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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 68-69
Libro Quarto
Capitolo V.
Su dei Tumuli delle due testé nominate Imperatrici.
La Città di Andria, non avvi dubbio, va molto debitrice della sua rinomanza
alle tombe di queste due Imperatrici. In effetto per esse ha occupato sempre
un articolo in tutte le istorie di questo Regno; ed in modo particolare per Jolanta,
la quale fregiò tutt’i nostri Sovrani dell’augusto titolo di Re di Gerusalemme.
Ma che cosa mai dirò su questi sepolcri, i quali hanno formato,
e formano tutt’ora l’oggetto delle comuni ricerche degli storici?
Dovrò io adirarmi contro de’ nostri maggiori, i quali hanno lasciati negletti,
ed invisibili questi due onorevoli monumenti? Si arguisca almeno da ciò
la colpevole incuria degli Andriesi nel custodire le loro patrie memorie.
Nello stato presente delle cose, per venirne a capo di qualche notizia
non ho mancato praticarvi qualunque tentativo. Per maggior chiarezza
della cosa debbo premettere, che questa cattedrale Chiesa era al pari
che quella di Trani, fornita oltre del piano superiore di un altro al disotto,
detto soccorpo dove si celebravano le Messe, ed altre sacre funzioni.
Ma questo essendo troppo sprovvisto di luce ne avveniva, che non appena
il giorno incominciava a declinare, che qui dentro dominava un fitto bujo.
Or raffreddata la primitiva carità cristiana; ed in taluni anco totalmente estinta,
si avverava delle volte che questo sacro asilo servisse per l’empio di sicuro
ricovero alle sue dissolutezze. Ad evitare quindi tali contumeliose profanazioni,
si venne alla determinazione di chiudere il piano inferiore di detta Chiesa;
e di quel vano formarsi tanti grandi sepolcri. Or lì dentro trovandosi
i due Mausolei delle sullodate Imperatrici, vennero perciò sottratte alla vista de’ viventi.
Ciò posto, eccomi al rapporto di quanto ho potuto ocularmente carpire intorno di essi.
In una delle sere degli anni scorsi sostenuto dalla presenza di un amico, che mi dirigeva,
scesi per quella bocca sepolcrale di rimpetto alla Cantoria, e con la guida
di una face vidi quell’Ipogeo, dove in massa dormivano silenziosi, perché oppressi dal tempo,
i figli della polvere. La soverchia curiosità rendendomi ardito, cercai barcollando
su quelli ammonticchiati carcami, evocare al mio cupido sguardo quelle abbandonate memorie.
Scopersi nelle sfigurate pareti molti contorni Chiesastici, molte smussate
corone di Altari; e rimenando il timido piede pel lato destro d’ingresso
incontrai un coacervo di tanti pezzi di fino intaglio; di mezzo al quale
si elevavano due colonnette, le quali andavano a finire, sostenendo una base anco
di delicato lavoro. Di lì non lungi eranvi altre due colonnette;
ma scoperchiate mostravano aver sofferta ingiuria nel crollamento dell’edificio superiore.
Non valsi a discernere, se questi rottami fossero di semplice pietra,
o di marmo pregevole; perch’eravi sparsa al di sopra una crosta nerognola.
Fin qui si spinse la mia audacia; mentre venni arrestato da un occulto timore
eccitato dalla tristezza del luogo, e dall’incerto vampeggio della fiaccola.
Mi persuasi essere questi i due avelli, che contenessero gli augusti avanzi
delle due Imperatrici. Non debbe caderci dubbio però, che ai piedi dei monumenti
ci stiano delle iscrizioni lapidarie; ma non è sperabile potersi vedere,
atteso la immensa congerie dell’umana caducità, o sia delle tante ossa accatastate.
Taluni hanno asserito, che gli Andriesi ne’ tempi degli Angioni,
considerando essere stato un atto di poca religione l’aver data tomba ecclesiastica
a due corpi odiati dalla Santa Sede, perché mogli di Federico,
gli avessero trasferiti sull’atrio della Chiesa; che al presente siano quelle
due signore effigiate in lapidi, che guardano l’ingresso della porta maggiore
del Duomo; che le ceneri loro siano state rimescolate, e poste al di sotto
di quella lapide, che giace nel mezzo di esse. Si asserisce ancora
che i loro mausolei siano stati formati da pietra nostrale, ma con lavorio,
ed intaglio di gusto orientale; e che al presente siano visibili due piedi di essi,
de’ quali uno serve di base alla colonnetta, che sostiene la sacra fonte
nell’ingresso della sagrestia, e l’altro si adopera per piede del nostro confalone
[1]
nelle solennità.
NOTE
[1]
Questa voce significa propriamente un velo pendente da un asta come bandiera,
e vessillo detto
Confanon, e volgarmente Confalone. Pare voce Germanica,
poichè con tal nome chiamano gli stendardi, etc. Vedi Domenico Magri
nel suo vocab. Eccl. sotto la voce
fanon.