristrutturazione,
tanto che non si può parlare di distruzione o sepoltura da parte degli Angioini.
Infine, tra le macerie della cripta furono rinvenuti alcuni blocchi dipinti.
A giudicare dal materiale – sono tufo – queste pietre non potevano far parte della costruzione della cripta, che non utilizzava il tufo né nei pilastri né sulle volte;
dal punto di vista stilistico i dipinti sono certamente pre-angioini.
I pezzi principali sono descritti di seguito:
1) Pezzo di testa di angelo alato. il capello è castano, il nimbo è giallo, le ali sono marroni, la base è rossa, a sinistra c’è un pezzo di base viola con una macchia nera (Fig. 4).
2) Pezzo di manica grigia con polsino giallo, da cui spunta una mano che tiene un oggetto verde e rosso? Accanto alla manica è rosso e nero.
3-4) Due pezzi di cornice; la parte anteriore è striata di grigio e nero, la pagina inferiore è rossa con fogliame scuro, con strisce bianche chiare su entrambi i lati.
5) Un pezzo di terra rossa con due punti neri.
6) Un pezzo di terreno nero, accanto al quale c’è un residuo di vernice verde, a destra una striscia di bordo gialla con un motivo bruno-rossastro.
7) Un grande pezzo nero con rosette rosse, anch’esso dipinto sul lato stretto sinistro.
8) Un pezzo su cui linee rette formano una divisione della cornice, in nero, giallo e bianco.
Il risultato più importante degli scavi ad Andria è la scoperta di una chiesa inferiore almeno più antica della sovrastante cattedrale Hohenstaufen.
I risultati mostrano che questa chiesa inferiore non era un complesso di cripte.
Non solo la pianta si discosta completamente dalla tipologia delle cripte romaniche pugliesi,
per le quali è la regola un complesso a più navate con larghezza sotto il transetto e il coro della chiesa superiore,
quanto anche l’illuminazione attraverso finestre nell’abside e su un lato lungo testimonia l’indipendenza dell’edificio.
Oggi, naturalmente, a causa dell’elevazione del terreno, la chiesa inferiore si trova al di sotto del livello stradale;
in passato sarebbe stata, se non del tutto, in gran parte sopra il suolo naturale.
Determinare l’epoca è molto difficile. Come accennato, l’edificio è così rozzo e povero che manca ogni ornamento scolpito. Tali sistemi non sono rari nel Sud Italia. Bertaux (20) caratterizza un gruppo di cripte abruzzesi con parole che valgono anche per il nostro edificio: sono “costruzioni di barbara brutalità: gli spessi archi di cintura delle loro volte a crociera costolonate poggiano su pilastri le cui distanze sono irregolari, i cui diametri disomogenei, le cui altezze e le forme stesse sono diverse; a volte le colonne non hanno base, a volte come base serve un capitello invertito.”
Bari conserva ancora numerose strutture sotterranee che risalgono ad epoca antecedente alla distruzione normanna.
La più antica tra queste è la chiesa di S. Pietro, oggi situata sotto il giardino dell’Ospedale Civile, a forma di croce greca irregolare.
Resti più recenti di pitture murali fanno supporre che il complesso di origine greca (basiliana?) sia poi appartenuto ad un insediamento benedettino.
I resti di un grande monastero benedettino sotto l’odierna chiesa di S. Michele e sotto gli edifici limitrofi
offrono ulteriori testimonianze per il confronto con la chiesa inferiore di Andria. Sotto la stessa chiesa troviamo una cripta
che non sembra più essere stata conservata nella sua interezza. Nell’esecuzione tecnica, soprattutto nell’opera dei capitelli,
essa ha già superato di molto il livello della chiesa inferiore di Andria, alla quale somiglia però nella struttura a due navate e nella volta a crociera.
Sotto il vicino edificio del Genio militare è però ancora conservato un corridoio, le cui parti originarie si avvicinano molto alla tecnologia del vestibolo di Andria
(21).
Naturalmente, data la rozzezza primitiva della tecnologia, non si può parlare di una datazione esatta di questi edifici sulla base di osservazioni critiche in termini di stile.
Quello che è certo è che appartengono ad un periodo antecedente allo sviluppo dello stile delle cattedrali romaniche in Puglia, probabilmente ai secoli X e XI.
La chiesa di Bari sarebbe appartenuta ad un monastero benedettino, e lo stesso potrebbe valere anche per la chiesa inferiore di Andria.
Nel 1120 Papa Callisto II
(22)
confermò ai Benedettini del Vulture la proprietà della Chiesa del Salvatore e di San Nicolaus ad Andria, e
nel 1175 Alessandro III
(23)
confermò all’abate Filippo la proprietà della Chiesa del Salvatore ad Andria.
Da queste bolle forse è nata l’affermazione che la chiesa inferiore del duomo di Andria fosse proprio questa chiesa del Salvatore.
C’è anche una somiglianza con la chiesa benedettina di Bari e l’immagine di Cristo sopra l’altare; in questo contesto è preziosa anche la versione latina, e non greca,
dell’iscrizione sul libro.
Stilisticamente, non c’è nulla di sbagliato nel collocare questo dipinto murale nel XII secolo, per quanto si possa giudicare il poco che è sopravvissuto.
L’unica difficoltà è che siamo costretti a supporre che la Chiesa benedettina fosse allo stesso tempo, o divenne successivamente, la Chiesa episcopale.
Sono domande a cui difficilmente è possibile rispondere con certezza data la scarsità di notizie su Andria e sui suoi vescovi.
Come sappiamo poco della storia della chiesa inferiore fino alla costruzione della chiesa superiore, così non possiamo determinare la datazione della successiva ristrutturazione. Sopra abbiamo menzionato qualcosa che supporta l’ipotesi che la cattedrale sia stata costruita nel periodo degli Hohenstaufen. Sarebbe stato naturale che durante questo periodo di massimo splendore di Andria si sentisse la necessità di un nuovo edificio o di un ampliamento. Nella chiesa inferiore, ovviamente, non vi sono tracce di rifacimenti avvenuti in questo periodo; una sua scarsa ristrutturazione avvenne probabilmente solo nel periodo di costruzione del XV secolo; il pilastro grezzo di sostegno (che ora è stato rimosso) verrà posto successivamente. In ogni caso la chiesa inferiore continuò ad avere funzioni ecclesiastiche anche dopo la ristrutturazione, come testimonia la ridipintura con l’immagine della Madonna (?) davanti al pilastro dell’altare. Non è possibile determinare per quanto tempo [la chiesa inferiore] rimase in uso; nel XVIII secolo era conosciuta solo come ossario e come presunto luogo delle tombe delle imperatrici.
[traduzione del testo di Arthur Haseloff “Die Kaiserinnengräber in Andria - Ein beitrag zur apulischen kunstgeschichte unter Friedrich II”, Editore Loescher & C.°, Roma, 1905. pp. 7-18.]
(13) H. W. Schulz, Monumenti d'arte medievale nella Bassa Italia, (Dresda 1860) I, p. 150.
(14) In una masseria appartenente all’attuale proprietario di Palazzo Caraffa si trovano alcune colonne che potrebbero provenire dalla cattedrale.
(15) D'Urso, op.cit. p. 49, Schulz, op.cit. p. 151.
(16) Nel testo “Nella Terra di Bari” (Trani 1898) è riportato l'anno 1465.
(17) Una planimetria aggiornata di Bernich in Nap.[oli]. No.[bilissima] XIII. pagina 185.
(18) Cfr. Evangelo di Giovanni 8:12
(19) Non è vero. Il tutto preparato per i versi.
(20) Op. cit., O. I, 525. Le opere di Piccirilli su queste cripte ("Rassegna Abruzzese IV" e "Monumenti architettonici Sulmonesi") mi sono inaccessibili.
(21) Ringrazio la gentilezza dell'Architetto Sig. [Angelo] Pantaleo di Bari per la mia conoscenza di questi edifici.
(22) Jaffé-Loewenfeld, Regesta pontificum romanorum, n.6864 del 1120 ottobre 10. Il brano recita: «confirmamus … in Andro ecclesiam sancti Salvatoris, sancti Nykolai». L’originale è nell’Archivio Comunale di Roma.
(23) Jaffé-Loewenfeld, Regesta pontificum romanorum n.12455 del 3 aprile 1175 (come Callisto II). [Monasterii S. Petri Vultensis possessiones et iura confirmat, petente Philippo abbate. Pflug-Harttung, Iter Italicum, p. 276. – “Religiosis desideriis”]. L'originale si trova in Napoli Biblioteca Nazionale (Or. I Aa 39).