[sul ritmo di una ode pindarica]
Esile e rosea aurora all’uscio
filtra i suoi rai;
le intese speranze dal guscio
del burbero verno giammai
perse libera e assieme
alletta il sopito mio meme,
ridesto ormai.
Cantò Ovidio d’amor poeta
la primavera
quando Cerere abbracciò lieta [2]
la figlia evasa dalla sfera
di Plutone e, tornata,
feconda fu la terra amata,
di frutti fiera.
Splendore di color nei campi
per ogni dove in fiore,
avverto in soffi alterni ed ampi
di olenti fragranze un sentore
e dei sensi il turbamento affiora,
soave ognora.
Ma come improvvisi s’addensano
nembi paurosi
e terra e cielo d’un tratto infoscano
e smorzano gli impulsi gioiosi
negli animi angosciati
per gli inermi or minacciati,
eccoci ansiosi,
ché un cupo bagliore agghiacciante
in marzo ci tange:
da brividi evento, aberrante
e greve, letizia e quiete infrange;
atroce è quel che sento,
un triste stonato concento:
un Popolo piange
tra le rovine i suoi caduti,
la libertà perduta,
gli umani diritti insoluti,
senza alcuna ragion veduta.
È tempo che sorga un’aurora
di pace: è l’ora!
Un arcobaleno attraversi
questo grigiore,
disperda gli appetiti avversi
alla fratellanza e all’onore
da ogni cuore in guerra,
ritorni ad irradiar la terra
il sol d’amore.
S’alzeranno le verdi messi
ch’è primavera
allor che Eirene avrà successi;
di abbondanza sarà foriera
non sol di lauti beni
pur anche d’orizzonti ameni
se ognun l’avvera.
Quanta serenità e letizia
sentirsi amici dona
senza limiti e con dovizia!
Tutto al bieco fratel perdona
l’operator di pace, beato
in eterno amato.
7 marzo 2022.
Sabino Di Tommaso
da "I pensieri del Folletto" sdt
Nota
Bellissimo questo frontale di sarcofago del 2° secolo d.C., presente nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
Negli angoli sono scolpite due delle tre (quattro) Ore alate, che
rappresentavano sia le quattro stagioni carpofore (portatrici di
fiori e frutti), che le tre "Virtù" greco-romane: Legalità, Giustizia e Pace;
sulla sinistra della scena c’è Cerere (Dea della fertilità che
amava accompagnarsi con una delle Ore, la Pace), la quale
Cerere, per recuperare la figlia Proserpina,
la cerca sulla Terra con un carro trainato da serpenti imbracciando una torcia;
sulla destra invece è scolpito il fulcro del racconto: Plutone che rapisce Proserpina portandola via sul Mare con un carro trainato da due cavalli,
con in alto il piccolo Imeneo alato con face e preceduto da Mercurio avente il petaso alato sul capo ed il caduceo nella sinistra;
tra il carro di Cerere e quello di Plutone tre dee intervengono: Venere che trattiene per lo scudo Minerva che tenta di impedire il ratto, e Diana che si frappone tra le due.
Sotto i due carri due dee simboleggianti il mondo nell’epoca greca e romana:
Gea, la terra sulla quale corre il carro di Cerere, e Thalassa, il mare mediterraneo sul quale si allontana quello di Plutone.
trascrizione dell'originale | traduzione |
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