Tersi il cielo e l’orizzonte, finalmente,
dopo giorni di cupe nuvolaglie
di scrosci improvvisi di vento furente,
m’invogliano a tornar nei campi, gaio.
Tra gli ulivi intirizziti e ancor dormienti
supino steso nella fresca verzura
di serpeggianti vilucchi e soffioni patenti,
ove irruente la scorsa pioggia
dell’anomalo ed or spirante maggio
ferito aveva la viride mia piaggia,
meraviglio lo sguardo in ampio raggio.
Il naso arricciando e con le orbite intente
l’attiguo universo variopinto inspiro
fin raso i verbaschi non ancor sbocciati,
e i roncinati crespigni di già dorati miro.
D’inesausto senso, perenne mendicante,
viepiù, di un’arsi interiore sono indigente;
dalle adiacenti zolle afrose influenzato
in me si desta invano rattenuta
l’eco assopita dell’emozioni trepide,
eccelso idillio degli afferenti umori figlio.
Dall’ordinario evaso e dal quotidiano
in libertà bucolica verseggio,
l’acre mio sentire arpeggio e il piego
in concinnanti soavissime parole:
carezze eteree e pegno nobile d’amore.
Sì cara appressati; vedi, mi urge,
in questo non casual frangente
eccelso e agognato con ardore,
che tu mi legga indulgente in viso il cuore,
ma non a mezzo il giorno
or che avanza il solstizio,
poi che egli forza ogni batter di ciglia
e del mio sentire le chiare sfumature smorza.
Son pregno di assonanti fraseggi
le cui tenui ed ammalianti note
nelle tremolanti pieghe delle gote e della voce
sol con la calda luce dell’aurora,
e del vespro a sera ancora,
le sommesse tue corde con le mie destate
fremere unisone faranno,
e le attese effusioni (oh, quanto desiate!) fioriranno.
Dai campi, sul finir di maggio del 2023.
Sabino Di Tommaso
da "I pensieri del Folletto" sdt