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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg.
9-11
Libro Primo
Capitolo IV.
Memorie, che ci attestano tuttodì, come i prischi Andriesi sieno vissuti nell’Idolatria, esercitandosi nella superstizione di quei Riti.
Per tutte quelle regioni, per le quali spande il sole la sua benefica luce,
palesa il cuore umano la determinazione di un culto, di una Religione.
L’uomo non sa ridursi allo stato di società, se non assicurato dalla tutela di un Nume,
di un Essere superiore: e sia questo qualunque. Si sbaglierà allora intorno alla scelta;
ma rimane incontrastabile essere l’istesso in tutti il primo slancio del cuore.
Cadrà l’errore nel fatto; ma non però nell’interno principio
[1].
Basta gittare uno sguardo su gli esseri ragionevoli dispersi per l’Orbe,
per restare a prima vista convinti di questa verità. Fortunati pur troppo son quelli
che salutando il primo giorno sotto un Cielo Cristiano, riesce loro col latte succhiare
i primi semi della vera Religione. Questo celeste favore fu negato ai primi nostri progenitori.
Siccome questa Città apparve quando queste contrade erano abbujate dalle tenebre di morte,
e poi riformata dalle leggi di un Gentile
[2];
corse perciò la sventura del Gentilesimo. Molti secoli si avvicendarono,
perdendosi gli Andriesi tra le stolte follie di lorde Deità. A noi tardi posteri,
per grazia segnalata dell’Altissimo, illuminati dalla luce Evangelica,
rimane solo una trista tradizione sulle memorie del loro lagrimevole infortunio.
Memorie, che sovente si risvegliano o alla vista di qualche loro luogo esecrato,
o alla pratica di alcune abitudini, che suonano tutt’ora di antico Grecismo.
Di fatto questo vasto spiazzo, chiamato volgarmente
Catuma, ripete il suo nome
dalla voce latina
Hecatombe, significando quel luogo destinato ai sagrifizii,
e propriamente sagrifizio di cento vittime
[3].
Questa, come narrasi, fu quella piazza, dove i nostri sventurati maggiori
offrivano vittime ai falsi Numi. Quindi n’è venuta la voce
Ecatoma, Catumba, Catuma.
Intorno alle loro antiche abitudini, o a dir meglio insani deliri,
non mancano ancora alcuni avanzi rimarchevoli, di cui non amo trasandare la conoscenza.
Qui presso alcune rustiche famiglie vige il costume di lasciar pendere dalle finestre
ligati ad un bastone alcuni fantocci, o sia pupi di pezza.
In rapporto a questa usanza, abbiamo dalla tradizione, che in Andria, in tempo del Gentilesimo,
quando avveniva qualche cosa di sinistro a taluno di casa, si credeva essere ciò accaduto,
dacchè i loro Lari, o sia Numi domestici si erano con loro sdegnati
per qualche disattenzione: e che crucciosi erano usciti dalle porte delle loro abitazioni,
per ritornarvi dopo qualche tempo dalle finestre. Quindi lasciavano pendere
da un’asta tanti pupi di pezza, quanti erano i componenti della famiglia, per presentare loro,
in arrivando, delle grate accoglienze. Vivevano nella stolta credenza, che i loro Lari
nel ritorno, placati da questi degni intercessori, avrebbero deposto lo sdegno,
e risparmiati gl’individui della Casa. Follie son queste, lo so;
ma di che non è capace l’uomo non illustrato dal lume della vera credenza?
Questa osservanza del Gentilesimo si pratica qui ancora in tempo di Quaresima;
sebbene fuori di quella stoltezza, ma per semplice e puerile trastullo.
Un’altra consuetudine, che da tempo immemorabile tiene ancora luogo tra noi, è tutta Greca;
cioè il
Colva, o
coliva. Questa era una offerta, che si praticava dai Greci da tempi rimotissimi,
e presentemente anche si costuma da taluni Greci Cristiani. Consiste
[4]
in un grande bacino di grano bollito, condito di mandorle peste,
di uve secche, con granati, con sisamo
[5],
basilico, e con altre piante odorifere all’intorno.
Questo rito presentemente si costuma nel giorno della Commemorazione di tutti i Morti.
Nelle famiglie (ignorandosene forse l’origine) si suole cuocere il grano
e gustarlo condito di vincotto, o di mele, o di zucchero, con mandorle peste,
e con acini di granato. Oltre di questa usanza, ci si racconta,
che i nostri maggiori sono stati soliti anche di lasciare imbandite
laute cene notturne per complimentare i Dei Penati, ed i Lemuri, o sia le anime de’ morti.
Da qui mi persuado essere avvenuta la costumanza, che per tutto l’ottavario de’ morti
si visitassero a vicenda le famiglie degli amici, e parenti con complimenti di rito:
e se ne proclama la stretta osservanza specialmente dal ceto rustico in ogni anno.
Non è tampoco da passarsi sotto silenzio un’altra consuetudine del pari originata da’ Greci;
ma da qualche tempo anatematizzata da questo popolo. Nel primo giorno di Carnovale
di ogni anno solevano alcune donne, dette matrine, mettersi nel dopo pranzo
a cuocere grano con fave in un caldajo nelle punte delle strade:
indi due altre donzelle situate come di guardia allo sbocco di esse,
si lasciavano pendere dalle mani una zagarella lunghesso quel tratto di strada.
Tutti quegli uomini, che a bella posta, o per caso si trovavano di là passando,
venivano catturati, e non si lasciavano fuor d’impaccio, se prima non avessero
loro consegnato qualche regalo. Questa pratica, come ognuno vede, sa interamente di Gentilesimo.
Dai molti sconcerti che ne avvenivano, questo popolo raffinato poi
nella sua credenza Cristiana ne abbominò totalmente l’usanza.
Un’altro superstizioso complimento anch’ereditato dai Greci, tormentò un tempo
le menti di alcuni cittadini del ceto rustico; cioè quel vano timore che concepivasi
al civettare di qualche uccello notturno. Si credeva che un si malaugurato volatile
annunziasse loro il prossimo termine della vita. Non vi è dubbio che delle volte
in quelle case, intorno alle quali svolazza la coccoveggia, si avvera che taluno muoja;
ma ciò nasce, come ciascuno intende, non dacchè la civetta sinistramente influisse;
ma perchè vien sedotta dalla preda. Essendo questo un carnivoro animale
che dall’odor putrido, che sfugge dalla stanza di qualche moribondo,
si sente attratto a quel pascolo; e così ne canta la nenia.
Intanto taluni de’ nostri maggiori dall’infanzia imbevuti di questi falsi principii
ad onta del buon senso e de’ cristiani suggerimenti, ebbero in tali rincontri
un certo spavento. Ma da qualche secolo questa superstiziosa credulità non domina più in questo luogo.
NOTE
[1]
Signatum est super nos lumen vultus tui Domine. Psal. 4.
[2]
Diomede il Greco, come ho detto dinanzi.
[3]
Hecatombe sacrificium centum boum , et generatim centuria quarumcumque victimarum ,
sed tamen unius generis, ut centum suum , centum ovium, etc.
Aliqui dicunt centum pro multi poni. Hinc Hecatombas vovere, Graecis,
et Romanis antiqui moris fuit, cum pestitentia affligerentur. Facciolati nel suo Vocabolario.
Ed Arnob. 1. 7.
Catumeum genus libi in sacrificiis adhibiti.
[4]
Come spiega Tournefort.
[5]
Sisamo —frutto di soavissimo condimento — Plin. e Columella.