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RELAZIONE STORICA
SULL’IMMAGINE
INVENZIONE SANTUARIO E PRODIGII
DI
MARIA SS. DE’ MIRACOLI D’ANDRIA
operetta del P. Antonino M.a di Jorio, agostiniano
Stabilimento Tipografico del Dante, Napoli, 1853
Capo VI.
Apparizioni della SS. Vergine per manifestare la sua Immagine di Andria.
Giunse finalmente l’ora beata in cui la profonda notte che nascondeva
la preziosa Immagine di Maria nella temuta Grotta di Andria, terminar doveva
con un’aurora fulgidissima di grazie e di portenti, e gli Andriesi,
ai chiarori di questo giorno novello, dovevano rilevare mirabilmente,
che essi erano gli oggetti tenerissimi del materno cuor di Maria, in guisa tale,
che essi medesimi non avrebbero potuto nè ideare, nè sperare giammai.
Sul principiare dell’anno 1576, epoca troppo fatale negli annali della Chiesa
per le orrende carnificine fatte dagli Ugonotti in Francia, dai Luterani,
e Scismatici in Alemagna, e della empiissima Regina Elisabetta in Inghilterra,
i quali tutti con furore infernale, tra le altre empietà particolarmente
infierivano contro le sacre Immagini, e le più venerande Reliquie dei Santi,
che da per tutto dopo mille oltraggi davano iniquamente alle fiamme,
senza escluderne le più anguste Immagini della Madre di Dio; alla Madre di Dio
medesima piacque di richiamare i popoli alla venerazione della sua dimenticata,
Effigie di Andria, ed in essa con gli affetti de’ suoi devoti compensarsi
quasi, gli insulti sacrileghi che in altre regioni riceveva dalla furibonda eresia.
All’uopo, dovendone indicare il sito agli Andriesi, e riaprire per questi
e per gli altri il canale antico delle sue beneficenze, conviene avvertire,
che non e diede l’incarico a qualche Angelo di sua Corte, nè ad alcuno
dei Santi Proteggitori che quei Cittadini avevano in Cielo; ma Ella stessa
l’amorosissima Madre mosse in persona dal Trono delle sue grandezze,
ed in una delle prime notti di Febbraio del sopracitato anno 1576, discese
in quella Città cercando un Giusto per comunicargli i suoi disegni.
Giovanni Antonio Tucchio, di professione Falegname, d’un costume puro e semplice,
e quasi al cader degli anni suoi, meritò avventurosamente d’essere a tant’opra prescelto.
Stavasi egli circa le ore mattutine tra il sonno e la veglia dolcemente sopito,
quando ad un tratto si vide in sogno elevato innanzi all’Augusta Madre del Salvatore.
Tutta fulgente di gloria celeste, spirante col volto purezza ed amore,
e con le grazie dal labbro fluenti, gli ordinò conferirsi alla Grotta di
S. Margherita nella Valle, penetrare nella Cappella scavata accanto all’Altare,
ed accendere in ogni Sabbato una lampada a quella sua Immagine che vi era abbandonata.
Tocco il buon Vecchio vivamente da questa visione si destò tutto commosso,
ed in essa si tenne col pensiero assorto per qualche tempo; ma riflettendovi
con più freddezza, e rammentando la denominazione della Valle detta
indemoniata dal chè vi accadde il fatto testé esposto,
incominciò a dubitare, che il Demonio insidioso non gli avesse voluto
ordire qualche laccio per perderlo, e se ne distolse come meglio potè.
La Santa Vergine dopo alcuni giorni tornò anche più visibilmente
a riapparirgli ed a rinnovargli lo stesso precetto, e questa seconda
visione neppure fu bastevole a dissipargli tutti i pregiudizii
dal suo animo timido. Abbisognò che la Regina degli Angeli si degnasse
visitarlo per la terza volta, e ciò in guisa, che l’illusione del sogno
non avesse potuto servire più di pretesto ad ulteriore indolenza,
ed i timori tutti si fossero disgombrati in lui dalla solenne realità dell’apparizione.
Difatto, la benignissima Regina degli Angeli in questa terza apparizione
si presentò all’uscio dell’umile casupola di Giovannantonio, e col picchiarne
la porta lo destò dal sonno. II buon Vecchio corse immediatamente, ed aprì
alle premure della celeste incognita. Ed oh! quale stupore, quale dolcezza,
quale estasi per lui, vedere Maria SS. tra gli ornamenti di sua gloria,
vestita di luce e di bellezza, e circondata da un coro numeroso di Sante Vergini,
e da una schiera di Spiriti celesti! Si prostrò, si umiliò ai piedi di Lei,
e forse smarrito e fuori di sé senza poter dire neppure una sillaba,
vagheggiava, angosciava di gioia, e taceva. La Madre di Dio neppure essa
aprì il suo labbro; ma poiché si ebbe fatta conoscere dal suo devoto,
elevò la destra, additò dalla parte ove era la Grotta nella Valle, e scomparve.
Quale si rimanesse Giovannantonio, da ciascuno può agevolmente idearsi.
Penetrato fin nell’animo da un sentimento sovr’umano, egli non più dubitava
su la singolarità della grazia che l’era stata compartita dalla Sovrana dell’Universo.
Attese il far del giorno con impazienza a fine di obbedire al precetto ricevuto,
ed allo spuntare de’ primi raggi del Sole dall'orizzonte, s’incamminò
di fatto pel sentiero che menava alla Valle.
Ma chi il crederebbe, che quest’Uomo ripieno di celeste entusiasmo,
dopo di aver percorso gran tratto di questa via, e mentre si trovava presso il luogo
di sua destinazione, sentissi ad un tratto sorprendere da un brivido di orrore
alla semplice idea che gli si offrì di dover penetrare nella Grotta spaventevole
della Valle indemoniata, e che gelandogli il sangue nelle vene,
tornossene indietro interamente privo del suo coraggio e della sua energia?
Pure così avvenne. Egli sì tornò in sua casa, e per rianimarsi non bastaron
per lui nè la memoria ancor viva della visione ineffabile che poco fa
l’aveva ricreato, nè il precetto di Maria con tanta solennità ripetuto.
Era dispostissimo e determinato ad obbedire; ma volse un compagno
che lo avesse aiutato ed animato. Pertanto, ne fece nel tempo stesso
la scelta in persona di un suo compare chiamato Annibale Palombino,
dal quale, quantunque fosse di lui più nobile per natali e per professione,
esercitando l’uffizio di Avvocato, pur tutta via ne veniva amato
sinceramente per l’uniformità di costumi che possedeva con Lui.
Cosi disponeva la Provvidenza gli avvenimenti per dare alla presente
narrazione un carattere di autenticità incontrastabile, e per mostrare
con più magnificenza agli Andriesi, quanto venivano contradistinti,
ricevendo da Maria dimostrazioni tanto singolari dell’amor suo
e delle sue premure. E che sia così, veggasi dal proseguimento.
Il mentovato Signor Palombino, abbenché udisse dal suo compare Giannantonio
il racconto di sue visioni, con quei sentimenti proprii di sua esemplare pietà;
pure dalla sorpresa facendo passaggio alle riflessioni, negò di accompagnarlo
per allora, e ne rimise l’andata ad altro giorno più proprio.
L’amoroso Cuor di Maria però non più soffriva ulteriori ritardamenti.
Impaziente, per dir così, di vedersi quanto prima circondata da’ suoi diletti
Andriani in quello stesso luogo ove li aveva per la prima volta
adottati per Figli in persona de’ loro maggiori, s’appigliò
ad un ultimo espediente, che doveva produrre tutto il suo effetto,
e fu il favorire il Palombino d’una visione altrettanto chiara che singolare.
Ed in vero, trovandosi Annibale tra la veglia e ‘l sonno, parvegli di vedere
un Personaggio di bellezza squisita, che prendendolo gentilmente per mano
lo guidò dentro la temuta Grotta della Valle. Ivi giunto, alla luce
d’uno splendore sovrumano scorgendo l’augusta Immagine della Vergine
coll’Uomo Dio bam- bino vagamente assiso sul seno di Lei, intese penetrarsi
in guisa da un sacro spavento, che ne cadde boccone a piè dell’altare,
e proruppe in lagrime della più viva tenerezza. Nè ciò fu sogno mendace
ma vera e reale visione; poiché i gemiti ed i singulti furon tali,
che valsero col loro strepito a destare dal sonno tutti di famiglia,
i quali non sapendo cosa si fosse, premurosamente lo svegliarono.
Tornato in sé trovossi tutto dalle proprie lagrime bagnato.
E poi chè ebbe riacquistato un libero respiro, raccontò fil filo
l’occorsogli col compare Giannantonio, e quello che aveva veduto
egli stesso nel sogno, soggiungendo, che mentre egli si stava
così genuflesso e lagrimante innanzi l’altare di Maria,
dalle labbra di quella bellissima Immagine ascoltato aveva partirne
una voce di consolazione che gli diceva: Quale grazia vuoi tu da me?
Oh! sia in eterno benedetta l’amabilissima nostra Madre Maria.
In questa prodigiosa invenzione si manifesta con i proprii caratteri
d’una Sovrana benignissima, e ciò sotto duplice rapporto. In prima,
allorché vogliono i Sovrani decorare coloro che gli son fedeli,
o che si rendono per altri titoli benemeriti verso lo stato,
sogliono donare ad essi delle medaglie di metallo più o meno prezioso,
nelle quali è rilevata la loro effigie. Maria SS. egualmente,
compensar volendo l’affetto e la pietà dei suoi devoti,
porge ad essi il dono di una sua antica Immagine, in cui non già l’oro
o l’argento ne forma l’abbagliante pregio, come nelle medaglie
de’ Principi della terra, ma la virtù benefica di sua protezione
onnipotente ne costituisce un tesoro inestimabile.
In secondo, poiché i Sovrani quali possessori del potere supremo
possono in realtà dire ai sudditi: Qual Grazia vuoi tu da me?
lo chè avvenne di frequente, e fu sempre riputata una gran ventura
pel suddito, un argomento di bontà in persona del Principe;
Maria, mostrandosi Regina affettuosissima e benignissima ci offre
le sue grazie. Quanto bella non appare in queste parole la sua materna carità?
Quanto grande è la nostra ventura nell’essere da Regina
sì potente incoraggiati a deporre nel sen di lei le nostre miserie,
perché è pronta a profonderci i suoi conforti?
A vista dunque di questa sacra Immagine, esultate o Devoti di Maria,
poiché in essa siete sicuri di aver per Madre la regina delle Grazie,
che vi offre le Grazie sue. Esultate Voi sopra tutti o devoti Andriesi,
ed il vostro gaudio sia pieno; mentre questa frase dolcissima:
Qual Grazia vuoi tu da me? diretta al vostro avventurato Concittadino,
non fu soltanto a lui diretta. Egli era il rappresentante di tutta
la vostra Patria, ed in persona di Lui l’Immacolata Regina mirò
i suoi cari Andriesi di tutte le generazioni. La vostra sorte
vi elevi sopra Voi stessi, come una soave emozione trasporta
l’animo nostro nel ripetervi una storia di tanto vostro decoro.
Fate imprimere in tutte le porte di vostra illustre Città ed in tutte
le piazze della medesima l’augusta Effigie con a piè di essa l’epigrafe:
Qual grazia vuoi tu da me? come un solenne atto di alleanza
amorosa tra Lei e Voi; acciò in essa teniate a Lei presenti
le sue promesse per adempirle, ed a voi visibile l’argomento
che deve eccitare verso di Lei la vostra fiducia, e tenervi
in Lei sicuri, che ne’ vostri bisogni non potranno mancarvi
i soccorsi della materna e generosa sua destra.
Perdonerà il Lettore benevolo una digressione sì notevole, stantechè
le singolarità della bontà di Maria in questa invenzione tutto a Lei dovuta;
commossero il cuor nostro, fino a farci versare lagrime di tenerezza.
Riassumendo quindi la narrazione ritorniamo con l’attenzione presso
il Signor Annibale Palombino. Egli siccome fu riscosso dai suoi,
non poté certamente chiudere di bel nuovo al sonno gli occhi suoi.
Pieno del gran pensiero di tutto ciò che aveva udito e veduto,
attese con impazienza l’apparir dell’aurora. Siccome questa mostrossi
sul cocchio suo d’oro dall’orizzonte, ed era già il Sabbato 10 Marzo
dell’indicato anno 1576, prese con sè un giovanetto suo servo
per nome Giulio da Torrito, corse ad esporre al suo Compare Giannantonio
quanto l’era avvenuto nella scorsa notte, e si esibì pronto
a seguirlo per adempiere la volontà di Maria. Colmo di gioia
il buon Vecchio per questo invito, con essi provvide l’occorrente
per preparare ed accendere un lampada, e s’incamminò animoso verso la Valle.