Contenuto


testo estratto e trascritto da

Pagine sparse nella Storia Civile e Religiosa
di Andria

del Can. Menico Morgigni (1853-1932)


I Franceschi del Balzo
Duchi di Andria
non sono due ma tre

Dissertazione storica

Che che sia della genealogia dei Del Balzo, che si fanno discendere dal re magio Baldassare – essi, i feudatarii della città di Andria ebbero un grido per fortezza d’animo, per benemerenza verso di questa Città.

Governarono dal principio del quarto secolo sino alla fine del quinto, in Andria, e sono, nominando quelli che ricordano gli storici, Bertrando Del Balzo detto il Conte Novello, Francesco l, Guglielmo, Francesco II, Pirro.

Io opino però che fra loro, tra Francesco I e Guglielmo, debba intromettersi un altro duca chiamato pure Francesco, il Francesco del testamento dell’anno 1420.

Ecco la mia ipotesi.

Sono indotto a ciò da gravi indizii, e da memorie scritte, coeve o quasi all’epoca, cui si appartengono i personaggi, dei quali qui si ragiona. Né sono sulo, avendo con mc il bollandista Papebrochio. Infatti commentando costui la Historia Inventionis del duca Francesco, ultimo di tal nome, nota che – in titulo Ducali quartum.fuisse Franciscum istum – a cominciare cioè da Francesco l, primo duca di Andria, del quale non è il nipote, dic’egli, ma il trinipote – huius ergo trinepos Franciscus iste est, quem dixi scripsisse Hist. Inven.

Dunque la serie andrebbe così – Franciscus I duxFranciscus II nepos (per morte della prole del primo duca) – Guglielmus bisneposFranciscus III trinepos – che fece l’invenzione del corpo di S. Riccardo e scrisse la Storia di essa.

La cosa apparirà meglio da ciò che si dirà di ciascuno dei tre Franceschi Del Balzo in questa Monografia.

 

FRANCESCO l DEL BALZO (il fiero)
così va detto per l’animo. veramente fiero e per le sue gesta. Fu signore di Andria dal 1357.

Di lui parla. anzi tutto un Codice che si conserva nella biblioteca Vaticana, segnato col Numero 2145 e che contiene lo scritto – De casibus virorum illustrium – di Giovanni Boccaccio.

L’autore di quell’opera ebbe la mira di mostrarcelo come esempio d’una grandezza precipitata in basso. Mi si permetta perciò di rievocare questa figura di uomo, scolpendola in brevi parole.

Fu Francesco I Del Balzo – formositate decorus, liberalitatis morumque compositus; qui si integritatem servasset ut poterat, alios honoribus et dignitate vicisset – (Cod. Vaticano): ma ambizioso, superbo, insofferente, fiero per il comando.

Corse voce, che sua madre Margherita d’Alnèto avesse avuto presagio del genio focoso di suo figlio, alcuni dì prima che fosse nato, poiché il vide in sogno con in mano una face ardente – vidit in Somnis natum scilicet manu gestantem facem … (qua) omnem domum patriamque succendebat. – (Cod. Vat.). –

A suo tempo s’impalmò con la principessa Margherita, sorella a Luigi principe di Taranto e marito di Giovanna I regina di Napoli. Ciò fu causa, che gli fosse concesso il titolo di Duca.

Nel 1363 congiunse in matrimonio la sua figlia Antonia con il Re di Sicilia Federico d’Aragona. Più tardi il figlio di lui Giacomo, per testamento di Filippo principe di Taranto, fu dichiarato erede di quel principato, sotto la tutela di suo padre.

Per simili fortune il duca Francesco, se si elevò a grande stato, divenne perciò più baldanzoso e turbolento. Nelle varie contese or coi Baroni di casa Sanseverino, or con lo stesso Filippo di Taranto, egli sostenne le sue ragioni sempre con le armi alla mano, furiosamente, senza piegar mai ai miti consigli della regina Giovanna.

Anzi chiamò ai suoi stipendii la compagnia di ventura di Ambrogio Visconti di Milano; per la cui ferocia si ebbero a soffrire grandissimi mali nelle nostre regioni – Qua bella, quas effusiones innocentis sanguinis, quas predas, quot quantaque stupra … rapinas, incursiones et incendia! … Appulus sit testis et Terrae laboris incola. – (Cod. Vat.).

Anche il papa Urbano V significò la sua indignazione per così vaste rovine nelle popolazioni – diu prolatata discordia carissimi in Christo filii nostri Fhilippi imperatoris Costantinopolitani illustris et nobilis viri Francisci de Baucio ducis Andriae non solum ipsis … sed ah! toti pene regno Siciliae produxit hactenus et producit detrimenta.Rainaldi, Ann. Ecclcs. Ad ann. 1367.

Messe a tacere le ire con il principe Filippo, il duca Francesco Del Balzo non tardò a romperla con la stessa Regina Giovanna per la successione al principato di Taranto. Anzi apertamente si ribellò e prese le armi, rifiutando qualsiasi consiglio di pace.

“La Regina e il duca d’Andria allora se corrocione,
Perché el duca volea el imperio e volea lo principatu,
Madamma lu abe subito per traditore appellatu.
… … …
Subito che la sententia … fo data
Madamma … granne oste abe voltata,
Sicchè in poco tempo onne soa Terra l’abe levata
El titulo et onne onere che … li fo data.”

Così il Buccio in un suo poema vernacolo, scritto nel medesimo tempo, in cui seguirono gli avvenimenti.

A difesa delle ragioni del duca contro la regina Giovanna, comparve in questa guerra la compagnia d’un eerto Margotto, detta della rosa rossa. Era questa un’infame compagnia di briganti, che correva qua e là per le campagne di Puglia, terrorizzando i popoli con latrocinii, saccheggi ed altri delitti; sin che non fu rincorsa e distrutta dalle armi della Regina e di altri capitani.

Convinto di fellonia, il nostro duca fu dalla regina Giovanna sollennemente dichiarato – nostrae maestatis et reipublicae proditorem notorium, hostem publicum et rebellem – condannato perciò al bando da tutto il regno di Napoli – propter continuatos, scelestos, insolentes et reprobos actus ipsjus Francisci. Diploma 16 ott. 1377, che si conserva nella città di Acquaviva, di cui il duca aveva signoria.

Con la forza delle armi discacciato adunque dal feudo di Andria e da altre terre in Puglia, riparò nella città di Teano, dalla quale dopo un assedio pure fuggito, si fortificò in Montepiloso città di sua pertinenza.

Invano; perciocché – miser factus et in derisum omnium – (Cod. Vat.) per non cadere nelle mani della regina rifuggiò a Messina, indi ad Avignone in Francia presso il papa Gregorio XI, cui si affidò.

La sua rovina trasse in rovina la propria famiglia, perciocché sua moglie Margherita rimasta prigioniera in Teano, di lì a poco morì; sua figlia Antonia respinta dal di lei marito Re Federico, morì di crepacuore in Regio di Calabria; suo figlio Giacomo riparò in Ungheria, ove si pose al soldo di quel Re.

Nell’anno seguente però il duca Francesco con forte esercito di Provenzali fece ritorno nel regno di Napoli, forse con la intenzione di rovesciare la regina Giovanna dal trono e vendicarsi. Sorte volle, che per consiglio e preghiera di Raimondo suo zio mutasse pensiero, ond’egli sciolse l’esercito e ritornò in Francia in attesa di miglior fortuna.

La scrittura nel Codice vaticano moralizzando conchiude così – Vos igitur in summo positi, prospicite, quam misere in superoos fortuna sacviat … Felicitatem quoque vestram temperate modestia, sine qua omne summum tremulum precipitanter corruit.

Morto in fine il papa Gregorio XI, poiché CarIo III di Durazzo s’impadronì del Reame di Napoli, in favore del quale erasi adoperato Francesco Del Balzo, poté costui nel 1382 ritornare nel regno e rientrare nel pacifico possesso dei suoi feudi. – Reg. 1382. 83. p. 290, n. 359.

L’episodio che segue conferma e dipinge al vivo il genio focoso e prepotente del nostro Duca.

Francesco I Del Balzo era Signore di Montepiloso e di altre terre in Basilicata. Ora avvenne, che nel 1370 facessero ricorso a lui i cittadini ed il clero di Montepiloso contro un tal fra Giovanni Priore di Santa Maria Nuova di quella città, per causa delle decime.

A dir il vero, il priore sarebbe stato alquanto irreducibile nei suoi dritti; perciò il ricorso al duca che componesse il dissidio. Il duca, seguendo sua natura, senza tentar alcun ripiego, lo compose a modo suo, cioè con estrema violenza.

Comandò ai suoi soldati di saccheggiare ed abbattere la chiesa di Santa Maria Nuova ed il contiguo monastero; più, di saccheggiare ed abbattere il monastero e la Chiesa di Santa Maria d’Irsi, casale annesso a Montepiloso, ove fra Giovanni erasi rifuggiato.

Questi costernato per tanta sciagura corse ad Andria, a fine di presentare a Francesco Del Balzo le sue giuste lagnanze. Ma il duca lo fece immediatamente arrestare, e caricatelo di catene lo rimandò ad Irsi; dove rinchiuso in orrida prigione, languì, sempre incatenato, per il tempo di mesi ventidue.

Riuscì però all’infelice Priore di evadere da quel carcere; e di paese in paese viaggiando, raggiunse in Avignone il papa Gregorio Xl, cui espose tutta la serie delle sue sciagure.

Il papa allora, ordinata un’inchiesta e trovato vero il fatto, dichiarò scommunicato Francesco Del Balzo ed i suoi familiari. Dalla quale scommunica il duca fu solo prosciolto nell’anno 1376, con Breve del 6 Giugno, allora quando bersagliato da sorte pessima ed avvilito, ancora egli corre in Avignone e cerca rifugio presso quel medesimo papa. Quale lezione!

Questo grave episodio io lo rilevo da sul libro di Michele Ianora – Memorie storiche, critiche e diplomatiche della città di Montepeloso. –

Intanto sin dal 1381 aveva il duca sposato in seconde nozze la nobile signora Sveva degli Orsini, con la quale, passata la tempesta, venne a fare residenza in Andria, feudo principale.

Dopo il padre, anche suo figlio Giacomo entrò in signoria della città di Taranto: ma per poco tempo, poiché rottosi con lo stesso re Carlo di Durazzo, morì durante le vicende guerresche con gran dolore di suo padre Francesco.

Questi allora dolente venne in Taranto, e nella Chiesa di S. Cataldo, da lui stesso costruita, depose le spoglie del suo amato figlio, con un’epigrafe ampollosa, che rivela il carattere di lui –

Hoc tuus Andriae dux Franciscus Baucia proles
Extruxit templum, Iacobi legit ossa Tarenti
Principis, huic mater Caroli de stirpe Secundi
Imperii titulis, et Bauci sanguine claro;
Hic Romaniae et despotus Acajcus, urbes subiecit bello.
     Ann. Domini 1383
.

Cioè – Il tuo Duca di Andria Francesco dei Bauci costrusse questo tempio, ove raccolse le ossa di Giacomo principe di Taranto. Di costui, chiaro per il sangue baucio e per i titoli dell'impero, la madre fu della stirpe di Carlo secondo. Fn desposta di Acaja e sottomise le città di Romania con la punta della spada. Nell’anno del Signore 1383. –

Volgente l’anno 1387, nel Convento dei Templari prima e poi dei Teutonici in Andria il duca Francesco I chiamò i monaci Eremiti di S. Agostino, largheggiando con loro di ospitalità e di quanto bisognasse per l’apertura di una nuova Casa religiosa. [1].

Era il medio evo: nel quale a grandi delitti seguivano grandi esempii di religione, quasi in riparazione del male perpetrato.

Onde il duca meritò una iscrizione, fatta senza dubbio da quei monaci da lui beneficati.

Belligerum ordo Deo haec construxit templa sacrata,
In qua aegris curam struxit et ille domum.
His dein depulsis, pietas suprema Dinastae
Fratribus Eremi haec ipsa colenda dedit,
Ut Fidei nitor et sanctae observantia Legis
Cresceret, ac staret Principis altus amor
.

Non si conosce l’anno della morte di questo Duca, il quale pare che abbia deceduto nella fine del secolo in cui visse. Certo è ch’egli nel 1398 era già morto. Ciò sappiamo per una bolla di Bonifacio IX, nella quale quel pontefice autorizza la vedova duchessa Sveva degli Orsini ad erigere in Andria la Chiesa ed il Convento dei Domenicani.

Si direbbe che quest’opera insigne fosse ideata e fatta per suggerimento di Francesco I Del Balzo a sua moglie Sveva, la quale sembra prelevasse le spese da sui beni lasciatile dal marito in Andria – de bonis sibi collatis in civitate Andrense, recogitans ipsa de animae suae salute, etc. – Così nella bolla di papa Bonifacio IX.

Francesco II del Balzo (il pio)

La duchessa Sveva degli Orsini, dietro il consenso del pontefice ed il beneplacito del priore dei domenicani, pose subito mano ad erigere il chiostro con gli annessi, la Chiesa cioè, il campanile, la campana, il cimitero, il dormitorio, il refettorio, ecc ..

La storia se tace sui nomi dei primi frati domenicani, che vennero ad installarsi, riferisce che sin da principio si ebbe fervore nell’osservanza delle regole.

Qui entra in campo un altro duca pure a nome Francesco Del Balzo, giusta le memorie storiche, successore immediato del primo.

Congiunto di sangue con Francesco I, il quale si morì senza prole vivente e sposandosi con la Sveva degli Orsini ancor giovine, sarebbe addivenuto il secondo duca di Andria.

Ecco la mia congettura, che io credo sia fondata su ragioni plausibili. Vero è, che la bolla di Bonifacio IX del 1398 chiama vedova la Sveva – relictae quondam Francisci de Baucio D. Andriae – designandola dal nome del celebre suo primo marito, ovvero perché in quell’anno non ancora si sarebbe celebrato il matrimonio, di cui sopra.

Nelle Monografie Andriesi di Mons. Merra, Volume II, pag. 23, si riporta una iscrizione sotto il nome di Epigramma, che fu collocata nella Chiesa di S. Domenico, nel tempo dei personaggi di cui ragiono. Il Merra dice, che la prese da su un manoscritto – La famiglia dei del Balzo. –

Ora dalla lettura della iscrizione risulta luminosamente, che fu un uomo molto pio questo duca Francesco Del Balzo; che volle appartenere alla famiglia domenicana, facendosi terziario e portando l’abito in alcuni giorni solenni; che s’interessò molto con l’esempio e con i suoi consigli circa la disciplina della nascente Casa religiosa, sino a divenire quasi l’istitutore di essa.

Ecco la iscrizione:

Ad Excellentissimæ DD. Svevæ Ursini honorem, uxorisque Excellentissimi Ducis Bauci, cuius corpus in hoc Divi Dominici tempio conservatur integrum.

EPIGRAMMA.

Hospitii titulum, titulum fundamina Claustri
E Sveva Ursini religiosa trahunt;
Inde monasterii norman, formæque rigorem
Franciscus Baucius Dux dedit ut monacus.
Hic Tertinus erat Fratrum, et ad tertia raptus
Sidera, non obiit, Paulus ut rapitur.
Extasis ætherea est potius dicenda, viator,
Mors sua, sique silet cœlitus Harpocrates.

Il Merra, nella cui mente non passò il dubbio se fossero tre i Franceschi duchi di Andria, riportando questa iscrizione, crede di trovare un errore là ove espressamente si dice « che la Sveva sia moglie di Francesco Del Balzo, e non avola ».

Sarebbe certo errata la iscrizione, se la si riferisse all’ultimo Francesco, di cui in seguito si dirà. Invece essa riferendosi a Francesco Del Balzo, del quale si discorre in questo paragrafo, va perfettamente bene, non potendo supporsi l’errore in un documento pubblico, scritto da· contemporanei.

Dunque dall’epigramma appare luminosamente, che nell’epoca della fondazione della Chiesa e Chiostro di S. Domenico si viveva in Andria un duca a nome Francesco, marito della Sveva degli Orsini, ambidue fondatori di quella Casa religiosa; la Sveva fondatrice reale dei sacri edifizii, Francesco fondatore morale per la disciplina.

Il qual duca non potendo essere Francesco I, morto innanzi la fondazione del Convento su detto; non potendo identificarsi con l’ultimo Francesco, che io chiamo III, appena nato in quell’epoca, chi non vede che dobbiamo riconoscerlo nella persona di un altro Francesco, intermedio tra i due?

Segue adunque, che la mia congettura ha fondamento di verità.

Si sa, che i domenicani di Andria in ogni tempo hanno serbato imperitura memoria ed una specie di culto, il culto della gratitudine verso quei due coniugi loro benefattori.

Nel coro infatti della Chiesa di S. Domenico, lavorato presso il 1400 secondo il Merra, sui fronti laterali dello stallo del Priore si vedon scolpite a basso rilievo le sembianze dei due personaggi, il duca e la duchessa [2].

Si celebravano eziandio ogni anno dai frati due solenni anniversarii, uno per l’Ecc.ma signora duchessa Orsini fondatrice, l’altro per l’Ecc.mo sig. Duca Baucio fondatore: così nel Teatro dove si rappresentano le entrate del ven. Convento di S. Domenico (curia vescovile di Andria).

Morì questo nostro duca nel 1420, o poco dopo.

Convien dire che grande sì fosse la virtù di lui, da meritare quell’epigramma sovra indicato; da far parere la sua morte un’estasi di cielo o rapimento di spirito – extasis aetherea est potius dicenda mors sua. –

Il suo corpo già imbalsamato fu dai monaci collocato in fondo al coro della Chiesa, in luogo eminente. Gli s’innalzò poi, durante l’anno 1442, un pregevole mezzo busto in marmo, opera dell’insigne scultore Luciano da Laurana.

È vestito da terziario con alcune parole incise intorno al collaretto dell’abito – Ne quid nimis, ne quid nimis – sentenza morale, da lui tenuta forse come norma della sua vita e di quella dei frati domenicani.

Si deve distinguere la tomba anzidetta da quella di Francesco II, la quale era posta nella nave della Chiesa, presso l’altare di Santa Maria dell’Umiltà. Ciò sappiamo dalla storia del Pastore.

Quindi 1a mummia, che nel 1772 fu mossa dal suo posto in coro e trasportata nella sacrestia di questa Chiesa domenicana, che si dice appartenere a Francesco III Del Balzo l’inventore delle ossa di S. Riccardo, non sarebbe in verità se non di questo Francesco II.

Quindi l’epigrafe marmorea ivi apposta sarebbe del pari erronea, essendo stata scritta dai monaci in quell’anno 1772, gran tempo dopo la fine del regime dei Del Balzo in Andria.

Dopo le tante vicende, quei due personaggi sarebbero andati confusi nella mente degli uomini per la identità del nome; scambiati i loro scheletri; confuse le loro memorie. Rimase solo nella memoria il più illustre, quel Francesco Del Balzo, che nel 1438 fece la celebre invenzione delle ossa sante.

Ma è tempo che siano storicamente distinte le due personalità.

Altro argomento in favore del mio assunto, che cioè Francesco II duca di Andria sia un personaggio vissuto, ce l’offre un testamento dell’anno 1420, che va sotto il nome di Francisci de Baucio ducis Andriae.

Se a Francesco I Del Balzo lo si attribuisse; si cadrebbe certo in un anacronismo e si dichiarerebbe apocrifo il testamento. Se a Francesco II ancora vivente in quell’anno, quel testamento allora costituirebbe un vero documento storico medioevale.

Non nascondo il parere di alcuni buoni intenditori, che sia per se falso cotesto testamento, avendo servito, dicono, alla difesa di non so quali dritti d’un ramo della Casa Del Balzo, facendo apparire diseredato il Bianchino figlio di questo duca.

Ma, se pur falso è quel documento, non ne segue che siano falsi i personaggi in esso menzionati; perciocché sarebbe assurdo, che per sostenere un falso si debba ricorrere ad un altro falso.

Spira in esso uno spirito di pietà, che se non si accorda con il genio bellicoso e prepotente di Francesco I Del Balzo, ben si concilia con l’animo mite e buono di Francesco II.

«Come fidele Cristiano – così egli esordisce nel testamento – io raccomando l’anima mia all’onnipotente Dio creatore, et prego la sua Maestà divina che si degni raccoglierla nella gloria eterna, et voglio, comando, che si facciano l’esequie senza pompa alcuna et con quattro torce si accompagna il corpo mio alla Chiesa venerabile, et non più».

Fra una serie di legati fatti a beneficio di quasi tutte le Chiese di Andria, di ospedali, si legge questa disposizione – Item lasso alla Cappella di Santa Maria dell’Umiltà nella Chiesa dei Padri Domenicani oncie sei pro una vice tantum. –

Orbene questa disposizione per se costituisce una prova luminosa, che non si deve il testamento riferirsi al duca Francesco I, non essendo edificati quel Chiostro e quella Chiesa, se non dopo la sua morte.

Trascrivo qui dal D’Urso ["Storia della Città di Andria" Libro V, cap. IX] il testamento nella quasi sua intierezza, incontrandosi. in esso cose di speciale importanza per la conoscenza dello stato religioso di Andria in quei tempi. Il testamento certamente fu scritto in latino, come si vede da parole che sono in principio, ed in fine di esso. Sarebbe stato poi tradotto in testo italiano dai monaci domenicani per maggiore intelligenza.

«Testamentum in scriptis clausum, et sigillatum, ordinatum, et factum per me Franciscum de Baucio Ducem Andriae.

In primo perché l’istituzione dell’Erede è capo e principio di qualsivoglia Testamento, senza la quale il testamento sarebbe nullo; per questo io predetto Francesco del Balzo Duca d’Andria instituisco, et faccio a me Erede universale, et particolare il Signor Guglielmo del Balzo mio figlio primogenito, legittimo, e naturale da me, e dalla Signora Sveva Orsino mia moglie sopra tutti, et qualsivoglia miei beni mobili, et stabili, burgensatici, feudali, titulari, maremme, Monti, presenti et futuri, oro, argento, danari, raccoglienze, animali, intrate, censi, ed altri qualsivogliano dovunque stanno situati, et posti in qualsivogliano consistentino, eccetto all’infrascritti legati, et Fidei commissi:

Escludendo, et eseredando dalla predetta Eredità mia, e successione il Magnifico Bianchino mio figlio, secondogenito, e dalla Signora Sveva Orsino Duchessa mia moglie, poiché esso non solo lo merita perché è uomo di mala vita, et pessima conversatione: et fra le altre conversationi, è, che ave praticato molte volte con Marcantonio Volpone forascito pubblico, et con tutta la sua comitiva: et più che ave praticato con giocatori, et propriamente con Cecco della Monica della città della Cava, che perdisse con esso due cento once d’oro.

Et più nell’anno 1414. avei una infermità grandissima, et volendo io fare testamento, non volse, che a casa mia s’accostasse nulla sorte di Notari, ed ultimamente nella predetta infermità, che al presente mi trovo, ave procurato con astuti tradimenti avvelenarme, e farme morire innanti , che l’ora di Dio sia piaciuto, e per questo intendo che la sua Eredità sia un tarì al giorno et successione un tarì, per quanto li potesse spettare per legittima, e altro jure naturae. Qual tarì lo lascio jure institutionis, etc.

Item come fidele Christiano raccomando l’anima mia all’Onnipotente Dio Creatore, et prego la sua Maestà Divina che si degni raccoglierla nella gloria eterna, et voglio, comando, che se facciano l’esequie senza pompa alcuna, et con quattro torcie s’accompagna il corpo mio alla Chiesa Venerabile, et non più.

Item lascio, ordino, comando al mio Erede, che voglia dare ogni anno oncie trecento di moneta del presente Regno alla Signora Duchessa Sveva Orsino mia moglie carissima, per secondo il grande suo mantenerse, con patto d’abitare nel Palazzo Ducale con detto mio Erede, et di più comando a detto mio Erede che la tratta come si conviene majorem in modum nel vitto per essa, et tutta la sua Corte, Damicelle, Camerarie, serve, et servi et suoi creati, et non volendo Essa far vita con detto mio figlio, sia obbligato a darle altre duecento oncie d’oro per servizio di bocca sua, e sui, con abitazione in Andria, o in Napoli dove li pararà: et declaro che la dota di Essa Duchessa D. Sveva mia moglie fu oncie mille di moneta del Regno come per scrittura fatta per mano di Notar Antonio Cavallieri di Montescaglioso apparet.

Item lasso, ordino, comando a detto mio figlio, et Erede che abbia ad osservare l’infrascritti legati ad unguem in fra due anni e mancando, abbia da pagare in pena alla Chiesa di S. Chiara di Napoli oncie duemila di moneta corrente, et più dopo detta pena, sia obbligato ad osservare essi legati.

Item lasso, ordino, comando da darse al magnifico Errico Gadaleto di Molfetta mio maggiordomo oncie due cento di danari, oltre la donazione fattale delle terre seu vignali dove si dice al Casale di S. Stefano, che in perpetuo abbia esso, et suoi eredi.

Item lasso oncie cinquanta pro una vice tantum a Polito Palmieri di Andria mio fedele Camerario, et più che abbia in casa mia il vitto quotidiano da par suo in vita sua.

Item lasso a Madama Polito della Bella oncie cinquanta pro una vice tantum per il gran governo in due mie infermità, ch’abbia l’abitazione, il vitto, et vestito in Casa mia da para sua in vita sua.

Item lasso oncie quaranta al Rev. Capitolo della maggior Chiesa Cattedrale pro una vice tantum, con patto ch’abbiano da dirmi per l’anima mia trecento messe quamcitius, et devotamente.

Item lasso alla Cappella del santissimo Corpo di Christo della Madre Chiesa di questa Città oncie dieci pro una vice tantum con l’obbligo di farme dire messe trenta per l’anima mia.

Item lasso alla Cappella di S. Maria di Nazaret in Barletta oncie dodici per una messa una vice tantum.

Item lasso al Clero di S. Maria di Trimoggia oncie venti per cento messe pro una vice tantum.

Item lasso ai Cappellani Sacerdoti della Chiesa di S. Maria della Nunziata extra Moenia oncie quindici per una messa cantanda per l’anima mia pro una vice tantum.

Item lasso alli Monaci, Seu al Monastere di S. Agostino oncie sei per una messa pro una vice tantum.

Item lasso alla Cappella di S. Maria dell’Umiltà nella Chiesa de’ Padri Domenicani oncie sei pro una vice tantum.

Item lasso al monastere di S. Maria Vetera oncie sei pro una vice tantum.

Item lasso alli Frati di S. Francesco tumula quaranta di grano, venti tumula di fave, otto di lemicoli, et quattro botte di vino mero, et più li lasso il panno di tela d’oro velluto abbroccato, quale ave da servire pel’ altare maggiore della sua Chiesa in detta Città d’Andria, et questo pro una vice tantum.

Item lasso alla Chiesa di S. Maria di Porta Santa oncie otto per una messa cantanda infra annum dal Spirituale Direttorio, et da passarse la complomentatione.

Item lasso al Spitale di S. Maria della Misericordia oncie venti pro una vice tantum, con ciò compra tante robbe di Zuccaro per quelli poveri, che vi vanno.

Item lasso a S. Maria de Majoribus oncie quattro pro una vice tantum.

Item lasso alla Cappella de’ Miracoli del nostro Protettore S. Riccardo lo pallio di broccato d’oro riccio, et seta cremosina, quale abbia da servire nelle feste.

Item lasso al Spitale di detto S. Riccardo oncie dodici per riparazione della fabbrica, et altrettante dodici per fare tanti matarazzi, quali abbiano da servire per l’infermi, che andranno a detto Spitale, et che siano de buono: seu Terlezzo, et meglio di lano, che sia possibile avere. Et più che le siano dato sei some di Lino del meglio che viene da Baro, per fare tanti Lenzuole per li letti di detto Spitale pro una vice tantum.

Item lasso, ordino, et comando, che siano maritate venti Verginelle di questa Città d’Andria delle più bisognose, et a quelle darle oncie otto per una pro una vice tantum, acciò trovano buoni partiti secondo il grado loro, et che dette Verginelle abbiano nel sponzalizio una Veste di panno di Fiorenza, che abbiano da dire dodici corone per una della Beata Vergine Maria per l’anima mia.

Item lasso, che siano fatte sei ferrajoli di panno Veneziano Nigro del più bello, che si trova a Baro et che detti sei ferrajoli siano dati ai sei Diaconi della Madre Chiesa, quali abbiano da pregare quando aggiuteranno alla Messa per l’anima mia.

Item lasso al Signor Emilio del Balzo Conte di Alessano il mio Cavallo, chiamato Frontebianco con la Sella, briglia, et tutti li suoi guarnamenti in oro, et stocco mio Veneziano con le fibbule d’oro. E più li lascio lo mio buccillino a tavoletto, perché mi è stato caro amico, et parente, et fedele nelle mie tribulationi.

Item lasso, ordino, e comando, che al Notaro che ave fatto questo mio Testamento siano dato oncie otto, quale Notaro Antonello Montagnone abbia da fare una copia autentica etc.

Item lasso al Padre Fra Antonio de Jodice di Nola abitante nel Monastere della Città d’Andria mio confessore, che le sia fatto un vestito ipso facto con il suo ferrajolo: di più le dono dalla mia libraria tutta l’opera di S. Agostino, e la Storia di Concelj.

Tandem creo, et istituisco esegui tori del presente mio Testamento il Signor Gabriele del Balzo Orsino mio carissimo parente, il Padre Antonio de Jodice di Nola predetto mio Confessore, con il Magnifico Errico Gadaleto mio maggiordomo etc.

Franciscus Dux Andriae confirmo ut supra.

Die vigesima tertia mensis Aprilis millesimi quadringentesimi vigesimi, juxta annum Andriae, Regnante Serenissima Anno II. indictione septima, ad preces nobis et factas pro parte Illustrissimi Domini Domini Francisci de Baucio Ducis Andriae personaliler accessimus ad quasdam Domos Magnas ipsius Domini Ducis, sitas intus hanc Civitatem Andriae, et proprie in Domo Ducali etc.
Et dum ibidem essemus, et proprie in quadam Camera dictae Domus invenimus Dictum Dominum Ducem in lecto jacentem, infirmum corpore, sanum tamen mente, et in recta sua locutatione gnenta existentem, qui considerans quod nihil est certius morte, et nihil incertius hora mortis vuolens propterea providere , etc.»

Francesco III del Balzo (il diplomatico)

A Francesco II del Balzo successe Guglielmo, a Guglielmo successe nel 143I suo figlio Francesco, che io chiamo il terzo.

Questi – Uomo d’autorità grande e compita – fu carissimo ai Re di Napoli Alfonso e Ferdinando d’Aragona, cui rese importanti servigi; stimato dal papa Pio II, presso il quale egli venne più volte ambasciatore del Re Ferdinando. Fu uno dei più chiari uomini del suo tempo per virtù religiose e civili.

Il suo nome è ancora rinomato in mezzo al popolo andriese di oggi, come lo fu in mezzo ai suoi contemporanei, da cui si meritò il titolo di divino. Un’epigrafe antica la quale incomincia così: – sub divo Francisco Baucio duci Andriae – ci porge la conferma.

Nel 1438 ebbe la fortuna di scoprire le ossa di S. Riccardo, che si credevano perdute.

Non impulsività di carattere, non fervore di religione, non le ripetute istanze di colui che si diceva in possesso del segreto lo indussero alla ricerca, ma la quasi certezza dell’esito, dopo d’aver tutto bene calcolato.

Fu contraddetto dai novatori del tempo; ed egli allora scrisse di suo pugno nel 1451 la Historia lnventionis, nella quale si ammirano la finezza, la rettitudine dell’animo suo, l’estrema prudenza. Pubblico questa Storia con i commenti illustrativi in fine del presente lavoro.

Alcuni anni dopo, nel 1461, avvenimenti politici sopravenuti misero in prova la sua virtù, vuoi come cittadino, vuoi come vassallo del suo signore il Re di Napoli.

Orditasi una congiura dai baroni e dal principe Orsini di Taranto, contro Ferdinando d’Aragona, il duca d’Andria fedele non prese parte. Minacciato non si mosse. Assediato nella sua città dai soldati di Orsini, egli ed i suoi andriesi sostennero un assedio glorioso per lunghi giorni.

Sovraggiunta la fame, si decise in fine da tutti la resa nelle mani del nemico, che del resto trattò bene e con generosità la povera città che temeva.

La storia ricorda con onore il duca Francesco Del Balzo ed i suoi fidi andriesi, per i quali fu dimostrato che non vi ha fortezza, che valga più del valore dei cittadini e benevolenza loro verso il principe – In hac obsidione maxime cognitum est, nullum munimen tum esse firmius civium benevolentia – così lo scrittore Pontano nella storia e descrizione dell’assedio di Andria nel 1461.

Se la fine di questo assedio non segnò una catastrofe ed un epilogo lacrimabile per la vita e gli averi dei cittadini, il Duca religiosissimo l’ebbe a grazia di Dio e del patrono della Città S. Riccardo, cui sicuramente si affidò.

Laonde, appena riposato dalle fatiche, volle scrivere e scrisse in testimonianza del potente patrocinio di quel Santo un Sermone apologetico, detto Legenda miraculorum S. Richardi.

Il Clero lasciò fare, perché amava il buon Duca; anzi accolse con somma benevolenza il su detto Sermone: e divisolo in sei Lezioni, lo introdusse nell’Uffizio del Santo Patrono.

Qui annovero un’altra benemerenza di cotesto Duca in riguardo ad Andria capitale del suo feudo; che allora comprendeva Montescaglioso, più la città e territorio di Montepiloso. Parlo della unione della Chiesa di Montepiloso alla Chiesa di Andria, che perciò si allargò e addivenne una diocesi più vasta.

Si narra di questo importante episodio storico di Michele Ianora nella sua Storia innanzi citata. Ecco la cosa.

Nel 1451 il nobile uomo Francesco Del Balzo, duca d’Andria, supplicò il papa Niccolò V di voler far rivivere la diocesi di Montepiloso e di riunirla per ora a quella di Andria.

Il papa rispose affermativamente per una bolla, ch’esiste nell’archivio del Vaticano, sibbene priva d’intestazione – (Armarium 53, Tom. XIII, fol. 241, Arch. Secr. S, Sedis). –

Traduco qui una parte di essa:

«Poiché i frutti, i redditi e i proventi della mensa vescovile di Andria sono abbastanza esigui da poter corrispondere al decoro ed alla vita d’un Vescovo; poiché la città di Montepiloso non dista più che una ventina di miglia da Andria; poìché nella sua Chiesa esiste l’arcidiaconato con parecchi canonici, quasi a ricordo dell’antica dignità episcopale … il duca Francesco domanda che la Chiesa di Monte Piloso si unisca, si annetta e s’incorpi (per ora) nella dignità ed onore di Vescovado, alla Diocesi di Andria. …»

Con altra bolla spedita diretta nel 1452 al popolo Montepilosino, il papa Niccolò ordina che si riconoscesse il Vescovo di Andria Antonello, quale vescovo delle due diocesi riunite di Andria e Monte Piloso.

Il Clero e popolo di Monte Piloso però, se salutarono con gioia la risurrezione della loro Diocesi benché unita alla Chiesa di Andria, nel loro animo ebbero la speranza più vicina di vederla un giorno indipendente. Bisognava perciò pensare a costituire una buona mensa vescovile, riscattando dall’Università di loro paese il territorio o tenimento del Casale d’Irsi.

Il qual territorio fu nel fatto rivendicato ed assegnato al vescovo di Andria pro tempore, dietro transazione o convenzione tra monsignore Antonello e l’illustre duca Francesco Del Balzo da una parte, e gli uomini dell’Università di Montepiloso dall’altra.

In questo affare compiuto nel 1455, io trovo che intervennero da Andria come testimoni – Dominus Andreas Caputus prepositus Ecclsiae venerabilis Tremodiens de Andria – Dominus Andreas Tesaurarii Primicerius andrensis – Bartholomeus de Leopardis de Andria – Agostinus Vo!ponus de Andria – Iacobellus Marvullus de Andria – Dominus Angelus de Florio de Andria, – che fu poi vescovo della sua città.

Ricordo qui i nomi dei Vescovi che sedettero sulle due riunite Diocesi:

Anno 1452 – Fra Antonello.
Anno 1461 – Fra Antonio Giannotti,
Anno 1463 – Ruggiero d’Atella.
Anno 1476 – Martino de Soto Major.
Anno 1479 – Donato Eletto.

Sotto quest’ultimo vescovo avvenne la separazione da Andria della Chiesa di Monte Piloso, che si costituì Diocesi indipendente: lungo ed ardentissimo desiderio dei Montepilosini.

Concesse la grazia il papa Sisto IV, cui si rivolsero gl’interessati con le più vive preghiere, adducendo per motivi la risoluzione delle difficoltà della mensa vescovile, il difficile accesso ad Andria lontana, gÌ’interessamenti dei Vescovi per Andria a danno della Chiesa di Monte Piloso, cui sottrassero molte e preziose reliquie.

La bolla del distacco vien riportata da Ianora nel suo Libro citato … accepimus – dice ad un certo punto il papa – Ecclesiam Montispilosi Mensae Episcopali Andriae perpetuo fuisse et esse unitam, annexam et incorporatam … Nos, igitur … de apostolicaee potestatis plenitudine dissolvimus, ac Ecclesiam Montis Pilosi in pristinum statum in quo ante … reponimus. Non obstantibus praemissis … ordinationibus apostolicis, nec non Ecclesiae Andriae iuramento etc..
Datum Romae apud Sanctum Petrum – Anno lncarnationis Domini MCCCCLXXIX.

Il duca Francesco Del Balzo fu il restauratore dello spirito religioso in Andria con il suo buon esempio e con la sua autorità. Vissuto in un tempo di pervertimento generale – il secolo XV si distinse per la incredulità e licenza nei costumi, come il secolo XII – egli con suoi buoni ufficii compose alcuni dissidii tra il clero maggiore della città e quello Nicolaita, tra il clero maggiore e l’Università di Andria.

Nella prima composizione, anno 1446, il duca mercè uno strumento di concordia calmò gli spiriti bollenti di quei preti, assegnando a ciascuno il suo.

Il notaio fu Franciscus Caputi: testimoni ed attori il Del Balzo, Ioannes Dondei vescovo, Antonellus de Perinis luogotenente, Lillus de Mele arcidiacono, Andreas de Guasto arciprete, Iacobus de Lcopardis cantore, Angelus Vulpone primicerio ecc ..

Nella seconda composizione, an. 1454, egli rispettoso delle immunità degli ecclesiastici, promosse una transazione tra il Clero e l’Università con buona pace di tutti. Per essa fu concesso la franchigia sul vino mosto a tutti i sacerdoti e chierici della Chiesa maggiore; ed in risarcimento delle gabelle indebitamente pagate negli anni precedenti, fu data loro a godere la terza parte della Giummella, ossia il terzo dei dazii percepiti dal Comune su tutte le vettovaglie della città.

Figurano come attori e testimoni il vescovo di Ruvo Mons. Pietro Pervense esecutore del patto, Francesco De1 Balzo, i nobili Tonto Vulpone, Paolo de Mele, Bartolomeo de Leopardis, Giovanni Longo … Simio, Bentio de Bempossere reggitori del Comune.

Sin dall'anno 1438 questo buon Duca, esempio di religione e di patriottismo, aveva concesso in perpetuo al Capitolo cattedrale di Andria un alto privilegio, la potestà cioè di giudicare – durante il tempo di fiera nel mese d'Aprile – in tutte le cause civili e penali, di comandare al mercato ed alla produzione delle tasse cittadine.

Dica pure Riccardo Ottavio Spagnoletti, raccontando di questa straordinaria delegazione di poteri: «La civiltà di quei tempi non era ancor matura, e le ragioni dello spirito e quelle civili erano stranamente confuse con danno della fede e del popolo». Gli Andriesi illustri, pag. 27. Noi ammiriamo in Francesco Del Balzo il suo spirito religiosissimo, il suo animo mite e disinteressato pur in tempo di feudalismo, quasi sempre feroce coi suoi vassalli.

Francesco Del Balzo fu ancora Cavaliere di Cristo, avendo efficacemente cooperato nel 1480 a combattere i turchi, onde cacciarli dal possesso di Otranto.

Una cronaca· del tempo in brevi note riferisce la cosa. Vedi l’Archivio Storico per le provincie napolitane, Anno VI.

1480. – «Vivendo ancora Francesco Del Balzo arriva in Andria il duca di Calabria Alfonso di Aragona, primogenito del Re Ferdinando I. Da questa città scrive una lettera al Re suo padre informandolo circa i suoi intendimenti … cioè di liberare Otranto dai turchi …».

11 Agosto 1480 – «Per un dispaccio di Antonio da Montecatino (da Otranto) si dice – presto lì zonzeranno el duca de Melfi, el duca d’Andre ed altri …).

1480 – «Da una lettera di Filippo Strozzi di Firenze – dicesi del conte de Ugento (Engelberto) filgu del duca d’Andre (ch’egli) fu preso (dai turchi), ma dai suoi insieme fu ricuperato» senza dubbio dagli armigeri andriesi.

Il duca Francesco predilesse sempre i domenicani del Convento di Santa Maria· dell’Umiltà, la cui fondazione conosceva doversi alla sua nobile famiglia. Grandi beni lasciò in fine per il loro sostentamento e per lo sviluppo della lor Casa religiosa; i quali beni io noto qui:

1463 – Chiesa di S. Matteo con podere intorno sulla via di Trani.

“ – Carra quaranta di territorio nel luogo detto Casa della Corte, o Posta di S. Domenico.

1474 – Tre miglia di mare lungo la via che da Barletta mena a Manfredonia, di fronte alla Torre di Pietra: nel qual mare i frati avevano il diritto esclusivo di pescaggione. Per i quali beni Francesco Del Balzo non altro impose ai buoni religiosi, che di pregare per l’anima sua.

Raggiunti gli anni 72, il magnanimo Duca chiuse per sempre in pace gli occhi suoi, correndo il 1482.

Il cronista Antonello Coniger nella sua cronaca segnava così l’annunzio:

«In eodem anno 1482 fu morto lo Illustrissimo signor Francesco de Baucio duca d’Andria: alla qual morte apparse una stella de iorno; et veramente se po mettere al numero delli Santi per la sua bona e santa vita».

La sua salma fu deposta nella Chiesa dei Domenicani, presso l’altare di S. Maria dell’Umiltà.

Gli successe nel Ducato suo figlio Pirro, che fu pure principe di Venosa, dove egli eresse un castello ed una cattedrale, costruzione d’un gotico invecchiato ed impoverito, dice il Bertaux. critico francese.

Questo superbo e magnifico signore pagò nel 1482 con la sua testa la ribellione contro re Ferdinando I d’Aragona.

L’opera però, cui questo duca Francesco ha legato il suo nome in perpetuo, è la sua monografia storica sulla invenzione delle ossa del glorioso S. Riccardo patrono di Andria. Possiede anche oggi valore documentale di fronte ai critici, che sogliono manomettere la storia del nostro Santo.

Questi dicono, che la tradizione Riccardiana sia cominciata in Andria riel secolo decimo quinto, per opera del duca Francesco III del Balzo, dopo il ritrovamento delle ossa sante.

A cotesta asserzione gratuita io oppongo la stessa Historia Inventionis, documento solenne, importante, nel quale parla il medesimo Duca Francesco, testimone oculare dei fatti da lui narrati.

Da questa Historia, mai bene interpretata sino ad oggi, si apprende con evidenza quanto sta antico il culto del Santo inglese in Andria.

Siccome altrove si disse, due sono le ere del culto del beatissimo Riccardo, l’antica e la più recente, in mezzo alle quali giace un· periodo di semi oblio. L’Historia Inventionis di Del Balzo, scritta nel 1451, è il ponte che collega le due ere avvicinandole.

La critica eppure fa le viste di non avvedersene, non degnando che d’uno sguardo superficiale e sospettoso quel documento, che pur scioglie il nodo gordiano della quistione sull’antichità del Santo.

Per esso infatti noi diamo fatti degni di entrare nell’era antica, dove con sorpresa incontriamo la Messa propria del Santo, la Leggenda, l’immagine greca, la canonizzazione di Lui nel rito antico, il Calendario ms. con i caratteri longobardici, la Confessione, la serie dipinta di molti pastori andriesi nell’epoca bizantina.

Che si debba negar fede a Francesco III del Balzo, lo vietano la sua personalità elevata; tutto ciò che innanzi si è detto di lui. Dunque non è lecito muovere il menomo dubbio sull’esattezza e veracità della sua Historia Inventionis.

È un documento medioevale di alto valore, pieno di vivacità, di brio e di verità, dove il Duca descrive documenti, monumenti, indizii, quanto da lui fu potuto raccogliere in ordine al culto antico di S. Riccardo.

Ciò egli fece nel nobile intento di far tacere alcuni spiriti scettici, fatti sulla moda dello scetticismo, che allor dominava in tutta Europa, e fu prodromo della riforma protestante in Germania.

Ora intanto, giacché la critica minaccia e strepita contro le fonti legittime della Vita e Culto di S. Riccardo, è necessario che il pubblico torni a leggere la Historia Inventionis.

Pubblicandola, io spero, che gran luce da essa si faccia circa la quistione dell’antichità del Santo; la quale quistione non dev’essere risoluta da qualsiasi erudizione, sia pure dei Bollandisti, ma in base a dati positivi e locali.

I quali dati positivi, ignorati quasi dal pubblico, non discussi dai critici, rivelati dall’uomo insigne il Del Balzo, sono la dimostrazione luminosa della storicità e antichità del gran Santo, che respirò le aure andriesi.

Voglio augurarmi di più, che la presente Historia possa trionfare dei critici barlettani, Mons. Nicola Monterisi e Sabino Loffredo. Questi, più che altri, bistrattarono la storia del Santo Patrono di Andria; il primo in un suo opuscolo «Leggenda e Realtà intorno a S. Ruggiero» l’altro nella «Storia della Città di Barletta», Vol. I, Libro I, Cap. II, Nota 37.

Do il documento nel testo originale latino il più corretto, quale si desume da Codici, che si conservano nella biblioteca Vallicelliana in Roma, aggiungo la traduzione italiana con opportuni schiarimenti e commenti.

[tratto da “Pagine sparse nella Storia Civile e Religiosa di Andria”, del Can. Menico Morgigni, Andria, Tip. B. Terlizzi, 1919, pp. 17-55.]]


NOTE

[1] La Chiesa antica. oggi di S. Agostino, ha due porte, la principale e la laterale. Sul timpano della prima si vede in basso rilievo l’immagine del Salvatore, fiancheggiato da due vescovi vestiti alla greca (stile e stemma dei Templari).
Sui lati della porta laterale sono scolpite due aquile, le aquile sveve, avendo l’imperatore Federico II a suo tempo qui installato l’Ordine dei Cavalieri teutonici. Sembra coevo il bel portale di basso al pendio quantunque deteriorato, condotto con eleganza e segni blasonici: sui stipiti due teste di re, sul frontone una testa d’angelo stilizzata. Un portale ch’è esempio dell’architettura civile di quei tempi.

[2] Ogni stallo dì questo coro è decorato nel mezzo da quadretti, da rombi, da circoli contenenti disegni geometrici intagliati. I poggiuoli sono grifi dalle faccie una diversa dall’altra. Lo stallo del priore è un capolavoro di arte in legno. Sono belli a vedersi tutti questi intagli per la varietà, leggiadria e perfezione onde sono fatti.