C'era mille anni or sono,
o, come suol dirsi, c'era una volta,
un'assolata e sinuosa lama, un alveo stretto e lungo
che tra reclinanti e lievi pendii
girovagava all’ombra di basse roverelle.
Si attardava, spesso, allargandosi
in piccole conche acquitrinose
o in brevi, cascava, argentine fontanelle
per ristorare i campi e il viandante
sì d’addolcire l’estiva afa avvampante.
Aveldio chiamavano l’esiguo rivo
che pigramente scendeva tra le sue sponde
e stremato giungeva in vista del contado,
(Andria, l’abbarbicato borgo sul declive)
dai calcari del percorso smagrito in guado.
Nell’ansa più vasta del botro
la provvida gora alquanto ristava
nei dì iemali umidi e piovosi
arricchendo d’orti rigogliosi
il popol dei grotti e delle laure
stanziato sparso entro gli antri, escavati
nel biondo e clastico tufo, ed umilmente arredati.
Confluiva in quell’ampia lama un lagno;
ad esso intorno viveva in semplice esichia
(narravan così nell’Ottocento i savi)
di laboriosi monaci un gruppetto,
vangando le scoscese sponde
terrazzate coi conci slavati dalle acque
e salmodiando assieme alle ore e ai vespri
nella grotta più spaziosa e ben curata,
dedita e consacrata alla Croce ritrovata,
slargata ad arte e maestria,
col sepolcreto nell’umido impiantito,
e sugli archi istoriata in plastica simmetria.
Due rupestri cripte s’aprivano alla lama:
se Cristo Misericordia da tre grotte ricavata
al colmo del pendio in unica navata
il fedele e il pellegrino v’accoglieva,
in basilical struttura Santa Croce altera
più giù presso il rivo risplendeva
per dovizia di affreschi e peculiarità delle storie.
Dell’umana Redenzione il portento,
dall’antico, tratto, e dal nuovo testamento,
l’orante stupiva ed il curioso
per l’atipicità dell’imago e per l’ardire.
In tre ben distinte persone e volti
regale troneggiava singolare un’aurea Trinità
che nel sottarco era sol doppiamente nimbata;
nel guardo benevola e nei tratti posata,
l’accogliente mano paterna tendeva
da Adamo all’emergente Eva,
nonostante che i lineamenti e l’espressione
il mortal fallo presagissero della coppia ingrata,
nel dipinto a fronte figurata
nell’incauta assunzione del negato frutto.
Sull’archivolto opposto e sui pilastri,
nella tufacea massa da provetti mastri estrusi,
s’intendeva nei visi di santi, vescovi e di papi
la sofferta storia della terrena Chiesa,
l’effimera grandezza nei suoi tonfi e nell’ascesa.
Permeava ogni altro luogo il tema della Croce:
mirando nella nicchia a manca una crocefissione
si segnava il fedele entrando nel rupestre tempio,
e pur innanzi ad altra simile Pietà,
nell’absidiola sita a fondo della navata destra,
soccorso orando implorava per ogni avversità.
Ora il passante distoglie lo sguardo dal luogo,
già sacro e ridente pei rosei pruni e l’esile ruchetta,
perché soffocato tra le stonate case a monte
e nella prossima fossa da una discarica abbietta.
È arduo apprezzare l’arte e il paesaggio
finché è legge il potere e ‘l frodolento aggio,
l’abuso e il sopruso col più sordido espediente.
Ahimè, di rinfrancar lo spirto un desio struggente
nel popol, forse c’era, sì, ma sol mille anni or sono.
Sabino Di Tommaso
da "I pensieri del Folletto" sdt