Accanto al valore sotto il punto di vista architettonico nella cripta di Santa Croce, assume notevole valore l'insieme degli affreschi che vi si trovano.
Essi a guardarli allo stato attuale sembrano essere stati dipinti in maniera disorganica, ma è facile presupporre che, pur non essendo stati eseguiti tutti nella stessa epoca, dovevano far parte di una decorazione estendentesi alla maggior parte della superficie tufacea.
È il caso di sottolineare le difficoltà di datazione di queste pitture, non soltanto per l'assenza di documenti, ma anche perché gli affreschi (quando sono presenti e ancora leggibili) sono anch'essi riferibili soltanto con notevole approssimazione ad una determinata età: spesso si notano, fino a tre strati di intonaco sovrapposti, ciascuno affrescato.
Va poi notato, a tal proposito, come riveste la massima importanza una certa persistenza delle tecniche, dei repertori iconografici, e, come era innanzi rilevato, un comune fondo provinciale, che contribuisce ad una sorta di immobilismo pittorico che non facilita certo la datazione.
Tuttavia se è possibile porre tali decorazioni entro limiti di tempo documentabili, che vanno dall'XI al XV secolo, deve presupporsi una decorazione anteriore all'XI sec. presente negli strati più profondi dell'intonaco, ricoperti dalle continue rinnovazioni: e ciò per il fatto che la massima parte della cripta può ritenersi scavata in età alto-medioevale.
L'iconografia e le forme, si rifanno all'arte bizantina, cosa che è riscontrabile anche negli affreschi più tardi.
La descrizione degli affreschi, viene effettuata tenendo presente alcuni testi di pittura specifica delle cripte pugliesi (1).
Atrio: a sinistra entro un archivolto è affrescato un Cristo Crocifisso, con la Vergine sorretta da due pie donne da un lato, e S. Giovanni Evangelista dall'altro. Ai piedi del Cristo è protesa a terra la Maddalena. Le figure, grossolanamente dipinte, si affollano nello spazio che mal le contiene sì che paiano volerne uscire, interrompendo una mano del Cristo e la figura di una delle pie donne il bordo di contorno.
La Vergine si abbandona alle braccia che la sorreggono, chino il capo su di una spalla, ad occhi chiusi, le pie donne piegano verso di lei i volti dal fisso sguardo intento, i nimbi si toccano, si sovrappongono in certi punti.
Dall'altro lato S. Giovanni alza una mano in cenno di accorato stupore, si tiene il volto con l'altra, il Cristo al centro ci appare di grandi proporzioni in confronto alle altre figure, nel capo reclinato nel volto scarno dagli occhi chiusi, "è il vago ricordo dei più diffusi prototipi dugenteschi bizantini".
La modellazione assai povera, i contorni indicati da tratti terrosi, fanno risalire questo affresco presumibilmente al primo trecento.
Ai lati dell'arco di accesso alla chiesa si notano i resti assai guasti di un'Annunciazione: tracce dell'arcangelo a sinistra, di cui sono ancora visibili: parte della veste, le ali, la bionda testa e della Vergine dall'altro lato, inginocchiata sotto un'edicoletta e avvolta in uno scuro mantello, che dovette essere un tempo di colore azzurro.
Benché poco sia possibile dire di avanzi così miseri, la fattura, i caratteri di queste figure, le fanno ritenere assai vicine a quelle del Cristo Crocifisso osservato prima e ad esso affini.
Proseguendo verso l'interno della chiesa si notano, sui fianchi dell'arco di accesso, due raffigurazioni di santi.
A destra ci appare una santa dai biondi capelli ricadenti in ciocche inanellate ai lati del volto: porta una veste rossa ampiamente scollata, la parte centrale è gravemente danneggiata per la caduta dell'intonaco, pure sembra che la santa abbia in mano un cestino colmo di fiori e debba identificarsi con S. Dorotea.
Il modellato del volto non è privo di delicatezza, e la figura nel suo insieme, ancora splendente dei vivaci colori di quella veste rossa, di quelle chiome bionde, non manca di una certa grazia. Come la figura che le è di fronte, essa spicca su un fondo verde scuro incorniciato da fasce gialle, bianche e rosse.
Il santo sul pilastro di fronte porta, su una chiara tonaca, il saio nero, benedice con la destra e tiene nella sinistra un libro. Il volto allungato, dagli occhi fissi, dal lungo naso la cui linea si ricongiunge a quella delle arcate sopraccigliari, dalla breve barba, la mancanza di qualsiasi tentativo di rilievo o di plasticità, ricordano schemi bizantini del XIII sec. mentre lo sforzo di modellatura nelle vesti, per quanto rozzo e inefficace, i molti contorni soprattutto delle mani ci fanno ritenere questo, come l'affresco di fronte, che pur rivela uno stadio d'arte più avanzato e più libero da forme tradizionali, non anteriore al XV sec.
Il santo, che fu a lungo ritenuto un S. Basilio è con maggior probabilità identificato dal Moiajoli con S. Leonardo.
Di fronte alle scene descritte, sulla facciata del secondo pilastro, ci appare una rappresentazione di notevole interesse. Un pontefice, nimbato, siede frontalmente su un ricco trono, porta in capo il triregno e veste un ampio manto. Benedice con la destra e tiene nell'altra mano una coppa o calice a forma allungata che contiene due teste mozze.
La raffigurazione iconografica permette di riconoscere il Beato Urbano V, rappresentato con gli attributi della dignità papale e con la preziosa reliquia da lui rinvenuta il 18 ottobre 1376 in S. Giovanni Laterano, ossia le teste dei SS. Pietro e Paolo, comunemente dette le SS. Teste.
È abbastanza curioso notare come, probabilmente senza alcun piano prestabilito e per pura coincidenza, questa immagine di un papa che ebbe la sorte di illustrare il suo pontificato con una delle più fortunate ed importanti "invenzioni" venga a trovarsi proprio di fronte alle scene dell'invenzione o Rinvenimento della Santa Croce. Entrambe queste rappresentazioni possono farsi risalire alla seconda metà del XV secolo.
Navata destra, parete destra. - Ci appare entro una riquadratura a fondo scuro una figura ignuda, posta di fronte, di santo martire (forse S. Sebastiano), ma si tratta di tracce quasi del tutto svanite.
Procedendo verso l'abside troviamo una serie di scene relative all'invenzione della Croce.
Abbastanza bene si conservano i due riquadri superiori: S. Elena a cavallo seguita da uomini d'arme giunge alle porte di Gerusalemme donde escono i sapienti a consigliarla; la santa assiste alla confessione di Giuda.
Assai più guasti sebbene ancora parzialmente visibili e identificabili sono gli inferiori: S. Elena ritrova miracolosamente la vera Croce; l'imperatore e la santa adorano la Croce.
Nonostante il loro stato di imperfetta conservazione, questi affreschi vivacemente narrativi possono interessare sia perché notiamo in essi una mano non dissimile da quella che ritroveremo in alcune delle rappresentazioni più importanti della cripta sia "per certo paesano spirito aneddotico che vi affiora ingenuamente, animandone la composizione, del resto stipata e greve". Piuttosto insolita appare, nella serie delle cripte pugliesi, questa ripartizione degli affreschi che svolge la narrazione entro piccoli riquadri successivi.
Giunti così all'abside, che conclude la navata destra, arrestiamoci ad osservare la decorazione dell'architrave.
Sopra l'arco sono raffigurati, a mezza figura e in posizione frontale il Cristo e i quattro evangelisti, rappresentati da mezze figure umane con la testa bestiale o angelica, secondo il solito simbolismo, entro una cornice mistilinea il primo, i secondi entro cornici a rombo: una fascia orizzontale comprende le cinque figure così da lasciare il Cristo al centro.
Nell'intradosso dell'archivolto appare su uno sfondo azzurro pallidissimo, cosparso da stelle rosse entro un clipeo, l'agnello con la croce, ai lati sono rappresentati due santi, uno dei quali pare essere un vescovo.
La parete di fondo è decorata da un'altra scena di crocifissione, che possiamo riavvicinare a quella già descritta dell'atrio.
Come in quella, la Vergine viene meno, sostenuta dalle pie donne, che inclinano i capi verso il Suo; il Crocifisso tiene il centro della scena, il capo del Cristo ci appare assai simile sia come tipo iconografico che come atteggiamento, a quello già descritto ma il S. Giovanni all'altro lato della croce non si contenta più di esprimere il suo dolore con lo sguardo intento al Crocifisso, con la mano alzata in atto di stupita sofferenza e, apparendoci di fronte anziché di lato, si lacera, aprendole sul petto, le vesti in un'attitudine violenta e concitata. Nell'insieme la scena ha un carattere di maggiore drammaticità, espressa però in forme più volgari e di fattura apparentemente più tarda; si ripetono in essa come in quella esaminata più sopra, i tratti di contorno privi di sicurezza e di tono rossastro.
Questo insieme decorativo dell'archivolto, che comprende gli affreschi sulla parete di fondo, sull'arco e sull'intradosso, presenta caratteri omogenei e fu certamente eseguito in uno unico tempo e dalla medesima mano.
Tali caratteri sono però "tanto commisti grossolani e ritardatari, da rendere alquanto ardua una proposta di datazione anche approssimativa, che può ragionevolmente oscillare tra il XIV e XVI secolo".
Una fascia decorativa comprendente quattro tondi ove sono raffigurati pontefici e vescovi, è affrescata sull'intradosso dell'arco di comunicazione fra la navata destra e quella centrale e sembra opera di mano assai vicina a quella della storia dell'invenzione della Croce.
Ai lati sono rappresentati S. Antonio abate e un Santo eremita; S. Antonio ha le grucce e il campano e ci ricorda per qualche lato la maniera che notammo nella figura del supposto S. Leonardo, affrescata all'ingresso.
Navata centrale, arco trionfale. - Vi sono rappresentate quattro scene evangeliche: le due superiori si estendono anche alle pareti di fianco, e le inferiori appaiono troncate dal taglio per l'ampliamento del presbiterio, di cui si disse più sopra. Le scene sono distribuite secondo lo schema seguente:
Nell'insieme tali rappresentazioni ci paiono poco chiare ed assai guaste. Ai lati dell'arco, sulle pareti si notano un S. Nicola a destra, a sinistra una figura assai guasta e non identificabile.
Giungiamo così agli affreschi più noti e per alcuni aspetti più importanti della cripta: quelli che decorano l'intradosso dell'arco tra la navata centrale e quella a sinistra.
Le due scene, che rappresentano la creazione di Eva e il Peccato Originale, vengono a trovarsi di fronte secondo la curva dell'arco. Sono limitate e divise da due frammentarie figure affrescate alla loro base, l'una da una fascia bianca, l'altra da una zona più riccamente decorata a figurazioni geometriche: esagoni e mezzi esagoni di tono scuro su un fondo bianco.
Nella seconda scena Adamo ed Eva stanno ritti, nudi ai lati dell'albero, del quale non è dato distinguere la qualità perché la parte alta della rappresentazione è assai danneggiata; al tronco è avviticchiato il serpente, nello sfondo è un accenno a lievi ondulazioni del terreno, coperte da una vegetazione schematicamente rappresentata dalle consuete foglie trilobate.
Mentre la figura di Adamo mal equilibrata sui grossi piedi è ancora chiaramente visibile, quella di Eva è in più punti guasta per caduta dell'intonaco.
Più interessante, soprattutto per l'inconsueta iconografia ci sembra la scena vicina; su un ricco trono cuspidato e tutto coperto di decorazioni gialle a losanghe, siede una figura umana, sul cui collo si innestano tre teste, al centro quella canuta a barba fluente, guasta in più punti, di Dio Padre, a destra (di chi guarda) quella bruna a breve barba del Cristo, in assai migliori condizioni, a sinistra infine quella del Paracleto rappresentato dalla colomba, di cui in origine dovette forse esser visibile qualcosa più della sola testa, ma che un guasto nella parte bassa riduce ora a quell'unica parte.
Mentre i due capi dell'Eterno e del Cristo sono compresi da un unico ampio nimbo scuro, decorato a punti bianchi, il Paracleto ha un piccolo nimbo dello stesso tipo, per sé. Il capo della colomba è di profilo, mentre gli altri due sono raffigurati frontalmente e appena lievemente volti verso sinistra.
La sacra immagine veste un manto bianco decorato, come le maniche, da un bordo scuro a disegni geometrici e lievemente ombreggiato dello stesso tono, posa i piedi sul predellino o sgabello del trono, sorregge con la sinistra (presumibilmente) il simbolico globo, mentre tende la destra alla bionda Eva che sorge ignuda dal fianco di Adamo addormentato, steso al suolo in una tormentata posa, poiché si sostiene come puntellato su braccio curvo e poggiato al gradino del trono, ed alza l'altro a posarlo sul capo reclino dagli occhi chiusi.
Se per caratteri stilistici la scena non si differenzia granché dalle precedenti e ci riporta per i suoi caratteri di vivacità narrativa popolaresca a quella dell'invenzione della Croce, lo schema iconografico, che vi notiamo, sembra condurci più lontano. Esso si ricollega a quel vasto gruppo di raffigurazioni della Trinità rappresentata da un unico corpo con più teste, che si andarono sempre più diffondendo dal XII al XVI secolo, man mano che l'accostamento delle tre sacre Persone si andava facendo maggiore, fino alla proibizione di tale immagine, imposta da Urbano VIII l'11 agosto 1628, e che Benedetto XlV doveva più tardi, nel 1745, ricordare solennemente. Le tre teste, più o meno differenziate e a volte addirittura saldate fra loro sono generalmente e per lo più tutt'e tre umane; la raffigurazione di Andria appare quindi come un tipo speciale dello schema comune, ove sussistendo l'importanza data all'idea di unità con la fusione delle tre persone in un unico corpo, permane però ben chiaro il concetto di differenziazione.
E interessante notare come, non solo per stile ma anche per carattere iconografico, la scena sia indipendente da influenze bizantine giacché quasi mai i greci ci rappresentano la Trinità come un'unica figura a tre teste.
Di secondaria importanza è lo spostamento della testa del Cristo dalla destra alla sinistra di quella dell'Eterno, ove dovrebbe essere secondo il testo di David, e dovuto ad un errore che si verifica spesso.
Benché l'intonaco sia caduto in più punti, i colori si mantengono d'una chiara luminosità, d'una particolare freschezza e vivacità.
Bene osserva concludendo il Moiajoli "in queste due scene... il colore... ci appare nella sua funzione intenzionalmente plastica, disteso con finezza di chiaroscuro e di sfumato. E poiché qui si tratta evidentemente della stessa maniera a cui si devono le scene della Croce e le altre che a quelle abbiamo connesse, qui meglio che altrove ci vengono chiariti i caratteri di una pittura locale che non resiste agli apporti di correnti artistiche derivate dall'Italia centrale, e sia pure interpretate e tradotte in linguaggio popolaresco". La datazione si può, seguendo il Salmi, portare al XV secolo. Le due figure frammentarie, un Cristo risorto e un Santo monaco (S. Basilio?[S. Leonardo]) affrescate l'una al di sotto della scena della creazione d'Eva, l'altra sotto a quella dei peccato originale, serbano, sia nella costruzione dei volti, sia nella maniera pittorica sensibili caratteri di attardato bizantinismo.
Navata sinistra. - Al fondo dell'abside si conserva ancora un affresco gravemente danneggiato, che rappresenta il Cristo fra i SS. Pietro e Paolo.
Siede il Salvatore (la cui figura supera della spalla quella dei Santi) sul trono e, ritto sul ginocchio e chiuso, il solito libro, mentre alza la destra benedicente secondo l'uso greco: Il manto ricade dalla spalla sinistra sulle ginocchia; il volto, troppo guasto per offrirsi ad un attento esame, è allungato e barbato, il nimbo crocifero; S. Pietro alla sua destra porta un manto drappeggiato ed alza la mano destra volgendo la palma verso l'esterno, mentre la sinistra tiene le chiavi; dall'altro lato S. Paolo dal magro viso allungato, estremamente espanso nella parte cranica e ristretto nella parte bassa del volto secondo il tipico schema orientale, tiene la spada nella destra e nell'altra, probabilmente, il libro.
Dietro ai due santi si individuano appena le incappucciate figure di un gruppo di confratelli. E certo, nonostante il tema iconografico occidentale e latino, è questo l'affresco che più di ogni altro, nella cripta di Andria, conserva vivi ricordi di bizantinismo, l'unico che si possa riportare al XIV secolo.
È da ricordare come altri affreschi dovevano trovarsi: nel locale attiguo al presbiterio dove sono state rilevate tracce di intonaco dipinto; sulla parete sinistra dell'abside, dove si trovano le aureole scolpite nel tufo di cui si è detto nel precedente capitolo, e analogamente sulla seconda colonna di sinistra ove dei personaggi affrescati non distinguibili, presentano la stessa aureola scolpita nel tufo.
Nell'insieme dunque le decorazioni della cripta di Santa Croce, ci offrono un interessante e vario complesso di affreschi che però non è possibile far risalire a data anteriore al XV secolo, e per un solo caso, al XIV secolo.
In essi riconosciamo dei prodotti dell'arte senese contaminata da ricordi bizantini, e l'impronta di vivacità popolaresca di una mano paesana.
Arcch. Francesco Nicolamarino - Antonio Giorgio
[testo tratto da " Santa Croce In Andria, notizie storiche e ipotesi di restauro", di F.Nicolamarino - A.Lambo - A.Giorgio, Tip.Guglielmi - Andria, 1981, pagg. 57-92.]