[con l'enfasi della canzone lirica petrarchesca [1]]
Tra le cerulee chiome degli ulivi
una sorgiva ottocentesca fonte
a poche zolle dal mio casolare
in un’aia sterrata ed ampia a fronte
di due violacei perastri nativi
dona al morante una vista solare
così da soddisfare
il desio di orizzonti
dai dorati tramonti
assieme all’urgenza di assopir la sete
delle membra; l’anime tornan liete
per l’arsura placata e della mente
per le aure ivi secrete,
e di essa s’innamoran perdutamente.
Pur in un campo di cinerei ulivi
una sorgiva millenaria fonte
a Sichem in Samaria d’acque chiare,
alle pendici d’Ebal alto monte,
dissetava i viandanti ed i nativi.
A quel pozzo Gesù dové sostare
per il già tardo andare
e dell’acqua fresca chiese
a una donna borghese,
una Samaritana diffidente
perché giudeo egli era, ma afferente
acqua viva, eh sì, di Vita eterna,
senza misura, aulente
l’indulgenza, del Buon Dio, paterna.
Sorge poco oltre l’orto degli ulivi
del Golgota il roccioso monticello
ove il Cristo Gesù fu affisso in croce
per aver nunziato un verbo novello
di amicizia amore perdono, attivi
impegni a cui per noi die’ piena voce
e subì una morte atroce.
Nel trapasso di luce
che al tramonto adduce
la sua misericordia al buon ladrone
eterna Vita promise in adesione
al suo mandato di carità suprema,
di eletta compassione,
fonte di vita e dell’adepto emblema.
[Tavole dell’Intercessione, già nella Cattedrale (ora al
Museo Diocesano di Andria)]
Sugli ulivi dei nostri campi aprichi
è dipinta di Maria l’intercessione
presso il Figlio sulla Città librato,
(opra al Duomo e d’intensa devozione).
Benedice il Redentore i vichi
del borgo sul declivio dispiegato:
pur se il popolo è ingrato
benevolmente il mira
ed empatia gl’ispira.
Della Vergine il tratto intercedente
amabilmente è mite ed acquiescente:
invita il suo Gesù a riversare
il suo dono contingente,
la fonte di Vita ch’è sempre Amare.
Or una fronda d’olivo Ti porgo
Signore, colta in quel mio orticello
alla sorgiva che spesso il disseta;
Ti chiedo perdono per il fardello
delle mie incurie: pigro non m’accorgo
che nel mio prossimo più non s’acqueta
l’inopia obsoleta.
La morte dei migranti
dalle burrasche infranti
non genera che inerte meraviglia;
immoto incolore resto alla griglia
qual teso velo di nebbia brumale,
e scorgo nelle tue ciglia
la Grazia che già fu battesimale.
Col modular pensieri
in sonori e leggieri
versi smuovere dell’odio la pietra
vorrei, qual mitico Anfione
[2],
e la tetra
ripulsa. Or va canzone al Cielo e aita
dal Redentore impetra
acché di Amor c’inondi, fonte di Vita.
Nella quaresima precedente la Pasqua del 2023
Sabino Di Tommaso
da "I pensieri del Folletto" sdt
Note chiarificatrici
[1]
Per questa composizione ho voluto utilizzare lo schema metrico rilevato da una canzone delle “rime” del Petrarca:
“Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina”.
trascrizione dell'originale | traduzione |
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… |
… |
Anche Dante ricorda il mito di Anfione nel canto XXXII, ai vv. 10-12; egli è giunto nel IX Cerchio dell’Inferno,
dove sono puniti i traditori. Avendo difficoltà a descrivere il luogo, Dante invoca l’aiuto delle Muse “quelle donne”,
ricordando che esse aiutarono il cantore Anfione a cingere di mura la città di Tebe.
Il poeta scrive:
Ma quelle donne aiutino il mio verso 10
ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
sì che dal fatto il dir non sia diverso.
Dante in questa terzina prende spunto dalla protasi del poema “ Thebaida” di Publio Papinio Stazio (45c-96c), dove (Libro I, vv. 3-10) il poeta latino scrive:
trascrizione dell'originale | traduzione |
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Liber I
Fraternas acies alternaque regna profanis |
Libro I
L’ardore poetico spinge il [mio] animo a cantare |
Una stampa dell'incisione "Anfione costruisce Tebe", come quella riprodotta nel testo, è conservata nel Museo di Capodimonte, nel Gabinetto Disegni e Stampe, collezione Firmian, Vol. 190, F. 45, proveniente da una copia del libro " Tableaux du Temple des Muses …", edito a Parigi nel 1655, presso Antoine de Sommaville, foglio 456.