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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 57-60

Libro TERZO

Capitolo V.

Conti di essa Città Joffredo, Gottofredo, e Ruggiero, che ne fu l’ultimo.
Vescovi Monssgnor Desidio, e Monsignor Matteo I.
Opere esistenti dello scalpello Normanno.

Considerazioni sul Palazzo Ducale.
Anno 1118.

Correndo l’anno indicato, trovasi Conte di Andria Joffredo, forse quell’istesso da me cennato in occasione del castello del Monte oppure suo figlio; e ciò rilevasi dall’autenticità di un tristo avvenimento. Dominando in quest’epoca una gelosia tra i Baresi, e Canosini intorno al primato delle loro chiese; questa crebbe maggiormente, quando Costanza, vedova del rinomato Boemondo [1], mostrando una predilezione per Canosa forse perchè quella Chiesa conservava le onorate ceneri del defunto consorte, la raccomandò oltremodo a Risone Arcivescovo di Bari il quale anche ne teneva il governo. Questo Prelato, per significare un’attenzione alla Principessa Costanza, cominciò a frequentare la via di Canosa pel buono regolamento di quella Chiesa.
Ecco caduti in grande tumultuazione i Baresi, temendo che Risone volesse quivi costituire la sua residenza. Dopo qualche doglianza fatta inutilmente all’Arcivescovo, finalmente uno de’ più potenti baresi, chiamato Argiro, risolse vendicare la creduta ingiuria con un sacrilego attentato. In uno de’ giorni alla testa d’iniqua comitiva previene il passaggio di quel Prelato e si agguata vicino la Chiesa del Beato Quirico fra Canne, e Barletta. L’Arcivescovo Risone là non giunge appena, che vedesi aggredito; e poi rimane vittima di un tradimento. Dopo un fatto si tristo, mentre Argiro cercava condursi in Trani, per Divina disposizione s’imbatte colle milizie di Joffredo Conte di Andria, il quale tornava dalla custodia di qualche luogo della sua Contea. Egli vien subito catturato, essendosi sparsa la voce del delitto e sollecitamente condotto in Barletta, Città forse allora governata dall’istesso Conte. Joffredo non lasciò quivi vivere l’iniquo, che pel corso di una notte, mentre di buon mattino gli fece pagare il fio con una morte ignominiosa [2].
Allora era Vescovo della Città di Andria Monsignor Desidio. La memoria di costui ci viene, come dinanzi ho detto nel passaggio de’ Trimodiesi tra noi, da quell’antica pergamena, che conservasi dal Collegio de’ Niccolini.
In forza poi di due istrumenti, conservati nell’Archivio della Chiesa di Nazzaret, appare un’altro Conte di Andria, e Signore di Monteverde chiamato Gottofredo, colla indicazione di un altro nostro Vescovo. Il primo istrumento segna l’anno 1145., ed il secondo 1157.; e perché ambi coincidono sull’istessa cosa, cioè su varie donazioni, io ne rapporto solamente il primo. Essendo Vescovo di Monteverde un certo Mario nel 1145.; e questi perché molto amico del nostro Prelato chiamato Matteo I. [3]; così mediante la di lui opera, ottenne dal nostro Conte la donazione in Monteverde di alcuni beni a quella mensa, molto povera. In effetti il nostro Gottofredo con istrumento, fatto da un certo Lione Proto-notajo apostolico, dona tra le altre cose a Mario Vescovo un forno cum suis juribus, sito dentro Monteverde: ed incomincia l’atto dopo le formole consuete = Ego Gottophrydus comes Andrensis ac Montis viridis Dominus, etc. termina con queste sottoscrizioni = Ego Marius Episcopus Montis viridis interfui, et subscribo: Matthæus Episcopus Andriæ Testis: Ego Jacobus Episcopus Lavelli Testis. Die secunda Junii anno 1145.
Finalmente l’ultimo nostro Conte della stirpe Normanna fu Ruggiero, il quale aspirava alla Corona del Regno; ma terminò sventuratamente i suoi giorni. Nell’anno 1190. trovavasi la Puglia dilaniata da tanti agguerriti pretensori, poiché i Principi delle rispettive Contee, avvampando di gelosia fra loro, cercavano distruggersi a vicenda. Ecco in campo da una parte Riccardo Conte della Cerra, cognato del Re Tancredi, e dall’altra Ruggiero Conte di Andria, favorente le armi di Arrigo, figlio del Dominante Federico Barbarossa. Prevalendo il primo nella sorte delle armi, fu costretto il secondo cioè il nostro Conte, a rifuggirsi in Ascoli di Puglia: dove essendosi ben fortificato, sperava illudere gli sforzi del nemico. Il Conte Riccardo in pari tempo non mancò subito condursi in questo luogo a dargli la caccia, assediando Ascoli; ma vedendo ricadere sempre inutile tutt’i suoi ardimentosi, e studiati tentativi, incontrando di continuo una viva resistenza pensò guadagnarlo per le vie dell’inganno. Invia il suo segretario al nostro Conte, pregandolo, che si fosse per poco compiaciuto cacciarsi fuori le mura di Ascoli, mentre ivi egli solo lo attendeva, per dirimere con un abboccamento ogni controversia fra loro: che gli avrebbe presentati molti progetti di pace, rimettendone a suo genio la scelta: e che impegnava la sua fede per la immunità della sua persona. Il nostro Ruggiero, troppo credulo a queste gentili offerte, abbandona il suo presidio, e si mena fuori le mura, per venire con lui a patti di pace. Il Conte della Cerra quando vide già caduta ne’ suoi lacci la preda, dà segno a coloro, che si tenevano in agguato: questi si scagliano sul nostro Conte, e così rimane vittima esangue di un nero tradimento, venendogli recisa la testa [4]. Ma siccome i delitti enormi vengono talvolta puniti quaggiù dall’Eterno Giudice per conforto de’ buoni, e spavento de’ malvagi; cosi non andò guari la sua condegna fine. Mal misurando egli le sue deboli forze, avendo avuta la baldanza di opporsi alle bandiere di Arrigo, ne venne, che caduto nelle mani di quel Sovrano, fu obbligato a voltolarsi nel fango, tirato dalla coda di un cavallo per le strade principali di Capua. Indi affisso capovolto ad una trave di supplizio, pendendogli dalla gola un sasso immenso, vomitò immantinente col sangue l’anima trista [5].
Abbiamo fin qui veduta questa città dominata da’ Duci Normanni, essendosi mantenuto il loro impero in Sicilia, ed in Napoli per 200. anni incirca: passiamo ora ad osservarla sotto altro dominio. E prima d’innoltrarci giova rimarcare alcune reliquie esistenti tra noi del gusto di questa nazione intorno le fabbriche. La cuspide del Campanile, come di sopra ho detto, di questa Chiesa Cattedrale è di mano Normanna. Fu del pari opera dello stesso scalpello la Chiesa detta di Porta Santa, come in osservandola hanno convenuto tutti gli Architetti; e ne faremo parola poco appresso. Non ci manca qualch’edilizio privato, come la casa di Rimedio con quel suo elegante prospetto, che vedesi nel basso del Pennino, o sia Pendio, ed altri.
La nostra Cattedrale palesa poi un’epoca anteriore ai Normanni. Lo stile è tutto barbaro, e gotico. Se sarebbe stata l’opera di questi tempi, avrebbe riportata, al pari della Chiesa di Trani, e di Barletta, l’impronta dell’istesso gusto di Architettura. Per la sua forma irregolare e disordinata mostrasi figlia non di un disegno, ma che avesse ricevuta de’ varii incrementi nelle alternative dei tempi.
Il magnifico edifizio di questo palazzo Ducale, vuole la tradizione che sia stato sulle prime una rocca, un castello. Certo è chè fu sempre la signorile Magione de’ varii Dominanti di questa Città sin dai prischi tempi. La famiglia del Balso lo dilatò assai; e poi la Carrafa lo ridusse a quella forma che vediamo. Esso poggia nel sito migliore della Città, spettacolato da tre larghi, in faccia ai quali di antica pompa grandeggia. Presenta un doppio magnifico ingresso ne’ due opposti portoni sporgenti l’uno nel largo della Corte [6], e l’altro in quello del Vaglio [7]. Di questo palazzo un sol lato non venne rifatto dalla Casa Carrafa, ed è quello che guarda la porta del Castello dirimpetto al Coro del sacro Duomo. Questo lato offre alcune indicazioni e non so se di mano Normanna, o piuttosto Gotica. Ma passiamo a considerare questa Città sotto altro Dominio.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1] Boemondo morì nel 1110. in Antiochia. Di lì venne il suo cadavere trasportato in Italia, e seppellito in Canosa. Giann. lib. X, pag. 105.
[2] Ignotus Baren. Apud Pratill. tom. 4. pag. 343.
Anno 1118. Indict. XI. Mense Septembri. Post aliquos autem dies præmemoratus Archiepiscopus Riso ibit Canusium ad Ecclesiam B. Sabini. Ibit et prædictus Argiro Tranum; ibique communicato consilio amicorurn expectabat reditum Archiepiscopi: et paucis decursis diebus; paratis insidiis prope Ecclesiam B. Quirici infra Cannas, et Barolum interfecit eum. Revertenti Argiro Tranum, milites Andrensis Comitis Joffredi redeuntes a vigilia obviaverunt, et captum Barolum duxerunt et nocte delapsa, die Dominico mane suspendio interiit, etc. etc.
[3] Questi è quel Vescovo che dall’Ughellio nel catalogo de’ nostri Prelati vien portato per anonimo nel 1143.
[4] Murat[ori]. An[nali]. D’Ita[lia]. ann. 1190. Giann[oni]. vol. 2. Lib. XIV. pag. 312.
[5] Murat[ori]. An[nali]. D’Ita[lia]. anno 1196. Gian[noni]. Lib. XV.
[6] Questo largo porta la indicazione della Corte dacché anticamente nella fine di ogni anno qui si radunavano i magistrati, ed amministratori urbani, e davano conto ai subentrati, ed al popolo del loro governo, e della loro gestione nell’esercizio del passato anno. Essendo riserbati gli ufficii amministrativi ai soli due ceti nobile, e civile (classificandosi il popolo Andriese in triplice ordine patrizio, o sia nobile, civile e plebeo), si praticava con stretta osservanza per un anno la elezione del Sindaco col corpo amministrativo dal ceto dei nobili, e per l’altro anno dal ceto de’ civili; e così sempre alternativamente: e siccome le piazze erano distinte, cosi distinti ancora erano i luoghi de’ loro congressi. Il sedile de’ nobili era in questo largo della Corte; sebbene ora trovasi convertito in privata abitazione, ed io anche ricordo le sue reliquie. Il sedile poi de’ civili era accanto alla porta della Barra, a destra dell’uscita. Li esiste ancora la impresa della Città, che venne poi ne’ tempi posteriori affiancata da quella della Ducale famiglia del Balso; come il tutto è osservabile. Questo largo dunque detto della Corte, venne così chiamato, dacché quivi si esercitavano le funzioni di Corte, cioè del governo Amministrativo, e Giudiziario.
[7] Va tuttavia quest’altro largo così significato dal grano vagliato. Qui difatto con savio provvedimento veniva in ogni anno a depositarsi dalle aje tutto il frumento, dal quale dopo essersi prelevato tanto, quanto era sufficiente ad un di presso per l’annona di quell’anno, il rimanente poteva vendersi dai padroni a loro genio a chi ne sentiva il bisogno fuori di Città. In questo largo perciò esistevano tante fosse, che poi si dilatarono nello spianato della Catuma, quando Andria addivenne il serbatoio frumentario della Puglia; fosse, che tutto dì negli scavi si scoprono, le quali servivano a contenere il grano crivellato, o sia vagliato. Desunse perciò questo luogo da un tale uso la denominazione di Vaglio.